Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Contessa Lara (Evelina Cattermole)

219899
Storie d'amore e di dolore 1 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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E ora gli è certo che m'aiuterà; bisognerebbe avere un cuor di macigno per abbandonare una creaturina malata come questa... — Pensava anche che, alla peggio, avrebbe proposto al sor Luigi di farle un prestito, un semplice prestito di cui lo avrebbe rimborsato un poco per volta: così, lui, del suo, non ci rimetteva niente, e tutti eran contenti. Su lo spedale la madre non fermava affatto il pensiero; le sarebbe parso un cattivo augurio. - Adele! — chiamò ancora più forte. — Uh! Che c'egli? — gridò la serva, accorrendo alla finestra. - Nulla, nulla. Mi fate il piacere di starmi un momento dal bambino? Vado e torno. - Accidèmpoli! Vo' m'avete messa in corpo una paura birbona! Tremo tutta! — fece l'Adele, che aveva temuto qualcosa di peggio. E scese. Allora Lucia, buttandosi a dosso lo scialle nero, prese la strada quasi di corsa, senza nè anche veder la gente alla quale passava in mezzo. Quando fu a pochi passi dalla drogheria, le entrò la tremarella nelle gambe. Era più d' un anno, ormai, ch'ella evitava anche di traversar quella via: e la grande insegna color di rame, a lettere cubitali gialle su l'alto della vetrina, e le lunghe targhe ai due lati con la specifica dei generi allineata, quell'insieme di cose materiali non cambiato, mentre per lei e per i suoi era mutato tutto, parve mozzarle un istante il respiro. Ma Santino aspettava: ella si face coraggio: entrò. Il principale scriveva al suo solito posto. Al veder Lucia fermarsi, ritta, dinanzi al suo casotto, alzò il capo e la guardò; poi chiese: — Che cosa volete da me? — Ella cominciò timidamente: - Non sono più venuta, sor Luigi, se lo ricorda? per non incomodarla... Peppe mi morì... già lo saprà... e oggi ho il bimbo maggiore, Santino, col vaiolo. Sta male... creda, male!...- - Mi dispiace — brontolò il droghiere, rimettendosi a vergar numeri. - Scusi; se la disturbo, ma il dottore mi ha detto... che per le medicine e il ghiaccio... ci vorranno... anzi non basteranno... sette o otto lire... al giorno. — L'uomo parve ancora più attento a' suoi registri; Lucia riprese: - Allora sono scappata da lei a pregarla per amor di Dio... — - A pregarmi di che? — domandò con freddezza il grosso negoziante, come se non gli passasse per la mente ch'ella fosse lì aspettando un soccorso, una carità, da lui. - Di darmi qualcosa per... — Il droghiere posò la penna, e fissò in viso la vedova. - Ma voi — disse — credete, me ne avvedo da un pezzo, che il denaro io lo zappi. Venite sempre con queste storie di disgrazie, di malattie, di morti, che so io, come s'io fossi il Padre Eterno...- - Nossignore.... mi perdoni... creda.... ho creduto... — Lucia si sentiva smarrire il cervello. Ma dunque, se quell'uomo non l'aiutava?... In quel punto le si ripresentò alla mente l'idea del prestito, ch'ella afferrò come una tavola di salvezza. - Non intendo già — disse — che lei si sacrifichi, sor Luigi, glie l'assicuro... Ma se mi facesse la carità di prestarmi qualcosa... glie la renderei...- - Già, a porta Inferi! — interruppe, incredulo e brusco, costui. - Non tutt'insieme... non lo prometto, perchè so di non poter mantenere... ma quanto prima... - - Non presto nulla — dichiarò uomo; e, dopo un istante, poi che Lucia s'era coperto il viso col fazzoletto, per nasconder le lacrime e la vergogna, soggiunse: - Eccovi due lire. Questo è quanto vi posso dare; ma ricordatevi di non venir più da me, perchè non intendo mantenere le famiglie degli altri. Ho le mie faccende, io, e a quelle devo pensare. — Così dicendo, fece con la destra un gesto risoluto di congedo; e tornò a piegar la fronte rannuvolata su' suoi libri. La vedova lo guardava trasognata: un torpore del sangue, come un formicolío, le invase il corpo; pure volle tentare uno sforzo terribile, ultimo, e pronunziò: - Ma si tratta di vita o di morte, sa! Ah, glie lo giuro, glie lo giuro proprio che se non fosse stato per questo, non sarei venuta più, no, no, non sarei venuta più!.. - - Basta, ho altro da fare! — vociò il principale, stizzito da quella noiosa insistenza; e soggiunse, come parlando tra sè: — Maledetto il buon cuore! Se a questa gentaglia si fa tanto di dare un dito, vi piglia il braccio, vi piglia! — Lucia uscì. Come le gambe la ressero, camminò fino a casa, e si buttò su la sedia accosto al capezzale del figliuolo, più bianca di un panno lavato, senza dir parola. - Icchè v'avete fatto? — cominciò l'Adele piantandosele davanti con le mani sui fianchi. — E' v'hanno dato poche consolazioni addò vo' siete stata, eh? — Lucia crollò la testa bassa. - Tirate via — rispose filosoficamente la serva — tanto, la morte la ci ha a trovar vivi! — Ma la vedova aveva un'espressione così angosciata e stralunata, che alla buona fiorentina venne meno il coraggio di farle altre chiacchiere, fossero pure a fin di bene e per distrarla. L'aiutò, invece, a ripulire qualcosa — dove c'è un malato, c'è sempre da fare — quindi salì dai propri padroni, e ridiscese quasi subito, seria, composta. Non pareva più lei, tanto la gravità della situazione le pesava su 'l cuore. Più presto di quel che credevano si fece rivedere il giovane medico condotto. - Brutto segno! — pensò l'Adele. Allora Lucia con una voce che non aveva più suono umano, ma risoluta, disse: - Signor dottore, prima di notte porto il bambino all'ospedale. - - Brava, brava, mia cara; fate un'ottima cosa — rispose quello — Vedrete, vedrete. — E visitato l'infermo, che presentava dei sintomi ancora più minacciosi, scrisse la domanda d'ammissione a San Francesco de' Poverelli. - Debbo avvisarvi — fece egli alla donna la quale seguiva, cadaverica, il rapido moto della sua penna — debbo avvisarvi che il regolamento proibisce ai parenti di visitare i malati. Gli è per evitare i contatti con gli esterni, capite, che potrebbero propagare il vaiolo. Una volta entrati lì, si rivedono soltanto guariti, o... - - Nè meno io che sono sua madre, posso andare a trovarlo?... - - Nessuno: è la regola. — Ella piegò più giù la testa su 'l petto, ammutolita, vinta. Più tardi, raccolta ch'ebbe la sua creatura entro il lenzuolo e le coperte, fra le quali giaceva, Lucia sollevò di peso quel corpicino quasi inerte, e se lo portò in braccio nella carrozzella che l'Adele era corsa a prendere. Giunta alla porta dello spedale, mise in mano al vetturino le