Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbattere

Numero di risultati: 13 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Come devo comportarmi?

172467
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Ma quando seccato di non ottenere la sua attenzione, il bimbo, stende le braccia e sorride, lo riceva con bontà senza abbattere il suo amor proprio; poi che nel cedere, il bimbo, ha inconsciamente vinto il suo amor proprio. Non si obblighi il bambino a chiedere perdono dopo una bizza o un fallo. Se egli ha capito d'aver fatto male, basta. Se non ha capito, il chiedere perdono non sarà che un'abitudine, o peggio una menzogna.

Pagina 250

Le belle maniere

180181
Francesca Fiorentina 3 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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Chi non è forte a sopportare il male fisico, si lascia facilmente abbattere anche da quello morale. Alcuni scattano o piagnucolano per una sciocchezza:una parola pigliata a frullo, uno sguardo di sbieco, un saluto tepido, perfino un'osservazione amorevole fa montar loro la mosca al naso:e giù smusate a tutt'andare! Se poi il dolore è reale e sincero, non sanno più tenersi, e s'afflosciano come cenci, tremano come foglie sotto il turbine che passa; e allora rinnegano le più soavi idealità, o annullano tutto un passato di bontà, di devozione, per dar libero sfogo all'insoffribile angoscia, a cui maledicono come a un'ingiustizia. La piccol'anima, non temprata dall'esperienza, viene a galla in queste manifestazione di dolore. No, care, il dolore non si deve sbandierare a tutti i venti. La sofferenza vera ha il suo pudore. - Eh, ma chi raccappezza più qualche cosa in que' momenti? Se vi foste avvezzate a contenere un po'le piccole passioni, ora questa forte e vera non vi riboccherebbe così infrenabile che il cuore par che vi scoppi. Tutti, più o meno, sappiamo lo schianto d'un penoso estremo distacco, nè voi parlate a sordi, quando dite:"Se sapeste quant'ho sofferto! Ero fuori di me! ". E' vero, sembra che ci strappino violentemente le vene, e che il sangue nostro per esse voglia fuggirsene via fino all'ultima goccia; oppure ci prende un impeto di ribellione contro tutti e contro tutto, come se tutto e tutti fossero responsabili del nostro strazio. Allora, quando la ferita è ancora viva, ogni contatto sembra che ne rattizzi l'ardore, e ce ne stiamo lì tutti rattrappiti su noi stessi, per tema che altri ci s'accosti, e guardiamo sospettosi e crucciati e scattiamo d'ira, se ci balena il pensiero che meschina curiosità o falso rispetto umano conduca alcuni fra gli estranei vicino al nostro povero morto. Che cos'è tutto il mondo degli altri davanti a quel piccolo mondo nostro che s'è rinchiuso nella bara ancora scoperta? Che c'importa dell'altre persone, se quella che più amavamo è fuggita via? Le convenienze sociali ci sembrano un'insostenibile catena, che noi vorremmo spezzare con forza brutale. Distraendoci da quell'unico pensiero, ci par di mancare verso la creatura che, morta, sentiamo d'amare mille volte di più. Quanta forza bisogna in quei momenti! Lo so, si preferirebbe essere soli col nostro cuore ferito, anche perchè ci sembra di sentirci portar via, da ognuno che s'avvicina, qualcosa che toccava a noi soli, ch'era tutta nostra. Ma anche quello degli amici, figliole mie, è un tributo al povero morto; e son pochi, rarissimi coloro che, avvicinandosi a una bara, non si sentano compresi di gran pietà e di dolore vero, e non piangano sinceramente con noi, dimenticando le piccole passioni umane. Purtroppo càpita di vedere, in un corteo funebre, qualcuno che dimentica dietro a chi cammina, e si lascia andare a chiacchiere vane, o combina affari, o chiede un parere, o approfitta d'essersi ritrovato dopo tanto con un suo conoscente per aver notizie della famiglia perduta di vista, o, perfino, dice male della persona defunta. Ma voi non sarete così! Se siete obbligate voi pure a seguire una bara, posate lo sguardo sul feretro nero che vi precede, sul cero che, simbolo della vita, si consuma nella vostra mano; immaginate che l'anima separata da quel corpo portato al cimitero chieda l'aiuto d'una vostra preghiera, e allora vi passerà il ticchio di ciarlare di cose vane, di voltarvi in qua e in là, di curarvi della figura che può fare il vostro vestito:pregherete.

