Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbattuto

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ARABELLA

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De Marchi, Emilio 2 occorrenze

Da due o tre giorni il giovine cominciava a uscir dal letto, e ancor debole e abbattuto si era rannicchiato in portineria ad aspettare la signora. Suo padre era stato messo in libertà ed egli doveva ringraziarla dell'opera e della carità usata in questa circostanza. Voleva dimostrarle che sapeva perdonare anche lui a chi gli aveva fatto del male e che non gli mancava la buona volontà di cooperare a quel molto di bene che si poteva fare. Infine voleva rivederla, salutarla... Vestita di nero, coi capelli che cascavano quasi stanchi anch'essi sul collo e sulle spalle, nel disordine che segue alle notti mal dormite, cogli occhi abbruciati dalla veglia, la signora gli parve ingrandita e rischiarata d'una bellezza più pura e ideale. L'apertura del vestito lasciava scoperto un poco il collo d'una candidezza d'avorio, come d'avorio in quel nero parevano le mani. Rivedendo nella sua dolente realtà colei che gli era apparsa trasfigurata e raggiante nella poesia del delirio, sentì d'essere meno straniero verso la poverina. Avevano sofferto insieme. La zia Colomba lo aveva messo a parte di tutti i particolari per cui la signora era venuta a chiedere l'ospitalità in casa sua. Sul tavolino erano rimasti molti fogli di una lettera, scritta da lei nel furore d'uno spasimo mortale, e da quei frammenti il giovane aveva imparato a conoscere a quali gridi si abbandoni un'anima che insorge e che ricade accasciata sotto il peso delle cose. La storia di questi dolori era scritta anche sul volto appassito, nella bellezza attenuata, nel disordine della persona, nello sguardo intimidito e assente: e parlava nella voce, una voce che avreste detto venire da una donna sopravissuta a una tremenda catastrofe. "O Ferruccio, come sta? meglio?" "Sissignora, sto bene." "È pallidino ancora..." "Sono venuto a ringraziarla." "Suo padre?" "Son venuto anche a nome suo..." "Dimentichiamo..." "Oh! ne abbiamo bisogno..." "Pensi a guarir bene e si lasci veder presto alle Cascine." "Lei parte…" "È necessario: ho troppo bisogno di riposare. Venga e parleremo di questi interessi." "Verrò, sissignora." "Lei non ci abbandonerà..." disse, stendendogli lentamente la mano. "Oh no!... se lei comanda..." "Dobbiamo far del bene insieme." Egli non poté più cucire due sillabe. "Saluti la buona zia Colomba: verrò presto a ringraziarla." E serrando la mano del giovine nella sua, seguì papà Paolino, che aspettava presso una vettura. Ferruccio stette appoggiato al muro, cogli occhi incantati sulla carrozza, che si allontanava e si impiccioliva in mezzo al via vai e al frastuono della città. Sognava ancora a occhi aperti.

Lo vedeva ora così malato, così abbattuto... "Via, si faccia animo, papà, e disponga pure di me fin dove posso essere utile. Non c'è male per quanto grande, a cui Dio non trovi un rimedio ancor più grande. Lei è proprio malato, vedo bene. Ha bisogno di riposo, di tranquillità d'animo. Ha la febbre, sento. Anche il suo aspetto mi dice che non si sente bene. Devo chiamare l'Augusta?" Il vecchio fece segno di no. "Lei si sente male..." Arabella cominciò a tremare, e cercò svincolarsi per correre a chiamar gente; ma lui la trattenne forte per un lembo del vestito: e mormorando parole grosse e confuse, le fece capire che voleva scrivere. "Scrivere" e indicò col dito un calamaio sul tavolino da lavoro. Arabella accostò il tavolino, aprì il calamaio, stese un foglio, mise la penna in mano al vecchio, obbedendo in preda a una convulsa agitazione ai cenni di quel povero uomo, che la tratteneva sempre per il lembo del vestito. "Passa, passa..." mormorò con voce di fiera malinconia il vecchio come se si riavesse da una momentanea vertigine. Appoggiò la testa alla mano sinistra, strappando con l'altra il vestito della giovane, che s'inginocchiò, cedendo quasi all'invito d'un comando interiore. "Ho da chiamare qualcuno?" "No, sto bene. Sta qui." E dopo aver arzigogolato un poco colla penna, il vecchio malato cominciò a scrivere in righe oblique mostrando nella contrazione dolorosa del viso duro e pallidissimo lo sforzo della fuggente volontà Arabella, che sentivasi molle il viso di lagrime, vide che a un certo punto la mano del vecchio s'irrigidì. Fu per gettare un grido di avviso; ma egli se ne accorse. Svegliandosi, la guardò teneramente, mosse le labbra a un sorriso morto, e allungando la mano a riprendere quella di Arabella, dopo un lungo sforzo per formulare la parola, disse: "Prega..." Arabella aprì le braccia e sorresse il corpo cadente, mentre cogli occhi pareva chiedere soccorso intorno a sé. Quando si accorse che il malato veniva meno, non trovando in se stessa la forza né di gridare, né di sollevarsi, allungò la mano fino a toccare il bottone del campanello elettrico, e riempì la casa d'uno squillo lungo e spaventato. Sentì correre gente. Entrò l'Augusta, che visto il viso irrigidito del vecchio e gli occhi spaventati della signora corse fuori a chiamar la Gioconda. Le due donne prestarono i primi soccorsi: finché qualche vicino avvertì il portinaio e si mandò per il dottore.

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