due lire ricevute dal droghiere. Al portinaio del triste luogo, un pancione in livrea, dal naso violaceo, ella domandò, tenendo sempre Santino in collo: - C'è quello che comanda? - - Il direttore? — rispose l'interpellato con tono di superiorità — Il direttore adesso non si può vedere. — - Ma ho qui la domanda... Il bambino mi sta male... - - Si chiama il medico di guardia, in questo caso. - - Chiamate chi volete, ma chiamatelo presto — supplicò la donna. — Io non mi reggo più. — Il pancione in livrea le indicò una panca di legno, dicendo con lo stesso tono di voce: - Sedete lì. — Lucia sedette. Il fanciullo, che pareva un fagotto di panni, restava immobile, pesante, tutto abbandonato. Ella non osava tirargli su neanche un lembo dello scialle per vederlo in faccia, temendo di fargli pigliar fresco; e ogni momento avvicinava la bocca verso il capo di lui, e susurrava: - Santino! Cuore di mamma! — Ma la creatura non le rispondeva. Scese, dopo un po' di tempo il medico di guardia, e constatato lo stato del vaioloso, ordinò che lo si mettesse per quella notte nella stanza d' osservazione. Mentre il bimbo stava per essere trasportato via da un infermiere, sua madre gli scoccò due, tre, dieci baci su 'l viso rosso, tumefatto, su gli occhi chiusi, vischiosi. - Madonna santa, beneditelo! — pregò, tendendo in alto le braccia, mezzo strozzata dalla violenza dell'emozione; poi raccomandò all'infermiere, che già saliva la scala: - Abbiate compassione! Guardatemelo voi, per l'anima dei vostri morti! — e fuggì barcollando, senza voltarsi. Lo spedale di San Francesco de' Poverelli sorgeva in un punto lontanissimo da quel palazzo de' quartieri nuovi, dove Lucia era portinaia. Ci volevan tre buoni quarti d'ora per farsi trascinare fin là in carrozza, e poco men che due ore per andarci a piedi, anche camminando di buon passo. Ora, il maggior dolore che lacerava il cuore di Lucia, da che non aveva più davanti a sè lo spettacolo del suo fanciullo in lotta con la morte, era di non potersi recar tutti i giorni, a tutte l'ore, là dove egli stava rinserrato fra gente estranea, alla quale il poverino doveva pur essere indifferente come chi sa quante altre creature che soffrivano al par di lui, intorno a lui. — Come starà, in questo momento, Santino mio? — era la domanda unica, insistente, fissa simile a un chiodo piantatosegli nel cervello, che la madre si rivolgeva, certe volte persino a voce alta, mentre, pallida come un cadavere, con un tremor nello stomaco, invecchiata, consumata, tornava a lavorar come prima per gl'inquilini del casamento, correva a comprar loro della roba, faceva de' bucati, in fine disbrigava tutte le solite faccende, tranne quella di cucire a macchina, che avrebbe tenuta ferma, mettendole nei nervi un convulso insoffribile. E, con la visione netta delle corsie dai muri bianchi d'intonaco, lungo i quali si schieran le file dei letti uniformi: le corsie di quello spedale ch'ella non avea mai veduto, la desolata si figurava tutti i pensieri che dovevano Contessa Lara. 7 affollarsi nel cervellino febbrile del suo bimbo, quando, se schiudeva gli occhi, non trovava più lei al capezzale. — Chi sa se gli fanno male, quando gli mutan la camicia! Chi sa se badano che il lenzuolo non gli s'aggrinzi sotto ! Ci vuol così poco a impiagarsi ! Brodo, ghiaccio, ne avrà quanto n' ha di bisogno ? Oh, Dio! oh, Dio mio ! — Ma l' idea più orrenda di tutte, una vera follìa che s' impossessava di lei a poco a poco a crisi acute, era quella che al fanciullo non si desse abbastanza spesso da bere. E le sembrava vederlo smaniare in quel letto non suo, senza potersi esprimere, stordito dall' intensità della febbre, e allungare il labbruccio inferiore nel desiderio d'un sorso fresco; ella sentiva come scottar su la propria bocca quel labbruccio arido, enfiato ; un suono indefinito le portava un lamento ch' ella avea sempre nell' orecchio... — Soffre la sete quella creatural — E Lucia allora, presa da una disperazione tanto crudele quanto impotente, si morsicchiava le mani, si stringeva la testa, torcendosi, come si torcono i tronchi delle serpi mutilate. Quanto più spesso le riusciva di scappare, si recava all'ospedale: due e anche tre volte alla settimana; ma quel giorno poteva contar di perdere quattro o cinque ore di lavoro: di più, la portineria restava abbandonata. Veniva il portalettere, veniva gente a chieder di questo o di quell'altro inquilino, e non c'era alcuno per rispondere. Lei si figurava il brontolío dei casigliani, il malumore del padrone, se fosse giunto a saper la faccenda, e correva verso San Francesco de' Poverelli, correva col viso in fiamma, con le gambe che tanto più le pesavano, come fatte di piombo, quanto più le premeva di far presto. E quando, trafelata, trovavasi finalmente allo spedale, davanti al pancione in livrea, che, non avendo nulla da fare, non aveva premura nè per sè, nè per gli altri, ella si struggeva lì una mezz'ora, avvolgendosi e svolgendosi macchinalmente una punta del fazzoletto intorno a due o tre dita della mano. Il tempo non le passava mai; scendevano e salivano inservienti, medici, impiegati, su e giù per l'ampia scala che mena alle corsíe; la donna sospirava, si raccomandava a Gesù, alla Vergine, a tutti i santi e martini benedetti... Stava su' carboni ardenti... Finalmente, qualcuno le si avvicinava a farle l'elemosina delle desiderate notizie; ed ella riprendeva la sua corsa verso casa, con le gambe che pareva non si volessero staccare dal suolo, col capo che le andava per aria, ma più serena d' animo, un po' rassicurata. Di fatti, le notizie di Santino eran sempre migliori. Una volta, dissero a sua madre che il medico lo aveva messo a un quarto di vitto, poi a metà. Un'altra volta seppe che gli era stato permesso d'alzarsi, e allora ebbe due terzi di vitto, non ostante che, a dar retta a lui, avrebbe mangiato anche il desinare del personale di servizio; tanto era l'appetito che gli tornava con le forze. Lucia sorrideva, con gli occhi inondati di lagrime, a sentir tante cose consolanti, e se le sarebbe fatte ripetere sa Dio quante volte. — Madonna cara! Che grazia mi avete fatta! — esclamava col cuore traboccante di gratitudine verso la Provvidenza. Un giorno, la superiora delle monache addette all'ospedale, le disse che il bambino, ormai perfettamente ristabilito, non avrebbe certo tardato a uscire. Quel giorno, prima di tornare a casa, la Lucia non seppe resistere al desiderio di fermarsi da un merciaio che conosceva, a pigliarsi quattro metri di frustagno