Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonati

Numero di risultati: 8 in 1 pagine

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D'Ambra, Lucio

220458
Il Re, le Torri, gli Alfieri 1 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Ma i rumori che mi giungevano dalla stanza vicina non tardarono molto a distrarmi dal mio lavoro di revisione; e ad informarmi, meglio di un buco praticato nella pesante porta che ci separava, sul genere d'occupazioni cui Sua Altezza e la duchessa s'erano, dopo brevi preliminari collezionistici, assai calorosamente abbandonati. Ma la vita di Corte mi aveva già abituato a sentire ogni genere di rumori con la stessa tolleranza con cui ne vedevo di tutt'i colori. Era del resto evidente che, per quanto una dama possa andar pazza per le medaglie del Pisanello, un'ora e più è un limite di tempo veramente superiore ad ogni più esagerata e platonica ammirazione. Era trascorsa più di un'ora, infatti, quando Sua Altezza ricomparve nella biblioteca con l'aria più tranquilla e più innocente del mondo. Ma uno sguardo scambiato fra noi bastò a spiegarci reciprocamente la durata di quella visita ai medaglieri di Sua Altezza. Quando gli occhi si spiegano le parole sono inutili e fu quindi in silenzio che Sua Altezza tornò a sprofondarsi nella sua poltrona di marocchino rosso e, accesa una sigaretta, mi invitò con un cenno di mano a riprendere la lettura interrotta. Ricominciai imperterrito a leggere mentre Sua Altezza cedeva a poco a poco a quella sonnolenza soddisfatta e beata che segue i pasti abbondanti e gli amori felici. Ma era destino che la conferenza venutami giù di getto dovesse essere nota al principe per frammenti: chè leggevo appena da dieci altri minuti quando la porta s'apri di nuovo e Sua Altezza venne informata che la marchesa di Setteporte chiedeva anche essa di vedere la collezione di medaglie: non aveva, questa seconda dama, una spiccata preferenza per il Pisanello ma il suo interesse per il medagliere del principe non era meno vivace. Questa volta il principe si levò un po' meno vivacemente di prima e non m'invitò a rivedere quello che avevo letto: mi suggerì invece cortesemente di prendermi un breve riposo chè in dieci minuti al massimo avrebbe certamente sbrigato la gentile visitatrice. Ci volle invece un'ora e mezza. Questa volta ero disoccupato, e, disteso su un divano, fumando, potevo anche meglio della prima volta avere esatta nozione delle manifestazioni di riconoscenza cui giungeva l'ammirazione soddisfatta della marchesa per le collezioni di Sua Altezza. Il gran Condé dormiva placidamente e profondamente nella notte precedente alle sue più ardue battaglie. Io potevo quindi, con non minore forza d'animo, appisolarmi durante quelle scaramucce d'amore. I vecchi capitani pronti a tutto e, i vecchi testimoni a tutto abituati possiedono la medesima imperturbabilità. E, quando, un'ora e mezza dopo, Sua Altezza mi destò rientrando nella biblioteca, gli sguardi non bastarono più e ci vollero le parole per manifestarmi chiaramente il suo malumore. — Caro d'Apre, — mi disse, — la cosa comincia a diventare fastidiosa, e queste signore non mi dànno il tempo di respirare. Ho veduto iersera queste due signore all'Opera e le ho invitate, come invito tutte, a venire ad ammirare la mia collezione di medaglie a bere una tazza di te. Ed eccole qui oggi tutt'e due, una dopo l'altra. Decisamente qui bisogna cominciare a rovesciare le parti: poichè non si lascian pregare, sarà necessario che incominci io a farmi pregare! Non insistemmo e riprendemmo per la terza volta la lettura. Eravamo nel cuore della conferenza adesso, e Sua Altezza, non più sonnolenta, ma sostenuta invece da quell'eccitazione nervosa che segue i grandi strapazzi intellettuali, seguiva la mia narrazione col più vivo interesse e con frequenti cenni d'approvazione. Ma la porta si aprì una terza volta, e Sua Altezza venue informata che la principessa di Malaguena desiderava d'ammirare a sua volta collezione di medaglie. Vidi Sua Altezza levarsi in piedi d'un balzo stringendo i pugni e frenando la sua ira, finchè il maggiordomo non si fu allontanato e non ebbe richiusa la porta. Poi si volse verso di me che, levato il volto dal manoscritto sfortunato, guardavo Sua Altezza sorridendo: — Lei sorride! — esclamò Sua Altezza, con un tono irritato. — Lei sorride, eh? Ma vorrei un po' vederla al mio posto. L'invito alla principessa di Malaguena non l'avevo arrischiato che stamattina incontrandola a cavallo al Viale del Tigli. Ed eccola qui, sei ore dopo. È un'esagerazione.... E ci tenessi, almeno.... Ma niente affatto! Sparo a polvere tanto per rimanere in esercizio. Ma per loro basta. Sono uccellini che si contentano del rumore per potersi decentemente dare per morti. Feci rispettosamente osservare a Sua Altezza che, ingrato come tulti gli uomini si lamentava ingiustamente d'una troppo benigna fortuna. — Ma è la terza, sa, — rispose il principe, — e le ripeto che vorrei veder lei al mio posto. Non raccolsi quello che v'era di poco lusinghiero in questa ripetuta esclamazione che mi riguardava e approfittai invece del silenzio del principe, che camminava, con le mani in tasca e il naso verso terra, su e giù, furiosamente, per la biblioteca, per ricordargli che la principessa di Malaguena lo attendeva e che non era possibile farla più oltre aspettare; e che, date le circostanze, non gli rimaneva altro che sacrificarsi eroicamente e andarla sùbito a raggiungere. — Io? Ma lei è matto! — esclamò il principe fermandosi davanti alla mia scrivania e usando con me un linguaggio cosi confidenzialmente irriverente che era naturalmente giustificato dalla sua agitazione. — Lei è matto, caro d'Aprè! Scriverò a mio padre, stasera stessa, che Pulquerrima è una residenza inabitabile, e che qui non basta un principe ereditario ma ce ne vogliono dieci! E sa, intanto, che cosa faccio io? Mi faccia il piacere di cedermi il suo posto...._Grazie. Ecco. Mi siedo qui e la lettura della sua bella conferenza me la finisco per conto mio. E si mise a leggere, seduto al mio posto, coi pugni stretti alle due tempie. Osai ricordare a Sua Altezza la principessa che aspettava. — La principessa? — mi rispose senza levar gli occhi dal manoscritto. — La principessa, senta, me la sbrighi lei. Mi faccia questa cortesia. Le dica che sono uscito, che son malato, che non voglio essere seccato. Le dica che la collezione di medaglie non c'è più. È sparita, me l'hanno rubata, l'ho venduta, sono impazzito e in una crisi di follia l'ho gettata tutta dalle finestre. Lei saprà che cosa dire. Le situazioni difficili son fatte apposta per lei. Gli amici dispotici son come i sovrani assoluti: non discutono. E io che conoscevo Sua Altezza non tentai di ragionare e mi decisi sùbito a sbrogliare una volta di più una matassa intricata. Aggiustai la mia cravatta, spolverai la cenere delle sigarette sul mio vestito, presi un viso di circostanza, e mentre Sua Altezza, assorta, continuava a leggere le nostre avventure di terra e mare, m'avviai verso la mia impreveduta avventura di salotto. Aprii la porta ed entrai, guardingo, nella gabbia della leonessa. La quale leonessa era quanto mai addomesticata e leggiadra. Mi strinse la mano con cordialità e prese per buone tutte le spiegazioni che le davo per l'assenza del principe trattenuto quel giorno dalle sue gravi responsabilita al comando del Corpo d'Armata. Solo manifestò il suo profondo rammarico di non poter ammirare la collezione di medaglie. Le chiesi se anche la sua predilezione fosse per il Pisanello, ma la principessa ebbe l'aria di cadere un po' dalle nuvole. Per fortuna non si sbilanciò a domandarmi se il Pisanello aveva studio a Pulquerrima. E, tanto per tener viva la conversazione, mi scappò di bocca — giuro che fu senza malizia! — ch'ero collezionista anch'io: non di medaglie, ma d'una cosa assai più leggera, i ventagli. Gli eventi precipitarono. La principessa non tardò a dichiararmi che le collezioni di ventagli la interessavano in generale assai più di quelle di medaglie. Dovetti per cortesia dichiararle che sarei stato felice di mostrarle la mia. Accettò. Chiesi che mi fissasse una data e mi sentii rispondere ch'era pronta ad ammirarla anche sùbito. Tutto questo naturalmente con un'innocenza, con una semplicità, con una serietà impassibile come che si trattasse veramente di medaglie e di ventagli. Non c'era altro da fare che quello che feci: aiutare la principessa a indossar di nuovo il Mantello e offrirle la mia automobile per recarci a casa mia, scusandomi di non poterle mostrare, cosi all'improvviso, che una collezione incomplela e disordinata. Naturalmente in automobile non si parlò che di ventagli. In materia d'amore davvero la parola è fatta per nascondere il pensiero. Non parlavamo che di ventagli. Io risalivo a mano a mano fino alle fêtes galantes del secolo decimottavo. La principessa mi ascoltava con la più intensa attenzione come se non si fosse mai interessata d'altro in vita sua. E ne parlammo tanto, dei miei ventagli, che giunti a casa ci dimenticammo tutt'e due di guardarli. Era avvenuto lo stesso con Sua Altezza. I Pisanello, da sei mesi, non avevano visto altra luce oltre quella filtrante dagli spiragli delle loro inviolate custodie. Quando i fatti compiuti ci permisero di parlar d'altro che di ventagli, la seducente principessa mi costrinse a confessare che proprio quel giorno Sua Altezza non aveva avuto proprio nulla da fare al comando del Corpo d'Armata e che non s'era mosso da palazzo. Aveva infatti incontrate poco prima la duchessa di Villahermosa e la principessa di Setteporte che le avevano parlato con entusiasmo dei Pisanello. E, con una moina adorabile, la principessa di Malaguena mi chiese: — Spiegami un poco in due parole che cosa sono i Pisanello. Devo far credere di averli visti anch'io. Capirai, caro, che non posso essere da meno di loro. — E i miei ventagli? — chiesi. — I tuoi ventagli, no, caro. Non c'è bisogno di parlarne. Che c'entra? I ventagli son per il piacere. Ma le medaglie son per l'onore!

