Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbattuto

Numero di risultati: 6 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Racconti 3

662766
Capuana, Luigi 2 occorrenze
  • 1905
  • Salerno Editrice
  • prosa letteraria
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

Il professore trovò il giovane già desto, un po' abbattuto, e gli sorrise col piú ipocrita dei sorrisi che mai labbro umano avesse abbozzato. E sicuro del fatto suo, trionfante, sprezzante, da quel giorno permise che il giovane Hart rinnovellasse piú frequentemente le visite alla signora, e acconsentí anche che l'accompagnasse qualche volta, e solo, al passeggio. La signora von Schwächen scoprí un giorno, fra gli appunti dei cartolari scientifici del marito, la spiegazione della sua sicurezza e della sua tranquillità, e fu indignata dell'infamia commessa contro quei poveri otto o nove timidi adoratori di lei. Palesò la scoperta al suo Hart; il quale sospettando quel che doveva essere accaduto con lui, si dié segretamente a fare esperienze che lo condussero a verificare, in modo assolutamente scientifico, quel che il caso aveva fatto operare al ferocissimo sterilizzatore. I due amanti, per ciò, stimandosi troppo protetti dalla sicurezza del professore, non presero piú, da allora in poi, tante precauzioni nelle loro gioie, e un bel giorno si fecero sorprendere. Ma allora si vide quel che può la passione scientifica in un alto intelletto. Invece di buttarsi addosso al vituperatore del suo talamo e strozzarlo, il professore von Schwächen volle persuadersi come mai la sua operazione fosse fallita. Si mise a discutere con lo scolare, quasi niente di male fosse accaduto, quasi si trovassero rinchiusi nel laboratorio. Il professore espose la sua scoperta e le sue otto o nove esperienze in anima vili ; Hart riferí i resultati opposti, ottenuti per via delle ricerche da lui iniziate, e addusse in prova se stesso. E di accordo, come contratto di pace, professore e scolare stabilirono di non propalare le loro rispettive scoperte. «La mia è malefica!» conchiuse il professore. «La mia è peggio; è superflua!» conchiuse il discepolo -.

Roxa si accasciò nuovamente, piú abbattuto di prima. Povero Roxa! Non aveva neppur forza di proseguire. Avrebbe mai potuto imaginare che quella magra, quasi brutta e assolutamente insignificante, non ostante ch'egli si fosse lasciato indurre a sposarla e le volesse bene ancora dopo due anni di matrimonio e dopo la delusione dell'agognata genitura ... ? Avrebbe egli mai potuto imaginare che vi sarebbe stato al mondo un altr'uomo capace di farsene un'amante, come egli se n'era fatta una moglie? Avrebbe mai potuto imaginare che quella donna concepisse la maligna risoluzione di dimostrargli che l'ostacolo, no, non era in lei? ... Infelicissima idea, in verità, la viva insistenza di Emilio: «L'ostacolo è in te! L'ostacolo è in te!» Pur troppo la vanità (non la tentazione diabolica, com'egli supponeva) perde sovente un galantuomo! Eppure io non credo che la signora Roxa abbia avuto la perversa intenzione di una vendetta; credo piuttosto che ella abbia agito con animo sicuro, convinta dal marito che appunto l'«ostacolo» stesse in lei e che quindi non c'era da temere, in ogni caso, che ne venisse fuori la dimostrazione contraria. Quell'altro era inquilino della stessa casa, uscio a uscio, scapolo e collega di Emilio nella quarta divisione al ministero della guerra. Passavano le serate insieme, distraendosi con interminabili partite di scopa, fumando, bevendo qualche bicchiere di vino, chiacchierando, facendo un po' di maldicenza ... L'occasione, dicono, fa l'uomo ladro. Veramente il proverbio non mi sembra giusto, perché i veri ladri cercano l'occasione; ma lasciamo andare! Senza dubbio fu l'occasione che fece prevaricare la signora Roxa. E quando ella ebbe la sorpresa e la certezza ... A questo punto, caro professore, Emilio Roxa, oh! non raccontò piú, rappresentò la tragica scena. Io assistei a qualcosa di scespiriano interpretato dal Salvini dei migliori tempi! Scena indimenticabile, caro professore! Riveggo Emilio con quel viso di stupore animalesco, quasi la ragione gli si fosse annientata nel cervello, mentre mi ripeteva, imitandone fin la voce, le parole di sua moglie: «Sai, Emilio? ... Credo ... che il Signore ci ha fatto la grazia!» «Proprio, il Signore! Proprio, la grazia!» Le donne hanno a dirittura la privativa di certi mirabili eufemismi! Che cosa poteva risponderle? ... Avrebbe dovuto saltarle al collo, strozzarla per quella sfacciataggine! ... E allora? Egli si sarebbe smentito da sé. E c'era inoltre il fatto - Emilio non aveva resistito alla vanità di ripeterglielo parecchie volte - c'era il fatto del bambino avuto, nella prima giovinezza, da una di quelle donne che non si sposano e della paternità del quale egli non poteva dubitare ... - bambino bello come un angiolo e che pareva precisamente il suo ritratto ridotto in piccole proporzioni. - Poteva egli confessarle ora che, dopo una sciagurata malattia ... ? A quell'età si è imprudenti, non si bada a pericoli «Ma, dottore, è possibile? Non s'inganna?» «Ormai è un fatto accertato dalla scienza. Sí! Sí!» Gli tornava in mente la consultazione di due anni avanti, e rivedeva la seria figura del dottore che insisteva: «Sí! Sí! ... » Ed ecco, caro professore, la terribile situazione presente! Che dovrà fare il povero Emilio? Il figlio ... di quell'altro ... sta per nascere ... Emilio non ha forza né coraggio di disdirsi, dopo aver quasi rinfacciato tante volte alla moglie: «L'ostacolo è in te!» né trova modo di far valere la sua dignità offesa. «La colpa è mia! ripete, la colpa è mia!» E, in verità ... Per ciò egli lascia correre per ora. E con sua moglie finge di credere che il Signore, finalmente, gli abbia fatto la grazia; e non osa di chiudere in viso a quell'altro la porta di casa! Io mi atterrisco pensando quel che può accadere da un momento all'altro: una strage, forse! Un suicidio, forse! - Forse niente di tutto questo, dite voi, caro professore. Indovino? In certi momenti, riflettendo bene, quel naso mi rassicura. Non mi par naso da suicida o da assassino. Son sicuro che esso mi darà occasione di scrivere le piú belle e piú profonde pagine della mia Psicologia positiva del naso ... A questo mondo, caro professore, c'è sempre qualcuno che guadagna con le disgrazie degli altri!