marrone, per farne un vestitino nuovo a Santino. Fissò di pagarlo un tanto il mese. Ora che non aveva più da perder tempo in queste gite, poteva guadagnare qualche altra cosa; poi le si presentava un nuovo provento: era venuta ad abitare un quartierino del palazzo una giovane sposa incinta, moglie d'un tenente, la quale voleva la Lucia a mezzo servizio, non facendo ella quasi niente da sè in casa, un po' perchè non c'era avvezza, e un po' perchè soffriva di quella prima gravidanza. In questo modo le cose sarebbero andate meglio, si capisce: una spinta di qua, una di là, e la barca va avanti. Tutto questo, la Lucia ripeteva nell'intimo suo, mentre, con un sorriso felice, si stringeva al petto l'involto del frustagno. E come unse e riordinò con compiacimento la sua macchina per cucire il vestitino, non appena l'ebbe tagliato! Lavorava di sera: mentre quel tic-tac fitto fitto ch'ora le faceva l'effetto d'una musica allegra, s'accompagnava al ritmo eguale del respiro dei due bimbi dormenti uno da capo, l'altro da piedi del letto, certe lagrime grosse e calde rigavan la faccia della madre, perchè andava ripensando che in quei giorni di strazio, quando Santino era lontano, tanto malato, ella se la pigliava persino con la Marietta e con Checco, poverini! vedendoli così allegri, sani, chiassoni... Il vestitino era già pronto; la Lucia se l'era già rigirato fra le mani chi sa quante volte, immaginandosi la figura che avrebbe fatto indossato, quando finalmente giunse la famosa lettera diretta ai genitori o parenti di Santino Naldi, invitandoli a ritirare il fanciullo dallo spedale di San Francesco de' Poverelli. Era guarito. La vigilia del ritorno di lui, la madre non trovava il verso d'andare a letto: un'altra ferrata alla camicina con l'amido dal goletto lustro e interito; un'altra stiratina alle calze a costole d'un color marrone scuro, compagne al vestito. A un tratto, fu bussato all'uscio: potevano esser le dodici. — Chi è? — fece la Lucia, che non aspettava gente a quell'ora. - Son io, Trevisani: apri. — Era il tenente: l'inquilino nuovo. La portinaia gli aperse. Un bel giovane, alto e bruno, co' pantaloni alla militare e una giacchetta da borghese, si presentò su la soglia, occupando l'intero vano con la sua poderosa corporatura. Aveva il viso sconvolto, gli occhi cerchiati di rosso. - Mia moglie sta poco bene — disse - ha abortito. - - Oh Dio, come mai? — chiese la Lucia, incrociando le braccia in atto di rincrescimento. — Non so... proprio non so... senza motivo. Son solo... vieni su, fammi il favore... Tu, di queste faccende non te ne devi intendere... — Ella assentiva col capo. Pur troppo, pur troppo! Così non avesse mai saputo quel che costano i figliuoli! E, spenta la sua candela di sego, chiuse la portineria per seguir l'ufficiale. Se la brutta faccenda de' Trevisani fosse accaduta qualche giorno avanti, Lucia non avrebbe saputo come fare a aiutarli, a incoraggiarli, perchè aveva ella medesima troppe pene sue. Ma adesso, era tutt'altra cosa. L'idea d'abbracciare fra poche ore il suo Santino, il suo tesoro, le metteva a dosso un'energia singolare: vedeva ogni cosa sotto un aspetto di pace. — Coraggio, signora, coraggio! — ripetè più volte alla moglie del tenente, un'esile donnina di circa vent'anni, meravigliata e sfinita di quel che aveva patito, con la testa d'un biondo cenere affondata fra' guanciali. La sofferente non rispondeva; ma dalla mezz'ombra in cui trovavasi l'ampio letto matrimoniale, e che pareva dare a quel viso pallido qualcosa di fantastico, sbarrava, spauriti, gli occhi turchini, sforzandosi a sorridere, forse inconsciamente. — Ora rivedo Santino mio! Fra poco Santino mio è qui! — pensava la Lucia, affaccendata in torno a quella povera giovane; e mentre le porgeva una tazza di brodo, fatto lì per lì con dell'estratto di came d'un vasetto dal coperchio polveroso, trovato per caso in una credenza fra altra roba alimentare che il tenente avea riportata dal campo, la madre già vedeva il suo bimbo col vestitino nuovo. Che cosa le avrebbe detto, lui, per solito tanto amoroso? Che faccia avrebbe fatta? Povera, povera faccina, tutta rovinata dal vaiolo! Che importa? Per la mamma era sempre bello, bello come un sole! E mentre andava qua e là, dalla cucina alla camera, bisognava che la Lucia ripensasse al dispiacere di que' poveri signori Trevisani, perchè lei, la madre felice, non si mettesse a canterellare come a' suoi bei tempi, quando ancora non conosceva tribolazioni. Se Santino fosse rimasto in portineria, certo sarebbe morto come il padre. Povero, povero Peppe! Poveri tutti, i morti, anime sante del Purgatorio! E la Lucia si commoveva d'una commozione indefinita, piena di dolcezza. A giorno, appena vide aperta la finestra di cucina dei Lantoni, corse dall'Adele. — Abbiate pazienza — le disse: — il tenente m'è stato a tormentar tutta la notte, perchè non gli abbandoni la moglie, ora che sta meglio. È matto: dice che gliel'ho salvata io. Io non ho fatto nulla, figuratevi! ma, poveretta, è novellina, e sa ch'io me ne intendo. M'avreste dunque a fare un piacere, Adele. Andatemi a San Francesco de' Poverelli a riprender Santino. Tanto, lui sta bene, grazie a Dio, e non ha bisogno di me. Anzi, me lo rivedo a casa tutt'a un tratto...- - Volentieri — fece semplicemente l'Adele: — basta che loro sien contenti. — Loro — erano i suoi padroni; e gente di cuore, non soltanto permisero alla serva d'assentarsi, ma aggiunsero al vestiario di frustagno, che l'Adele portava allo spedale in una pezzuola, un berretto alla marinara, nuovo fiammante, con l'àncora d' oro sui nastri che pendevano dietro. Svelta, la fiorentina camminò fino a piazza San Carlo, dove prese l' omnibus per via dell'Archibugio; e di lì si recò allo spedale. Quella mezz'ora, o poco meno, ch'ella dovette far d'anticamera, le parve assai lunga; e alla madre quel tempo parve infinito. Sempre più nervosamente ella girava per casa Trevisani. Che ora poteva essere? O perchè non tornava l'Adele? Che cosa ci voleva a pigliarsi quella creatura e a portarsela via? Se avevano scritto che Santino era ormai in piena salute, che allo spedale non poteva rimanerci più... O dunque? Ma quando, dopo parecchie ore, che le parvero un secolo, ella vide tornare l'Adele sola, sottosopra, tutta scombussolata e con gli occhi pieni di bile, Lucia non capì più nulla. - O che c' è? Che vuol dire?.. — interrogò interdetta. - Non me l'hanno dato — rispose l'altra lasciandosi cader le braccia, come dopo aver fatta una grande fatica. Lucia