Pagina 196

E pazienza se si contentasse di masticar agro per conto suo e di veder nero co'suoi occhi, ma prova un gusto matto a far da spegnitoio all'allegria del prossimo e, come un velenoso microbo, pènetra nell'anima altrui per abbattere un'illusione, troncare un sogno, distruggere una felicità. Le confidi una speranza luminosa di cui il cuore ti ribocca? Un sorriso ironico, una parola pungente ti converte la speranza in un dubbio che tu non accogli intero, ma di cui un rimasuglio indugia nella tua anima. Le parli del bene ricevuto da una tua amica diletta e della dolcezza che tale intimità ti procura? Lei ti mette in guardia contro tale amicizia dimostrandoti come due e due fan quattro, ch'essa è fragile o interessata. E tu resti con in gola un non so che amaro. Se tu le dai un po'di braccio, lei diviene la regolatrice de'tuoi interessi, della tua volontà, della tua esistenza. Non conoscerai più entusiasmo, nè amicizia, nè ribellione, nè audacia: con le trecce sulle spalle, sarai vecchia. E, a forza di guardarti da'pericoli, inciamperai in essi e ti romperai il collo. Dio ti procuri un'amica che temperi i moti irriflessivi della tua anima e ne acqueti l'esaltazioni intempestive, che t'impedisca dal mettere un piede in fallo, ma ti liberi dall'imbatterti in madamigella"Prudenza! "

Pagina 225

V'accadrà, intanto, più raramente di dover tacere, quand'altri parlano, per ignoranza dell'argomento, o di pigliare lucciole per lanterne, o di non poter difendere un'opinione retta che sentiate abbattere o disprezzare. Un altro vantaggio sarà questo, che acquisterete una maggior precisione di linguaggio, di cui mancano assolutamente quelle vanerelle pettegole che non hanno un'idea propria o netta nella mente. Fidandosi delle ciance che raccolgono qua e là e non sapendole valutare con la propria testa, le ripetono come pappagalli, con entusiasmo o lode o disprezzo o biasimo eccessivi, adoprando superlativi ridicoli e iperboliche espressioni, servendosi di piccole astuzie, di giri di parole per dissimulare l'ignoranza dell'argomento. E quanto bene potrete fare! Le donne hanno il merito, riconosciuto anche dagli uomini, di possedere una più pronta intuizione delle anime, un tatto più fine, una sensibilità più squisita; con queste doti, congiunte al buon senso e a una cultura seria e non superficiale, voi, giovinette, potrete unire alla carità materiale, o sostituire a questa che sempre non ci è dato di fare, l'altra, più eletta e più vera, della parte più nobile di voi. Potrete educare più illuminatamente chi vi avvicina, ispirare la sete di tante cose belle a cui molte anime sono cieche; o, se a questo non riuscirete, vi sarà possibile almeno allontanare il male da voi e dalle persone più care. Non vi date pose, soprattutto! E poi siate pure intellettuali, nel senso buono dell'espressione. Del resto, v'assicuro che, anche se sulla parola"intellettualità"si spargesse un pizzico di quell'ironia che generalmente le va congiunta, il suo significato sarebbe sempre preferibile a quello di ozio e di frivolezza.