IL Santo

666899
Fogazzaro, Antonio 1 occorrenze

Più tardi, ripensandoci, ebbe rimorso del suo silenzio imbronciato; non tanto perché le ultime parole di Giovanni avessero fatto cammino nella sua mente, quanto perché sapeva dei dispiaceri che le opinioni religiose da lui professate gli fruttavano, perché lo vedeva abbattuto di spirito. Anche per questo, richiamata da lui, pregata da sua sorella d'essergli molto affettuosa, ella si risolse a una infedeltà verso Jeanne. Di quanto Jeanne le aveva scritto sotto il suggello del segreto, si era aperta con Maria solo fino al confine dello stretto necessario. Jeanne, sempre malata di corpo e di spirito, aveva udito parlare del Santo di Jenne che guariva i corpi e le anime, la pregava di recarsi a Jenne, di vedere questo Santo, di scrivergliene qualche cosa. Ora Noemi non poteva andare a Jenne tutta sola, doveva pur chiedere a Giovanni di accompagnarla. La sua prima confidenza si era fermata qui. Adesso ruppe tutti i suggelli dell'amicizia e parlò. La povera Dessalle era più infelice che mai. Nel breve soggiorno a Subiaco aveva incontrato l'antico amante. Esclamazione di Giovanni: era dunque proprio don Clemente? No, era l'uomo venuto alla villa col Padre la sera dell'arrivo di Jeanne, il garzone ortolano di Santa Scolastica, colui che non era più al monastero, colui del quale si parlava già in tutta la valle dell' Aniene, e anche a Roma, come del Santo di Jenne. Noemi si scusò di non averlo detto subito, allora. Guai se Jeanne fosse venuta a saperlo, dopo le sue proibizioni di parlare! E poi non serviva. Giovanni prese quasi furtivamente una mano di sua moglie e se la recò alle labbra. Maria intese e sorrise. Ambedue assalirono Noemi di domande. Sì, lo aveva riconosciuto la sera dell'arrivo e adesso Giovanni e Maria potevano intendere il perché di quel tramortimento che si era visto. L'incontro era poi avvenuto l'indomani al Sacro Speco. Noemi ne sapeva soltanto che le speranze di lei n'erano state distrutte, ch'egli vestiva da monaco e aveva parlato come un uomo datosi a Dio per sempre, ch'ella gli aveva promesso di dedicarsi ad opere di carità e che nessuna relazione diretta era più possibile fra loro. Adesso la Dessalle scriveva da villa Diedo, il soggiorno veneto dove si era ricondotta col fratello da Roma, due giorni dopo aver lasciato Subiaco. Scriveva in un'ora di amarissimo sconforto. Il fratello, sorpreso ch'ella si occupasse tanto de' poveri, s'irritava di questa novità nei suoi pensieri e nella sua Vita. Largheggiasse di denaro, se le piaceva, quanto le piaceva! Farsi venire una fila di pezzenti in casa, visitarli nei loro tugurii, no! Questo era sciocco, era inutile, era noioso, era ridicolo, era pazzesco, era clericale. C'erano altre difficoltà. Ell'avrebbe desiderato entrare nelle associazioni femminili caritatevoli della città. Al contatto della signora che aveva tanto fatto parlare di sé per Maironi, che se pure andava qualche volta in Chiesa la domenica però non adempiva il precetto pasquale, esse indietreggiavano chiudendosi in sé stesse come sensitive. E finalmente anche le sue abitudini di dama oziosa si ricomponevano via via dopo il primo strappo a impedirle il nuovo cammino, tanto più pronte quanto più il cammino si faceva difficile. Sentiva di dover soccombere se non le venisse una parola di consiglio, di aiuto da lui. Vederlo non poteva, scrivere non osava perché certamente egli aveva inteso vietare anche questo ed ella sarebbe morta piuttosto che fargli cosa sgradita, potendo evitarlo. Aveva letto una corrispondenza romana del Corriere sul "Santo di Jenne" dove si diceva che il Santo era giovine e aveva lavorato da bracciante nell'orto di Santa Scolastica. Era lui, dunque! Supplicava Noemi di andare a Jenne, di chiedergli per lei l'elemosina di un conforto. Noemi era risoluta di andare. Vorrebbe Giovanni accompagnarla? Nel tôno umile col quale lo chiese Giovanni sentì una tacita offerta di scuse e di pace, le stese la mano. "Di tutto cuore" diss'egli. Maria si offerse per terza compagna. Fu stabilito di andare l'indomani, a piedi, e di partire alle cinque del mattino per non avere il sole ardente sulla costa di Jenne, nuda e scoscesa. Poi si parlò del Santo. Tutta la valle ne era piena. La corrispondenza letta dalla Dessalle diceva che una quantità di gente affluiva a Jenne per vedere e udire il Santo, che si proclamavano guarigioni miracolose operate da lui, che i benedettini raccontavano con ammirazione la Vita di penitenza e di preghiera ch'egli aveva condotto per tre anni lavorando nell'orto di Santa Scolastica. A Subiaco si raccontava ben altro. Un tale Torquato, guardaboschi, brav'uomo, parente della domestica