Mitchell, Margaret

221338
Via col vento 5 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Quando si è egoisti e risoluti come voi, non si è mai abbandonati. Dio deve aiutare piuttosto gli yankees, se per caso capitate fra loro! - Scese bruscamente dal carro, e poiché ella lo guardava sbalordita, girò dalla sua parte e le ordinò: - Scendete. Ella lo fissò. Rhett la prese alla vita senza complimenti e la depose a terra accanto a lui. Tenendola leggermente alla cintura, la trasse a parecchi passi di distanza. Ella sentiva la polvere e i sassi penetrare nelle sue scarpine. Le tenebre calde l'avvolgevano come un sogno. - Non vi chiedo di comprendere o di perdonare. Io stesso non mi comprendo, e non mi perdonerò mai questa idiozia. In fondo, mi secca di trovare in me ancora tanto donchisciottismo. Ma i nostri bei Paesi del Sud hanno bisogno di ogni uomo. Non lo ha detto anche il nostro bravo governatore Brown? Ma non importa. Vado alla guerra. Rise improvvisamente, un riso squillante che destò gli echi nel bosco nero. - «Non ho potuto amarti, cara, piú di quanto amassi l'onore.» Un bel discorso, no? Certo migliore di quel che sarei capace di fare io in questo momento. Perché vi amo, Rossella, malgrado quel che vi ho detto quella sera sotto il porticato, un mese fa. La sua voce era carezzevole e le sue mani calde e robuste, le lisciavano le braccia nude. - Vi amo, Rossella, perché ci somigliamo tanto; rinnegati, tutti e due, e profondamente egoisti. A nessuno di noi due importa che il mondo vada in rovina, purché noi ci salviamo. Ella udiva le parole, ma non ne capiva il senso. Cercava di rendersi conto della tremenda verità: egli la lasciava sola, ad affrontare gli yankees. Il suo cervello le diceva: «Mi lascia, mi lascia.» Ma non provava emozione. Allora le braccia di lui le circondarono la vita e le spalle, ed ella sentí i suoi muscoli saldi, e i bottoni della sua giacca che le premevano contro il petto. Un senso di calore, di stupore, e di sgomento la invase offuscando in lei ogni cognizione di tempo e di luogo. Si sentiva come una bambola di stracci debole e rilassata; e le piaceva sentirsi sorretta da quelle braccia vigorose. - Non volete cambiare idea a proposito di ciò che vi dissi quella sera? Non vi è nulla di meglio del pericolo e della morte per dare una spinta. Siate patriottica, Rossella. Pensate che manderete un soldato alla morte con un bel ricordo. Ora la baciava. E i suoi baffetti le sfioravano la bocca; la baciava con le labbra ardenti, lentamente, come se avesse avuto a sua disposizione tutta la notte. Carlo non l'aveva mai baciata cosí. E nemmeno i baci dei Tarleton e di Calvert le avevano dato quella sensazione di caldo e di freddo e l'avevano fatta tremare cosí. Le riversò il corpo all'indietro e le sue labbra le accarezzavano la gola, fin dove il cammeo le chiudeva la scollatura. - Tesoro - mormorò egli - tesoro... Ella scorgeva vagamente il carro nell'oscurità. A un tratto udí la vocetta acuta di Wade. - Mamma! Wade ha paúla! Alla sua mente confusa tornò improvvisamente la realtà ed ella ricordò ciò che aveva dimenticato per un attimo: che aveva paura e che Rhett, quel maledetto mascalzone, stava per lasciarla. E per colmo aveva la sfacciataggine d'insultarla con le sue infami proposte. Ira e odio s'impadronirono di lei; con uno sforzo ella si strappò alle sue braccia. - Mascalzone! - esclamò; e cercò di ricordarsi i peggiori insulti, quelli che aveva udito adoperare da Geraldo contro Lincoln, contro McIntosh e contro i muli testardi: ma le parole non vennero. - Abbietto, vigliacco, odioso! - E non riuscendo a trovare altre parole abbastanza sferzanti, alzò un braccio e lo colpí sulla bocca con tutta la forza che le rimaneva. Egli indietreggiò portandosi la mano al viso. - Ah! - fece soltanto; e per un attimo rimasero a fissarsi nell'oscurità. Rossella udiva il suo respiro pesante; ed ella pure ansimava come se avesse corso. - Avevano ragione; tutti avevano ragione! Non siete un gentiluomo! - Cara ragazza, come siete inopportuna! - Andatevene! Andatevene subito! Non voglio vedervi mai piú! Spero che una palla di cannone vi colpisca, che vi faccia a pezzi. Che... - Il resto non importa. Accetto la vostra idea. Ma quando sarò morto sull'altare della patria, spero che la vostra coscienza vi rimprovererà. Lo udí ridere, mentre, voltava le spalle, si avviava verso il carro. Lo vide fermarsi e lo udí parlare con la voce rispettosa che usava sempre quando parlava a Melania. - Mrs. Wilkes? La voce spaventata di Prissy rispose: - Madre di Dio, capitano Butler! Miss Melly essere svenuta rovesciata indietro. - Non è morta? Respira? - Sí, signore. Respirare. - Allora, è meglio cosí. Se fosse cosciente, forse non potrebbe sopravvivere a tutto questo. Abbi cura di lei, Prissy. Questo è per te - e le diede una banconota.... Cerca di non essere piú stupida di quello che sei. - Sí, signore. Grazie, signore. - Addio, Rossella. Si era voltato a guardarla, ma ella non parlò. L'odio l'aveva ammutolita. Udí il suo passo sui ciottoli della strada e per un attimo vide le sue larghe spalle disegnarsi nel buio. E dopo un momento, era scomparso. Udí allontanarsi il rumore dei passi, fino a cessare completamente. Allora tornò lentamente verso il carretto, con le ginocchia che le tremavano. Perché se n'era andato cosí, nel buio, a mescolarsi alla guerra, a una Causa che sapeva perduta, a un mondo impazzito? Perché era andato, Rhett che amava il piacere, le donne, i liquori, il buon vino e i letti comodi, i bei vestiti e le belle scarpe, che detestava gli Stati del Sud e derideva gl'imbecilli che combattevano per essi? Ora le sue scarpe verniciate lo portavano su una strada dolorosa, su cui la fame camminava con passo instancabile, e che le ferite, la debolezza, l'angoscia percorrevano come un branco di iene urlanti. E all'estremità di quella strada era la morte. Non doveva andare, lui che era ricco e tranquillo. Ed era andato, invece, lasciandola sola in una notte nera come la fuliggine, con l'esercito yankee fra lei e la sua casa. Ora si ricordò tutti gli insulti che avrebbe voluto lanciargli, ma era troppo tardi. Appoggiò il capo sul collo curvo del cavallo e pianse.

