Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbassava

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Vietato ai minori

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Bonanni, Laudomia 1 occorrenze

Anzi abbassava la voce rendendosi conto che qualche cosa mi era dispiaciuto anche questa volta. Del resto Elio è regolarmente orfano di padre e di madre. Orfano di guerra, per così dire ritardato, il padre essendo morto in tempo di pace a seguito di deterioramento da lager. Io dovevo osservarle, con qualche imbarazzo, data l'ignoranza della vecchia monaca in materia, che la punizione di una giornata a letto era un grosso errore. Pedagogico, aggiunsi stupidamente. Quella semplice disarmata donna non aveva altra preparazione che la carità, come regola astratta. I giochi solitari dei bambini si riducono al proprio corpo. Non capiva, o finse, oppure rifiutava di parlarne. Non ebbi coraggio di affrontare allora l'argomento. Elio era, all'istituto come a scuola, insensibile a ogni autorità, e a qualsiasi punizione. In forma del tutto passiva, l'invincibile passività che conoscevo. Lo compativano, si capisce, ma bisognava pure castigarlo qualche volta... per l'esempio... Non si può nemmeno dargli una piccola correzione, gli altri solo alla vista... (di che?, sorvolò)... si mettono a strillare come aquile, lui si lascerebbe ammazzare... Lo compativano per la sua triste storia di orfano a quel modo. Orfano di padre e sarebbe poco, ma la madre si era per giunta impiccata sotto i suoi occhi. Allibii. Non si sa, spiegò la monaca, che effetto le facesse la perdita del marito _ chi non ha per sposo Gesù... " poi aveva subito bombardamenti l'occupazione tutta la paura e miseria che ne venne. S'era stranita, si vede. Così, un giorno caccia fuori dell'uscio il bambino, lega la corda a una trave e s'impicca. Lui sente la sedia picchiare in terra _ essa l'aveva tirata via col piede _ rientra e trova la madre boccheggiante. Pare che, gridando, si appendesse alle gambe, i vicini la trovarono morta. Prendo Elio per mano, la sua manina rustica e nervosa. Mi guarda un po' stupito ma non la ritira. Gli sembrerà buffo essere condotto in pubblico per mano, m'accorgo che nascostamente ride. E avviene una strana cosa: si mette a parlarne. Mai a scuola gli avevo domandato, ne lui accennato alla sua vita di prima, di fuori. Come se fosse stato sempre rinchiuso. Se indagavo: ti trovi bene?, lui sì con quella sbarratura d'occhi, mentendo. Sapeva che io capivo, ma continuava col sì sbrigativo di chi non vuole crearsi fastidi o sa che è inutile. Anche quando scoprii sotto la sciarpetta il segno rosso e la glandola gonfia e sospettai (era) una cinghiata, negò. Se rispondeva con la bocca, altrimenti un cenno della testa. O niente, nelle sue giornate mute. "La corda dei panni," dice. E alla mia occhiata sorpresa: la corda per "appiccare" i panni lavati. Scandisce la parola con certa maliziosa intenzione, come se si fosse sempre accorto del mio desiderio indiscreto al sapere, di sentire, e stesse finalmente appagandomi, alla maniera di un adulto. "Ma tu," dico, "dove stavi?" " Stavo fuori la porta col cane. E il cane abbaia." Riguarda per traverso, gli occhi in prospettiva ovale deformati da specchio convesso. Non mi stupirei se allungando la testa come una bolla di sapone, aggiungesse che sua madre gli cavava la lingua. Invece: "La sedia sbatte, rientro, e stava appiccata." Mi riprende la mano senza proseguire. È il racconto delle monache, degli altri _tranne il cane abbaia _ quello che ha sentito e risentito, non il suo. Capisco che non vi partecipa più, con un trasalimento dentro. Possibile che vi sia nei bambini, nella natura umana, tale forza di recupero da cancellare tutto, tutto? "Ma perché," mi sfugge. Voglio accertarmi. "Mica la facevo arrabbiare io," dice a un tratto senza quella montatura difensiva e quasi insolente che s'è impressa sulla faccia, "era zia Carmela." Spiega che con la cognata litigavano sempre, s'inquietava. Ecco perché, conclude persuaso. Non si ricorda del padre morto, non sa della guerra bombe paura miseria, ma solo le liti con zia Carmela. C'è dunque questa provvidenza per i bambini: qui la tragedia sembrerebbe risolta in una specie di ruolo che assume, una recitazione di personaggio minore nel racconto che fanno di lui e dal quale s'è ormai staccato. La fila sta abboccandosi nella porta dell'istituto, la monaca non si volta. Ultimo Elio si rigira a guardarmi. Ancora i suoi occhi tondi cerchiati mi stringono il cuore. No, non è che dimentichino, i bambini in un certo senso non dimenticano niente. Se anche non sanno più, tutto è però entrato nella loro sostanza, la memoria si trasforma in sostanza umana. E da grande, senza ricordo, Elio sarà pure fatto di quello che ha subito.