dei Selva, aveva detto a costei di essere andato a Jenne con un forestiere, una specie di poeta, venuto da Roma per parlare al Santo. Nell'andata e nel ritorno aveva veduto, tutt'assieme, forse una cinquantina di persone che si recavano a Jenne per lo stesso scopo. Fior di signori, anche; sulla costa di Jenne una processione di donne che cantavano le litanie. A Jenne aveva saputo tutta la storia. Una notte l'arciprete di Jenne aveva sognato un globo di fuoco sulla grande croce piantata a sommo della costa e questo globo di fuoco aveva acceso la croce che ardeva e splendeva senza consumarsi, illuminava tutte le montagne e le valli. Il giorno di poi egli si era visto capitare un giovine vestito da converso benedettino, che aveva l'incarico di recargli una lettera. Questa lettera era dell' Abate di Santa Scolastica e diceva: "Vi mando un angelo di fuoco ardente che farà parlare di Jenne in tutto l'universo mondo." Anche vi era scritto che questo giovine era nato principe grande di sangue di re, e che per servire Dio in umiltà si era fatto ortolano per tre anni a Santa Scolastica. E l'arciprete si era come impazzito per la commozione di questo fuoco sognato e di questo fuoco arrivato, e gli era venuta una grandissima febbre. L'indomani era giorno di festa. Degli altri due preti che stanno a Jenne uno era infermo e l'altro se n'era andato a Filettino due giorni prima per vedere sua madre inferma. La fantesca del parroco aveva raccontato nel paese di questo benedettino e del sogno e ogni cosa. La gente del paese era andata in Chiesa per udir la messa del benedettino che avean veduto entrarvi, e non voleva credere che il benedettino non dicesse messa. Volevano che almeno predicasse, malgrado le sue proteste di non averne il diritto in Chiesa; e, presolo in mezzo, gli facevano tanta ressa intorno ch'egli aveva accennato con la mano di uscire della Chiesa promettendo ai vicini di parlare fuori. E fuori aveva parlato. Che avesse propriamente detto, la fantesca non l'aveva saputo dire a Maria, né Maria l'aveva poi potuto cavar bene a Torquato. Un po' interrogando, un po' immaginando, ella si ricostituì il suo discorso così: Potete voi entrare in Chiesa? Siete voi riconciliati con i vostri fratelli? Sapete cosa Vi dice il Signore Gesù con questa parola che non si può avvicinarsi all'altare senza essersi riconciliati con i fratelli? Sapete che non potete entrare in Chiesa se avete mancato contro la carità e la giustizia e non ne avete fatto ammenda, o non ne siete pentiti quando nessuna ammenda è possibile? Sapete che non Vi è lecito di entrare in Chiesa se nutrite qualche rancore verso i fratelli vostri non solo, ma pure se avete fatto torto loro in qualunque modo, negl'interessi o nel'onore, se avete detto loro ingiuria, se portate nel cuore desiderii disonesti contro i loro corpi e le loro anime? Sapete che tutte le messe, le benedizioni, i rosarii, le litanie contano meno che niente se voi prima non vi purificate il cuore secondo la parola di Gesù? Siete voi immondi di odio, d'impurità? Andate, Gesù non vi vuole in Chiesa! Ma che! diceva Torquato. Il discorso era niente, era la voce, era il viso, erano gli occhi! Il buon uomo ne parlava come se vi ci fosse trovato. Allora la gente, giù, in ginocchio, e pianti; e certe donne, nemiche fra loro, ad abbracciarsi. Già non c'erano che donne e vecchi perché gli uomini di Jenne son tutti pecorai a Nettuno e ad Anzio, e prima della fine di giugno non ritornano alla montagna. Il Santo, vedutili così contriti, aveva detto: entrate, inginocchiatevi, Iddio è dentro di voi, adoratelo in silenzio. La gente era entrata, una moltitudine. Eran caduti in ginocchio, tutti, e per un quarto d'ora, Torquato raccontava così, si sarebbe udita, in quella grande Chiesa, una mosca volare. Poi il Santo aveva intonato il "Padre nostro" a voce alta e, seguito dal popolo, lo aveva recitato lentamente sostando a ogni versetto. E Torquato raccontava che l'arciprete, udito tutto questo, aveva baciato il suo ospite e nel baciarlo era guarito della febbre. Ecco portare infermi al Santo, in canonica, perché li benedica e li sani. Egli non voleva ma quanti riuscivano a toccargli, magari di furto, la tonaca, guarivano. E tanti andavano a lui per consiglio. C'era stato un miracolo grande di una mula imbizzarrita sulla discesa della costa, ch'era per gittare il suo cavaliere sulle pietre in vista del Santo, il quale saliva dall' Infernillo portando acqua. Il Santo aveva stesa la mano e la mula si era chetata sull'atto. Il racconto del guardaboschi fu riferito da Maria. "Che tutto sia vero come il principe di sangue reale?" disse Noemi. "Domani si saprà" rispose Giovanni, alzandosi.

