Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbassi

Numero di risultati: 5 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

L'angelo in famiglia

182168
Albini Crosta Maddalena 2 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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Pagina 10

Pagina 643

Saper vivere. Norme di buona creanza

192880
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Inutile il soggiungere che, più tardi diventando un giovanotto, facendoti uomo, tu, hai aggiunto a questa educazione qualche cosa di più, un certo affinamento: tu, sedendoti innanzi a un superiore, non metti una gamba a cavalcioni dell'altra: tu, parlando a una signora, non tieni il sigaro fra le labbra: e se ti trovi in qualche ritrovo pubblico, abbassi la voce, naturalmente, nel conversare. Dunque, tu sei un uomo educato. E, se ti fermi alle apparenze, questo mio modesto piccolo libro può sembrarti inutile! Invece, amico lettore, vi è una seconda educazione che tu, probabilmente, non possiedi; e ciò senza nessuna tua colpa, senza colpa di nessuno che ti consigliò e ti guidò, nella prima età, ma per tante circostanze di famiglia, di posizione, di ambiente. Questa seconda educazione, questo saper vivere, è, anche, una cosa tanto fantastica, tanto bizzarra, cambia di colore, di espressione, di tipo, così facilmente! Questo saper vivere è così differente, secondo ogni paese, secondo ogni clima, secondo ogni tradizione! Saper vivere, veramente, in società, nel mondo, diventa un'arte talmente difficile! Ed è, intanto, necessario saper vivere, anche per una creatura umile e oscura, anche per una esistenza solitaria, e modesta, anche per un uomo dall'avvenire circoscritto, anche per una donna dall'orizzonte limitato: è necessario saper vivere, se si vuol vivere, se si vuole svolgere tutta la propria vita, in armonia con le cose e con le persone, in armonia coi nostri pensieri e coi nostri sentimenti! Ed è molto bene per te, amico lettore, che tu, per tuo istinto di equilibrio, per natural gusto eletto, conosca questo saper vivere, e che, in qualunque ora della tua vita, tu non commetta mai uno di quegli errori di condotta, di misura, di scelta, che sembrano piccoli e lievi, ma che, talvolta, portano delle conseguenze meno lievi, e, forse, gravi. Più se questa scienza così umana ti manca, se non hai avuto né il tempo, né la voglia, né la facoltà d'impararla, se tu non sai, per esempio, quale sia il tuo dovere di promessa, il giorno in cui tu dai promessa di nozze, se tu non sai come regolarti avendo una udienza dalla Regina, se non sai come vestirti, andando a un pranzo di mezza cerimonia, in estate, il modestissimo mio libro te lo dirà, non come un sermone, non come un ammonimento, amico lettore, ma nella forma più amabile e cordiale della conversazione con un amico. E, forse, un maligno - vi è sempre un maligno, un pò dappertutto - potrebbe osservare che io, amico lettore, metto cattedra di saper vivere, mentre nessuno me ne ha elargito il diploma. Chi sa! Io lo ho, forse, questo malinconico diploma. Malinconico, dico, poiché esso mi viene dall'età che, amico lettore è molto maggiore della tua: poiché mi viene dai costanti e lunghi viaggi, in paesi ove si sa vivere perfettamente: poiché mi viene dai costanti e lunghi contatti con una società cosmopolita che, non avesse altro merito, sa vivere: e tutto ciò significa esperienza, ed esperienza, talvolta, quasi sempre, vuol dire malinconia. Un ignorante è sempre un ingenuo: e un ingenuo è sempre una persona gaia. Ma non proseguiamo più oltre quest'analisi psicologica: essa condurrebbe ad osservazioni anche più amare. Che il maligno si rassicuri e sia contento: tutti i diplomi hanno un fondo di tristezza e contro il legno delle cattedre, palpita quasi sempre un cuore deluso. Così non sia di te, amico Iettore, quando tu sia giunto alla fine delle mie pagine: possa tu ritrovarvi, ogni volta che tu voglia consultarlo, la parola giusta e sincera che ti guidi in una piccola difficoltà della tua vita, possa tu leggere, nelle sue righe; il motto schietto e preciso, a cui si leghi un tuo pensiero e un tuo atto: e che, almeno, il malinconico maestro di saper vivere, a cui la piccola scienza costò degli anni e delle fatiche, senta che le sue parole abbiano efficacia di bene!

