Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonata

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L'angelo in famiglia

182991
Albini Crosta Maddalena 3 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Quella famiglia quasi priva da un onere, continua a vieppiù prosperare, i figli si fanno essi pure un ridente ed agiatissimo stato... ma un giorno di morte repentina muore il capo di casa... un altro dì uno di quegli individui che incorniciati dal credito e dal buon nome pajono lanciati dal demonio nella società per sfasciarla, per annichilarla, quell'individuo fa morire di dolore una figlia, getta quasi nella miseria gli altri due; uno di questi ripristina la propria fortuna, ma a spese della pace e forse dell'onestà: l'altro maledice la madre, la quale se ne rimane così isolata nel mondo, abbandonata, infelice! Il mondo se degna di uno sguardo quelle membra staccate che formavano già un corpo solo, o non le cura o le disprezza; ma chi conosce quella storia oscura, non può a meno di ritornar con amarezza al pensiero una voce fioca ma concitata; una cuffia bianca ed un crine canuto su cui sdegnava posarsi la mano filiale... Buon Dio! perdona, perdona a tutti i loro errori; perdona a quel figlio forse più debole e sventurato che colpevole, perdona le sue colpe. Da quella famiglia dove tu sei sbandito, dove è sbandita fino l'immagine tua, leva i flagelli; ritorna tu colla tua presenza, porta la tua fede, la tua speranza, la tua carità, e quando tu avrai fatto ritorno in quella casa, tornerà il sereno, tornerà la calma, cesseranno le ire, cresceranno i figliuoletti nella tua legge, ed al fuoco delle passioni subentrerà il fuoco dell'amor tuo verace! Ma più frequenti, molto più frequenti io amo credere i casi in cui, non una prosperità fittizia, ma una prosperità vera, è il premio da Dio accordato a coloro i quali devoti al comandamento onorerai il padre e la madre tua venerano i cadenti genitori, o gli avi che la Provvidenza ha loro conservato per moltissimi anni. E se tu hai la grande ventura di avere ancora i tuoi nonni, ricordati di venerarne la canizie, perchè quella canizie riflette qualche cosa della maestà stessa dell'Onnipotente, perchè a quella canizie vanno attaccate le benedizioni del Signore. Te beata, se nel sentiero spinoso della vita avrai il conforto di non aver conturbato i vecchi anni degli avi tuoi! Te beata se, vecchia tu pure un giorno, potrai ricordare con compiacenza e con commozione che un dì sulla tua testa s'è posata una mano tremola e scarna, che una voce conosciuta presso a spegnersi per sempre, ha fatto un ultimo sforzo per benedirti... Oh! quella benedizione Iddio l'ha confermata, la conferma ogni giorno in cielo, e sarà feconda d'ogni bene al tuo corpo e all'anima tua!

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Io ti ho vista cogli occhi umidi, io ti ho sentita abbandonata e stretta al mio seno sfogare in esso la piena del tuo, dirmi che è pesante il tuo giogo, umiliante, difficile: io ti ho baciata in fronte, ti ho stretta la mano, ti ho susurrato all'orecchio: Coraggio, coraggio, e ti ho additato il cielo; ma ora ho meditato sul tuo dolore, sulla tua condizione, e mi pare di poterti dire qualche parola di più, di poterti dare perfino qualche consiglio. Lascia alla cognata od alla madre sua il maneggio della casa; la sposa ha il diritto ove non vi sia la suocera, di essere la padrona; tu hai quello più prezioso di essere premiata da Dio dei tuoi sacrificj; ma per ottenere il tuo premio, sei tenuta a rinunciare coraggiosamente adesso a quanto va unito allo stato conjugale al quale tu hai eroicamente rinunciato. Talvolta vedi camminare le cose a rovescio? Ove non t'inganni od esageri, il che pur avviene sovente, fa di volgerle a meglio se le son cose di qualche rilievo, e lascia andar l'acqua per la sua china se si tratta di cose indifferenti o senza importanza, ovvero di cose che direttamente non ti appartengono. Se nella cognata, nelle cognate, o negli altri di casa avverti qualche grave mancanza o difetto o peccato, colla penetrazione e colla dolcezza d'un angelo, non mai coll'asprezza e col comando, correggi e consiglia; ma guardati bene dal parlare mai collo sposo o colla sposa delle colpe del compagno, tranne il caso che il tuo Confessore tel comandi. Lo vedo, il tuo stato visto coll'occhio materiale è tutt'altro che invidiabile; ma se tu lo circonderai di annegazione, di amore, di operosità, non anderà molto e ti sarà resa giustizia, se non apertamente, almeno nel cuore dei parenti e degli amici. Ho sentito dire più fiate: se non fosse lei, poveretta, mia cognata o mia zia, che pensa a tutto, che ha occhio e cuore ad ogni cosa, io sarei disperata; essa è un angelo, Iddio l'ha conservata a benedizione della mia casa e dei miei figli. - Coraggio, amica, se per colpa tua o altrui, o per colpa delle circostanze, od in causa della generosità e tenerezza dell'animo tuo, ti trovi di aver passato il meriggio senza aver provveduto a crearti una famiglia, un avvenire, fa di essere angelo nella famiglia che ti alberga, angelo di pace e di conforto. Se tu invece hai rinunciato a crearti una famiglia in casa tua, od a trovarne una nel chiostro, per solo amore di serbar puro il tuo giglio in mezzo alle lotte del secolo, per combatterne gli errori a forza di virtù e di buon esempio, io m'inchino a te dinanzi e ti addito il cielo dove ti è serbato un premio ineffabile. Ma sulla terra anche gli angeli non sono creduti o sono contristati; a te pure potrà toccare in parte l'amarezza: ma Iddio, se tu operi per Lui solo, volgerà quell'amarezza in gaudio inenarrabile, e facendo brillare sul tuo seno il giglio della verginità, ti porrà in capo le rose dell'amor santo, di un amore che sarà coronato e premiato in eterno, e ti compenserà largamente dei dolori patiti.