Pagina 396

Andare alle Dodici Querce e alla piantagione di MacIntosh e vedere se negli orti abbandonati era rimasta qualche cosa; andare alle paludi e batterle per rintracciare polli e maiali smarriti, andare a Jonesboro e a Lovejoy coi gioielli di Elena... Doveva essere pure rimasto qualcuno che vendeva roba da mangiare! Domani... domani... La parola si agitava nel suo cervello come il battito di un orologio, sempre piú lentamente; ma la chiarezza della visione persisteva. Dai vecchi racconti che aveva ascoltato nella sua infanzia, qualche cosa emergeva chiaramente. Geraldo, senza un soldo, aveva costruito Tara; Elena aveva superato qualche misterioso dolore; il nonno Robillard, sopravvivendo alla caduta di Napoleone, aveva fondato nuovamente la fortuna della sua famiglia sulla fertile costa della Georgia; il bisnonno Prudhomme si era fatto un piccolo regno nella giungla di Haiti, lo aveva perduto, e poi aveva vissuto abbastanza per vedere il suo nome onorato a Savannah. Vi erano le Rosselle che avevano combattuto coi volontari irlandesi per la libera Irlanda e gli O'Hara che erano morti sul Boyne combattendo fino all'ultimo respiro per difendere la loro proprietà. Tutti avevano sopportato le piú grandi sventure. Non erano stati abbattuti dal crollo di imperi, di rivolte di schiavi, guerre, proscrizioni, confische. Il fato maligno aveva spezzato la loro vita, a volte, ma non i loro cuori. Non avevano ceduto; avevano lottato. Tutta quella gente il cui sangue scorreva nelle sue vene sembrava muoversi silenziosamente nella stanza inondata dal chiaro di luna. E Rossella non era sorpresa di vederli, quegli antenati che avevano avuto il peggio che il destino può assegnare e lo avevano trasformato nel meglio. Tara era il suo destino, la sua lotta, ed essa doveva vincere. Si voltò pigramente su un fianco; a poco a poco il suo spirito naufragava nell'oscurità. Erano davvero presenti, i fantasmi, e le mormoravano parole incoraggianti, o questo faceva parte del suo sogno? - Siate o non siate qui - mormorò sonnacchiosa - vi do' la buona notte... e vi ringrazio.