Pagina 85

Il tesoro

182074
Vanna Piccini 1 occorrenze
  • 1951
  • Cavallotti editori
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Vogliamo dire infine che abbattere le barriere esistenti fra uomo e donna, è socialmente un errore. Lo sport non deve prestarsi a questo errore, e chi può impedirlo, anzi chi deve impedirlo, sono le famiglie e più precisamente le madri. Con la ragione sportiva si permette troppo di frequente che un giovanotto e una ragazza si eclissino dalle case e compiano gite, ascensioni, partite di sci o di altro sport, talvolta in comitiva, talvolta a coppie. Le comitive organizzate sono da approvarsi, le coppie isolate non rispondono a nessun criterio sportivo. Quanto alle ragazze, esse, non devono tollerare dai loro compagni, nei vari esercizi sportivi che mettono fianco a fianco uomo e donna, familiarità eccessive, nè di linguaggio nè di gesto. Ciò non esclude che possano crearsi fra giovani e ragazze simpatie e queste simpatie si risolveranno felicemente, quanto più sarà stato il riserbo che la donna avrà saputo ispirare e a sua volta usare. Galateo e sport non sono in antitesi, ma come per ogni relazione mondana possono associarsi per rendere perfetti i rapporti che tutti gli sport favoriscono. A qualunque istituzione sportiva si appartenga, occorre osservare lealmente le regole statutarie, mantenere fra i compagni e le compagne correttezza di modi, come copra si è detto, gentilezza di maniere, solidarietà nella buona e nella cattiva sorte, senza distinzione di classe e di condizioni sociali. Lo spirito sportivo crea automaticamente questo senso di solidarietà,che talvolta si spinge fino al sacrificio della vita. E l'educazione sportiva deve mantenersi anche negli stadi - soprattutto in questi - quando le parti avverse, poste di fronte, sono chiamate a combattere lealmente, e trasgredire significa incorrere nelle più incresciose squalifiche. Nello sport della neve, l'eleganza non è da trascurare, ma in montagna la vera eleganza è costituita dalla comodità dalla solidità del materiale e dalla semplicità maschile della linea. Cadere sulla neve, specie per chi è nuovo allo sci, è l'incidente più comune che possa capitare. Bisogna far buon viso a cattiva sorte, ricominciar da capo con tenacia, con fiducia; l'esercizio e il coraggio sono indispensabili a chi vuol riuscire; infine si arriverà a stare in equilibrio, a percorrere le discese senza ruzzolare, arrivando in fondo in perfetto stile. Il tennis è uno sport completo, che esige potenza muscolare, precisione e velocità, perciò una tensione nervosa considerevole. È quasi atletico e richiede quindi una buona preparazione e molta sorveglianza, ma resta sempre il grande sport femminile. La donna che gioca a tennis può esprimersi liberamente, rivelando doti di sveltezza, di resistenza, di agilità; può sfoggiare qualità morali d'intelligenza, di volontà, di sangue freddo, che spesso occorrono per vincere una partita. La cortesia esige dai giocatori di classe che non insistano con accanimento su un colpo dubbio. In generale l'arbitro è un esperto giocatore, e conviene accettare il suo giudizio. L'equitazione ha regole d'etichetta particolari, ma infine esse possono generalizzarsi a qualsiasi sport, mutando naturalmente i termini, secondo la natura dello sport stesso. Una donna non dovrebbe mai andare a cavallo senza essere scortata da un cavaliere; è però ammesso che due donne cavalchino insieme. L'uomo sale a cavallo dopo che è salita la signora sua compagna e discende prima di lei, porgendole la mano per aiutarla. Se due uomini vanno a cavallo insieme, il signore anziano tiene sempre la dritta. Il cavaliere è sempre alla sinistra dell'amazzone, se si tratta di un domestico esso resta dietro di qualche metro. Il cavaliere saluta, passando il frustino alla mano sinistra e togliendosi cappello con la mano destra. L'amazzone saluta, chinando leggermente il capo.