non capiva; chiese: - Perchè? - - Non era lui! - - Come? - - Non era lui, no, no, non era lui - asserì l'Adele entrando e buttandosi sur una sedia. Poi raccontò per filo e per segno il fatto. Aveva dovuto pazientare un secolo: non fa niente; il portiere, un buzzone schifoso che si dava Dio sa che importanza, le aveva significato che lì era inutile aver fretta, angustiarsi, spazientirsi; facevano come gli pareva; ci voleva pazienza: c'era un buscherio di gente; chi andava, chi veniva... non si capiva un' acca... Lucia accennava di sì, di sì, sempre più frequentemente, per mostrare che capiva, capiva... Ma poi, poi che cosa era accaduto? Questo le stava a cuore. Poi, poi era accaduto che all'Adele avevan presentato un bambino di circa cinque anni, che lei non aveva riconosciuto. Quello lì, Santino? Ma nè pure per sogno! Era venuto un inserviente, e dopo, una monaca, e dopo anche la superiora, poi il medico di guardia: tutta una processione. Avevan detto: - Che mai dite che non è lui? — E l'Adele: - Nossignori che 'unn' è lui! - - Il vaiolo, lo sapete, muta la fisonomia. - - E' muterà quanto gli pare, ma questo 'unn'è Santino! Già Santino, gli ha sett'anni: e questo? - - La malattia l'avrà fatto dimagrare. - In vece, questo bimbo qui gli è grasso e robusto, e il nostro gli era mingherlino, piuttosto civile. - - È stato ben nutrito — osservò il dottore. - Poi, Santino gli aveva gli occhi celesti, e questo qui gli ha neri! — - Ve lo volete portar via, sì o no? — chiese il direttore, ch'era sopraggiunto in mezzo a questa discussione. - Io no, ecco! — dichiarò l'Adele o come ho a fare a portar via uno che 'unn' è Santino? - - Fate venir la madre, in questo caso — finirono col dire tutti. Di modo che l'Adele se n'era tornata sola, senza sapere che cosa la si facesse, accorata, con un diavolo per pelo. La madre ascoltò tutto il racconto per filo e per segno, senza batter palpebra; un ghiaccio, come di svenimento, le era corso per le vene. Madonna santa! Che voleva dire ciò?.. E due sole parole le uscirono di bocca: - Vado io. — Ma la mattina di poi, a punto mentre ella si preparava a recarsi allo spedale, s'affacciò alla portineria una femmina che teneva per mano un ragazzino; e chiese di Lucia Naldi, quella che aveva un malato a San Francesco de' Poverelli. Il bimbo indossava il vestito color marrone cucito a macchina, di sera, quando le fatiche diurne erano finite; portava le calzette a costola, il berretto con l'àncora. Ma il vestitino gli era largo e lungo: ci stava come in un sacco, goffo, impacciato, malinconico. - Vi riporto il vostro figliuolo, per ordine del direttore — disse la femmina. — Ormai sta benone e allo spedale non possiamo più tenerlo. — Lucia s'era fermata di botto, come se in un attimo le avessero inchiodato le piante al suolo. Fissò il ragazzo con le pupille dilatate, con le labbra strette, con tutta la faccia che si protendeva in atto di eccezionale stupore. Contessa Lara. 8 - Ma non è il mio, questo! — gridò ella. - Chi, questo? — chiese l'infermiera con tono d'incredulità. - Questo, questo qui! - - Eh diamine! Siete matta! Nome, cognome, età, sta scritto tutto su la tabella. Come volete che non sia il vostro? Guardatelo bene. - - Non è il mio, vi dico! — badava ad affermare la portinaia — Santo Dio, volete che una madre non riconosca il suo figliuolo? - - Si sa, ha avuta una malattia che cambia tutti. Gli è come se uno si mettesse una maschera, credete a me. - - Non può cambiare il sangue, la malattia! Questo bambino nè anche mi conosce. Vieni qua, dimmi come ti chiami — fece la Lucia, attirando verso di sè il fanciullo, intento a fissar la stanza dove si trovava con occhi attoniti, lustri fra la came lustra, tuttora chiazzati di rosso, e occupato, quando non fissava la stanza, a osservare l'abito marrone da lui indossato, del quale particolarmente sembravano interessarlo i bottoni e le tasche. - Come ti chiami? — ripetè la Lucia. Il bambino alzò lo sguardo un po' selvaggio; poi lo tornò subito a chinare, e rimase muto. Allora la Lucia lo respinse dolcemente: - Non è il mio!- Non è il mio! — esclamò sicura — Riportatevelo pur via, chè oggi stesso vengo a pigliar Santino. - E siccome, a punto la Marietta e Checco entravano in casa di corsa, come una folata di vento, la madre li interrogò, spingendoli davanti al piccolo sconosciuto: - È Santino nostro, questo? Ditelo voi! — I ragazzi smisero di ridere; squadrarono il nuovo arrivato con atto di diffidenza, poi se ne allontanarono un po' ammusoniti, facendo segno di no, col capo. - Vedete? Vedete bene che non è il mio! tornò a protestare la Lucia. L'infermiera insistè un altro poco, tanto per fare: raccontò qualche aneddoto straordinario su 'l vaiolo, che rende irriconoscibili anche alle persone di famiglia; ma, vedendo che la portinaia, anzi che persuadersi, sempre più si irritava, si strinse nelle spalle, come chi, in fin de' conti, si sente affatto estraneo ad una faccenda nella quale è immischiato senza sua volontà; e, ripreso per mano il fanciullo da lei condotto, se ne andò con un indifferente: — Arrivederci. — Lucia aveva la febbre a dosso. Saper guarito il suo Santino, saper di poterlo riabbracciare, e in tanto non averlo in casa! Lasciò andar tutto, servizio, bucato: salì soltanto a scusarsi con la Trevisani: e partì. All'ospedale, le dissero che il direttore non c'era. Bisognava aspettarlo. Aspettò. Quanto le parve lungo e angoscioso quel tempo, Dio solo lo sa: Lui che tien conto degl'istanti dei nostri dolori. Era sola, in una vasta camera dalle pareti nude, dipinte a stampino e scolorate. Di mobili, non altro che una vecchia scrivania di noce, ormai senza lustro, con sopra mucchi d'incartamenti giallognoli e un calamaio di porcellana bianca dal piattello attaccato, tutto sbocconcellature e macchie d'inchiostro. Davanti alla scrivania, dalla parte del muro, una poltrona, egualmente di noce, a guanciale di cuoio nero, fiancheggiata d'una fila di sedie impagliate. A sinistra, uno scaffale ingombro di registri luridi, per gli anni e per la polvere. Non osando passeggiare, per il timore di fare strepito e parer troppo ardita, la Lucia stava lì immobile. Non si metteva neanche a sedere per l'agitazione, per l'impazienza che aveva a dosso; quasi che lo star lì in piedi avesse sollecitato l'arrivo del direttore. Ogni rumore più lieve, venuto di fuori, la faceva riscuotere, le rimescolava il sangue, le dava come un colpo nel petto e una stretta alla gola. Teneva fissi gli occhi su la porta: una porta mezzo