POESIE

678190
MICHELSTAEDTER, Carlo 1 occorrenze

A dare or la patria all'esule sirena, la patria a me stesso e all'uomo abbattuto svelare la via del suo regno perduto, mi voglio tuffare con più forte lena, che ogni uom manifeste le tenebre arcane conosca e vicine le cose lontane. Ma quel che già vidi nel fondo del mare, i baratri oscuri, le luci lontane e grovigli d'alghe e creature strane, Senia, a te sola lo voglio narrare.

CAINO E ABELE

678791
Perodi, Emma 1 occorrenze

Il Municipio, che era la cittadella nella quale l'intrigante avvocato non aveva mai potuto penetrare; era abbattuto con un colpo di penna, rimaneva smantellato e aperto alle ambizioni e alle méne del partito ministeriale. Ma dopo quel primo momento di abbattimento, che tiene dietro alle notizie inattese, i moderati ripresero coraggio; e la sera quando entrarono nel teatro circondando il loro candidato e sedette dinanzi alle tavole imbandite, tutti i volti dimostravano la gioia per la lotta che avrebbero incominciata nel campo amministrativo, appena chiusa quella nella lizza politica. Il teatro di Castelvetrano è un piccolo edifizio e la platea non è più grande di una sala da ballo. Al posto dell'orchestra, che è più alta del resto dell'ambiente, troneggiava la tavola per Roberto, per tutti i pezzi grossi del partito; per un ex deputato moderato di Trapani, che contava di esser rieletto, e per due senatori di Palermo. Le tavole per gli altri invitati erano tre. disposte in altro senso, e parallele fra loro, per modo che dalla tavola d'onore si dominavano tutte. Il concorso non poteva esser molto numeroso; perché quelli che s'iscrivevano per assistere alla festa dovevano pagare quindici lire, e quindici lire sono una somma in un piccolo paese. Gli elettori dell'Orlando, che erano tutti più o meno rovinati, non avrebbero potuto assistervi. ma egli aveva fornito i mezzi a diversi, fra i quali il Torres e il Bonajuto, sui quali contava molto per combattere il discorso che Roberto doveva pronunziare. Naturalmente fra gl' iscritti figurava anche l'agente elettorale che non voleva perdere quella bella occasione per farsi un merito presso il sottosegretario Gelsi, clie gli aveva affidato la delicata missione. Mentre l'altra in casa Moltedo era stata una riunione alla buona, questa era l'adunanza ufficiale e tutti aspettavano dalla bocca di Roberto un vero discorso-programmaEgli, partendo da casa, dove aveva lasciato Velleda convalescente e agitata, dove lo assalivano tanti timori, non era punto disposto a pronunziare un discorso. Non aveva avuto il tempo di scriverlo, ma tutto ciò che voleva dire non era una improvvisazione; era il risultato di idee divenute convinzioni, e a parlare non si sgomentava. Come in tutti i banchetti di quel genere, in principio le cose vanno bene; la gente mangia e sta zitta; ma il fermento comincia ali' arrosto, quando si stappano le bottiglie di vino spumante e si attende che il candidato si alzi. Il Torres e il Bonajuto, giunti in tempo, eran riusciti a collocarsi proprio di faccia a Roberto, nella tavola centrale; l'agente elettorale Marvuglia alla tavola a destra. ma anch'egli era abbastanza vicino al candidato per afferrare ogni parola di Roberto, il quale parlò poco e mangiò meno durante il pranzo. La notizia dello scioglimento del Consiglio Comunale, appresa poco prima, lo costringeva a modificare tutto il suo discorso. Che parli! Che parli! - urlavano da tutte le parti, specialmente gli avversarj. Roberto si alzò e disse: La mia prima parola è un grido di protesta. Il nostro partito, che è quello degli onesti, è indignato dell'arbitrio del Governo che scioglie il nostro Consiglio perché professa idee diverse da quelle della maggioranza. Sì, io protesto perché noi non siamo più liberi, perché una tirannia odiosa cerca di soffocare ogni manifestazione di libertà. Ma il Governo è mal consigliato dai suoi fidi, poiché questi atti d'arbitrio, di spudorata ingerenza nelle elezioni, generano sempre una reazione. È vero! - gridavasi da ogni parte. I partigiani dell'Orlando tacevano. Questa protesta, - continuò Roberto, - io la dovevo far qui, ma la farò con più efficacia, se mi crederete degno di rappresentarvi alla Camera; io la farò dinanzi ai rappresentanti della nazione. Bene! - gridavano i convitati che si erano alzati e formavano come una muraglia attorno alla tavola d'onore. E l'esempio corruttore del Governo è seguito dai suoi partigiani, i quali non rifuggono da nessuna bassezza per conquistare un seggio. In una casa del paese, il candidato della parte avversa lanciava contro di me accuse, che io mi sarei vergognato di raccogliere. Ma quelle accuse stampate, diffuse, commentate da chi aveva interesse di demolirmi hanno messo lo scompiglio fra i miei operai, hanno quasi provocato uno sciopero, e un vecchio innocente è caduto sotto il colpo di uno sciagurato, divenuto assassino credendo a quelle accuse. Basta! - gridò una voce e il Torres salendo sopra una sedia ripetè: - Basta! Non accusate un assente. Tutto quello che ha detto l'Orlando è verità. Menzogna! Calunnia! - gridarono cinquanta voci a un tempo. - Altro che menzogne! - continuò il Torres, nonostante il baccano. - Se non volesse licenziare gli operai non avrebbe comprato le macchine. Negate, se potete ; chi rovina i piccoli proprietarj? - L'Orlando rovina tutti e si fa eleggere per lucrare sul voto con ogni Ministero, - gridò don Calogero, che era salito sopra una tavola e si sbracciava. - E il Frangipani si fa eleggere per salvarsi dalla rovina, - gridava il Torres. L'uditorio scoppiò in una risata. - Sì ridete - seguitò il partigiano dell Orlando, se non fosse rovinato non lascerebbe che il fratello non pagasse neppure i debiti di giucco, - e agitava la dichiarazione del duca. -E' falso - E vero. Eppoi voi, buoni padri di famiglia, persone timorate, eleggete uno che tiene una donna maritata in casa, la moglie di un forzato, e non si vergogna di affidarle la figlia che é testimone dei loro amori. Propugnerà il divorzio per