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A questo proposito mi fece molta impressione il leggere che Sant'Agostino, quando tuttor manicheo dubitando della sua religione ne cercava una vera, diceva a sè stesso: Se vi ha una religione vera, e ci dev' essere, essa deve avere un codice infallibile ed un maestro infallibile, poichè egli pensava giustamente al solo lume della ragione che Dio non poteva averla abbandonata agli uomini senza prima fornirla dei mezzi indispensabili affinchè fosse conservata ed insegnata nella sua verità, nella sua integrità e nella sua purezza naturale. Ora noi abbiamo il codice ed è il Vangelo; noi abbiamo il Maestro infallibile ed è la Romana Chiesa con a capo il Pontefice, la quale ci spiega il Vangelo e ci rende facile l'adempimento dei comandamenti di Dio, additandoci pratiche speciali per seguirli. Il Signore ci ordina la santificazione delle feste, il cibarci delle Carni del Verbo umanato, sacramentato, e ad ogni passo del suo Santo Vangelo ci va ripetendo penitenza, penitenza; la Santa Madre Chiesa con cuore veramente materno, per toglierci ed alleggerirci la grave responsabilità del precetto divino, ce ne prescrive la pratica con amorevole indulgenza, imponendoci la Messa festiva, la Comunione Pasquale, l'astinenza di alcuni cibi in alcuni giorni, e il digiuno nella quaresima e nelle vigilie delle maggiori solennità. Un tale, pranzando un venerdì ad un albergo, era fatto oggetto dello scherno di alcuni giovinastri, perchè si cibava di vivande da magro; ad un tratto egli ordina una costoletta, poi gettandola al suo cane, che accovacciato gli stava ai piedi, gli disse: To', mangia, la tua religione non te lo proibisce. Quei giovinastri, piccati, ma mortificati, si morsero le labbra e uscirono. Non ribelliamoci no alla Santa Chiesa, ma obbediamola fedelmente sempre sempre; che se per ragioni di salute o per circostanze specialissime ci è impedito l'adempimento materiale di quanto essa ci comanda, noi ne avremo adempito lo spirito, se umilmente e con cuor di figli le chiederemo di esserne dispensati. Ricordati bene, mia cara amica, di non farti giudice o mormoratrîce dei trasgressori delle leggi ecclesiastiche; bensì, ove ti sia dato, fa di ammonirli piacevolmente, facendo loro sentire l'obbligo che tutti stringe di osservarle; ma più specialmente quand'anche tu fossi fatta soggetto di biasimo o di derisione, segui coraggiosamente la tua via, e quell'Altissimo che tien conto fino dei capelli del tuo capo, terrà conto della tua costanza, e te l'ascriverà a merito ed a merito grande. Vi hanno alcune circostanze in cui il tuo Confessore non solo ti permetterà, ma ti ordinerà fors'anche di mangiar grasso e di astenerti dal digiuno, per sollevare la tua coscienza da ogni turbamento; ma io credo che anche in proposito tu sii obbligata ad accennargli tutte le circostanze, come sarebbe quella del mostrarsi pubblicamente o ad un caffè, o ad un pranzo diplomatico o no, ma tale che il tuo esempio possa riuscire di scandalo o di appiglio ai tristi per appoggiare o giustificare la trasgressione delle leggi della Chiesa. Se tu non fossi figlia di famiglia, io ti direi recisamente di affatto astenerti da quei convegni dove apertamente si viola il precetto della Chiesa e quindi di Dio; ma siccome può darsi il caso in cui tu sii obbligata a prendervi parte, solo in questo caso vi ti puoi recare, previo sempre il permesso ed il consiglio del tuo Confessore. Che se per avventura ti trovassi in villa od in luogo in cui non hai l'ordinario tuo direttore, potrai attenerti a quei consigli che egli ti avrà forniti in altra simigliante occasione, o potrai dirigerti ad un Confessore del luogo. Vi hanno delle anime tanto deboli e meschine, le quali non sanno adattarsi a dire le loro colpe al Sacerdote del villaggio, o perchè se lo vedono frequente in casa, o perchè ne conoscono i particolari difetti, o per qualunque altro perchè, inconcludentissimo quando si pensi che colui che esse vedono in casa, o pieno di difetti, od anche grandemente colpevole, è l'uomo, mentre colui, al quale si confessano non è più l'uomo, ma il Sacerdote, vale a dire il rappresentante di Dio. Tu sei obbligata a contentarti ed a prendere quello che ti viene offerto da quelli di casa, tanto nel vestire, che nel mangiare, ed in tutto: cioè... cioè, tu veramente saresti obbligata ad obbedire i tuoi genitori quando il loro comando non implichi trasgressione al comando della Santa Chiesa; però in questo caso la Santa Chiesa, svisceratamente amorosa ed indulgente, ti dirà anche dispensata da questo; ma tu però farai bene a rivolgerti umilmente a Lei. Ma se tu sarai prudente, discreta, amabile, ti sarà facile ottenere dai tuoi di casa i mezzi per l'osservanza dei precetti; questi certo diverranno scala a grandissimi meriti, ed i meriti a loro volta diverranno scala a grandissimo premio... in Paradiso.