Pagina 665

L'angelo in famiglia

183322
Albini Crosta Maddalena 2 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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No, non ti attaccare a quei beni che sfuggono e si dileguano come frutto delicato sotto i colpi della gragnuola; ma fa di attaccarti a quei beni che l'uomo non può involarti, nè abbattere, nè fugare; questi beni tu li conosci, tu li coltivi in te stessa; essi si chiamano virtù cristiane, virtù che fecondando la tua vita di opere buone, ti circonderanno di un'aureola risplendente, e se non varranno sempre a rendere felice e fortunata la tua esistenza, la renderanno però ognora placida e rassegnata. Oh! le sventure sono inevitabili, le sventure sono il tessuto della vita; ma tu le sopporterai pazientemente, il che vale a dire con frutto, se il testimonio della buona coscienza ti assicurerà sempre di aver fedelmente compito il dover tuo. Se il Signore ti ha accordato la bellezza, ricordatelo: essa è un fiore che passa; no, non t'illudere, essa è un fiore che passa, e lascia dietro di sè una striscia luminosa soltanto quando è simbolo ed espressione della bellezza dell'anima.

Pagina 553

Essi come popoli vandali e selvaggi non sanno che abbattere e distruggere, senza pensare nè aver modo alcuno a riedificare. Io ho una casina modesta se vuoi, ma ben salda sui fondamenti, comoda e pulita, adattata ai miei bisogni e rispondente a tutto il confortevole alla vita: viene un mestatore e mi dice che quella casa è piccola, indecente, rovinosa, e, senz'aver mezzo alcuno di rifarmela poi pretende la mia adesione per atterrarla, o tenta passare dal detto al fatto colla violenza; non sarei io sommamente sconsigliata, assoggettandomi alla stolta prepotenza del temerario? Oh! non lasciamoci abbattere questo edificio: non lasciamoci rapir dal seno questo tesoro!

Pagina 821

Come devo comportarmi. Le buone usanze

185098
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
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Badino essi a sorvegliare se stessi in ogni occasione; e si ricordino che un sorriso di compatimento, una parola di canzonatura possono non solo guastare ed abbattere tutto l'edificio faticosamente costruito da chi si occupa dell'educazione religiosa dei loro figliuoli, ma produrre per l'avvenire conseguenze irreparabili. L'indifferenza e l'incredulità, se sono dannose in un uomo, sono addirittura deleterie in un fanciullo.

Pagina 176

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188144
Pietro Touhar 1 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
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Chi si lascia abbattere da un'afflizione, chi si stanca nell'opera del proprio miglioramento, chi si sbigottisce al comparire d'ogni ostacolo diventa debole, si rende incapace di sostenere la propria dignità, di saper vegliare alla propria difesa.

Pagina 10

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

188732
Pitigrilli (Dino Segre) 2 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Clemenceau scrisse che un libro è la morte di un albero, che cioè si è costretti ad abbattere un pioppo per estrarne la cellulosa necessaria a produrre quei quintali di carta. Ma per lo meno un libro è un libro, e se il lettore non avrà nulla da imparare e se il compratore si arresterà alla prima pagina, il suo autore ci avrà messo della speranza, dell'illusione, della buona fede. Pensate invece alle foreste che si spogliano ogni anno per mandare attraverso le terre e gli oceani tante parole d'amore senza amore, di ricordo senza concentrazione, di invocazione senza fondamento, che sono la replica di ciò che tutti dicono, la stereotipia di ciò che tutti fanno, la squallida manifestazione della pigrizia del cuore, mascherata di entusiasmo e di esuberanza, per formulare un augurio, questo collettivo ed epidemico controsenso escogitato dagli uomini per occultare malamente che «chaque instant de la vie est un pas vers la mort». E' un verso di Casimir Delavigne. Concludendo: 1°: non si mandino lettere e biglietti di augurio. 2°: avendone ricevuti, non si risponda. Le trecento persone che non avranno ricevuto il ringraziamento che aspettavano, non si raduneranno tutte trecento per stigmatizzare il vostro contegno. Ciascuno penserà che la lettera sia andata smarrita. Dopo sei anni capirà che è un vostro sistema; non so come lo potrà giudicare, ma avrete contribuito col vostro assenteismo a far avanzare di un dente la ruota della civiltà.