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Versione elettronica di testi relativi al periodo 800 - 900 Donna Folgore

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Faldella, Giovanni 1 occorrenze

Dalla contemplazione del cielo il suo sguardo si abbassava a scrutare l'illuminazione di Torino, su cui era filata la stella cadente di Nerina. Ed in ogni lume egli vedeva dantescamente bruciare un capriccio di lei. Due fanali elettrici, che parevano riverberarsi i loro raggi ostilmente, erano per lui le anime delle due maggiori vittime di Nerina, dopo il padre: * Adriano Meraldi e Federico De Ritz. De Ritz e Meraldi si erano bastonati orribilmente sulle teste al Cancello del Santo Oblio; e non si erano punto dimenticati. Rottasi mutuamente la cappadocia per i capricci di Nerina, staccati, destinati a distinte lontane agonie, l'uno al Castello di Ripafratta, l'altro al borgo natio di S. Gerolamo ... Pure per la bramosia della loro invidiata Nerina, quelle teste ancora si beccavano lontanamente, come due dannati nella gelatina dell'inferno dantesco. "Come due becchi cozzan insieme" novelli Alessandro e Napoleone conti di Manzona. Si era rinnovata la pugna mentale fino all'estinzione delle loro vite ... Tanto era inestinguibile la sete dell'amore di Nerina. E nella loro pugna pindarica "e forti nervi e nel pugnar crescenti" in mutua orrenda strage psicologica ... Ed ora che sono da gran tempo spirati entrambi, ecco in quei due fari elettrici l'immagine della loro pira di nuovi Eteocle e Polinice, in cui le fiamme cigolando si spartiscono in segno d'una pretesa d'odio immortale, che Domine Dio faccia cessare ... L'avvocato Gioiazza ricapitola le morti di Federico De Ritz e di Adriano Meraldi. Federico De Ritz aveva potuto evadere dal suo castello di Ripafratta. Adriano Meraldi non lo si poté smuovere da S. Gerolamo. I suoi genitori erano finiti di crepacuore, a forza di sentirlo esclamare, che egli era cassé . La maldicenza villana sospettò, che egli si fosse finto perdutamente ammalato per goderne più presto la eredità. Invece egli sentì l'orrore della solitudine aggravato dal rimorso di avere, sia pure involontariamente, amareggiata la fine di papà e mamma, che avrebbero volontieri sacrificato cento delle loro vite per allietargli e prolungargli la sua. Lo strofanto più non giovava a rianimargli l'attività del cuore. Egli si sentiva irremissibilmente deperire, senza velleità di rimediarvi ... Piuttosto avrebbe voluto raccorciare violentamente quell'agonia ... Ma lo spauriva il pensiero del suicidio nel luogo natio, dando di sé vista afrosa ai suoi compaesani, che lo avevano visto nascere e crescere bellin e suscitando commenti di previsione raccapricciante. Avrebbe preferito essere assassinato di notte in una foresta africana, e sepolto di nascosto nel seno vivente di una grande pianta di baobab, a cui avrebbe dato succhi e foglie ... O gettarsi dalla alta prora di una nave nel mare profondo nutrimento dei pesci ... Ma non si sentiva la forza di viaggiare neppure sino a Genova ... Lo tratteneva la mania carceriera cellulare, l'orrore dello spazio viatorio. Meglio meglio ancora, se fosse rapito in cielo come un profeta della Bibbia! Intanto sulla terra di S. Gerolamo gli rimaneva unica custode la vecchia Cecchina, la fantesca, che lo aveva portato in braccio da bambino ... Ed ora si provasse a portare quel cadavere grasso annacquato ... Ma la vecchia Cecchina non accettava più lo scherzo, neppure macabro. Essa era divenuta asciutta, di poche parole, come se l'innata bontà e l'antica devozione familiare fossero state corrose, slavate dalle teorie invadenti del socialismo dissocievole. Migliore compagnia tenevano al volontario coatto un gattino ed un verdone. Egli si credette un Mazzini, quando riuscì ad ottenere che verdone e gattino mangiassero insieme fraternamente nello stesso piattello. Omne tulit punctum , gli pare di toccare il cielo con il dito, allorché si crogiola, si appisola dentro il seggiolone, lasciando il gatto assiso come una sfinge sulle ginocchia di lui, e sentendo il rantolio delle sue fusa lusinghiere, mentre