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Galateo della borghesia

201987
Emilia Nevers 3 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
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Se si mette la signora Sofia, cui non piace che giocar al tarocco, con la società dei giovani che voglion far gite e ballare, sarà abbandonata: non si può riunir il deputato T. radicale col consigliere G. ultra moderato, guai! La baronessa E. è carissima, ma vuol brillare troppo: a metterla con le signore un po' modeste, queste restano nell'ombra..... In una parola, per disporre le cose con vero successo, bisogna essere esperti nella scienza sociale, sapere tutte le fasi e conoscere tutti i tipi della commedia umana... Chi lo crederebbe? La mente di Macchiavelli e Talleyrand non è di troppo. C'è poi la scelta delle camere: convien dare la più allegra a chi esce poco, la più fresca a chi teme il caldo, la più appartata a chi teme il chiasso, e così via. Bisogna regolare gli arrivi, indicare le ore propizie, preparare i mezzi di trasporto, ritardare d'una mezz'oretta od anticipare l'ora del desinare per quelli che giungono... In casa poi ci vuole un' ampia provvista di carte, domino, scacchiere, giuochi d'ogni specie, e libri, e giornali... Il modo poi di trattare gli ospiti varia: per chi non è in confidenza od è timido ci vuole molta sollecitudine: chi ama il vivere tranquillo, non va spinto a passeggiate che possano stancarlo: chi ama la propria libertà, la lettura o lo studio, va esortato a riguardarsi come a casa propria. Infine la qualità più essenziale per la padrona di casa è il buon umore. Non intendo con ciò una perpetua ripetizione dell'éclat de rire, ma una serenità costante, l'arte di celare le proprie preoccupazioni, d'esser sempre ugualmente cortese con tutti, in modo che nessuno degli ospiti possa credersi trascurato od importuno. Alla propria servitù la padrona di casa incuterà rispetto per gli ospiti e pazienza colle persone di servizio che questi potessero recar seco; ella stessa non farà mai osservazioni a chi non è al suo stipendio. Prometterà poi una gratificazione per evitare che la cupidigia spingesse la sua servitù a trattar peggio quelli da cui attendono meno. Non incoraggierà mai pettegolezzi ascoltandoli con orecchio compiacente. La castellana ha dovere di mostrarsi affabile anche verso le persone del paesello vicino, da cui la sua villa dipende: le autorità, sindaco, consiglieri, curato, medico, ecc., ecc. Con le signore deve guardarsi dalla freddezza o dal motteggio. Forse le buone matrone che non parlano che dei lattanti e dei bachi da seta e della vendemmia, l'annoieranno un pochino, lei, abituata all'elettrica corrente d'idee dei grandi centri, ma porti con pazienza quel po' di noia e si persuaderà che anche in provincia c'è molto senno, molt' arguzia e molta coltura. La castellana ha poi un altro e ben utile còmpito: i poveri, ora suoi coloni, altre volte suoi vassalli. Come vorrei persuadere le nostre belle ed ottime dame ad imitare le inglesi che fanno scuola ai bimbi, e di sera, agli uomini, che tengono delle conferenze di morale, che premiano chi non trasmoda nel bere, che insomma agli svaghi della campagna associano anche la filantropia! La castellana non mandi limosine dai servi - le dia ella stessa e dia poco danaro, ma invece vino, brodo, biancheria, e sovratutto buone ed utili parole. Non isfugga dall'accostare quei miseri: si persuada che sotto i loro cenci battono spesso cuori generosi... che sono uomini e sentono, amano, soffrono come noi. Se avrà estirpato un pregiudizio, illuminato un cervello guasto dall'ignoranza, potrà dire, come Tito, di non aver perduto la propria giornata! Ecco i doveri della castellana. La villa, se molto ampia, imporrà quasi gli stessi obblighi. Se piccina, non comporterà tanti ospiti; ma il modo di ricevere quei pochi sarà uguale. Se d'affitto e divisa con altri, imporrà maggiori doveri; oltre agli ospiti vi saranno i vicini. Per mantenersi in buoni termini con questi, conviene guardarsi del pari dall'esagerata prevenenza e dalla eccessiva freddezza; nei primi giorni osservarsi reciprocamente per vedere se si potrà simpatizzare; poi avviare le relazioni con qualche saluto, qualche scambio di parole; passare poi alle passeggiate in comune, alle visite; ma non mai volersi mettere in intimità prima di conoscere, almeno un pochino, con chi s'ha da fare, in ispecie (parrà che dica un paradosso, ma lo spiegherò poi), in ispecie se è gente della vostra stessa città. E perchè? Pel buon motivo che se le persone con cui avete avuto il torto di far relazione alla leggera e che scoprite poco stimabili abitano Parigi o New-York non avrete ulteriori impicci: se invece sono del vostro paese potranno risentirsi se non continuate