isposarla. - Basta! - urlarono tutti. Ma il Torres accennava , voler continuare e agitava la carta. Uno voi e straparla di mano, il Bonajuto accorse in difesa dell'amico volarono i bicchieri e i due partigiani dell' Orlando erano stretti e circondati da una cinquantina di forsennati, Roberto si fece largo, tolse i due disgraziati tutti malconci dalle mani di chi voleva finirli, e li spinse fuori del teatro Che cosa mi avete consigliato! - disse Roberto al Lo Carmine che lo aveva seguito. Il Marvuglia se n'era andato quando aveva veduto la faccenda farsi seria. Gli amici di Roberto, sicuri che fra loro vi era più nessuno di ostile, pregarono il candidato a riprendere l'interrotto discorso. E allora Loberto dette veramente prova di essere un uomo superiore poichè mentre il suo cuore sanguinava per le offese che un indegno aveva pronunziate contro Velleda, mentre fremeva di rabbia, riuscí a imporre alla sua mente di svolgere con chiarezza ammirabile un vasto programma di riforme sociali, un programma da uomo di Stato. I suoi amici ne rimasero sbalorditi e non rifinivano dall'applaudirlo; Roberto aveva misurato le sue forze ed era contento di sè, contento del dominio che sapeva esercitare sui proprj sentimenti. Quel discorso fu stampato nella notte e la mattina Roberto ne portava un esemplare a Velleda. Lo scioglimento del Consiglio Comunale era una sfida che anche i più indifferenti tra i cittadini di Castelvetrano avevano raccolta. Molti di essi, convertiti in agenti elettorali, percorrevano le vie di campagna, distribuendo il discorso del Frangipani, enumerando le persecuzioni cui era fatto segno, accaparrando voti nelle masserie, nei paesi del circondario, spingendo alla guerra contro l'Orlando, che era il rappresentante della tirannia ministeriale. A mezzogiorno, nonostante la diserzione degli operai, cui Roberto non aveva voluto fosse distribuito neppure un esemplare del discorso, il trionfo del candidato della opposizione era assicurato. Dopo tante lotte Roberto aveva bisogno di riposarsi presso Velleda, e quando la vide nel viale dei palmizj seduta sopra una poltrona, sorridergli da lontano, sentì svanire dal cuore tutti i dolori e provò una di quelle gioie intime, così intense, che mozzano il respiro. - Legga, - le disse, - ma più tardi quando io non sarò più al suo fianco. Ora mi narri come ha passato la serata e la notte, mi dica come si sente. - Bene, - rispose ella con un dolce sorriso. - Ora non desidero nulla, - e chiuse gli occhi come fanno i convalescenti, quasi avessero bisogno di riconcentrarsi per sentire il benessere che da la salute. - Io ho un progetto, Velleda,- disse Roberto. - Se sono battuto come se sono eletto a primo scrutinio, lunedì partiamo col " Selino ", andiamo a Palermo prima e poi a Sorrento. Viaggeremo per tre settimane circa, insieme con Maria, dimenticheremo le pene di questi ultimi tempi e vivremo soltanto per vivere. - E per amarci, - rispose ella interrompendolo. Lasci che la pronunzi la parola vera che esprime i nostri sentimenti. Ho veduto la morte in faccia e ho tanto sofferto credendo di dovermi separare da lei, che è per me una gioia immensa di affermare che vivo, affermando questo unico sentimento che mi domina. Questa malattia repentina mi ha reso più sincera e più cattiva. - Non è stata la malattia, sono state le cause di essa. - È vero forse. Ebbene, ora io sento la prepotente necessità di parlarle d'amore e le confesso che la speranza della mia vita è una speranza malvagia, ma naturale. Io spero che mio marito termini una inutile esistenza obbrobriosa nel bagno. - Velleda! - esclamò Roberto. - Non glielo ho detto che sono divenuta più cattiva, che sento i sacrifizj che questo legame m'impone, che anelo di vivere perché la morte mi ha sgomentata? - Cambiamo discorso, - disse Roberto, - e non culliamoci in speranze ingannatrici. Prepariamoci al viaggio che, in tutti i casi, sarà un sollievo dopo una sconfitta. - Mi prometta che il signor Franco non ci accompagnerà. - Glielo prometto, - rispose Roberto facendosi a un tratto triste; - anzi, debbo parlargli; torno subito. E senza dir altro lasciò Velleda, che aperto il foglio che aveva in grembo, si mise a leggere il discorso, accompagnando con un sorriso di gioia la lettura. Franco era ancora a letto quando Roberto salì nel quartiere di lui e sonnecchiava, come accadevagli di fare spesso in questi ultimi giorni, come chi vorrebbe ammazzare il tempo per non soffrire le torture dell'attesa. Costanza ogni giorno sapeva dirgli, mentre nessuno li ascoltava, che aveva ancor poco da attendere ed egli dormiva, affinchè le ore passassero senza sentirne la noia incresciosa. - Franco! - disse Roberto fermandosi sulla porta con tono di voce aspro. - Che cosa vuoi ?-Domandò l'altro aprendo gli occhi. Roberto si accostò al letto senza sedersi, senza stendere la mano al fratello. - È vero, - gli domandò; - che tu non hai pagato un debito di giuoco e hai firmato una obbligazione? Roberto parlava lentamente e teneva gli occhi fissi sbarrati in quelli del fratello per avere una risposta più sincera di quella che avrebbero potuto pronunziare le labbra. - Che te ne importai - rispose il duca col solito fare sprezzante per evitare di rispondere. - Hai un debito di giuoco? Hai rilasciato una obbligazione? - ripetè Roberto a denti stretti, fremente di rabbia. Franco si sentiva dominato da quello sguardo imperioso, sotto il quale doveva abbassare gli occhi e balbettò: - Tu mi tenevi senza un soldo! Per non sentire i tuoi rimproveri ho preferito non pagare altri che ricorrere a te. - Che ne hai fatto del vaglia bancario che rappresentava il piccolo patrimonio di una famiglia? - Non credo necessario di darti conto di quel che ne ho fatto; non potevo pagare. - A quanto ascende il tuo debito? Chi è il tuo creditore? - Il debito ascende a tre mila lire; il creditore è l'Orlando. - Ah! sciagurato! - esclamò Roberto. - Tu non sai forse quanto mi hai fatto soffrire! - E per non mostrare a quel pervertito, privo di senso morale, di