sgretolata, da cui sperava, a ogni istante, di veder comparire il suo bambino. Ma il tempo passava: nulla, nulla! Dopo un gran pezzo, che a lei parve incalcolabile, l'uscio s'aperse a un signore di una cinquantina d'anni, alto, con in testa un cappello a cilindro, e tutt'insieme un aspetto burbero e confuso. Lucia lo guardava tra ossequiosa e incerta. Egli sedette nella poltrona di cuoio nero, davanti alla scrivania, e rimescolò un gran numero degli scartafacci accatastati iì sopra. Un plico, un incartamento, chi sa che cosa fosse? lo tenne particolarmente attento; sfogliava avanti e indietro le pagine, come se non trovasse quel che cercava. Finalmente alzò la faccia, ombreggiata dal cappello, e, piantando i gomiti su la tavola, mentre badava a stropicciarsi le mani all' altezza del viso, cominciò: - Mi rincresce di dovervi dare una cattiva notizia. — - Lucia lo fissava. D'un tratto, ebbe l'impressione d'una corrente fredda che avvolgesse tutta, e inghiottì a forza la saliva, che non le voleva passar dalla gola. - Proprio mi rincresce — continuò l'uomo — ma che volete? c'è stato un errore... Si son messe le corsíe sossopra, per ripulirle, e questo ha cagionato l'equivoco. Han posta la tabella d'un ammalato a capo al letto d'un altro... e... — Ella lo fissava sempre, smarrita, senza comprendere ancora, ma col presentimento di qualcosa d'orribile, di nuovo, d'ignoto, d'inaspettato. Battendo le palpebre, faceva con le labbra il movimento di chi parla, quasi avesse ripetuto a sè, in silenzio, ogni parola di lui, per meglio intenderla, per crederla. Egli riprese ancora: - E, dunque... in questa confusione, è capitata al bambino che vi avevo rimandato la tabella del bambino vostro, morto il sei di marzo, cioè pochi giorni dopo che ce lo avete portato. - Morto? — chiese lei, calma, con lo stordimento incosciente d'un bue che riceve il primo colpo mortale. - Eh sì, cara mia! Ci vuol pazienza; è stato uno sbaglio, che m'ha proprio fatto dispiacere. Adesso ci vorranno almeno quarantott'ore per rimetter le cose a posto, e farvi avere un certificato di morte in regola. — La donna pareva fulminata. Rimasta ritta davanti alla scrivania, abbandonava le braccia, che le pendevano sotto lo scialle di lana nera, e sporgeva innanzi la testa bassa, con l'occhio vitreo, con la bocca mezzo aperta, cadente. — Del resto, — soggiunse il direttore — le cose sono state fatte ammodo; i genitori di quell'altro ragazzo hanno ordinato un mortorio decente al bambino vostro, credendolo il loro; questo deve consolarvi. E in ultima analisi, — concluse — con la morte c'è poco da fare: pur troppo, lo sapete come me. Quanto ai panni, ve li restituiranno, non c'è dubbio: m' impegno io. — Lucia udiva un rumore di parole vaghe, assordante come uno scrosciar d'acque invisibili. Non rispose mai. Soltanto, quando il direttore s'alzò, ella capì che doveva andarsene. Che cosa ci stava ormai a fare? Chi aspettava? E s'avviò verso l'uscio, col desiderio intenso di ritrovarsi in casa sua, nel suo covo, che le pareva lontano, lontano, come se, per arrivarci, avesse dovuto far un viaggio interminabile, eterno.

D'Ambra, Lucio

220384
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  • 1919
  • Fratelli Treves
  • Milano
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. — Ella può, marchese, abbandonare il suo posto. Sua Maestà il Re viene ad occuparlo. Il Re infatti entrava poco dopo, ristorato da alcune ore di sonno tranquillo, fresco, sorridente, allegro, indossando il più delizioso abito da mattina che mai sarto elegantissimo abbia cucito per un giovane re. Strinse la mano a don Pedro, sorrise e inchinò il capo a tutti gli altri, salutò me con un leggero cenno di mano e sedette su la poltrona Impero che io occupavo poco prima. Dalla comoda poltrona di marocchino rosso dove ero tranquillamente tornato, benevolo spettatore, dopo aver anch'io recitato la mia breve parte in commedia, vidi il mio regale amico trarre dalla tasca posteriore del suo pantalone il portasigarette dorato da cui prese una sottile sigaretta bionda che accese ad un fiammifero offertogli con sussiego dal presidente del Consiglio. Immediatamente, dopo aver scambiato poche parole indifferenti coi ministri su la bella giornata che si annunziava dal cielo limpidamente sereno, prese la penna e incominciò a firmare con la sua grossa scrittura diritta il pacco di decreti che don Pedro aveva rispettosamente posto d'innanzi a lui. Quando, dopo altri venti decreti, gli capitò davanti quello che riguardava don Alvaro e che il primo ministro aveva delicatamente insinuato tra gli altri, Sua Maestà lo scorse rapidamente e lo firmò sera muovere ciglio, con un'ombra appena di sorriso che poteva sfuggire agli altri ma che non sfuggiva a me. Il Re si levò sùbito dopo, mentre i ministri lo imitavano. M'ero levato anch'io e il caso m'aveva posto vicino al ministro della Guerra antimilitarista, che s'era avvicinato al presidente del Consiglio. — Io non mi sono opposto, — disse il ministro della Guerra — non mi sono opposto alla nomina di don Alvaro di Frondosa a Zarzuelopoli perchè conosco il vostro senno e sono sicuro che voi avrete già pensato a chiedere al Congresso i crediti per le nuove spese militari. Non si fa la guerra senza un esercito forte. Con mio rammarico perdetti la risposta del presidente del Consiglio poichè proprio in quel punto, mentre i ministri raccoglievano le loro carte e i loro cappelli a staio, Sua Maestà mi chiamava e mi manifestava con due parole succinte il suo compiacimento nel vedere che la difficile situazione era stata delicatamente spianata. — La soluzione, infatti, è un po' delicata, — risposi ricordando le parole del ministro degli Esteri. Sua Maestà, che è molto intelligente, capì tutto in un batter d'occhi. — Capisco. C'è il pericolo d'una nuova Iliade in pieno secolo ventesimo. Vuol dire che in tal caso lei ne detterà il poema. Il mio regale amico alludeva alle mie lontane velleità letterarie. — Non potrei tutt'al più che scrivere in prosa, Maestà, — risposi sorridendo con umiltà di prosatore. — Scusi, — rispose il re che è sempre pieno di spirito, — quel decreto è scritto in prosa ma, francamente, vale un poema.... Osservai in quel punto, volgendomi, che tutti i ministri s'erano radunati verso la finestra da dove potevano scorgere, esposti alla luce, la regale guancia e lo storico segno di cravache. Ma tutto era scoparso sotto un po' di cipria rosea, poichè, come c'insegna il Vangelo, torna alla cipria ciò che dalla cipria è venuto.