Pagina 430

E Franco non poté neppure raccontare dei cani e dei gatti: migliaia di animali affamati, abbandonati quando i loro padroni erano stati cosí bruscamente evacuati e che erano diventati quasi selvaggi per la paura, il freddo e la fame. Franco cercò nella sua mente qualche informazione meno spaventosa da fornire alle signore. - Vi sono alcune case ancora in piedi; case che erano lontane dalle altre e a cui il fuoco non si è comunicato. Sono rimaste anche le chiese e la Sala Massonica. E qualche negozio. Ma il quartiere degli affari nei pressi della ferrovia e dei Cinque Punti... tutto quello è raso al suolo. - Allora - esclamò Rossella amaramente - il magazzino che mi aveva lasciato Carlo vicino alla ferrovia è stato distrutto? - Se era presso alla ferrovia certamente non c'è piú; ma... - A un tratto sorrise. Come mai non ci aveva pensato prima? - Allegre, signore! La casa di vostra zia Pitty è ancora in piedi. Magari un po' danneggiata, ma esiste. - E come mai? - È di mattoni e è quasi l'unico tetto di ardesia che vi sia ad Atlanta; questo ha evitato che le scintille comunicassero il fuoco. Poi è quasi l'ultima casa a nord della città. Quando ho visto miss Pitty la settimana scorsa a Macon... - L'avete vista? E come sta? - Benone. Quando le ho detto che la sua casa era ancora in piedi ha subito pensato di ritornarvi. Cioè... se il vecchio negro Pietro glie lo avesse permesso. Molta gente di Atlanta è tornata, perché si teme che a Macon arrivino i soldati di Wilson, e questi sono peggiori di quelli di Sherman. - Ma che idea, tornare mentre non vi sono case! Dove abitano? - In attendamenti e capanne di legno, e sistemandosi in sei o sette famiglie nelle poche case rimaste. E tentano di ricostruire. Non dite che sono sciocchi, miss Rossella. Voi li conoscete come li conosco io. Sono attaccati alla loro città e - scusatemi, miss Melly - cocciuti come muli quando si tratta di Atlanta. Non capisco il perché; ma sarà perché io sono nato in campagna e non amo alcuna città. E i primi tornati sono i piú fortunati; gli ultimi invece non troveranno neanche una pietra, perché tutti quanti si riforniscono di quello che trovano per poter fabbricare. L'altro ieri ho visto la signora Merriwether con Maribella e la loro vecchia negra che caricavano delle pietre su un biroccino. E la signora Meade mi disse che appena il dottore fosse di ritorno, avrebbe, col suo aiuto, fabbricato una capanna di legno. Ha già vissuto in una capanna tanti anni fa, quando giunse ad Atlanta che si chiamava ancora «Marthasville»; e non le importa nulla di ripetere la stessa esperienza. Certo non parlava sul serio; ma questo dimostra la loro maniera di pensare. - Senza dubbio, sono pieni di energia - replicò Melania con orgoglio; - non è vero, Rossella? Rossella annuí, fiera essa pure della sua città di adozione. - Se zia Pitty torna ad Atlanta - proseguí Melania - forse faremo bene a tornarvi anche noi; altrimenti, se sta sola, muore di paura! - Come potrei lasciar qui tutto adesso? - ribatté Rossella sgarbatamente. - Ma se vuoi andare, vai; io non ti trattengo. - Non volevo dir questo, tesoro! - esclamò Melania desolata, arrossendo. - Non avevo pensato... Certo tu non puoi lasciare Tara; e... forse zio Pietro e la cuoca avranno cura di zia Pitty. - Ma non c'è nulla qui che ti impedisca di andare - ritorse ancora brevemente e con asprezza Rossella. - Sai che non voglio lasciarti. E... senza di te avrei troppa paura! - Come vuoi. Del resto, vedrai che appena Sherman saprà che è stata ricostruita qualche casa, tornerà a incendiarla. - Non tornerà - intervenne Franco; e, malgrado i suoi sforzi, il suo volto si oscurò. - Oramai ha attraversato lo Stato per impadronirsi della costa. Savannah è caduta in questa settimana; e pare che ora gli yankees siano diretti alla Carolina del Sud. - Savannah è caduta! - Sí. Non era possibile tenerla: vi erano troppo pochi uomini, benché siano stati mobilitati tutti quelli che potevano reggersi in piedi. Sapete che quando gli yankees marciavano su Milledge-ville furono chiamati tutti i ragazzi delle Scuole Militari e furono perfino aperti penitenziari per procurarsi delle truppe fresche? Sicuro: tutti i detenuti ebbero la possibilità di recarsi a combattere, con la promessa del condono della pena se uscivano salvi dalla guerra. Vi assicuro che c'era da rabbrividire a vedere quei ragazzi nelle stesse file con dei ladri e degli assassini! - E di questa gente hanno fatto dei soldati! - Non vi spaventate, miss Rossella; del resto hanno dimostrato di essere degli ottimi combattenti. - Ma dov'era l'esercito del generale Hood? - Il generale Hood è rimasto a combattere nel Tennessee per scacciare gli yankees dalla Georgia. - Ha fatto un bell'affare! - esclamò Rossella con sarcasmo. - Ha lasciato quei maledetti yankees spadroneggiare qui, facendoci proteggere soltanto da ragazzi di scuola, detenuti e Guardia Nazionale! - Non si parla in questo modo, figliuola - interruppe Geraldo. - Dai un dispiacere a tua madre. - Sono maledetti, gli yankees! - ripeté Rossella con calore. - E non potrò mai usare altre parole per loro. Il ricordo di Elena mise tutti a disagio, e la conversazione improvvisamente cessò. Fu Melania a riprenderla. - E a Macon avete visto Lydia e Gioia Wilkes? Avevano... avevano saputo nulla di Ashley? - No, miss Melania. Sapete che se avessi avuto notizie di Ashley sarei corso qui a spron battuto per informarvene. Ma non dovete essere troppo preoccupata per lui. Come volete che dia notizie di sé chi è in prigionia? E nelle prigioni yankee si sta assai meglio che nelle nostre. Vi è da mangiare in abbondanza e sono fornite di medicinali e di coperte... - Oh, lo so che sono ben provvisti! - esclamò Melania con amarezza. - Ma non danno niente ai prigionieri. E voi lo sapete, Mr. Kennedy; ma parlate cosí per tranquillizzarmi. Se si potessero fare scomparire gli yankees dalla faccia della Terra! Che volete, sono certa che Ashley è... - Non lo dire! - gridò Rossella col cuore in gola. Finché nessuno diceva che Ashley era morto, in lei sussisteva una debole speranza che egli vivesse ancora; ma le sembrava che se quelle parole fossero pronunciate, in quel momento egli morrebbe. - Non vi preoccupate per vostro marito, Mrs. Wilkes - intervenne il monocolo. - Io fui catturato nei primi tempi e poi fui scambiato; e mentre ero in prigione mangiavo polli e focacce... - Bugiardo! - E Melania accennò a un sorriso. E poi, per cambiare argomento: - Se vogliamo andare in salotto, vi canterò qualche canzone di Natale. Il pianoforte è la sola cosa che gli yankees non hanno potuto portar via. Dev'essere terribilmente stonato; vero, Súsele? - Terribilmente - rispose Súsele, sorridendo a Franco. Si alzarono per passare nell'altra stanza; sulla soglia Franco trattenne Rossella per la manica. - Posso parlarvi un momento a quattr'occhi? Per un attimo ella ebbe il timore che l'ufficiale volesse chiederle le sue provviste di vettovaglie; e si preparò a mentire coraggiosamente. Rimasero soli dinanzi al caminetto; e tutta la falsa gaiezza che aveva animato il volto di Franco Kennedy scomparve. Rossella ebbe l'impressione di trovarsi dinanzi a un vecchio. Egli si tirò un momento le fedine grige e si raschiò la gola prima di parlare. - Mi dispiace molto di vostra madre, miss Rossella... - Non ne parliamo, vi prego! - E vostro padre... è cosí da quando...? - Sí... non è piú in sé... Ma vi supplico... - Scusate, miss Rossella. - E stropicciò i piedi nervosamente. - Ma il fatto è... Insomma, volevo dire qualche cosa a vostro padre, ma capisco che è inutile. - Forse potete parlare con me, Mr. Kennedy. Oramai... sono io il capo di casa. - Ecco... - e Franco ricominciò a tirarsi la barba. - Volevo... volevo chiedergli la mano di miss Súsele. - Ma come! - esclamò Rossella stupita. - Non gliel'avevate ancora chiesta? E le fate la corte da tanti anni! Egli arrossí e sorrise imbarazzato, come un ragazzo timido. - Ma... non sapevo se... se vostra sorella era disposta... Io sono molto piú vecchio di lei... E c'erano tanti giovinotti che giravano qui intorno... «Bah!» pensò Rossella. «Venivano per me, non per lei!» - E non so neanche adesso se... se mi vuole. Non gliel'ho mai domandato, ma... credo che lei sappia qual è il mio sentimento. Miss Rossella, io non ho piú nulla. Avevo molto denaro - scusatemi se ne parlo - ma non mi è rimasto altro che il mio cavallo e l'abito che ho addosso. Quando mi arruolai vendetti la maggior parte della mia proprietà e investii il denaro in titoli della Confederazione; e voi sapete che cosa valgono oggi. Meno della carta su cui sono stampati. D'altronde, non ho neppure questi, perché sono andati bruciati quando gli yankees incendiarono la casa di mia sorella. So che ho torto a chiedere miss Súsele oggi, ma... Non so che cosa succederà di noi quando la guerra sarà finita. Mi sembra la fine del mondo: non siamo sicuri di nulla. Però... penso che potrebbe essere un conforto per me e forse anche per lei se fossimo fidanzati. Non chiedo di sposarla finché non potrò essere in grado di mantenerla; e non so quando ciò potrà accadere. Ma se il vero amore può equivalere alla ricchezza, vi assicuro che Súsele, da questo punto di vista, sarà ricca come nessun'altra al mondo. Disse queste ultime parole con una dignità che commosse Rossella, benché le sembrasse strano che qualcuno potesse amare sua sorella. Questa le sembrava un mostro di egoismo e di perversità. - Va bene, Mr. Kennedy - rispose tranquilla. - Credo di potervi rispondere a nome di mio padre. Egli ha sempre avuto simpatia per voi ed era sicuro che Súsele vi avrebbe sposato. - Davvero? - esclamò Franco, felice. - Senza dubbio - e nascose un sorriso ricordando quante volte Geraldo aveva brontolato perché lo spasimante di Súsele non si decideva a manifestare le sue intenzioni. - Le parlerò stasera - proseguí egli, con le labbra un po' tremanti. Poi prese la mano di Rossella e la strinse. - Siete molto buona, miss Rossella. - Adesso ve la mando - e Rossella si avviò verso il salotto, da cui giungeva suono del pianoforte e la voce di Melania che cantava un inno. Bruscamente si volse verso Kennedy. - Che avete voluto significare dicendo che vi pare la fine del mondo? - Vi parlerò con franchezza - cominciò Franco lentamente - ma non vorrei che spaventaste le altre signore ripetendo loro quello che vi dirò. La guerra non può piú durare a lungo: non abbiamo piú uomini e i disertori sono numerosissimi; molto di quanto si voglia riconoscere. Non vi sono viveri, e senza mangiare non si può combattere. Lo so perché sono addetto appunto al vettovagliamento. Ho percorso in tutti i sensi questa regione da quando abbiamo ripreso Atlanta: non vi è di che nutrire un uccellino. E lo stesso è per trecento miglia a sud di Atlanta. Il popolo muore di fame; le ferrovie sono distrutte; non abbiamo piú fucili, le munizioni si stanno esaurendo e non vi è cuoio per le scarpe... Perciò, siamo alla fine. La fine delle speranze della Confederazione turbò Rossella meno delle notizie sulla scarsità di viveri. Se quanto diceva Franco era vero, era inutile mandare Pork col denaro degli Stati Uniti a cercare di procurare qualche cosa... Ma Macon non era caduta. A Macon dovevano esservi dei viveri. Appena il commissario del dipartimento fosse ripartito, ella manderebbe Pork a Macon. Pazienza: correrebbe il rischio che il cavallo fosse requisito dall'esercito! Ma valeva la pena di tentare. - Bene, non parliamo di cose spiacevoli stasera, Mr. Kennedy - disse. - Andate nello studietto della mamma; vi manderò Súsele, cosí potrete... insomma, avrete un colloquio con lei. Sorridendo, rosso di emozione, Franco uscí dalla stanza: Rossella lo seguí con lo sguardo. «Peccato che non possa sposarla adesso» pensò. «Sarebbe una bocca di meno in casa.»