l'amicizia e procurarvi dei dispiaceri. Per vivere in pace tra vicini non si deve mostrarsi esigenti nè puntigliosi, non associarsi ai reclami ed agli alterchi della servitù. Se v'hanno differenze tra i bimbi, mettere la cosa in tacere, invitare i proprii alla tolleranza, rimproverarli se hanno torto: mai permettersi di correggere quelli degli estranei o far scenate ai genitori per lo sgarbo di un ragazzo. Chi ha carrozza o battello l'offrirà per turno ai vicini, se li conosce tutti: così, se riceve, deve invitare tutti o nessuno. Badisi però che se fra quattro famiglie se ne conosce una sola fin dapprima, è lecito non mettersi in relazione che con quella sola, senza punto contravvenire al galateo, come è lecito vivere soli affatto. D'altro lato va cansata l'eccessiva e subitanea famigliarità, l'entrare ad ogni momento in casa altrui, girando dalla cucina alla camera da letto, con la frase che irrita tanto i nervi di chi desidera un po' di libertà: - Oh! son di casa, io... Non importa. Posso entrare, eh?... - E magari la povera villeggiante si assetta in quella la parrucca! Tempo fa una mia amica, che mi aveva descritto con entusiasmo la bellezza del villino da lei preso a pigione, mi scriveva se nel luogo dov'ero io si troverebbe qualche quartierino per lei. Sorpresa della richiesta e temendola indisposta, mi recai a vederla. - Che è, Gina? sclamai giungendo. Vuoi andartene? C'è qualche epidemia in paese? - Eh! no, rispose Gina, una donnetta di mezza età, calma, metodica come una tedesca. - L'aria non ti si confà? - Anzi! - La casa non ti piace più? - È un gioiello, lo vedi. - Ma, allora, mi ci perdo. È un'invasione notturna di topi? - No. - Di scarabei? - Men che meno. - Oppure... non so che inventare!... oppure ci si sente. Vi sono delle fantasime? - Altro che fantasime! sciamò ella con tuono doloroso. Non fosse che questo... - Spiegati... Ella si pose vivamente un dito sul labbro. L'uscio si aprì: apparve una donnina scarna, gialla, con uno di quei nasi lunghissimi che paiono il distintivo dei curiosi. - Oh, cara vicina, sciamò la donnetta.....Hai delle visite? Scusa!...Ed io che son qua in veste da camera... Allora scappo (e prese una seggiola)... rimarrò un momentino solo, via! la signora è tua sorella? No? Una parente? No? Un'amica, allora, come me? Badi, non più di me! Sono gelosa, io! Ha fatto bene a venire. Era troppo sola, la povera Gina. Per me ci vengo spesso; ma non posso farle compagnia quanto vorrei... A proposito, hai dei funghi oggi, Gina! Me ne darai? lo non ne ho trovati. Cedimene la metà, per mio marito che ne va matto... Per tre quarti d'ora andò avanti così, come una sveglia. Quando essa uscì, Gina mi si voltò: - Hai veduto? Hai udito? Ti meravigli ora ch'io voglia fuggire?... Colei non mi lascia nè lavorare, nè dormire, ne leggere, nè far la mia corrispondenza: è una persecuzione... è una tortura... - E Gina aveva ragione. Ma prima di continuare nell'elenco delle norme per la villeggiatura, chiuderò il capitolo degli ospiti, accennando ai loro doveri. I più importanti sono: l'occuparsi molto di chi ci ospita e l'arrecargli il meno disturbo che sia possibile. L'ospite non farà mai osservazione sulle camere che occupa, sul letto, sul servizio, sulla qualità dei cibi; non mostrerà noia nè malumore, si terrà a disposizione dell' amico per passeggiare e suonare; se i padroni di casa sono attempati o di malferma salute, starà con loro: sarebbe assai scortese che li lasciasse soli, associandosi ad altre brigate. Se amano ritirarsi presto, non uscirà di sera e non si tratterrà fuori troppo tardi. Se è una signorina vedrà di rendersi utile, sia col disporre i fiori dei vasi, sia coll'assistere le padroncine di casa quando lavorano o fanno preparativi per ricever altri ospiti. Se canta o suona si farà udire, senza difficoltà, e ciò per compiacere chi l'ha invitata. Non chiederà mai all'amica con cui si trova delle cose disadatte, sì da metter questa in un dilemma fra le leggi della convenienza e quelle dell'ospitalità. L'ospite nel partire darà sempre una gratificazione alle persone di servizio: appena giunto a casa propria scriverà una lettera di ringraziamento a chi l'ha ospitato. Per l'occasione d'un onomastico o d'un anniversario (non prima, perchè non paia un pagamento) offrirà qualche bel dono, e, se una ragazza, qualche bel lavoro alla persona presso cui ha villeggiato. In campagna, oltre agli ospiti, si hanno i visitatori quelli, cioè, che vengono per una giornata o due. Allorchè vi giungono codesti visitatori, prima cura dev' esser l'offrir loro dei rinfreschi, vermouth, limonata, caffè, ecc. Poi si chiederà loro se hanno fatto colezione o desinato,e s'inviteranno a mangiare senza profondersi in parole per deplorare che non s'ha nulla di buono. Una villa non