il verdone appollajatosi sopra una spalla di lui gli manda al vicino orecchio un sentore di vigilanza geniale, protettrice. Ma una trista notte di febbraio, il gatto divenuto gattone, andando lontano in gattogna , venne ghermito in un laccio malandrino, e finito a mazzate, nonostante le più rabbiose e lamentose ed alte proteste dei suoi gnaulati, quindi venne macerato in una roggia, infine mangiato come lepre in un baccanale di lurida osteria. Senza il micio, anche il verdone gli pareva spaesato, distratto, smarrito. Inutilmente Meraldi gli rivolgeva la parola: * Verdone, o verdone, cugino primo dei canarini e cugino secondo dei cardellini, quando io era studente a Torino, vidi, ammirai un tuo collega, un antenato della tua specie in piazza Castello, addomesticato a tirare l'oroscopo, il pianeta della sorte dalla gabbia sotto il comando di un vecchio leggendario bagattelliere, che si diceva essere stato il misterioso uccisore del filosofo Rosmini a Stresa ... Verdone, o verdone, quale prossima sorte mi è riservata, mi attende? Ora quasi lo crucciava smaniosamente la voluta dimenticanza del mondo. Questa dimenticanza pare maravigliosa e non è punto maravigliosa né anche per chi abbia goduto di una celebrità europea. Le centurie dei malevoli e specialmente degli invidiosi e più specialmente dei giovani anelanti ad usurpare il posto dei ritirati dalla scena, aiutano a perfezione di riuscita l'impresa della volontaria dimenticanza. Riescono sempre prodigiosamente codeste congiure dell'avido rapace silenzio, salvo il soprassalto di un risveglio, quando si sente che un uomo già celebre è spirato definitivamente. Allora è un esclamare compunto unanime: "Credevamo che da un pezzo egli fosse nel Pantheon dei trapassati!" Ma più che l'isolamento dagli altri, più che il non ricevere visita o lettera veruna, tormentava Meraldi la coscienza della sua cresciuta impotenza cerebrale. La grafofobia non gli consentiva più di scrivere due righe. Pazienza! Egli si comandava pazienza, asciugandosi la fronte. Ma quando accintosi a leggere mezza pagina dei Miei tempi di Brofferio, così allegramente limpidi, e facilmente scorrevoli ed a lui familiari fin dai banchi della scuola, si accorse che non ne capiva buccicata, egli diede in un rovescio di pianto amaro, disperato. Nulla rende maggiormente spaurito, fuggiasco il letterato, che il leggere due righe e non riuscire più a comprenderle. Allora Adriano Meraldi deliberò di finirla senza più. Andò a togliere dal secreto armadio della sua camera da letto un pistolone, già di suo padre, un pistolone, che da tempo egli aveva accuratamente caricato; ne alzò il cane, esaminò la capsula pronta lucente. Rientrò sprangato nello studio, e per un istante posò l'arma sul vocabolario già inutilmente aperto per ricominciare una vita studiosa. Ora egli ha stabilito che lo studio sia il teatro della sua tragica fine. Ma prima volle ancora salutare la stanza, dove erano morti per lui i suoi ottimi genitori. Quivi si inginocchiò, pregò, pianse le sue lacrime più calde e rimordenti. Quindi, come se compisse in sé una vendetta di Nerina, ritornò risolutamente nel suo ufficio con gli occhi luminosi e ciechi. Brandì il pistolone, fece scattare replicatamente il grilletto, che ripetutamente gli rispose cecca. Egli si ostinava, senza esame, nella risoluzione dello sparo, quando alla nuova cilecca del colpo, sentì rispondere di fuori un gorgheggio, quasi un risolino festante trionfale. Si affacciò alla veranda e vide sulla banderuola del pinacolo il verdone che accompagnava ad ali larghe il suo canto. Esso come sapesse di salvare il suo scosso amico dalla grossa bestialità di un suicidio, saltabeccando incolume aveva svelta la capsula dal cane della pistola, ed era volato con la formidabile preda, che gli luccicava nel becco, ad una gronda, aveva lasciato cadere il fulminante micidiale in una tinozza quasi trasparente di lisciva innocua. Quindi era volato sulla banderuola del pinacolo a cantare giustamente vittoria. Quel gorgheggio suonava un incoraggiamento, un saluto alla vita di Adriano. Il salvato Meraldi guardò