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No, era qualche altra cosa oltre al trascorrere del tempo; qualche cosa che li aveva abbandonati. Cinque anni prima essi avevano una sicurezza di cui erano ignari; ora questa era scomparsa e con essa era scomparsa la gioia e la gaiezza del loro modo di vivere. Anche lei era cambiata, ma non come questi altri; e ciò la rendeva perplessa. Li guardava come se fosse una straniera, giunta da un altro mondo, con un linguaggio che essi non comprendevano, come essa non comprendeva il loro. Era lo stesso sentimento che provava accanto ad Ashley; con lui e con le persone simili a lui. I volti erano poco cambiati e i modi non lo erano affatto; ma questo era tutto ciò che rimaneva dei suoi vecchi amici. In loro era ancora una dignità e una galanteria immutate, che avrebbero conservato sino alla morte; ma con questa avrebbero portato nella loro tomba un'amarezza troppo profonda per essere espressa in parole. Era un popolo ardito, ma stanco, che era stato sconfitto e non voleva accettare la sconfitta; abbattuto, ma pure deciso a rimanere in piedi. Costoro vivevano nel paese che amavano, lo vedevano calpestato dal nemico; vedevano furfanti che s'infischiavano della legge, i loro antichi schiavi divenuti una minaccia, i loro uomini privati dei diritti politici, le loro donne insultate. Tutto era dunque mutato meno le antiche forme. Le vecchie usanze continuavano, poiché rappresentavano tutto ciò che rimaneva loro. Sí, essi restavano aggrappati a ciò che avevano amato: la cortesia, le maniere galanti, la piacevole superficialità nei rapporti sociali, e, piú di tutto, l'atteggiamento protettore degli uomini verso le donne. Questo, pensava Rossella, era il sommo dell'assurdità, perché vi era ben poco ormai che anche le donne piú riservate non avessero veduto e conosciuto in quegli ultimi cinque anni. Avevano curato i feriti, chiuso gli occhi ai moribondi, sofferto la guerra, l'incendio, la devastazione, conosciuto il terrore, la fuga e la fame. Ma, qualunque cosa avessero veduto, a qualunque lavoro si fossero assoggettati, rimanevano signore e gentiluomini, regalità in esilio; amari, distanti, incuriosi, buoni gli uni per gli altri, duri come il diamante, e brillanti come i cristalli del lampadario deteriorato sulle loro teste. Rossella sapeva che ella pure era mutata. Altrimenti non avrebbe potuto compiere ciò che aveva fatto da quando era arrivata ad Atlanta. Né avrebbe contemplato la possibilità di compiere ciò a cui disperatamente agognava. Ma vi era una differenza tra la sua asprezza e quella di loro; una differenza di cui non si rendeva conto. Forse era questa: che non vi era nulla che ella non avrebbe fatto, mentre vi erano tante cose che quella gente avrebbe preferito morire piuttosto che compiere. Forse non speravano piú nulla, ma sorridevano ugualmente alla vita; ciò che Rossella non poteva fare. Quelli che ella vedeva non erano volti erano maschere che non sarebbero mai cadute. Ed improvvisamente li detestò, appunto perché erano diversi da lei, perché sopportavano le loro perdite in una maniera che a lei sarebbe per sempre vietata. Detestò quegli estranei sorridenti e leggeri, quei pazzi orgogliosi, che attingevano la loro fierezza in ciò che avevano perduto. Le donne avevano un atteggiamento di signore, benché quotidianamente si dedicassero a umili lavori e non sapessero quando e come potrebbero avere un abita nuovo. Ma erano signore! E lei non riusciva a sentirsi signora, malgrado il suo abito di velluto e i capelli profumati, malgrado l'orgoglio dei suoi natali, e della sua ricchezza di un tempo. Il duro contatto con la rossa argilla di Tara, l'aveva privata di ogni dolcezza, ed ella era sicura che non si sentirebbe mai piú una signora, finché la sua tavola non fosse coperta di argenteria e cristalli, finché carrozze e cavalli non riempissero le sue scuderie, finché il cotone di Tara non venisse colto da mani nere e non bianche. «Ah!» pensò irritata. «Eccola la differenza! Benché siano povere, loro si sentono ancora delle signore, ed io no. Queste sciocche non capiscono che non si può essere una signora senza denaro!» Pure avendo compreso questo, aveva vagamente la sensazione che coloro, sciocchi com'erano, avevano il giusto atteggiamento. Elena avrebbe pensato cosí. Questo la turbò. Ella sapeva che avrebbe dovuto credere, come loro, che quando una nasce signora, rimane signora anche se ridotta in povertà; ma non riusciva a convincersene. Crollò le spalle irritata. Forse questa gente aveva ragione e lei aveva torto; ma costoro non guardavano verso l'avvenire come faceva lei, lottando con ogni energia, arrischiando perfino l'onore e il buon nome per riconquistare ciò che avevano perduto. La maggioranza di coloro riteneva che dibattersi per il denaro fosse al di sotto della loro dignità. Riteneva che lo sforzarsi a guadagnare, e anche il parlare di denaro fosse cosa volgare. Vi erano delle eccezioni: per esempio la signora Merriwether, che faceva le focacce, e Renato che andava in giro a venderle. E Ugo Elsing che vendeva legname, e Tommy che faceva l'appaltatore. E anche Franco che aveva una bottega. Ma la maggioranza? I piantatori si limitavano a coltivare qualche zolla di terreno e vivevano in povertà. Alcuni avvocati e dottori erano tornati alla loro professione ad aspettare clienti che non arriverebbero mai. E gli altri, quelli che vivevano interamente di rendita? Che sarebbe di loro? No, non voleva rimaner povera. Non aspetterebbe il miracolo. Si getterebbe a capo fitto e cercherebbe di afferrare ciò che poteva. Suo padre aveva cominciato con l'essere un povero immigrante, e finito col possedere Tara. Ciò che egli aveva fatto, anche sua figlia potrebbe farlo. Non era come costoro che avevano giocato tutto su una Causa perduta, e ne erano fieri, ritenendo che la Causa meritasse ogni sacrificio. Essi traevano il loro coraggio dal passato; ella traeva il suo dall'avvenire. Franco Kennedy era in questo momento il suo avvenire. Se riusciva a sposarlo, l'anno venturo potrebbe sistemare le faccende di Tara. Dopo... Franco doveva comprare la segheria. Le tornarono in mente dal fondo della memoria le parole che Rhett aveva detto un giorno a proposito del denaro che guadagnava col contrabbando. Ella non si era presa il disturbo di capirle allora, ma adesso il loro significato le appariva chiarissimo. «Si può guadagnare tanto denaro nel crollo di una civiltà, come nella ricostruzione di un'altra.» «Aveva ragione» pensò. «C'è da fare una quantità di quattrini per chi non ha paura di lavorare... o di impadronirsi di sorpresa delle situazioni.» Vide Franco che veniva verso di lei portando in una mano un bicchiere di vino di more e nell'altra un piattino con una fettina di torta, e si sforzò a sorridere. Non si chiese neppure se per la salvezza di Tara valeva la pena di sposare Franco. Era sicura di sí; e non si soffermava mai a pensare una seconda volta alle cose. Gli sorrise e sorseggiò il vino, sapendo che il suo volto era piú graziosamente roseo di quello di qualsiasi altra ballerina. Raccolse le gonne per farlo sedere accanto a lei, e agitò lievemente il fazzoletto, per fargli giungere il profumo leggero dell'acqua, di Colonia. Era molto contenta di averla comprata, perché nessun'altra donna, nella sala, era profumata, e Franco l'aveva notato. In un momento di audacia le aveva sussurrato che era fresca e fragrante come una rosa. Se non fosse cosí timido! Le dava l'idea di un vecchio coniglio selvatico. Se almeno avesse la galanteria e l'ardore dei ragazzi Tarleton, o magari la sfacciata impudenza di Rhett Butler! Ma se avesse avuto queste qualità, probabilmente sarebbe stato abbastanza intelligente da accorgersi della disperazione che si annidava sotto le sue palpebre pudicamente abbassate. Cosí com'era, egli non conosceva tanto le donne da poter menomamente sospettare ciò che Rossella pensava. Per lei, questa era una fortuna; ma senza dubbio non aumentava la sua stima per Franco.