Pagina 105

Disgustevole e volgare è il gesto tedesco di abbattere le due mani in avanti come per schiacciare simultaneamente due mosche contro la parete, e di rovesciare la destra e sventolarla verso l'esterno per respingere una proposta o criticare un'idea o scartare un affare. Spigliato e vivace è invece il movimento delle due mani aperte dal basso verso l'alto delle donne francesi per dire che hanno «balancé» l'innamorato che cominciava a essere attaccaticcio o che hanno abbandonato per sempre un proposito, un programma o una carriera. In fondo non si tratta che della posizione delle mani, ma fra il gesto teutonico e quello francese c'è la differenza che corre fra il brutale «Diktat» del quartiere generale prussiano e il sorriso di una mannequin di Christian Dior. Sedersi. Se la donna è bassa di statura, eviti le sedie alte. Quelle gambette che oscillano comicamente dall'alto di uno sgabello di bar le conferiscono un'aria di marionetta. Cerchi le sedie basse, butti sul tappeto un cuscino, o si collochi sopra un'ottomana, ma non faccia ciondolare le gambe. Gli uomini non avvolgano i piedi come gli acrobati sospesi al trapezio intorno ai piedi della sedia. Accavallare le gambe è facoltativo per le donne; incrociarle obbligatorio. Il sedersi sulle tavole o il cavalcare «all'amazzone» i braccioli delle poltrone pretende ostentare una certa disinvoltura, ma l'ostentazione di disinvoltura è una confessione di timidezza. Utilissima, per l'educazione del gesto, è una scuola di danza. Abituando l'orecchio alla disciplina del ritmo, i movimenti si misurano e si controllano: e il dover interpretare con gli atteggiamenti del corpo il significato della coreografia, conferisce al gesto un'assidua coordinazione con la parola. Nessuna donna cammina con tanta grazia come le danzatrici classiche; nessuna donna si siede dignitosamente e castamente come le attrici. Osservatele. Esse non piombano violentemente sulla sedia; non cercano col corpo il sedile; non si muovono come i cani che si scavano una nicchia nella paglia. Le attrici incrociano le gambe, ne flettono una, scendono lentamente verso il sedile; senza lasciarsi cadere. Obbediscono alla forza di volontà, non alla forza di gravità. Né il proprio corpo né gli oggetti debbono essere buttati. Gli oggetti si posano. Anche un mozzicone di sigaretta, an- che il nocciolo di un'oliva. Ricordate il verso di Baudelaire nel sonetto «La Beauté»: io odio il movimento che sposta le linee : «Je hais le mouvement qui déplace les lignes:...» e non dimenticate che nella Francia degli ultimi grandi Re, alla corte di Versailles, quando si ordinava a qualcuno di chiudere una porta, gli si diceva : «conduisez cette porte», conducetela, accompagnatela. Si deve «accompagnare» la porta, e non sbatterla, anche quando la chiudiamo in faccia a qualcuno o quando la chiudiamo per sempre dietro di noi.