delicatezza, tutto il disprezzo che gl'ispirava, traversò il quartiere e scese rapidamente le scale. Giù nello stabilimento era giorno di grande lavoro. Una tartana e un vapore attendevano il carico, le barche. andavano e venivano per prendere i fusti, gli operai li rotolavano sul piazzale, gl'impiegati di amministrazione riempivano bollette, la mercé usciva abbondante e i denari rientravano in gran copia. L'industria non aveva fruttato mai quanto negli ultimi mesi, le fatiche di Roberto non erano state mai cosi largamente ricompensate. - Che cosa fanno gli operai? - domandò il padrone al Varvaro. - Lavorano o discutono il vostro programma; molti, che erano divenuti propensi per l'Orlando, ora ritornano sotto la vostra bandiera. - Badate, Varvaro, non fate loro nessuna pressione! - Padrone, mi conoscete; io ho un alto ideale del rappresentante della nazione. Altri può farsi eleggere con i raggiri e con il danaro; voi dovete essere eletto per quello che valete, e valete molto. Il vostro programma è il frutto di una mente profonda e obbiettiva, di un cuore che impone silenzio ai proprj sentimenti, per accogliere i lamenti che il dolore strappa al cuore dell'umanità. Padrone, io sono altero di starvi a fianco. - Amico, vi è un'altra difficile missione da compiere. Dopo la scena di ieri sera, diviene anche delicata. Bisogna che andiate subito in città, e ricuperiate l'obbligazione di Franco all'Orlando. Ne siete informato? - Il Lo Carmine mi ha narrato tutto. Oh! quel signor Franco! Roberto stava per allontanarsi quando richiamò il Varvaro. - Sentite, - gli disse, - bisogna preveder tutto; è probabile che il losco avvocato si sia fatto fare la dichiarazione per una somma maggiore di quella di cui Franco gli è realmente debitore; cercate di saperlo da mio fratello, io non voglio interrogarlo. Inoltre è possibile che l'Orlando ci voglia fare un ricatto e non restituisca la carta altro che sborsando noi una somma ingente. In questo caso non vi curate di ritirarla. Gli affari di mio fratello sono ben divisi dai miei e chi ha per più milioni di vino nei magazzini e possiede terre senza ipoteche, può ridere di una inezia come quella. Poi con un tono d'amarezza soggiunse: - Sapete, amico, quando tornai da Roma ero tutto lieto di poter consegnare a mio fratello qualche migliaio di lire che avevo salvate a stento dalla rovina. Vedete quel che ne ha fatto? Sono tutte passate nelle mani dei nemici, ed è in grazia di quel debito di Franco che l'Orlando mi scatena a dosso tutti i diavoli e tutte le versiere. - Oh! quel signor Franco, scusate veh! non ha ne testa ne cuore; io lo credo un infelice, ma non mi fa compassione. Questo fu tutto ciò che il Varvaro si permise di dire rispetto al duca; ma se avesse lasciato parlare il cuore oh! quanto di più avrebbe aggiunto. Roberto, per andare nel magazzino del cognac, di cui sorvegliava specialmente la fabbricazione, perché voleva mettere sul mercato, dopo alcuni anni, un prodotto perfetto, passò per l'officina dei fusti, che era sempre il focolare di tutti gli scioperi. Alcuni operai, amici di Giovanni, per far dimenticare al padrone i fatti recenti, lo salutarono; altri gli chiesero il suo parere sui lavori da farsi; si vedeva in tutti una specie di pentimento, un desiderio di farsi perdonare, che consolava quel cuore amareggiato da tanta ingratitudine. Mentre dava alcune disposizioni, un guardiano andò ad avvertirlo che vi erano due carabinieri insieme con un uomo, che volevano parlargli. Quell'annunzio non lo turbò punto, poiché dopo l'uccisione di Federigo quelle visite erano frequenti e andò a riceverli nel suo studio. I carabinieri rimasero sul piazzale, l'uomo soltanto entrò. Era mal vestito, grosso, con una faccia accesa senza baffi, e i capelli rasi. Benché potesse avere appena quarant'anni, pure le sue guance erano flosce e cadenti e la mancanza di baffi e di capelli gli dava l'aspetto di un frate. - Che cosa volete? - gli domandò Roberto cui quella faccia ispirava una istintiva repulsione. - Sono l'avvocato Mario Crespi. Ella, tiene in casa sua mia moglie, Velleda Crespi, nata Bianchi, e io le ingiungo, in forza di una ordinane del presidente del tribunale di Castelvetrano, di restituirmela. Nel caso di rifiuto, mi farei assistere dalla forza. Roberto non tremò e non impallidì. - Ah! siete Mario Crespi, condannato a tre anni di reclusione! Credevo che non aveste ancora scontata la pena. Gli occhi dell'ex forzato si abbassarono sotto lo sguardo di Roberto. - Ho avuto la grazia sovrana, - rispose, - e voglio tornare a viver insieme con mia moglie, alla quale sono pronto a perdonare. - Voi non avete nulla da perdonarle, - disse Roberto, - rammentatevi bene di questo. E io credo che ella serbi un documento che vi toglie su di lei ogni diritto e di cui voi conoscete bene il contenuto. L'ex forzato non andava in collera. - Si vede che il signore è bene informato degli affari di mia moglie, - disse in tono ironico. - Ma fino a che non mi mostrerà quel documento, io ho diritto di far valere il mio, - aggiungeva, spiegando l'ordinanza del presidente. Aspettatemi, - disse Roberto indicandogli il piazzale, sul quale i carabinieri passeggiavano. Anche questa! - esclamò uscendo dalla parte verso il mare. - Ma chi è che mi perseguita così, chi è? e quello spettro misterioso dalle cento braccia malvagie che andava anche a togliere un forzato dal bagno, gli si presentò alla fantasia più spaventoso che mai. Giunse alla villa pallido e agitato, e non incontrando nessuno dovette bussare alla camera di Velleda. Maria, esci, - disse Roberto alla bambina, cui Velleda faceva ripetere una lezione. Che cosa succede? - domandò la signora leggendo in faccia a Roberto una agitazione insolita. Non si turbi per carità. Se avessi potuto nasconderle questa nuova infamia, risparmiarle questo nuovo dolore, avrei dato tutto ciò che possiedo, ma non posso. Mi dica, serba l'atto della separazione legale da suo marito? Sono carte che non si abbandonano; è li, - disse Velleda accennando un mobile. - Ma