è un albergo e d'altronde l'aria fina e l'appetito danno ragione a Dante e fan parer savorosi, se non le ghiande, almeno il salame, il burro, il cacio. Però una dispensa in campagna va sempre fornita del necessario per accogliere gli amici ed improvvisar qualche desinare. Ci vogliono scatole di sardine, tonno, salumi, prosciutti, pic-nics, amaretti, vermouth, vini di diverse qualità, sciroppi e conserve; finalmente farina, latte, mandorle, uva secca, uova, tutto ciò che può servire per fare un budino, un'omelette, ecc. Ed è qui, signorine, che sta bene posseder l'arte di impastare con dieci dita affusolate (che conoscono le delicatezze di Chopin ed il segreto dei merletti antichi) un bel pasticcio, una torta dorata, che saranno cose utilissime per far figurare il modesto pranzo campagnolo. Chi vive in città ed ha davanti alla porta il salumaio ed il pasticciere, non si rende conto della necessità di tener la casa ben provvista e rischia così di fair pessima figura coi visitatori. Mi è toccato una volta patir la fame, ma alla lettera, nella casa di certi buoni villeggianti, i quali,non avendo provviste e non sapendo lì per lì valersi del poco che avevano per dare una refezione presentabile, preferirono far il nesci. Però non è cortese nè discreto piombar senz'avviso, per tutto il giorno, da una famiglia che è in campagna. O si previene, o si regola le cose in modo da ripartir prima del desinare. Rimaner fino a quell'ora sarebbe una sconvenienza, perchè porrebbe l'ospite nel dilemma di patir la fame o di dovervi invitare senz'esservi preparato. Lo ripeto, per la colazione è un altro affare. È di prammatica mostrar i proprii fondi, casa e giardino a chi viene a visitarvi: i padroni di casa però debbono sceglier l'ora opportuna, non costringere gente stanca ad errare in mezzo ai campi per lungo tempo ed a scendere e salir molte scale. I visitatori poi hanno un solo obbligo; ammirare e lodare. Lo facciano senza tema. L'amore della proprietà è radicato nel cuore umano ed accieca come tutti gli amori. Per le ville e pei figliuoli s'accetta qualunque elogio con gratitudine. Siccome può accadere che i visitatori desiderino o debbano pernottare, conviene aver sempre una o due camere da letto preparate. Saranno provvedute del necessario letto, canterano, tavola da notte, tavolino da scrivere, scansia, e non solo di ciò che si reputa necessario per sè, ma anche di quel che è necessario ad altri, cioè siccome certuni si copron molto o dormono con la testa molto alta, si metterà in camera una coltre un po' pesante ed uno o due cuscini di ricambio: zolfanelli, acqua con accanto dello zuccaro, alcuni giornali e libri, un lumino da notte. Se l'ospite fosse vecchio o malaticcio, un fornellino a spirito con l'occorrente per prepararsi una bibita calda non farebbe male. Spesso, per non dar disturbo alle persone di casa, certuni si adattano a soffrir di male di stomaco od altro, senza avvertire. Si manderà poi la cameriera od il servo a ritirare i vestiti e le scarpe dei visitatori, e si domanderà a che ora desiderano essere svegliati, se prendano il caffè od il caffè e latte in letto, se hanno bisogno di assistenza per vestirsi, ecc. Nessuno può credere quanta parte abbiano quelle minuzie nella vita e come sia grato ad un ospite il ritrovare un pochino delle comodità di casa sua presso coloro che lo accolgono. Conosco una buona ragazza che è zitellona oggi per aver trascurato quelle piccole formalità, quelle attenzioni che sono come il profumo della garbatezza. Era una signorina colta, buona, ma per disgrazia la sua mamma non conosceva punto il governo della casa nè vi badava: sonnecchiava, leggiucchiava e mangiucchiava tutto il giorno, mentre la figlia dipingeva o faceva di bei ricami. Si propone alla signorina un bravo giovine, ricco, bello, di cui s'innamora subito. Le cose si combinano senza difficoltà... non manca che la sanzione dei genitori del giovinotto: una vecchia coppia modello, Filemone e Bauci. Le signore che chiameremo Giulia e Maria, essendo in villa, lo sposo offre di venir a passare colà alcuni giorni coi suoi, perchè le due famiglie possano conoscersi bene. Si accetta con giubilo, si aspettano gli ospiti con ansia, la mamma sdraiata in un seggiolone a pianger tarde lagrime su Paolo e Virginia, la sposa a miniar due bianche tortore avvinte da un laccio di rose. Verso le dieci, ora a cui si è calcolato che gli ospiti giungeranno alla stazione, le signore si scuotono, scendono in giardino ad aspettarli. Ma sì!vengon le dieci, le dieci e mezzo, le undici; hanno bel appuntare gli sguardi, tender l'orecchio, nessun rumore di ruote, nessun polverìo sulla strada. Grand'inquietudine. Che non vengano? E perchè? La signorina impallidisce, la mamma sospira. Ma ecco spuntare in quella, a piedi - sotto il solleone - una brigatella lamentevole: un omettino secco, in maniche di camicia, con un fazzoletto in capo, un donnone tanto rosso da suggerire serii timori d'apoplessia, un giovinotto polveroso, imbronciato... - Dio buono! A piedi! grida la signorina. - A piedi! ripete la madre. Come? perchè? - Sicuro, a piedi, sclama l'ometto (che era il babbo dello sposo). A piedi! tre miglia sotto la sferza del sole, in agosto! Cosa da morire.Ma non c'erano carrozze. - Ah!certo! dice la madre della sposa. Bisogna comandarle, sa... - O dove le avevo a comandare? in piazza della Scala? replica il babbo, un bravo ambrosiano che chiama pane il pane. Bisognava comandarle qui! Era giusto: era vero... e le signore restarono impacciate. Si profusero in scuse e condussero gli ospiti... in camera? No: li conducevano dritto ad ammirare la villa: ma il babbo, senza complimenti, parlò di colazione. Ah! sì... la colazione! Ci avrà pensato la cuoca! La cuoca invero ci aveva pensato: così il servo: ma la tavola era apparecchiata senza ordine, senza cura, senza fiori: ma la colazione non aveva nulla di accurato. Le colazioni richiedono un antipasto preparato con cert'eleganza: sardine, acciughe o gamberi in conserva, burro, fichi o cocomeri, secondo la stagione: pesci se si è vicini a qualche lago: frutta, vini di diverse qualità, dolci, piattini leggeri, ma ben ammanniti. Invece c'era una profusione di vitello tiglioso (tutto vitello), di salumi rancidi, di cacio asciutto: il pane era raffermo: il vino,preso dall'oste del villaggio, era pessimo. I genitori si sogguardarono. Il desinare fu il fac-simile della colezione. La giornata scorse lenta ed uggiosa: le signore non sapendo che dire nè come trattenere gli ospiti. Alle otto il padre dello sposo parlò d'andar a letto. - Ah! i letti! sicuro! esclamarono le due signore. Convien prepararli. Maria ci avrà pensato? No: Maria non ci aveva pensato: ignorava che gli ospiti pernottassero. Immusonita, andò a metter sossopra le guardarobe semi-vuote, perchè gran parte della biancheria restava per mesi nel cesto della roba da accomodare. Ci volle un'oretta prima che i forestieri potessero salire in stanza. Finalmente la cameriera venne a dire che era pronto e, scortati gli ospiti fino alla loro camera, se la battè, senza domandar altro. I due vecchierelli, rimasti soli, si diedero a esaminare quella camera con sospetto giustificato. Non c'erano zolfanelli; l'acqua era tepida; non c'era che un cuscino per ogni letto, viceversa un coltrone buono Ciò che insegna la mamma. - 9. pel gennaio, nessun libro, nessuna traccia di lumino, e la madre dello sposo ci era avvezza. Le lenzuola..... Dio giusto!... erano umide, anzi bagnate... C'era da pigliar un malanno. I poveretti fecero gran lavori per sostituire plaids e scialli al coltrone, s'affidarono al destino e dopo una notte bianca, benedicono i primi raggi del precoce sole d'estate. Verso le sei cominciarono a tender l'orecchio, sperando che qualcuno si moverebbe, che capiterebbe il caffè.- Aspetta un'ora, aspetta due, eran le otto e mezza e non s'udiva ancora nessuno degli abitanti della villa a dar segno di vita. Si decisero ad aprire una finestra, poi la porta. I loro vestiti, le scarpe, erano sulla seggiola dove li avevano provvidamente preparati; ma ancor sudici, polverosi. Si rassegnarono ad infilarli tali e quali, e andarono alla scoperta. Tutto buio, silenzioso. Cucina senza fuoco, servitù e padroni addormentati: il padre picchiò all'uscio del figlio e svegliatolo: - Da' retta, disse con flemma. Ti rammenti una novella francese detta l' homme qui fait le ménage, in cui ad un povero diavolaccio che vuol far da sè il bucato, il burro e la minestra ne capitano d'ogni colore? Se ti senti la vocazione di faire le ménage, sposa codesta signorina: noi si torna all'ombra del duomo ed in casa tua per ospiti non ci si capiterà! E partirono con un pretesto, ed il matrimonio andò in fumo, e la signorina sospira ancora oggi davanti alle due tortorelle avvinte da un laccio di rose. Ho già detto che in villa i rapporti si stabiliscono più facilmente. Così è lecito ai vicini appiccare discorso se s'incontrano: così inquilini della stessa villa ponno entrare in relazioni senza l'intervento di terzo o lo scambio di biglietti di visita. È lecito del pari, per chi ha ospiti, condurli seco alla sera dalle persone dove sono soliti di radunarsi ed alle gite che si fanno insieme, e ciò senza preavviso e presentandoli al momento. Perfino chi si recasse a pranzo da amici ed avesse ospiti potrebbe condurli seco. Le signorine non escono sole in villa: ma ponno permettersi un breve tratto di strada da una casa all'altra, ed una visitina senza chaperon alle amiche. Per le gite invece ci vorrebbe sempre almeno un babbo od una signora maritata.