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Bambini negri abbandonati correvano per le strade come animali spaventati, finché qualche bianco di buon cuore non li raccoglieva nella sua cucina per allevarli. Vecchi contadini negri, lasciati senza difesa dai loro figliuoli, sbalorditi e terrorizzati, sedevano sugli orli dei marciapiedi e gridavano alle signore che passavano: - Mistis, per carità, Madama, scrivere a mio vecchio badrone in Contea Fayette che io essere qui. Lui venire a riprendere suo vecchio negro. Per carità, io non volere questa libertà! L'Ufficio per l'Emancipazione, sopraffatto dall'enorme quantità di gente negra che si rivolgeva a lui, comprese troppo tardi - e solo in parte - l'errore commesso e cercò di rimandare gli ex- schiavi a quelli che erano stati i loro padroni. Dissero ai negri che se volevano tornare, sarebbero stati dei liberi lavoratori, protetti da contratti scritti che avrebbero specificato i salari. I vecchi tornarono volentieri alle piantagioni, andando a gravare maggiormente sui piantatori impoveriti, ma i giovani rimasero ad Atlanta. Non avevano nessuna voglia di andare a lavorare: a che scopo affaticarsi quando si ha la pancia piena? Per la prima volta in vita loro, i negri potevano avere tutto il whisky che desideravano. Alcuni non lo avevano mai assaggiato, se non quando, a Natale, ognuno di loro ne riceveva un bicchierino insieme alla strenna. Ora dunque, agli incitamenti dell'Ufficio e dei «carpetbaggers», si aggiungeva l'esaltazione prodotta dal whisky; gli oltraggi erano quindi inevitabili. Né vita né proprietà erano sicure; e i bianchi, non protetti da alcuna legge, erano atterriti. Per istrada venivano insultati da negri ubriachi. La notte, erano incendi di case e di granai; cavalli, polli e bestiame venivano rubati di pieno giorno; delitti di ogni genere erano perpetrati e i colpevoli erano ben di rado condotti dinanzi al giudice. Ma queste ignominie erano nulla a paragone del continuo pericolo delle donne bianche, molte delle quali - private dalla guerra di protezione maschile - vivevano sole in quartieri lontani, su strade solitarie. Era per l'appunto la conoscenza degli innumerevoli oltraggi subiti da queste donne e il terrore per la salvezza delle loro mogli e delle loro figlie che teneva gli uomini del Sud in uno stato di furore gelido e tremante e che metteva ogni notte in movimento il Ku Klux Klan. Ed era contro l'organizzazione notturna che i giornali del Nord strepitavano maggiormente, non comprendendo la tragica necessità che l'aveva fatta sorgere. Il Nord avrebbe voluto che ogni membro del Ku Klux fosse preso e impiccato, perché costoro osavano punire con le loro mani i delitti quando ogni procedimento legale era stato sovvertito dagl'invasori. Si assisteva allo stupefacente spettacolo di metà di una nazione che cercava di imporre all'altra metà, con la punta delle baionette, il governo di negri, parecchi dei quali non erano usciti dalla giungla africana che da una generazione. A costoro si voleva accordare il diritto di voto che veniva negato a chi aveva combattuto per la Confederazione o aveva coperto cariche pubbliche. Alcuni, credendo alle parole e all'esempio del generale Lee, avrebbero anche fatto il famoso giuramento, pur di ridiventare cittadini dimenticando il passato; ma ciò non era loro permesso. Altri, a cui veniva permesso, rifiutavano di giurare fedeltà a un governo che li assoggettava deliberatamente alla crudeltà e all'umiliazione. Rossella udiva ripetere fino all'esasperazione queste parole: - Avrei prestato quel maledetto giuramento dopo la sconfitta, se avessero agito onestamente. Posso anche essere riformato dall'Unione, ma non posso essere ricostruito da lei! In quel periodo Rossella spasimava dal terrore. La continua minaccia dei negri senza legge e dei soldati yankees la opprimeva; il pericolo della confisca era presente al suo spirito anche durante il sonno, ed ella si aspettava le maggiori atrocità. Depressa dall'impotenza di tutto il Sud, ricordava sempre le parole che Toni Fontaine aveva pronunciato con tanta passione: - Perdio, Rossella, è cosa che non si può tollerare! E che non sarà tollerata!