Pagina 15

Come presentarmi in società

200127
Erminia Vescovi 1 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
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In America, si usa solo toccare il cappello: noi non ammettiamo questa forma frettolosa se non in gran confidenza tra eguali, e vogliamo che il saluto maschile sia fatto secondo le regole: si alzi il cappello e si abbassi più o meno profondamente davanti alla persona cui si vuole rendere omaggio: non si riponga in capo sinché la persona non è passata, e fermandosi eventualmente con essa, si attenda il suo cenno per ricoprirsi. E si badi di togliersi il cappello colla destra e non mai colla sinistra; se la destra fosse impedita con bastone, ombrello o altro, si passi rapidamente all'altra mano per averla libera. E chi avesse il sigaro in bocca, se lo tolga colla sinistra, e si scopra colla destra. Ma ora che gli uomini vanno quasi sempre a capo scoperto per le strade, queste norme sono buone solo per l'inverno. E allora? anche gli uomini saluteranno come le donne, cioè con un lieve chinar di capo. Se però il saluto è di molto rispetto, bisognerà che si fermino e che facciano l'inchino di società. Chi accompagna per via una signora è obbligato a salutare tutti quelli che la salutano anche se non li conosce. E se essa si arresta un momento a parlar con qualcuno, l'uomo bene educato si tiene in disparte. La strada non è il luogo delle espansioni esagerate: abbracci e baci in pubblico sono sconvenienti e qualche volta un po' ridicoli. Incontrando un amico che da molto tempo non si rivedeva, e la cui presenza improvvisa ci reca una gran gioia, si cerchi tuttavia di non dare spettacolo al pubblico: basta una viva esclamazione, una calorosa stretta della mano o anche di ambedue le mani, e si serbi il resto (lo dico specialmente alle donne che sentono assai più il bisogno di baciarsi e di stringersi) a luogo più opportuno. E non si facciano lunghe fermate per via: talvolta ciò disturba il conoscente, a cui pretendiamo invece, in tal modo, di mostrar affetto e premura, e disturbano gli altri passanti, specialmente se queste fermate si fanno lungo i marciapiedi e sulle cantonate. Camminando in più persone, bisogna aver riguardo alla reciproca dignità. Se sono in due, il posto d'onore è a destra o lungo il marciapiede. Se sono in tre, il più degno starà nel mezzo; a destra verrà chi gli viene appresso per grado o età, a sinistra l'altro. Se la brigata fosse di quattro o più favoriranno dividersi per non ingombrare tutto il marciapiede. Dovendo attraversare un passaggio stretto, è ovvio che si lasci prima passare il superiore; ma se fosse un passo un po' pericoloso o difficile, come può accadere in campagna, il più giovane preceda l'altro per esser pronto a porgergli la mano. Discorrendo coi nostri compagni di passaggio, si abbia cura di non alzar soverchiamente la voce, di non rider troppo, di non far cenno che sembri offesa o scherno a chi si trova sul nostro cammino. E' poi molto scortese, come già si è detto, fermarsi, nell'enfasi del discorso, sul marciapiede e costringer così anche gli altri a fermarsi. E' un perditempo e poi un intoppo alla circolazione. La persona bene educata tiene, o sola o accompagnata che sia, un contegno serio e riservato; una donna poi peccherebbe troppo gravemente d'imprudenza se si allontanasse dalle norme più severe. Essa in tal modo incoraggerebbe i bellimbusti e gli avventurieri, i quali non mancano mai, specialmente nelle grandi citta. Ma può capitare anche alla fanciulla più riservata, alla signora più rispettabile d'aver a fare qualche volta con un mascalzone (altro titolo non merita) che si ponga a darle molestia. Se il contegno più austero, se il silenzio più sprezzante non bastano a scoraggiare colui, la donna seria e prudente non si abbassi a rimproveri nè a minacce; faccia cenno al primo vigile che le capita, e gli affidi l'incarico di dare al malcreato la debita lezione. E' il mezzo più semplice e il più conveniente. Davanti agli avvisi, alle vetrine, alle curiosità d'altro genere, non si facciano lunghe fermate, il che è indizio di curiosità eccessiva e di poco riguardo agli altri. Se poi è uno spettacolo sconcio, come una lite, un ubriaco, o altro, si ricordi il severo rimprovero che si buscò Dante dal suo maestro Virgilio e Maestro Adamo. E il povero Dante ne rimase così umiliato, così vergognoso, che non sapeva nemmeno trovar parole per scusarsi: tanto che il buon maestro ebbe compassione di lui e, concedendogli tosto il suo perdono, gli aggiunse un prezioso consiglio che fa anche per noi e per tutti:

Pagina 179

Eva Regina

203461
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 1 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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LA MOGLIE DELL' UOMO D' INGEGNO « Non bisognerebbe mai fare la sciocchezza di sposare un uomo d' ingegno — scrive Ida Baccini — ma quando si è sposato conviene elevarci fino a lui e non pretendere ch' egli si abbassi fino a noi. » Giustissime parole : giacchè sebbene l' uomo d' ingegno vada dichiarando, e talora con ostentazione che l' ignoranza accanto a sè lo riposa, dimostra poi di non sopportare con troppa filosofia le conseguenze dirette di questa ignoranza che sono la petulanza, il pettegolezzo, la piccineria. Una donna che non rispetti il raccoglimento del pensatore e l' ispirazione dell' artista : che non sappia essere indulgente per certe sue negligenze, per certe sue disattenzioni ed anche per qualche disuguaglianza d' umore o scatto di nervi, tributo che i signori della vita intellettuale pagano spesso alla fragile natura umana — questa donna non potrà mai far buone le ore di riposo nell' intimità domestica, non seconderà, ma renderà più malagevole gli sforzi dell'uomo d' ingegno verso il suo ideale. Se è giovine avrà voglia di divertirsi e costringerà il marito a frequentare luoghi mondani ove si sentirà a disagio, dove forse uno stupido vagheggino per cui l' eleganza è tutto, oserà mettere in ridicolo il suo colletto che non è sull' ultimo modello, qualche inesperienza sociale in cui può incorrere, egli che vive in una sfera così diversa e superiore. Se la moglie non è giovine, gli rimprovererà forse i denari che spende nei libri, negli esperimenti scientifici, nei congressi, nelle esposizioni, e l'umilierà stupidamente osservandogli che le sue fatiche sono senza frutto, che la sua arte non serve se non a far perdere il tempo. Od anche gli empirà la casa di oggetti di cattivo gusto e lo farà arrossire per gli strafalcioni che snocciolerà imperturbabile in presenza degli invitati e degli amici. « Si sposa qualche cosa di più d'un uomo quando si sposa il suo ideale » scrisse Emilio de Marchi con la nobiltà che gli era consueta. Infatti una donna che si accinga ad unire il suo destino al destino d'un essere superiore, deve prima di tutto sentire l' orgoglio di essere stata eletta, e quindi proporsi di non riuscir mai inferiore al concetto che chi l'ha scelta si è fatto di lei. Chiamata a dividere una vita che può svolgersi in spirali fulgide ascendenti fino all' apoteosi, o smarrirsi in un labirinto fra tenebre cupe senza speranza di uscirne, ella dovrà serbarsi alta e forte, senza inebriarsi della ventura, senza disanimarsi nella cattiva sorte. Raddoppierà di previdenza, d' intuizione, di tolleranza, di spirito di sacrificio, annienterà sè stessa nella personalità del suo compagno, paga di essere l' ombra refrigerante, il sostegno segreto, la benefica fata nascosta: di essere una delle cause principali, forse, di una magnifica fioritura ideale che stupisce il mondo. Per una donna d'intelligenza e di cuore nessuna missione più eletta, più invidiabile di questa, d'essere la degna compagna del genio, od anche solamente dell' uomo d' ingegno; di vivere con lui e per lui la doppia vita del cuore e dell'idea.

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