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La ceralacca e le ostie essendo bandite, la carta a fiori ed emblemi (rose che si aprono, cuori trapassati da freccie) essendo abbandonata ai coscritti od agli scolaretti, la busta ingommata tenendo lo campo, diventa assai più facile scrivere e piegare le lettere in modo conveniente. Infatti, con un foglio di cartoncino bianco e sodo ed una larga busta si può scrivere a chiunque. Noterò soltanto alcune gradazioni. Per le lettere a superiori od uguali, si prenda carta di formato mezzano con cifra, busta adatta, cioè tale che basti piegare il foglio in due; per gli intimi o parenti, si firma il nome solo, per gli altri, nome e cognome. Scrivendo ad un uomo, una signora metterà iniziale e cognome. Per inferiori si scelga il biglietto di visita dove il nome serve di firma e si scrive in terza persona, o, meglio del viglietto, dei cartoncini quadrati appositi. Per esempio: « MARIA FORTINI » prega la signora Merli di terminare la frangia commessale, » avendo urgenza di servirsene ». Per bigliettini da spedirsi in città, inviti ed altro, si prende carta di piccolo formato. Non si deve mai impiegare dei mezzi fogli o dei fogli sgualciti e macchiati, nè mandar lettere senza busta: se si spedissero simili fogli ai proprii superiori sarebbe un mancar di rispetto, agli uguali un mancar di cortesia, ai congiunti un mancar di riguardo, agli inferiori un mancar di delicatezza. Vedo ancora la fisionomia d'un certo ottimo babbo campagnuolo che aveva fatto educare la figlia in un collegio: un dì, madamigella, che era in città, scrive al babbo, e lui, alla posta, dice: - Eh! vedrete che letterina! Mia figlia ha una scrittura! Ed uno stile! Apre la busta: c'era dentro un foglio sgualcito, macchiato, di carta comune, con due sgorbi, degni d'una lavandaia. Figuratevi come il pover'uomo rimase! Certo, quella signorina, per scrivere alle amiche, si valeva di carta profumata e faceva dei modelli di calligrafia: ma pel vecchio babbo, non metteva conto! Ebbene, per essere veramente persone ammodo, bisogna sempre ed in ogni cosa mostrarsi accurato e cortese; non bisogna mai dar vacanza all'urbanità ed alla nitidezza: non bisogna mai dire: non mette conto! È fuori d'uso ormai porre l'intestazione in cima e cominciare la lettera affatto al piede della carta, per modo che nella prima pagina non vi sieno che due o tre righe. Per le lettere famigliari si mette l'intestazione quasi in cima della pagina, poi la data e si comincia a poca distanza; per le lettere di cerimonia ai superiori si mette il nome e titolo incirca a metà pagina, si comincia nell' ultimo terzo, lasciando molto margine a sinistra; si mette la data dopo la firma. (Ai superiori non si scrivono che lettere, non bigliettini). Nelle lettere commerciali la data si mette in iscritto in quella riga stampata, dove sta il nome della città dello scrivente. In mezzo si pone una prima intestazione che reca il nome, cognome e paese della persona che scrive o la ditta. Sotto una seconda intestazione molto semplice. Per esempio: REVELLI E C° - Via Orso, 1, Milano Milano, 3 luglio 1882. Signori Marini e C° RAVENNA. Egregi Signori, ........ Per le petizioni o suppliche si prende della carta di grandissimo formato, con molto margine, e si scrive da una parte sola del foglio. Queste lettere, come in generale quelle ai superiori, convien meglio suggellarle. Si suol deridere quelli che scrivono sulle buste la parola urgente: ma un'autrice francese assicura, con giustezza, che se questa raccomandazione è certamente superflua per la posta, può essere utile e per la servitù che imposta e pel destinatario, che così verrà spinto a leggere e rispondere con maggior sollecitudine. Sulla busta non si metta scialo di epiteti, e soprattutto si formuli chiaramente l'indirizzo lasciando le spiegazioni fantaisistes, come: la casa delle colonne, la casa accanto al Duomo, la prima casa a destra, ed altre ingenuità, inutili per la posta, non servendo che il nome della via ed il numero della casa. In generale per uomini e per signora attempata il titolo d'egregio, per signora giovane o signorina quello di gentilissima, sono sufficienti: chiarissimo, colendissimo, spettabile, illustre.... non sono epiteti necessari, nemmeno scrivendo a delle cime: scrivendo a qualche onesto commerciante o babbo sono ridicoli. Ai ministri si dà dell'Eccellenza. Per lo più nelle lettere si tien la norma seguente: Francobollo Egregia Signora Luisa Geronimi via Palermo, n°5 UDINE (Friuli) I Francesi però consigliano un altro sistema. La scelta è libera: noterò solo che non si deve ripetere il titolo di « signora ». È un uso antiquato. Quindi se dicessi: egregia signora - signora Luisa Geronimi, non andrebbe bene. Ma ecco il modello francese: Francobollo ITALIA Signora Luigia Geronimi via Palermo, n° 6 UDINE (Friuli) Quando si danno lettere da affrancare alla servitù, è buona norma scrivervi su la parola affrancata. Quando si dà ad un amico qualche lettera di raccomandazione si consegna aperta. Per le formole di conclusione si adopera il dev.mo pei non intimi, l'aff.moper gli intimi. Per gli inferiori, basta il nome dopo i saluti. Una signora mette dopo il proprio nome il cognome del marito, da ultimo il proprio casato da ragazza. Non s'usa firmare il titolo: è accennato dalla corona o dallo stemma, che molti nobili usano sulla propria carta da lettera. In Francia le dame firmano - non il nome, nè il titolo - ma il casato patrizio: se è la duchessa Rose de Mauprat nata Dovenal, metterebbe Mauprat-Dovenal. È anche di voga ora in campagna mettere sulla carta un piccolo disegno rappresentante il palazzo o la villa che si abita; però è una moda un po' vanitosa. Una vedova firmerà a scelta il nome del marito od il proprio o tutti e due, ma in fila e