con occhio di commozione tra il rimprovero e la riconoscenza il suo piccolo salvatore. Ed il verdone gli rivolava amichevolmente sulla spalla destra, beccandogli dolcemente il lobo dell'orecchio, come per trasfondergli un'elettricità di vita nuova. Disavvedutamente tre giorni dopo, Adriano Meraldi, chiudendo dietro sé l'uscio dello studio, schiacciava il suo piccolo salvatore. L'ultimo gemito dello schiacciato parve gelargli tutto il sangue nelle vene. Raccolse tra le palme trepide quel cadaverino caldo, allungato, dagli occhietti pungenti, a cui avrebbe voluto ridare l'anelito con tutto il soffio della propria residua vita. Lo seppellì in un vaso di fiori. Dopo allora il mondo vivente cessò assolutamente dall'avere qualsiasi attrattiva per lui. Inutilmente per lui alle bieche giornate del rigido inverno succedeva il sole ... Egli più non sentiva la beneficenza dei raggi solari sulle guancie, mentre l'erba bianca cristallina dei prati pareva luccicare festosamente al sole rinato. Inutilmente la luna suscitava nelle brine il scintillio vivace delle gemme ... Egli pensò, ripensò, aspirò unico rimedio, l'alta nebulosa ogiva del vecchio ponte sulla Gerolamia. Ed egli che vent'anni prima era accorso ad impedire il tonfo di Spirito Losati precipite nel rapido fiume, egli che ora smaniava di sfuggire ad una esposizione mortuaria, fu rinvenuto nel torrente gelato, cadavere in vetrina. * * * L'avv. Gioiazza riandò più brevemente la fine di Federico De Ritz, attesa la incertezza delle sue straordinarie finali vicende. Si disse nientemeno, che il biondo garibaldino italiano oriundo tedesco annerisse guerreggiando fra le fila degli Zulu, e fosse desso lo scagliatore della zagaglia, che trafisse il principe Eugenio Napoleone cantato dal Carducci. Alla sua volta egli procombeva eroicamente difendendo la libertà dei Boeri contra gli stessi Inglesi, mentre, se non fosse stato il vituperio di Nerina, avrebbe potuto perdurare e finire eroe della virtù italiana. Naturalmente il padre di Federico, barone ... e la madre signora Ninfa nata Amasole morirono di morte accelerata dallo accoramento per la scomparsa di quel tesoro unico di figlio. Gioiazza crede di vederne i lumi ... penosamente agitati. Altri lumi gli rischiarano la certezza di altre vittime direttamente o indirettamente causate da Nerina. Riffola, uno dei primi amanti di frodo della tota e della contessa, finì giustiziato con la sedia elettrica nel Colorado degli Stati Uniti d'America. Il marchese Stefanina, nelle cui sale Federico De Ritz era stato presentato a Tota Nerina, andò a Terracina, ossia in bolletta. Si direbbe che il contatto di Nerina abbia portato a tutti la iettatura ... Così narrano quei lumi alla contemplazione di Gioiazza ... Ecco il Santo lume di Suora Crocifissa, strappata per il subbuglio della Contessa alla Provvidenza del Santo Oblio ... Eccola spenta carbonizzata nell'incendio di un cinematografo di Parigi, dove aiutata da un cuoco eroe aveva salvate parecchie vite da certa morte, mentre giovani visconti eredi delle Crociate calpestavano donne cadute, le calpestavano per salvare la propria pelle. Come guizza ora il lume di Suor Crocifissa spenta eroicamente! Il reverendo socio di Suor Crocifissa nelle fondazioni caritatevoli, canonico Giunipero, detto anche Puerperio, a detta dell'avvocato Gioiazza, morì di parto, dopo che il Tribunale Civile in sede commerciale dichiarava il fallimento della sua appena sbocciata Società Alimentare delle misere lattanti. * Questo è un lume ben grosso! * continuava nelle sue osservazioni l'avvocato Gioiazza additandolo a se stesso: * Sono certo di non errare attribuendolo a Monsignor Pettorali arcidiacono della Basilica Metropolitana di Trentacelle, quegli che dichiarava apertamente preferire a un cardinale papabile una badessa palpabile ... Ebbene si dice, che anch'egli per una saggiatura di Nerina spinta all'indigestione, sia rimasto soffocato nella sua obesità rosea pallida. Invece Evasio Frappa, il caustico bozzettista dell' Eco di Trentacelle , dopo essersi scapriccito con Nerina vuolsi strozzato, bruciato da una congestione