Pagina 13

Mitchell, Margaret

221479
Via col vento 11 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
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Johnson fu costretto ad abbandonare le alture per proteggersi le spalle. Aveva perduto un terzo dei suoi uomini, e il rimanente si trascinava stanco sotto la pioggia, verso il fiume Chattahoochee. Non aspettavano altri rinforzi, mentre la ferrovia, in mano degli yankees dal basso Tennessee al campo di battaglia, portava a Sherman ogni giorno truppe fresche e rifornimenti. Attraverso i campi ridotti paludi di fango, i grigi indietreggiavano verso Atlanta. Con la perdita delle posizioni ritenute inespugnabili, una nuova ondata di terrore si impadronì della città. Si sperava che almeno il generale riuscisse a fermare gli yankees sulla riva opposta del fiume, benché questo fosse abbastanza vicino: soltanto a sette miglia! Ma Sherman valicò il fiume a monte e le file dei grigi furono costrette ad attraversare l'acqua gialla e a gettarsi di nuovo tra gli invasori e Atlanta. Ripararono in trincee frettolosamente scavate a nord della città, nella valletta del Fiumicello del Pesco. Atlanta era angosciata dallo spavento. Combattere e ripiegare! Combattere e ripiegare! E ogni ritirata portava gli yankees piú vicini alla città. Il Fiumicello del Pesco era solo a cinque miglia. Ma che cosa aveva in mente il generale? Il grido «dateci un uomo che resista e combatta!» penetrò fino a Richmond. Richmond sapeva che Atlanta era perduta, la guerra perduta; e dopo che l'esercito ebbe attraversato il fiume Chattahoochee, il generale Johnston fu esonerato dal comando. Questo fu affidato al generale Hood, uno dei suoi comandanti, e la città respirò sollevata. Hood, quel gigante del Kentucky con la barba fluttuante e gli occhi ardenti, non avrebbe indietreggiato! Aveva la reputazione di un bull-dog. E certo riporterebbe l'esercito sulle antiche posizioni e da queste sulla strada che andava a Dalton. Ma l'esercito gridò: «Ridateci il Vecchio Joe!» perché con lui aveva fatto tutta la tremenda ritirata ed essi sapevano gli ostacoli che avevano superati e che i borghesi ignoravano. Sherman non attese che Hood si preparasse all'attacco. L'indomani del mutamento di comando, il generale yankee piombò velocemente sulla cittadina di Decatur, a sei miglia al disotto di Atlanta, se ne impadronì e tagliò la strada ferrata. Era quella che collegava Atlanta con Augusta, Charleston, Wilmington e con la Virginia. Il colpo inferto alla Confederazione era violento. Ora Atlanta gridava il suo desiderio di agire; era tempo! E in un pomeriggio di luglio, con un caldo soffocante, Atlanta realizzò il proprio desiderio. Il generale Hood fece piú che resistere: egli assalí gli yankees al Fiumicello del Pesco, lanciando i suoi uomini fuori dalle trincee verso le linee turchine dove i soldati di Sherman erano il doppio di loro. Sgomenti, pregando Dio che l'attacco di Hood fosse efficace, tutti ascoltavano il rombo del cannone e il crepitio delle migliaia di fucili che, benché lontani dieci miglia, sembrava sparassero nella strada accanto. Vedevano il fumo fermarsi come nuvole pesanti al di sopra degli alberi; ma per parecchie ore nessuno seppe l'esito della battaglia. Sul tardo pomeriggio vennero le prime notizie, incerte, contradittorie, spaventose. Erano recate dagli uomini feriti nelle prime ore, che giungevano a gruppi, i meno gravi sorreggendo quelli che stentavano a muoversi. In breve fu un'affluenza di individui doloranti che si avviavano agli ospedali, coi visi neri di polvere da sparo, sudore e polvere della strada, con le ferite non fasciate, perdenti sangue, accompagnati da sciami di mosche. Quella della zia Pitty era una delle prime case a cui i disgraziati giungevano; uno dopo l'altro si afferravano al cancello e cadevano sul prato gemendo: - Acqua! Tutto il pomeriggio la famiglia di Pitty, bianchi e negri, rimase al sole, con secchi d'acqua e bende, a porger da bere, a fasciare ferite, finché non ebbero piú bende; e anche le lenzuola tagliate a strisce e gli asciugamani furono esauriti. Zia Pitty aveva completamente dimenticato che la vista del sangue la faceva svenire e lavorò finché i suoi piedini nelle scarpe troppo strette si gonfiarono e rifiutarono di continuare a sorreggerla. Perfino Melania, ormai grossa, dimenticò la sua pudicizia e lavorò febbrilmente accanto a Rossella, Prissy e la cuoca, col viso angosciato come quello dei feriti. Quando finalmente svenne, non si seppe dove coricarla, se non sulla tavola di cucina, perché ogni letto, divano, poltrona della casa era occupato da qualche ferito. Dimenticato in quella confusione, il piccolo Wade, afferrato alla ringhiera della scala, guardava attraverso le sbarre come un coniglio spaventato, succhiandosi un dito e singhiozzando con gli occhi dilatati dal terrore. Una volta Rossella lo vide e gridò aspramente: - Vai a giocare nel cortile di dietro, Wade! - Ma il bimbo era troppo affascinato e terrificato dalla scena spaventosa, che si svolgeva dinanzi ai suoi occhi, per ubbidire. Il prato era coperto di uomini abbattuti, troppo stanchi per camminare ancora, troppo indeboliti dal sangue perduto per potersi muovere. Zio Pietro li caricava a gruppi nella carrozza per portarli all'ospedale, facendo un viaggio dopo l'altro senza interruzione; finché il vecchio cavallo fu coperto di schiuma. La signora Meade e la signora Merriwether mandarono le loro carrozze e anche queste furono caricate, con le molle che cigolavano sotto il peso dei feriti. Piú tardi, nel caldo crepuscolo, giunsero dal campo di battaglia le ambulanze rumoreggianti e i carri dei commissariati, coperti di tele inzaccherate. E poi carri agricoli, carri tirati da buoi e perfino carrozze private requisite dal Corpo sanitario. Essi passarono dinanzi alla casa di zia Pitty, traballando sulla strada: ineguale, carichi di feriti e di morti, lasciando strisce di sangue sulla polvere rossastra. Alla vista delle donne coi secchi e i mastelli, i veicoli si fermavano, ed era un coro misto di grida e di sussurri: - Acqua! Rossella sorreggeva teste abbandonate, perché le labbra aride potessero bere, versava secchi d'acqua su corpi impolverati, febbrilmente, nelle ferite aperte per procurare un attimo di sollievo ai disgraziati. Si avvicinava coi secchielli in mano ai conducenti delle ambulanze e chiedeva col cuore in gola: - Che notizie? Che notizie? E da tutti aveva la stessa risposta: - Niente di certo, signora. È