senza la parola di vedova. Per esempio: Luisa Geromini - Marti e non: Luisa Marti vedova Geromini, il che non è elegante. La prima condizione d'una lettera è di essere scritta con chiarezza, sì da non affaticare la vista e stancare la pazienza di chi la riceve e di non dar luogo ad equivoci: le cancellature vanno evitate. Per chiudere si può metter a scelta: Coi sensi della più alta stima - con stima - con affetto - col massimo rispetto - mi dico, mi rassegno, ecc., ecc., badando alla maggiore o minore opportunità della scelta. In francese (credo far cosa grata accennando ad alcune forme di questa lingua), in francese si dice cher monsieur nell' intimità, e monsieur soltanto ai superiori; chère madame, chère mademoiselle, o solo madame e mademoiselle (mai: chère dame,chère demoiselle). Salutando si dice nell'intimità: Tout à vous, mille amitiés, votre affectionnée - ai superiori: Veuillez agréer l'expression de mon profond respect, de mon dévouement -agli uguali: De mes sentiments les plus distingués, affectueux - a persona altolocata: De mon estime, de ma considération distinguée - in commercio: Agréez mes salutations distinguées o empressées - agli inferiori: Je vous salue, o agréez mes salutations. Questa la parte teorica. Riguardo all'opportunità morale: Si scrive ai proprii parenti ed amici pel capo d'anno o pel loro onomastico. Per congratulazione o condoglianza,venendo a sapere di qualche loro gioia o dolore. Per accompagnare un dono o ringraziare. Per annunziare nascite, matrimoni o decessi. Agli ospiti, appena s'è tornati a casa, per ringraziarli. Le persone molto cortesi, lasciando una città od un luogo di bagni, scrivono ad una persona del loro circolo, perché questa trasmetta a tutti i loro saluti. Una signorina non scriverà mai ad un uomo giovine. Lo stile rientra nella mia competenza, inquantochè dev' essere adatto alla persona a cui si scrive ed all'occasione. La lettera commerciale sarà di stile chiaro e conciso. La lettera di congratulazione o ringraziamento, breve, ma animata da schietta cordialità. La lettera di domanda a superiori, breve, semplice, seria. La lettera agli intimi, lunga finchè si vuole, scherzosa, variata. La lettera a bimbi, un pochino didattica con una certa spruzzatura di faceto, come quelle graziosissime di Giusti ai nipoti. La lettera di capo d'anno o d'onomastico dovrebb'essere..... nuova! Ma qui credo che sarà difficile seguire il mio parere e trovare una formola diversa, una frase inedita per dire: « Domani comincierà un anno nuovo e vi auguro di passarlo nella felicità ». E non potendo far cosa nuova - consiglio di far cosa schietta e semplice: sarà il meglio. La semplicità costituisce il vero e solo merito d'una lettera. Intendiamoci: la semplicità dello stile, non della lettera. Limitarsi a dire: Ho ricevuto la cara vostra, da cui vedo che state bene e sto bene anch'io, o giù di lì - è povertà di fantasia o pigrizia, non semplicità. La lettera dev'essere spontanea, chiara, palpitante di vita; essa surroga la parola, e deve quindi più che può imitare lo stile parlato; più vi si sente lo slancio d'un cuore verso l'altro, d'una mente verso l'altra, la verità, la naturalezza, più piace. Perciò in genere, le donne vive, impressionabili, sensibili al bello, sanno scrivere delle lettere stupende, anche senza essere letterate e talvolta perfino senza conoscere la grammatica: citerò in prova della prima asserzione, le francesi, la Sévigné, - ed in prova della seconda la tragica Rachel, la quale, con un'ortografia delle più fantastiche, dettava delle lettere di cui la grazia e l'eloquenza erano impareggiabili. Trovo anzi che nelle lettere - le quali rappresentano affatto la persona - ogni studio di rettorica, ogni ricercatezza, nuoce, e invece di dar piacere, di far sorridere o di commuovere, fa sclamare a chi la riceve: Oh! quanto deve aver sudato l'amico a mettere insieme tutta questa roba! La brutta copia quindi non giova punto allo stile epistolario; convien abituarsi a farne senza; compor la lettera a memoria e poi buttarla giù, senza badare a qualche neo, a, qualche ripetizione. Che sia di stile schietto e spigliato, ecco quanto preme. Finalmente, per ultima norma,noterò che non si deve mai scrivere sotto l'influenza dell'ira. Se è cosa inurbana, illecita, uno sfogo a parole, figurarsi che cosa è uno sfogo in iscritto! La parola sfuma: verba volant, come dicevano gli antichi; lo scritto invece se ne sta sempre lì, immutabile, anche quando l'ira è svanita, anche quando si sarebbe disposti a cancellarlo con le lagrime. Ciò che si scrive acquista appunto dalla sua durata una forza speciale; l'offeso può aiutare la propria memoria col rileggerlo e così, la freccia che il tempo avrebbe smussato, conserva la sua malefica virtù, ed impedisce il perdono od il ravvicinamento. È anche doveroso custodire con riguardo la propria corrispondenza; se si ricevono lettere un po' imprudenti od appunto scritte in ore di eccezionale impressionabilità, distruggerle. Mai lasciarle di qua e di là, a portata della servitù o degli indiscreti. Non par vero quanti guai hanno prodotto le vecchie lettere! C'è una fatalità nella smania di custodirle. Credo che non si sbaglierebbe aggiungendo al noto assioma: cherchez la femme! quello di: cherchez la lettre! poichè in fondo a gran parte dei guazzabugli di questo mondo sta un cencio di carta con due sgorbi. È quindi una norma di prudenza e civiltà sopprimere o chiudere la propria corrispondenza. Aprire le lettere altrui, o leggerle se si trovano, è la massima indelicatezza. Non è lecito che ai genitori in rarissimi casi. In qualunque altro, anche - anzi - fra marito e moglie è biasimevolissimo; denota bassa curiosità, intenzioni maligne o sospetti offensivi.

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