Pagina 138

Nuovo galateo. Tomo II

194809
Melchiorre Gioia 2 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Non temete niente, gli disse Enrico, poiché se il re di Francia vi facesse morire, io farei abbattere la testa a molti Francesi che sono in mio potere. - Va benissimo, replicò il vescovo, ma di tutte queste teste nissuna s'adatterebbe sì bene al mio busto come quella che vi è. - Questa celia, che fece ridere Enrico, riuscì a farlo cambiare di risoluzione; senza di essa forse l' Inghilterra e la Francia conterebbero una guerra di più. Nouchirevan, re di Persia, aveva condannato a morte uno de' suoi paggi per aver questi inavvertentemente sparsa sopra dì lui della salsa servendolo a mensa: il paggio, non vedendo speranza di perdono, versò tutto il piatto sopra quell'implacabile re. Nouchirevan, più sorpreso che sdegnato, volle sapere la ragione di siffatta temerità. « Principe, gli disse il » paggio, io desidero che la mia morte non rechi » macchia alla vostra reputazione; corre voce che » voi siete il più giusto dei monarchi, ma voi perdereste » questo bel titolo, se la posterità sapesse » che per fievissima colpa condannaste a morte uno » de' vostri sudditi; perciò ho versato tutto il piatto». Nouchirevan, rientrato in si stesso, si vergognò della sua collera, e gli fece grazia. 3.° Partendo dall'idea imponente de' doveri di un ministro, della gravità de' motivi che devono determinarlo, da' danni che trae seco il demerito chiamato alle pubbliche cariche, si dura fatica a comprendere che con una celia si possa conseguire quell'impiego che ci era stato negato per demerito; e pure questa possibilità si è realizzata più volte. Il marchese di Sant'Andrea insisteva presso Louvois, ministro della guerra in Francia , onde ottenere una carica; il ministro, che aveva ricevute parecchie lagnanze contro questo officiale, gliela ricusava. S'io cominciassi a servire, so ben io ciò che farei , rispose l'officiale un po' commosso. - E che fareste voi? gli disse il ministro, con un tono risentito. - Regolerei sì bene la mia condotta, replicò l'officiate, che non vi trovereste nulla da ridire. - Il ministro sorpreso piacevolmente da questa risposta, accordò ciò che aveva negato. 4. Una celia può ottenere quel premio che non ottenne, la ragione, che non ottenne l'importunità, talvolta più valevole della ragione. Un poeta aspettava tutti i giorni Augusto a certo passaggio con un epigramma alla mano: egli sperava qualche ricompensa, ma la ricompensa non veniva mai. Un giorno l'imperatore, per divertirsi a spese del poetae trastullarlo piacevolmente, gli presentò de' versi che egli aveva composti in di lui onere. Il poeta, dopo d'averli letti tutti, trasse di tasca del danaro, e lo diede ad Augusto, dicendogli: Ciò ch'io v'offro non è degno del vostro, merito, ma io non posso fare di più. Augusto, incantato da questa risposta nuova e piccante, gli fece dare 100,000 sesterzi (circa 130,000 franchi). - Ecco una buona lezione di morale sotto il velo d'una facezia. 5.° Non v'ha cosa né più comune né più noiosa de' millantatori: mille volte udirono essi le ragioni che condannano la loro condotta, e mille volte tornano in campo colle loro millanterie. Una celia; può agevolmente ridurre a silenzio un millantatore; giacché in generale riesce più difficile il rispondere ad una celia, che ad una buona ragione. Un giovine che si vantava di sapere tutto e di averlo imparato in poco tempo, aggiungeva d'avere speso grosse somme per pagare i suoi maestri. Uno degli uditori, non potendo più contenersi a tali jattante, gli disse freddamente: Affè, se voi trovate cento scudi per tutto ciò che sapete, credetemi, non indugiate a prenderli. Il detto era eccellente, ma pungeva un po' troppo sul vivo. Uno spiantato lagnavisi in un crocchio di molte persone del guasto che la grandine aveva fatto nel suo paese, massimamente ne' suoi poderi. Un tale che a fondo conosceva quel millantatore, e che sapea quanto fosse povero in canna, non potendo più contenersi a tali, jattanze, gli mosse somigliante parlare. La colpa fu vostra, poiché se aveste avuto l'avvertenza di aprire l'ombrello quando si mise a grandinare, i vostri terreni non sarebbero stati danneggiati. Un gradasso vantavasi dinanzi a Cicerone d'essere rimasto ferito in volto nell'ultima battaglia ove avea combattuto - « Ecco ciò che succede, gli rispose » l'oratore romano, allorquando fuggendo si » guarda dietro di sè».

