Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIOR

Risultati per: abbandonarono

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

La propaganda socialista

387950
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Ma i suoi seguaci abbandonarono la sua strada. I suoi più fidi, i socialisti tedeschi nell’agosto del 1914, votarono al parlamento germanico le spese di guerra, tutti, compreso il Liebknecht. Solo più tardi la frazione degli indipendenti, nelle votazioni successive, si dichiarò contraria, ma la maggioranza, tra cui i capi autorevoli, rimasero fedeli alla causa della guerra, fino alla sconfitta. In Austria i socialisti si divisero, uno dei capi più ammirati, il Dasynsky, col suo gruppo votò non solo per le spese della guerra ancora nel giugno 1917, ma organizzò addirittura le legioni polacche contro la Russia mentre va rilevato che nessun deputato trentino votò mai in favore delle spese o dei prestiti di guerra. L’Arbeiterzeitung stessa, organo del partito internazionale austriaco di cui facevano parte anche i socialisti italiani soggetti all’Austria, scrisse in favore della guerra contro la Russia. Che dire poi dei socialisti sull’altra sponda? Proprio il capo del Bureau socialista internazionale il Vandervelde fu membro del gabinetto di guerra del suo paese e grande propugnatore della guerra a fondo; in Francia furono ministri durante la guerra i socialisti Guesde, Sembat e Thomas quest’ultimo addirittura delle munizioni: in Italia basti ricordare Bissolati, Canepa, Bonomi. Nella stessa Russia i capi socialisti Plechanow, Burzew e Kropotkin (proprio quello ch’è citato stabilmente nella testata dell’«Internazionale») furono ferventi sostenitori della guerra. È vero che tutti costoro partecipando alla guerra si giustificarono con ragioni riguardanti la difesa della loro patria o la civiltà, ma ciò vale anche per i cattolici. Se l’«Internazionale» accusa i cattolici, deve condannare anche i socialisti, se assolve questi, non può accusare i primi. I socialisti trentini non hanno diritto oggi di riesumare Carlo Marx, fondatore dell’Internazionale, per rifarsi una verginità innanzi alla guerra e di richiamarsi a quella internazionale che fece all’atto pratico completo fallimento. In quanto ai preti bisogna distinguere un atto di culto, qual’è quello della benedizione delle bandiere, dall’eccitamento all’odio e alla guerra. Chi ha scritto pagine più feroci contro il nemico di Hervé? E di contro a questi fatti quali atti di propaganda pacifista sanno i socialisti apporre che equivalgano agli appelli, alle proposte, alle iniziative del capo della Chiesa cattolica? E qui si potrebbero ricordare tutti gli atti pontifici in favore della pace. Già nel settembre 1914 Benedetto XV scriveva: «Bastino le rovine che già sono state prodotte, basti il sangue che è già stato sparso; si affrettino dunque ad accogliere nell’anima sentimenti di pace...». Tali appelli il papa ripeté al 1° novembre e nel Natale dei 1914 esclamava: «Deh cadano al suolo le armi fratricide, cadano alfine queste armi troppo macchiate di sangue: e le mani di coloro che hanno dovuto impugnarle tomino ai lavori dell’industria e del commercio, tornino alle opere della civiltà e della pace!». E qual grido fu più commovente, quale appello più forte di quello che il papa dirigeva ai potenti nel primo anniversario della guerra? Rievocate quelle parole che noi, profughi o combattenti per forza, per una causa straniera, leggemmo allora piangendo. «Nel nome Santo di Dio, nel nome del celeste nostro Padre e Signore, per il sangue benedetto di Gesù, prezzo dell’umano riscatto, scongiuriamo voi, che la Divina Provvidenza ha posto al governo delle nazioni belligeranti, a porre termine finalmente a questa orrenda carneficina che ormai da un anno disonora l’Europa... Voi portate innanzi a Dio ed innanzi agli uomini la tremenda responsabilità della pace e della guerra: ascoltate la nostra preghiera, la paterna voce del vicario dell’eterno e supremo giudice, al quale dovrete render conto…». Questo scongiuro fece tale impressione che l’Austria ne proibì la ristampa nel «Bollettino diocesano». I socialisti allora, dall’Avanti all’Arbeiter Zeitung, riproducevano il documento a caratteri di scatola. Ora vorrebbero che tutto ciò fosse dimenticato. Il mondo dovrebbe affidarsi per l’avvenire unicamente alla nuova internazionale che Lenin sta ricostruendo col ferro e col fuoco. Quale è il mezzo con cui essi vorrebbero distruggere il militarismo se non con un altro militarismo alla Trotzky o alla Bela Kun? La dittatura del proletariato, la guerra civile, la violenza insomma dovrà trionfare delle vecchie violenze? Non la lotta di classe, spinta fino alle sue ultime conseguenze, può bandire le guerre future, ma la riorganizzazione della società in base ad una rinnovata coscienza cristiana. La fratellanza di Cristo e solo questa ha la forza di attuare la prima. L’oratore termina applauditissimo ricordando la statua del Redentore che domina la scalea del palazzo della pace all’«Aia», posta come sulla soglia del nuovo mondo che deve venire.

La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi

400510
Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1907
  • Murri, La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi, Roma, Società Nazionale di Cultura, 1907, 1-297.
  • Politica
  • UNIOR
  • ws
  • Scarica XML

Dicono alcuni che il Vangelo dell'infanzia e i dommi principali della mariologia sono sorti più tardi, in quel vivace fermento di idealizzazione fantastica al quale si abbandonarono spontaneamente le coscienze di quelle prime generazioni di fedeli che riconobbero in Gesù il loro salvatore, e lui come salvatore presentarono ai gentili. Altri osservano che il quarto evangelo, sorto più tardi degli altri, in un ambiente intellettuale in cui il precetto di vita era stato già tradotto in una teologia, più che alla precisione storica dei fatti, mira all'esposizione acconcia della vita e delle dottrine del Verbo fatto carne, dando ad esse quel colore di autorità e di aperta rivelazione che parve meglio adattarsi al Dio uomo; ma anche se alcuno poté essere indotto, da una critica troppo fiduciosa di sé per essere riverente quanto conviene dell'opera divina, a dubitare sull'uno o sull'altro punto, sta, nella pienezza del suo significato storico, l'affermazione complessiva dei tre primi evangeli; stanno il soave sermone della montagna, le parabole piene di sapienza della vita e di dolcezza, la critica risolutiva del mosaismo degenere, la morte atroce del Calvario. E la figura storica di Gesù è stata ed è oggetto di studii infiniti: e tutta una società che, se non fosse opera divina, sarebbe senza dubbio la più meravigliosa creazione dello spirito sociale dell'uomo, dichiara di non avere altro scopo che quello di essere intermediaria fra Cristo e l'umanità tutta quanta; e nessuno è il quale, se abbia considerato da vicino il Cristo, non dichiari che a lui è necessario assegnare un posto speciale nella storia dell'umanità, troppo lontani da lui sembrando anche quelli la cui anima grande parve avere una più larga impronta del divino.

Pagina 153

Cerca

Modifica ricerca