nera. Che schizzi satirici dà il suo lume! Persino la perla degli amici del Mezzogiorno, Cristiano della Monaca, già studioso ingenuo, poi professore, in cui la grande scienza si combinava colla grande modestia, dopo avere conosciuto biblicamente Nerina, cambiò carattere e connotati. Da chiaro alienista diventò poco per volta un oscuro alienato. Vantavasi di aver curato il nervosismo delle più cospicue signore d'Italia e d'Europa e d'America, e proclamava superiore alle presidentesse, alle regine e alle imperatrici, proclamava la Contessa De Ritz. Ed egli era l'uomo superiore, il superuomo più sprezzante di questo mondo. Non riconosceva supremazia altrui in nessun genere. Non parliamo della sua scienza. Ma se egli avesse voluto fare il letterato, l'artista e l'uomo politico, sarebbe stato il primo letterato, il primo artista, il primo statista dell'orbe terracqueo e della Storia universale. Cadde pedestremente ammalato. Avrebbe avuto bisogno di un servo infermiere, che gli fosse familiare sostegno. Non trovò Carlino il domestico toccasana romantizzato da Giovanni Ruffini. Inciampò in una portinaia, rassomigliante fisicamente e moralmente a una scimmia, una forca di scimmia come la donna satirizzata da Simonide. La fece sua e ne divenne schiavo da catena. Avviso al lettore ed anche all'osservatore dell'illuminazione. Una vera scimmia chimpanzè dal balcone di un vicino lo scherniva con lazzi petulanti e sforacchianti. Egli la uccise con una schioppettata, dicendole: "Prega per me!" Venne dichiarato pazzo. Così l'alienista alienato terminò con il peggiore morbo in una casa cosidetta di salute. L'avvocato Gioiazza non si stancava di applicare nomi di persone vissute e defunte a quei filari di luci, a quei viali di lumi, a quello zodiaco di fiammelle, che componevano l'illuminazione notturna di Torino. Quel formicaio di faville sono le vittime disperse del Santo Oblio, sono le schiave bianche costrette alla prostituzione dai Regolamenti dei paesi liberi e civili. Qua e là in quei lumicini Gioiazza scorge un monaco greco strangolato, un papuasso turco impalato, una Suora Levantina morta naufraga con Suora Ermellina Diotamo, e con Padre Equoreo e con Franco Massi, parecchi cantori dalla voce squarciata e varii pittori dalla tavolozza infranta, un hidalgo piegato a ciabattino, un vegetariano scarnificato, un principe russo annichilito ... In quel lanternone veggo la fu squarquoia pretoressa Frusoli svolazzante come falena, evanescente come festuca da fuoco di paglia! ... Tutte conoscenze di Nerina ... Quanti lumi! Tante vittime! Che visibilio di perduta gente. E nessun lanternino si salva in questo naufragio di lanterna magica? Unici salvi dal naufragio dei Capricci di Nerina le coppie dei Losati e degli Svolazzini, che credettero una cosa seria l'amore e affermarono la loro fede con il matrimonio. Unici rimasti ritti nel generale abbattimento Svembaldo e Gilda perché avevano tenuto fede al proprio amore; Spirito e Lorenzina, perché questa imperterrita aveva perdonato ad un amore alieno del marito ed aveva ricondotto lui alla fede coniugale. Di vero il barone ing.re Svembaldo Svolazzini ha la più alta e meritata fortuna con la costruzione delle locomotive a vapore e dei vagoni ferroviarii, rendendone l'industria nazionale quasi sovrana, mentre prima era tributaria omninamente all'estero. Il barone Svembaldo figlio è già succeduto al barone Rollone padre nel Senato del Regno. La giovine baronessa, leggendo una gentile novella di Nino Pettinati, concepì il gentile pensiero, che suo marito designasse e facesse costruire per la vecchia baronessa madre emiplegica un vagone appositamente imbottito e adobbato ... quasi su misura. Ora la austera semiparalitica ancora desiosa di mobilitazione se ne serve quasi a delizia, facendosi trasportare dalla villa di San Gerolamo alle Officine di San Pier d'Arena, e a Roma per i ricevimenti Vaticani e per le Sedute Reali del Parlamento e dei Lincei. Onde la vecchia già orgogliosa ed inesorabile ora benedice teneramente al figlio e alla nuora. Il professore Spirito Losati già vide celebrarsi il proprio