troppo presto per poter dire qualche cosa. Giunse la notte soffocante. Non un soffio d'aria; le fiaccole di pino tenute dai negri rendevano l'atmosfera ancora piú calda. La polvere ostruiva le narici di Rossella e inaridiva le sue labbra. Il suo abito di calicò color lavanda, cosí ben stirato e inamidato la mattina, era macchiato di sangue, di sudore e di sudiciume. Ecco ciò che intendeva dire Ashley quando scriveva che la guerra non era che sudiciume e miseria. La stanchezza dava alla scena un aspetto irreale, fantomatico. Non poteva esser vero... perché se fosse stato vero, il mondo doveva essere impazzito. Altrimenti, perché ella si troverebbe qui, nel tranquillo prato dinanzi alla casa di zia Pitty, in mezzo a luci oscillanti, a versar acqua sui suoi spasimanti moribondi? Infatti molti dei feriti le avevano fatto la corte e vedendola cercavano di sorridere. Vi erano tanti uomini che vacillavano su quella strada buia e polverosa, uomini che ella conosceva bene e che morivano sotto i suoi occhi, coi volti insanguinati coperti di zanzare, uomini coi quali aveva riso, ballato, per i quali aveva suonato e cantato e che aveva stuzzicato, confortato anche... amato un pochino. Trovò Carey Ashburn fra un mucchio di feriti in un carro da buoi, ancora vivo benché avesse una pallottola da fucile nel capo. Ma non poteva trarlo dal carro senza disturbare altri sei feriti, quindi lo lasciò andare all'ospedale. Piú tardi seppe che era morto prima ancora di esser veduto da un dottore, e che era stato sepolto non si sapeva precisamente dove. Ne erano stati sepolti tanti in quel mese, nelle tombe scavate frettolosamente nel cimitero di Oakland. Melania fu molto addolorata per non aver potuto tagliare una ciocca di capelli di Carey da mandare a sua madre ad Alabama. La notte trascorse; Pitty e Rossella avevano la schiena indolenzita e le ginocchia che si piegavano per la stanchezza, ma continuavano instancabilmente a chiedere: - Che notizie? Che notizie? E dopo lunghe ore ebbero risposta: una risposta spaventosa. - Stiamo indietreggiando. - Ci ritiriamo. - Sono migliaia e migliaia piú di noi. - Gli yankees hanno tagliato la strada alla cavalleria vicino a Decatur. - Bisognava mandar dei rinforzi. - Tutti i nostri saranno fra poco in città. Rossella e Pitty erano attaccate l'una al braccio dell'altra sorreggendosi a vicenda. - Stanno... vengono... gli yankees? - Sí, signora, vengono; ma non c'è d'aver paura. «Non abbiate paura, Miss, non possono prendere Atlanta.» «No, signora, abbiamo costruito troppe fortificazioni intorno alla città.» Ho sentito il Vecchio Joe dirmi personalmente: posso tenere Atlanta indefinitamente.» «Sí, se ci fosse il Vecchio Joe. Ma...» «Sta' zitto, imbecille! Che bisogno hai di spaventare le signore?» «Gli yankees non potranno mai conquistare Atlanta.» «Ma perché non andate a Macon o in qualche altro posto? Non avete parenti?» «Gli yankees non possono prendere Atlanta; ma certo sarebbe meglio che le donne non rimanessero qui, sia pure per assistere al tentativo.» L'indomani, in una giornata soffocante e piovosa, l'esercito sconfitto affluí ad Atlanta: migliaia di uomini esauriti dalla fame e dalla debolezza, demoralizzati da 70 giorni di battaglie e di ritirate, coi cavalli macilenti e spauriti, i cannoni e i cassoni tenuti insieme da pezzi di corda e strisce di vecchio cuoio. Ma non venivano col disordine di un esercito in rotta. Marciavano in buon ordine, malgrado i loro stracci, con le rosse e lacere bandiere di battaglia sventolanti sotto la pioggia. Avevano imparato a ripiegare col Vecchio Joe, il quale aveva fatto della ritirata un elemento strategico come un'avanzata. Le file di uomini barbuti e laceri percorsero la via dell'Albero di Pesco, cantando: «Maryland! O mia Maryland!»; e tutta la città venne fuori a salutarli. Vincitori o sconfitti erano i suoi soldati. La Milizia di Stato, che era andata in campo poco tempo prima, splendente nelle sue nuove uniformi, si distingueva a malapena dalle truppe stagionate, tanto i suoi componenti erano in disordine. Nei loro occhi era una nuova espressione. I tre anni, durante i quali non avevano fatto che giustificarsi, spiegando la loro assenza dal fronte, erano ormai dietro di loro. Essi avevano abbandonato la sicurezza delle retrovie per i pericoli della battaglia; molti di loro avevano lasciato una vita facile per una morte dolorosa. Ora erano dei veterani, veterani di un servizio breve, ma veterani ugualmente per la maniera in cui s'erano comportati. E cercavano nella folla i volti degli amici, fissandoli con fierezza. Adesso potevano tenere la fronte alta. I vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale marciavano: i primi movendo a stento il passo, e i secondi col volto di bimbi stanchi che avevano troppo presto conosciuto le tristezze della vita. Rossella scorse Phil Meade e stentò a riconoscere il suo volto nero di polvere e di sudiciume, irrigidito dallo sforzo e dalla stanchezza. Zio Enrico si avanzava zoppicando, senza cappello sotto la pioggia, col capo riparato alla meglio da un pezzo di tela impermeabile. Il nonno Merriwether era in un carro d'artiglieria coi piedi nudi avvolti in ritagli di coperte. Ma per quanto guardasse non riuscí a scorgere John Wilkes. I veterani di Jonhson, però, camminavano col passo instancabile che avevano avuto per tre anni, ed avevano ancora la forza di sorridere alle belle ragazze e di insolentire gli uomini senza uniforme. S'avviavano alle trincee che circondavano la città; non fossati scavati in fretta, ma trincee costruite in piena regola, con parapetti all'altezza del petto, rinforzati con sacchi di terra e travi di legno. Erano miglia e miglia di solchi purpurei, che attendevano gli uomini che dovevano riempirli. La folla salutava le truppe come le avrebbe salutate se fossero state vittoriose. In ogni cuore era la paura; ma ora che si conosceva la verità, ora che il peggio era accaduto, ora che la guerra era tra loro, un mutamento sopravvenne. Non vi era piú panico né isterismo. Ciò che era nel cuore non si leggeva sul volto. Ciascuno cercava di mostrarsi coraggioso e fiducioso dinanzi ai soldati. E tutti ripetevano ciò che il Vecchio Joe aveva detto proprio prima di essere esonerato dal comando: «Terrò Atlanta indefinitamente.» Ora che Hood si era dovuto ritirare, molti desideravano, come i soldati, il ritorno del Vecchio Joe; ma non osavano dirlo e si limitavano a ripetere la sua frase: «Conserverò Atlanta indefinitamente!»