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Il romanzo della bambola

222110
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • paraletteratura - romanzi
  • UNICT
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Si raccomandò al cielo; ma in cielo ci sono i santi che, a volte, proteggono le bestie, perchè le amarono in vita, come sant'Antonio, san Francesco, san Benedetto, san Rocco; nessuno protegge i giocattoli, abbandonati da tutti quando li abbandonano i bambini. Nelle sue corse rapide, il sorcio le si accostò parecchie volte; poi, da bravo, forse perchè glie n'era piaciuto l'odore, si mise a rosicchiarle una scarpina, una delle sue belle scarpine di cuoio bronzato. Dati i primi morsi, staccò un pezzetto della suola sottile di pelle di guanto; e per un poco, finchè non ebbe terminato il boccone, la Giulia non sentì più scosse. Ah, fosse finito lì il suo spavento! Ma che! L'animale, fatto un foro nella scarpa, attaccò la calza di seta, che i suoi denti lunghi e puntuti ragnarono tutta. Allora principiò per l'infelice pupattola il martirio di sentirsi divorar lentamente il povero piccolo piede, senza poterlo ritirare, anzi, dovendolo abbandonare inerte, come cosa morta. Le sembrava che, insieme al piede, la bestia le dilaniasse il cuore, la testa, ogni nervo del corpicino. Perchè, perchè non veniva ora la sua Marietta a strapparla di lì, a salvarla? Nessuno! Nessuno si ricordava piú di lei, rifiutata, buttata via senza pietà, come un impiccio, come un limone spremuto. Dal buco fatto nella pelle fina del roseo pieduccio, una ferita orrenda, la segatura scorreva, e ne' sussulti impressi dal topo nel roderla, si vuotava parte della gambina; che rimase poi lì con la sua pelle floscia, cadente, quando l'animale si fu ben impinzato e volle mutar cibo. Fuori, l'inverno era finito, e la primavera, con le sue magnifiche giornate, già tiepide e odorose di fiori, invitava a lasciar la città per i semplici divertimenti all'aria aperta della bella campagna. Anche per i signori de' Rivani era prossima la partenza; e già si facevano in casa tutti i preparativi. Il Moro era stato il primo a esser nominato dalla Marietta tra le cose da portare con sé. Con lui ella avrebbe fatto chi sa quante galoppate allegre per il bosco, sotto gli alberi, dove anche a mezzogiorno c'è ombra. Si trattava di condurlo perfino ai bagni di Viareggio; per le gite lungo la spiaggia e le colazioni nella pineta, dove tutte le sue amiche e più ancòra le bambine conosciute colà l'avrebbero invidiata. Innanzi di lasciare Roma per tutti i mesi della villeggiatura, la signora de' Rivani soleva fare una distribuzione degli oggetti usati di vestiario alle sue persone di servizio e a' suoi poveri; ma prima che agli altri alla famiglia della propria sorella, signora Amalia Cerchi, mamma di Camilla: una signora che, come abbiamo detto, s'era maritata male ed era poco felice. Alla signora Amalia e a Camilla, dunque, venivano, quasi di diritto, gli oggetti migliori fra quelli scartati; e si dava loro anche roba addirittura nuova perchè non si mortificassero. Quell'anno, poi, c'era un monte di vestiti, di sottane, di mantelletti, una sfilata di cappelli, e scatole di guanti, e cassette di scarpe; più regali del solito, perchè anche il signor Giovanni aveva inzeppato il guardaroba al suo ritorno da Milano. Nella stanza degli armadi, davanti agli sportelli spalancati, stavano la signora de' Rivani con la signora Amalia e le due cuginette: la Marietta e Camilla. Nessuna persona di servizio assisteva a quella scelta, per non offendere la miseria della signora Cerchi. - Questo non lo prendo, sai - diceva la signora Amalia alla sorella, tenendo in mano un abitino di velluto - perchè per Camilla è troppo bello. - No, anzi, prendilo; l'ho messo da parte proprio per lei - insisteva la madre della Marietta.