giubileo cattedratico con targa, medaglione, medaglietta, pergamena, album di autografi illustri e di sottoscrizioni popolari, banchetto e marcia musicale espressamente per lui composta dal compositore Maestro organista Massimo Bonario. Si dice pure prossima la sua chiamata all'alto ed augusto consesso dei Senatori. La consorte del cattedratico, anziché ampliarsi come una cattedrale, si rimpiccolisce e si mostra umile in tanta gloria ed accarezza con un profumo di santa massaia operosa il marito, i figli, non che il vecchio papaloto , macellaio emerito. Quindi conclusione indeclinabile: principale, se non unica, felicità sulla terra è l'amore reso divino ossia congiunto ai doveri e senza capricci. Ed egli Gioiazza? Egli, che predica così bene, razzola forse male? Facendo uno spregiudicato esame di coscienza, egli crede di avere adottato questo programma, questa filosofia della vita: essere sempre tollerante, e possibilmente irreprensibile, tenendo fermi i seguenti capisaldi: onore, dovere, riconoscenza, proporzionalità, e sopratutto amore; per la proporzionalità trattare le pie monache come pie monache e non come dissolute sgualdrine; trattare le dissolute sgualdrine come dissolute sgualdrine e non come pie monache, e così nel termini medi restare equanimi; per l'amore massimamente del prossimo, fare tutto il bene che si può, non fare mai del male a nessuno, non fare mai ingiustamente soffrire alcuna creatura ... * Ma, dico, padre Zappata, che predica così bene, praticamente come razzola ... ? L'avvocato Ilarione Gioiazza, nel difendere la sua condotta davanti se stesso, ha l'ilare coraggio di paragonarsi al Padre della Patria. Sì per giustificare il suo faux menage , la sua vita domestica more uxorio con Quagliastra, ha l'ardimento di riferirsi all'esempio del Gran Re Liberatore, che nell'amore relativamente libero, predilesse come raggio della Natura, figlia o nipote divina, la forma e la psiche popolare. Gli è vero che Vittorione, dopo aver sposata morganaticamente una piacentissima tamburina, sentendo che l'Altezza Reale di un suo augusto cugino faceva lo stesso con una ballerina, sentenziò in un eccesso di autocritica scherzosa, fino a tradurre dialettalmente un verbo plebeo di Dante: Casa d'le Crossade a l'è ampus ... asse pa' mal! Ma è pur verissimo che papà Vittorio, il Gran Re finì vittorioso a Roma, mentre il piccolo Napoleone, imperatore curvo al lecchezzo delle superbe dame, venne abbattuto, spazzato via da una delle più sonore batoste storiche ... * Ma, * ripiglia * padre Zappata, hai forse seguito, per quanto ti fosse possibile, l'esempio morganatico del Gran Re? * Comprendo, * rispondeva a se stesso, sdoppiandosi psicologicamente l'avvocato * comprendo ed apprezzo il tuo sospetto, comprendo e sento la tua gelosia quasi lancinante per le testarde premure della tua serva padrona verso il giovane ortolano, benché Miclìn si mostri teco estremamente servizievole con un'aria da santificetur e con un profilo di San Luigi Gonzaga. * Insomma chi conterà la fine di un capriccio di Gioiazza? Lo conterà la sua serva padrona ed ereditiera? Per ora l'avvocato Gioiazza, constatando che non è possibile restaurare il concubinato nella presente civiltà giuridica, presagisce, che egli finirà con lo sposare Quagliastra almeno con il rito religioso, magari licenziando il giovine ortolano, ed assumendo all'irrigazione e alla coltivazione dell'orto un giardiniere stravecchio, o meglio un veterano reduce d'Africa, a cui gli abissini abbiano fatto l'estremo oltraggio, dando gli onori dei cantori della cappella Sistina. Nell'ultimo sguardo alla illuminazione della sottostante Torino, l'avvocato Gioiazza già si vede, come in uno specchio: salire alla villa, portando la sporta alla cuoca elevata a mogliera, ed aggiungendole cordiali, stimolanti e rispettose facezie per ingraziarsi lei ingrugnata, per feje chitè 'l grugn. Il purgato spirito di Nerina folgore caduta in un pozzo, risorgerà in alto, in alto, e sorriderà da una stella invisibile al critico contatore dei Capricci per pianoforte .

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