a che può servire? Il forzato è stato liberato da Nisida e reclama sua moglie, Dov'è? - domandò Velleda. - Voglio parlargli io, voglio sapere chi lo manda. Per carità, pensi alla recente malattia. Sono forte, - rispose ella, - e la vista di quel miserabile non mi può commuovere. Lo faccia chiamare. Velleda! No, voglio vederlo, - e scese per dar ordine a Saverio di chiamare l'individuo che attendeva allo stabilimento; poi risali in fretta; prese alcune carte e andò ad attendere nella biblioteca. Roberto le aveva rivolto un'ultima supplica, affinchè evitasse quell'incontro. No, mio buon signore, ho bisogno di sapere, di strappargli di bocca un nome; mi lasci con lui. Roberto entrava in una piccola stanza attigua, di cui lasciava socchiusa la porta, per accorrere in aiuto di Velleda; pochi istanti dopo, marito e moglie si trovavano di fronte. Che cosa volete? - domandò lei in tono imperioso. Ricondurti a Firenze e riprendere la vita comune. Sono libera, lo sapete; l'atto di separazione mi da facoltà di vivere dove voglio. Finché non lo produrrai, ha valore l'ordinanza del tribunale ed io la farò eseguire. Vieni con le buone, se no ti costringerò a seguirmi in mezzo ai carabinieri. L'atto è nelle mie mani, - rispose Velleda, e io lo mostrerò ai carabinieri, non a voi che sareste capace di lacerarlo. E possiedo altri documenti preziosi, con i quali posso farvi tornare in galera. Quali? - domandò egli turbato. Le cambiali false. Non sono più la donna ignara, la poetessa, la romanziera, come mi chiamavate, di cui s'inganna la buona fede, che si spoglia, cui si ruba la figlia per farla morire. Contro i delinquenti ci si premunisce. Le cambiali che faceste a mio nome, falsificando la firma, non sono state da me pagate alla cieca; sono passate per le mani dei giudici, si è fatta una perizia ed è stato riconosciuto che il falsificatore siete voi. Oggi, domani, potrei intentare l'azione penale; vedete che sono armata di tutto punto. L'ex-forzato taceva. Ma le lacererò in presenza vostra, se mi rivelerete il nome del vostro liberatore; di colui che vi manda qui. Il Re mi ha liberato, - rispose egli evasivamente. Il Re firma le grazie, ma qualcuno deve avere intercesso per voi, deve avervi detto che ero qui, nascosta, vergognandomi di un nome che avevate infamato. Chi vi manda, parlate! Ma le cambiali? Le straccerò appena avrete pronunziato quel nome; ma voglio quel nome, ditelo! Una luce sinistra le balenava negli occhi che in quel momento erano orribilmente stravolti. Ti rammenti del deputato Cesti, per il quale sostenni e vinsi un processo? - rispose l'ex forzato. Ebbene, nell' inverno gli scrissi perché impetrasse la mia grazia. Per più mesi non ebbi risposta. Quindici giorni fa ricevei una lettera in cui mi diceva che il decreto era stato spedito a Monza per sottoporlo alla firma sovrana e tre giorni fa giunse la grazia e una seconda lettera del Cesti con un sussidio. Egli mi diceva che se volevo l'indirizzo di mia moglie, partissi subito per Castelvetrano e mi dirigessi all'onorevole Orlando. Egli mi ha ottenuto l'ordinanza dei tribunale e ieri sera ... . Ieri sera ... . - ripetè Velleda ansiosa. Dovevano presentarmi a un banchetto elettorale, ma nacque un tafferuglio ... . Oh, la politica! - esclamò Velleda. - E voi, voi avreste detto chi sa quali -infamieNon ti curare di quello che avrei detto; dammi le cambiali. Ella se le cavò di tasca e gliele gittò in faccia insieme con un pacchetto di biglietti di banca, dicendogli: Questa è la mia elemosina, malfattore! - e gl'indico la porta. Nell'ingresso, seduti sopra una panca, i carabinieri attendevano. Velleda pose loro sotto gli occhi l'atto di separazione. Vedete che io posso vivere dove voglio, - disse loro quando ebbero letto. Poi accostandosi al marito gli susurrò nell'orecchio: Andate lontano e non turbate la mia esistenza, perché se le mie cambiali false sono distrutte, rimangono quelle di mia madre. Ah! Velleda, come ti avrei amata se tu fossi stata sempre così! - esclamò il Crespi avvolgendola con uno sguardo cupido. Ella gli volse sdegnosamente le spalle e corse da Roberto, che incontrò nella biblioteca. Quanto, quanto fango! - esclamò afferrandogli la mano e scoppiando in lagrime. Quando si fu un poco calmata volle narrargli la scena. Ho udito tutto, - disse Roberto, - e non credo l'Orlando abbastanza potente per mettere in moto un sottosegretario di Stato ... . Lei, mia povera amica, ha rinunziato ad armi potenti; ma noi siamo sempre dinanzi a quel mistero che nulla serve a svelare, e ogni giorno ci sentiamo colpiti da qualche lato. Velleda rialzò la testa e mostro gli occhi ancora umidi di pianto, ma sorridenti. Sono lieta, vede, perché godo di aver riveduto mio marito in quello stato e di avergli gettato in faccia la mia elemosina. Sono cattiva davvero! Roberto non credeva in quel mutamento di carattere e attribuiva tutto alla malattia recente, all'eccitamento nervoso che perdurava, e ognuna di quelle manifestazioni di risentimento e d'odio lo facevano tremare per la salute della sua cara. Sì, sono perfida con tutti, meno che con lei, con tè, gli disse accostandogli la bocca al viso e sollevando su di lui uno sguardo pieno d'amore. Roberto la baciò sulle labbra e le loro bocche rimasero un momento unite. - Sai; - diss'ella senza scostare il volto, - il mondo non merita che noi c'imponiamo sacrifizj, e quel vile, cui hanno certo detto che ti amo, non merita nulla. Roberto, io voglio esser tua, voglio darti la gioia, voglio; capisci! Il passo di Maria nell'anticamera li fece sussultare. Quando la bambina entrò erano già distanti, ma tremavano come due colpevoli. Vede. Velleda, - disse Roberto, - che v'e qualcosa superiore al mondo e alla condiscendenza di un vile, qualcosa che deve imporci l'antico riserbo? Babbo, che vuoi dire? - domandò la bambina. Velleda l'attirò a sé dicendole : Tuo padre intende dire che l'affetto per te deve essere superiore a tutto. Un giorno forse capirai che cosa significano queste parole che ti sembrano oscure.