Pagina 171

Infatti abbattere le foreste, asciugare le maremme, distruggere gli animali malefici che le abitano, sono i primi oggetti che reclamano i lavori dell'uomo che vuole sottomettere la natura a' suoi bisogni. Ora tutti questi lavori erano interdetti da un'aristocrazia territoriale che reprimeva a suo piacimento i progressi dell'agricoltura, e non aveva ancora imparato a sacrificare i suoi piaceri alla sua avarizia. Quindi le più belle contrade d'Europa dal V al XIV secolo rimasero, ove più ove meno, sterili e deserte. Il selvaggiume ugualmente che i boschi custoditi da, leggi feroci fecero prevalere il principio e che per la conservazione delle foreste il re non era obbligato a rispettare le regole della giustizia. Così i divertimenti de' signori tendevano alla distruzione dello Stato, e sostituivano de' cervi agli agricoltori, come i regolamenti di Pio IV, delle mule agli artisti (pag. 23). » Oggigiorno, diceva Giovanni di Salisbury » nel XII secolo, i nobili riguardano la caccia come » l'occupazione più onorifica e il talento più desiderato. » Essi fanno più spese per disporsi a questi divertimenti, » che per prepararsi alla guerra, e inseguono » con maggior furore le bestie selvagge » che i nemici del loro paese. Abbandonandosi continuamente » a questo genere di vita, perdono a » poco a poco ogni sentimento umano, e divengono » selvaggi come gli animali che inseguono. Gli agricoltori » colle loro gregge sono cacciati da' » loro campi, prati e pascoli, acciò possa il salvaggiume » crescere ed estendersi. Se qualcuno di » questi grandi e barbari cacciatori passa dinanzi » alla vostra porta, portategli tosto tutti i rinfreschi » che avete o potete ottenere da' vostri vicini, » se non volete vedervi rovinati, ed anche » accusati dall'alto tradimento». Le abitudini selvagge s'introdussero nelle feste. Allorchè Enrico II re di Francia (XVI secolo) entrò solennemente in S. Giovanni di Maurienne, fu ricevuto da cento uomini vestiti di pelli d'orso: essi avevano esattamente l'apparenza di orsi naturali, ad eccezione d'una spada che portavano sulle spalle. Dapprima essi accompagnarono il re facendo mille salti e cavriole; e per meglio imitare gli orsi s'arrampicavano sulle muraglie delle case, sui pilastri de' mercati, e mandavano gridi simili a quelli che echeggiano ne' boschi. Finalmente diressero al principe una salva seguita da urli sì orribili, che i cavalli spaventati, rotte le redini e le cigne, si diedero alla fuga. - Non vi par egli nobile e gentile questo modo di divertirsi che fa spavento ai cavalli? Se i nobili alla corte volevano mostrare somiglianza cogli orsi, forse non recherà meraviglia se i re vollero mostrare domestichezza coi leoni. Don Giovanni re di Castiglia ricevette nel 1434 gli ambasciatori francesi seduto sopra magnifico trono, avendo a' suoi piedi un grosso Lione ch'egli aveva ammansato. I divertimenti corporei prevalenti negli scorsi secoli ci danno adunque i seguenti risultati generali: 1.° Conquiste, aggressioni, saccheggi, soperchierie proclamati come azioni onorifiche; 2.° Gli animali salvatici più apprezzati degli uomini; 3.° I grandi apparentati coi cani, coi cavalli, cogli orsi, coi lioni; 4.° Distruzione de' lavori agrari ed ostacoli ai loro progressi. Si potrebbe dire distruzione d'ogni civiltà; infatti Carlo IX re di Francia, nella seconda metà del eccolo XVI, eccessivamente passionato per la caccia, avrebbe voluto, se prestasi fede allo storico Mathieu, passare la sua vita ne' boschi, e chiamava il soggiorno nelle città il sepolcro dei viventi. Il quale sentimento non sembra discordare gran fatto dai titoli che furono dati a più sovrani: per es: troviamo come segue: X secolo, Enrico l'uccellatore, imperatore. XII - , Enrico il Lione, duca di Sassonia. XII - , Alberto l'orso, elettore di Brandeburgo. XV - , Filiberto il cacciatore, duca di Savoia, ecc. Paragonate questi titoli con quelli che i sovrani ambiscono ne' tempi, attuali, ed anche questo confronto vi dimostrerà il felice cambiamento dei costumi.

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