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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222292
Misteri del chiostro napoletano 1 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
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Il fragore che facevano i camini precipitando a terra da' tetti, gli urli, le preci, gli ululati de' cani, il cantar de' galli assordavano l'aria; perfino gli uccelli, spauriti dalla catastrofe, avevano abbandonati i nidi, e volavano e rivolavano sul nostro capo, mandando striduli lamenti. Era insomma una scena di spavento universale, di scompiglio, di desolazione, da non essere giammai cancellata dalla memoria. Domenico si accostò a mio padre, e lo salutò; egli l'accolse garbatamente, ed entrò seco lui in discorso per quasi un'ora, durante la quale le scosse di tremoto incessantemente si succedevano. Avendo però fermo di partire prima del levar del sole, e veggendo che l'alba già incominciava ad infiammare l'oriente, mi chiese la mano, la strinse teneramente, poscia su quella di mio padre impresse un bacio rispettoso. Nel passare dinanzi a mia madre, la salutò del pari. Costei lo chiamò. "È egli vero, signor Domenico, che siete in procinto di partire?" "Fra mezz'ora m'imbarcherò. Parto per ubbidire agli ordini paterni; ma, Dio volendo, farò ritorno non più tardi di un mese. Allora, sia col suo, sia senza il suo consenso, per mezzo dell'avo mio vi chiederò nuovamente la mano di vostra figlia; nè suppongo che me la vogliate negare, avendo veduto che nulla finora potè scemare l'ardente e reciproco amore che ci portiamo." "Va bene," rispose mia madre: "al vostro ritorno ne parleremo." Gli porse la mano, ed ei se la portò alla bocca, dicendole: "Cara madre, siate pietosa!" Ella sorrise, ed egli esultante se ne partì. - Dolorose ricordanze! Le lagrime mi bagnavano le gote, e la piena degli affetti mi toglieva l'uso della parola. Confidai alla carità degli sguardi il patetico messaggio, che ricusava la lingua di articolare; entrambi ci sogguardammo sino a tanto che ci fu dato vederci, e quando egli fu scomparso, ancora col favor dell'udito io raccolsi lo spirante rumore de' suoi passi. Conviene credere, che ogni persona abbia nella sua vita una qualche data nefasta, un qualche critico avvenimento e di sinistra ricordanza, che dà principio ad una serie non interrotta di susseguenti disastri. L'ora nefasta della vita mia era dall'oroscopo segnata nel mezzo di quella spaventosa notte, in cui lo squilibrio degli elementi minacciò di distruggere Reggio ed altre città delle Calabrie. Altre tristezze io non aveva provato fino allora, se non quelle inevitabili che l'amor vergine cagiona; e sa ciascuno i soavissimi compensi, di che sono rattemprate quelle mestizie. D'allora in poi ogni gioia si tace, il cielo s'imbruna d'ogni intorno, il riso non è più vivo per me: di qua comincia la mia dolorosa storia.Inde lachrymae! Per la paura de' terremoti, non potemmo tornare in casa, che la mattina del sesto giorno; non già perchè cessato del tutto fosse il pericolo, ma perchè mio padre, ormai settuagenario, e pregiudicato inoltre nella salute dal lungo disagio, accusava un malessere generale. Io amava, adorava questo padre con tenerezza non comune: l'amava più della madre, e non senza ragione. V'ha de' genitori, i quali non contenti di usare un'ingiusta predilezione a favore d'uno o di più figli, hanno pure l'imprudenza amara di farne in famiglia incauta mostra. Mia madre (aggravo con dolore la sua memoria) non andava esente di tale debolezza, giacchè, per non so quale istinto, prona alle domestiche preferenze, non si prendeva almeno la cura caritatevole di velarle agli occhi de' meno amati. Ora nel numero delle sue predilette non era io, nè scorreva giorno alcuno ch'io non me ne convincessi per novelle ed evidenti prove. Mio padre, in compenso, suppliva alla scarsezza dell'affetto materno, raddoppiandomi il suo. La sera del 21 settembre io sedeva al pianoforte, intenta a ricreare il genitore, e stava cantando un'aria della Norma, a lui diletta, quando lo udii sospirare. Credetti che qualche spiacevole pensiero l'avesse turbato di passaggio, e proseguii il canto. Un secondo sospiro, seguíto da una sommessa prece, mi giunse all'orecchio. Mi alzai tosto, ed avvicinatami a lui chiesi di ciò che tanto l'affliggesse. "Non sono afflitto," disse, "ma mi sento male, e mi rincresce di non potervi condurre al teatro stasera." "Che mai dite? di questo vi duole? Ecco levati i nastri dalla mia chioma!" E in così dire, deposi la pettinatura sopra la sedia. Chiamai Giuseppina, chiamai la madre. Il vecchio disse alla moglie sentirsi gravemente ammalato dal mezzodì in poi, e che credeva le sue sofferenze sintomi di vicina morte. Lo menammo nella sua stanza col cuore spezzato da tali detti, e si mandò a chiamare il medico. L'indomani un consiglio di professori dichiarava, che il malato era affetto da una infiammazione de' visceri. Al quarto dì perdevano i medici ogni speranza di poterlo risanare, ed al settimo ci annunziarono come, vani essendo riesciti i loro sforzi, dovevamo somministrargli gli ultimi conforti della religione. Non comprenderanno appieno la violenza de' miei singulti, la mia disperazione, se non quelle fra le orfane, che rimasero orbate d'un genitore, al cui affetto avevano esclusivamente affidata la somma de' beni presenti e futuri! L'estrema unzione d'un tale padre spande per le funeree fiaccole sull'avvenire dell'orfano riverberi tanto foschi, che verun sole avrà più la virtù di dissiparli. Terminata la lugubre funzione, volemmo essere ricondotte nella sua stanza. Lo ritrovammo poggiato sul fianco dritto, colle spalle alla porta per cui s'entrava. Il mio volto era contraffatto dal pianto: gli astanti mi fecero segno di non avvicinarmi a lui. Sedetti allora accanto alla porta, a stento frenando le lagrime. Cupo silenzio regnava, non da altro interrotto che dall'anelito affannoso di mio padre. Le sue palpebre socchiuse si riaprirono ad un tratto, e gridò: "Enrichetta!" M'avvicinai al letto, ma il letargo l'ammutolì. Dopo un tratto cercò di rialzarsi e chiamò nuovamente, e più forte: "Enrichetta!" "Son qui:" gli dissi..... "son qui. Che desiderate, padre dolcissimo?" Mi fissò con un occhio impietrito, ma tenerissimo, di cui eterna mi resterà la rimembranza; poi domandò: "Perchè mi lasci?" "Sono vicina a te," risposi con voce soffocata dal singhiozzo. Ed egli: "Sai che ho ricevuto i sacramenti?" "Lo so." "Mi sento in pace coll'anima," ripigliò. "Solo una cosa mi fa morire scontento, ed è il tuo avvenire..... Che ne sarà di te, povera figlia?" Profetiche parole, che nelle mie ulteriori vicende ebbi presenti sempre, e ad ogni passo! L'indomani egli era prossimo all'agonia. In un intervallo di lucidità chiamò mia madre a sè, e le disse in accenti male articolati: "Teresa, conduci altrove queste povere figlie! La loro vista mi opprime il cuore. Esse perdono il padre prima d'aver avuto uno sposo che possa proteggerle e soccorrerle. In questi estremi momenti debbo pensare alla divina misericordia, e lasciare ad essa la cura del resto." Mia madre ci fece cenno di approssimarci: c'inginocchiammo tutte. Egli stese le mani tremanti, e ci benedisse. Ci sogguardò una per una, poi richiuse gli occhi. Sulla sera il confessore entrò mesto nella nostra stanza, e il suo silenzio ci disse che non avevamo più padre!

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