Le Fate d'Oro

678795
Perodi, Emma 1 occorrenze

Egli si sarebbe abbattuto, se il pensiero costante della madre, stesa su quel letto di sofferenze, non lo avesse sostenuto; il suo amore dominava la stan- chezza, ed egli camminava sempre con ar- dore. A un tratto egli vide dinanzi a sè un portico e gli venne voglia di mettervisi a riparo. - Ma per un momento solo, - bal- bettò - perchè la mamma mi aspetta; - e nello spingere lo sguardo sotto il portico vide che al di là di questo vi era un bel giardino, e con sua grande meravi- glia si accòrse che là dentro era sereno. Un dolce chiarore lunare illuminava le piante più rare; e vento, pioggia, gran- dine, fulmini, cessavano all'ingresso del giardino, ove il silenzio della bella notte non era interrotto che dal dolce rumore dell'ac- qua delle mormoreggianti fontane e dal me- lodioso canto degli usignuoli. Desideroso di un momento di riposo, egli sedè in uno dei viali del magnifico giardino, quando a un tratto udì un suono e una voce affascinante di donna, che cantava. Gli usignuoli a quel canto tacquero. La voce giungeva sempre più chiara agli orecchi di Bernardo, così si chiamava il ragazzo, che, voltatosi, vide un palazzo, dal quale usciva una luce mite. Egli si diresse a quella volta, e, oltrepas- sata la soglia e un bel cortile di marmo, nel mezzo del quale zampillava una fontana purissima, in una vasca di alabastro, pene- trò in una sala. Una tavola ne occupava il centro, e su quella tavola erano preparati cibi squi- siti. Bernardo sentì lo stomaco che gli ram- mentava di non avere mangiato dalla mat- tina. Egli prese avidamente un pezzo di pane e lo divorò in pochi bocconi. Quando fu sazio, attratto dalla voce melodiosa e non pensando più a sua madre, andò in una stanza attigna dove ar- deva un bel fuoco. Egli sedè in una co- moda poltrona, dinanzi al caminetto, per asciugarsi i panni, e cullato sempre dalla voce melodiosa, non tardò ad addormentarsi. Allora egli vide la fata Lucinda, della quale avevagli tanto parlato il suo vecchio nonno; quando, stanco dal lavoro, lo pren- deva sulle ginocchia e gli raccontava le novelle. Ella era avvolta in un velo bianco e libravasi sulle acque, mentre un giovine, che aveva qualche somiglianza con lui, la guardava estatico. - Se tu rimani qui, - disse al gio- vine la Fata - io ti darò il potere di af- fascinare con la parola tutti gli uomini, come io li affascino col canto. - Il giovane esitava. - Se tu rimani qui, io saprò darti glo- ria, onori, tutto ciò che può rendere felice un mortale, - continuò insistendo la Fata. - Ti darò le ricchezze, il dominio e tutto ciò che puoi desiderare, ma non devi la- sciarmi. Accetti dunque? - chiese Lucinda vedendo che il giovine esitava. - No, - mormorò lentamente questi. - Ti darò tutto ciò che vorrai, tutto ciò che desidererai, tutto, - disse insi- stendo ancora la bella Lucinda. E mentre gli diceva queste parole, egli si vedeva, come in un sogno, già adulto, sfol- gorante di bellezza, riverito, inchinato da centinaia di uomini, da donne bellissime, seduto sopra un trono, con la testa cinta di una corona, in una sala tutta luce, splen- dente di oro e di pietre preziose. Ma nel cantuccio della sala vi era una nube nera; a un tratto si diradò, ed egli scòrse, sopra un misero letto, una donna col viso coperto di bende, e gli parve di udire una voce lamentevole che chiamava: - Bernardo! - Quella voce fioca bastò a destarlo; si stropicciò gli occhi, si alzò, e, vergognandosi di essersi indugiato per la strada mentre sua madre soffriva, corse via; attraversò le sale, il giardino, e riprese la via maestra, sotto la pioggia dirotta, fra l'imperversare della bufera. Giunto in città al far del giorno andò difilato alla porta dell'ospedale, dove fu ammesso, dietro suppliche insistenti. Egli penetrò in una lunga corsia, fian- cheggiata da letti, su cui giacevano tanti e tanti infermi. Sua madre era nell'ultimo letto, col viso coperto di bende, come egli avevala veduta in sogno, nel palazzo della fata Lucinda. Quando Bernardo si avvicinò a quel letto di dolore, sentì la cara e amata voce che chiamava: - Bernardo! Bernardo, vieni! - Il giovane accarezzò quella testa ado- rata e la donna si calmò sotto la blanda carezza filiale. Quando la malata vide il figlio accanto al suo letto, il respiro le si fece più eguale e dormì un lungo e profondo sonno. Dopo pochi giorni, Bernardo aveva la consolazione di ricondurre sua madre a casa, completamente guarita dalle orribili ferite. La prima notte che egli, stanco, si co- ricò nel suo letto, vide apparirgli in sogno la fata Lucinda, la bella, incantevole abi- tatrice del palazzo fatato. La Fata, anche quella volta, era cir- condata di veli. Ella teneva in mano una lira e parlava a un giovane che rassomi- gliava a Bernardo, ma più maturo di lui; a un bel giovane nella pienezza della vita. - Ascoltami, Bernardo; - ella diceva con la sua voce melodiosa - se tu accon- senti a seguirmi nel mio palazzo incantato, circondato di giardini ove crescono i fiori più rari di tutte le regioni della terra, io ti prometto una felicità non mai interrotta, una gioia senza pari. Il mio popolo ti ac- clamerà suo liberatore; io ti darò il potere di infrangere le sue catene; tu vedrai ai tuoi piedi re vinti in atto supplichevole, scettri infranti, armi numerose tolte ai no- stri nemici, e la riconoscenza, l’affetto di milioni e milioni di sudditi, abbellirà la tua vita. - Bernardo vedeva sul volto del giovane, che a lui tanto somigliava e cui rivolge- vasi la Fata, un sorriso di trionfo. L'am- bizione gonfiavagli le narici, la sete di do- minio gl'inturgidiva le labbra, la speranza dava agli occhi di lui un insolito splendore. Egli stendeva verso la bella ammalia- trice le mani supplichevoli, quasi fosse sul punto di cedere alle sue lusinghe, ed ella già posava le dita affusolate sulle corde della lira per accompagnare un canto di esultanza, un canto di trionfo, quando una voce flebile colpì le orecchie di Bernardo. - Alzati, - diceva la voce indebolita dalle sofferenze - mi duole toglierti al sonno placido, ma tuo zio ha bisogno del tuo aiuto per preparare i campi e spargervi la sementa. Oltre all'essere tu obbligato verso di lui per vincoli di parentela, devi pensare che lo zio, buono e affettuoso con te, ti ha fatto erede dei pochi terreni com- prati a forza di risparmi, di lavoro e di economia. - Bernardo si scosse riconoscendo la voce di sua madre. Egli fece uno sforzo per cacciare dalla mente le immagini di gloria destate dalla fata Lucinda e le disse: - Non ti seguirò; l'affetto mi trat- tiene imperiosamente qui, e il dovere mi impone di non lasciare i miei. - Sei un buon figliuolo, un cuore one- sto, - disse la Fata - e voglio compen- sarti lasciandoti un tesoro. - Fata Lucinda sparì, e Bernardo, de- standosi all'improvviso, si trovò in mano un fogliolino su cui stava scritto: « A chi molto promette, credi poco. » Bernardo fece tesoro di quel consiglio, e oltre ad essere un figlio affezionato, fu sempre uomo di desiderî modesti e di molta prudenza.

Cerca

Modifica ricerca