Pagina 335

Perché mi volete abbandonare? - Perché? - egli rise gaiamente. - Forse a causa di quella stupida sentimentalità che è appiattata in fondo a tutti noi meridionali. Forse... Forse perché mi vergogno. Chi Io sa? - Vergognarvi? Dovreste morire di vergogna a lasciarci qui, sole, senza aiuto... - Cara Rossella! Voi non siete senza aiuto. Quando si è egoisti e risoluti come voi, non si è mai abbandonati. Dio deve aiutare piuttosto gli yankees, se per caso capitate fra loro! - Scese bruscamente dal carro, e poiché ella lo guardava sbalordita, girò dalla sua parte e le ordinò: - Scendete. Ella lo fissò. Rhett la prese alla vita senza complimenti e la depose a terra accanto a lui. Tenendola leggermente alla cintura, la trasse a parecchi passi di distanza. Ella sentiva la polvere e i sassi penetrare nelle sue scarpine. Le tenebre calde l'avvolgevano come un sogno. - Non vi chiedo di comprendere o di perdonare. Io stesso non mi comprendo, e non mi perdonerò mai questa idiozia. In fondo, mi secca di trovare in me ancora tanto donchisciottismo. Ma i nostri bei Paesi del Sud hanno bisogno di ogni uomo. Non lo ha detto anche il nostro bravo governatore Brown? Ma non importa. Vado alla guerra. Rise improvvisamente, un riso squillante che destò gli echi nel bosco nero. - «Non ho potuto amarti, cara, piú di quanto amassi l'onore.» Un bel discorso, no? Certo migliore di quel che sarei capace di fare io in questo momento. Perché vi amo, Rossella, malgrado quel che vi ho detto quella sera sotto il porticato, un mese fa. La sua voce era carezzevole e le sue mani calde e robuste, le lisciavano le braccia nude. - Vi amo, Rossella, perché ci somigliamo tanto; rinnegati, tutti e due, e profondamente egoisti. A nessuno di noi due importa che il mondo vada in rovina, purché noi ci salviamo. Ella udiva le parole, ma non ne capiva il senso. Cercava di rendersi conto della tremenda verità: egli la lasciava sola, ad affrontare gli yankees. Il suo cervello le diceva: «Mi lascia, mi lascia.» Ma non provava emozione. Allora le braccia di lui le circondarono la vita e le spalle, ed ella sentí i suoi muscoli saldi, e i bottoni della sua giacca che le premevano contro il petto. Un senso di calore, di stupore, e di sgomento la invase offuscando in lei ogni cognizione di tempo e di luogo. Si sentiva come una bambola di stracci debole e rilassata; e le piaceva sentirsi sorretta da quelle braccia vigorose. - Non volete cambiare idea a proposito di ciò che vi dissi quella sera? Non vi è nulla di meglio del pericolo e della morte per dare una spinta. Siate patriottica, Rossella. Pensate che manderete un soldato alla morte con un bel ricordo. Ora la baciava. E i suoi baffetti le sfioravano la bocca; la baciava con le labbra ardenti, lentamente, come se avesse avuto a sua disposizione tutta la notte. Carlo non l'aveva mai baciata cosí. E nemmeno i baci dei Tarleton e di Calvert le avevano dato quella sensazione di caldo e di freddo e l'avevano fatta tremare cosí. Le riversò il corpo all'indietro e le sue labbra le accarezzavano la gola, fin dove il cammeo le chiudeva la scollatura. - Tesoro - mormorò egli - tesoro... Ella scorgeva vagamente il carro nell'oscurità. A un tratto udí la vocetta acuta di Wade. - Mamma! Wade ha paúla! Alla sua mente confusa tornò improvvisamente la realtà ed ella ricordò ciò che aveva dimenticato per un attimo: che aveva paura e che Rhett, quel maledetto mascalzone, stava per lasciarla. E per colmo aveva la sfacciataggine d'insultarla con le sue infami proposte. Ira e odio s'impadronirono di lei; con uno sforzo ella si strappò alle sue braccia. - Mascalzone! - esclamò; e cercò di ricordarsi i peggiori insulti, quelli che aveva udito adoperare da Geraldo contro Lincoln, contro McIntosh e contro i muli testardi: ma le parole non vennero. - Abbietto, vigliacco, odioso! - E non riuscendo a trovare altre parole abbastanza sferzanti, alzò un braccio e lo colpí sulla bocca con tutta la forza che le rimaneva. Egli indietreggiò portandosi la mano al viso. - Ah! - fece soltanto; e per un attimo rimasero a fissarsi nell'oscurità. Rossella udiva il suo respiro pesante; ed ella pure ansimava come se avesse corso. - Avevano ragione; tutti avevano ragione! Non siete un gentiluomo! - Cara ragazza, come siete inopportuna! - Andatevene! Andatevene subito! Non voglio vedervi mai piú! Spero che una palla di cannone vi colpisca, che vi faccia a pezzi. Che... - Il resto non importa. Accetto la vostra idea. Ma quando sarò morto sull'altare della patria, spero che la vostra coscienza vi rimprovererà. Lo udí ridere, mentre, voltava le spalle, si avviava verso il carro. Lo vide fermarsi e lo udí parlare con la voce rispettosa che usava sempre quando parlava a Melania. - Mrs. Wilkes? La voce spaventata di Prissy rispose: - Madre di Dio, capitano Butler! Miss Melly essere svenuta rovesciata indietro. - Non è morta? Respira? - Sí, signore. Respirare. - Allora, è meglio cosí. Se fosse cosciente, forse non potrebbe sopravvivere a tutto questo. Abbi cura di lei, Prissy. Questo è per te - e le diede una banconota.... Cerca di non essere piú stupida di quello che sei. - Sí, signore. Grazie, signore. - Addio, Rossella. Si era voltato a guardarla, ma ella non parlò. L'odio l'aveva ammutolita. Udí il suo passo sui ciottoli della strada e per un attimo vide le sue larghe spalle disegnarsi nel buio. E dopo un momento, era scomparso. Udí allontanarsi il rumore dei passi, fino a cessare completamente. Allora tornò lentamente verso il carretto, con le ginocchia che le tremavano. Perché se n'era andato cosí, nel buio, a mescolarsi alla guerra, a una Causa che sapeva perduta, a un mondo impazzito? Perché era andato, Rhett che amava il piacere, le donne, i liquori, il buon vino e i letti comodi, i bei vestiti e le belle scarpe, che detestava gli Stati del Sud e derideva gl'imbecilli che combattevano per essi? Ora le sue scarpe verniciate lo portavano su una strada dolorosa, su cui la fame camminava con passo instancabile, e che le ferite, la debolezza, l'angoscia percorrevano come un branco di iene urlanti. E all'estremità di quella strada era la morte. Non doveva andare, lui che era ricco e tranquillo. Ed era andato, invece, lasciandola sola in una notte nera come la fuliggine, con l'esercito yankee fra lei e la sua casa. Ora si ricordò tutti gli insulti che avrebbe voluto lanciargli, ma era troppo tardi. Appoggiò il capo sul collo curvo del cavallo e pianse.

Pagina 396

Non poteva abbandonare Tara; apparteneva a quella terra rossa com'essa apparteneva a lei. Rimarrebbe e troverebbe modo di far vivere suo padre, le sue sorelle, Melania e il bimbo di Ashley e i negri. Domani... oh, domani! Domani metterebbe il collo sotto il giogo. Vi erano tante cose da fare. Andare alle Dodici Querce e alla piantagione di MacIntosh e vedere se negli orti abbandonati era rimasta qualche cosa; andare alle paludi e batterle per rintracciare polli e maiali smarriti, andare a Jonesboro e a Lovejoy coi gioielli di Elena... Doveva essere pure rimasto qualcuno che vendeva roba da mangiare! Domani... domani... La parola si agitava nel suo cervello come il battito di un orologio, sempre piú lentamente; ma la chiarezza della visione persisteva. Dai vecchi racconti che aveva ascoltato nella sua infanzia, qualche cosa emergeva chiaramente. Geraldo, senza un soldo, aveva costruito Tara; Elena aveva superato qualche misterioso dolore; il nonno Robillard, sopravvivendo alla caduta di Napoleone, aveva fondato nuovamente la fortuna della sua famiglia sulla fertile costa della Georgia; il bisnonno Prudhomme si era fatto un piccolo regno nella giungla di Haiti, lo aveva perduto, e poi aveva vissuto abbastanza per vedere il suo nome onorato a Savannah. Vi erano le Rosselle che avevano combattuto coi volontari irlandesi per la libera Irlanda e gli O'Hara che erano morti sul Boyne combattendo fino all'ultimo respiro per difendere la loro proprietà. Tutti avevano sopportato le piú grandi sventure. Non erano stati abbattuti dal crollo di imperi, di rivolte di schiavi, guerre, proscrizioni, confische. Il fato maligno aveva spezzato la loro vita, a volte, ma non i loro cuori. Non avevano ceduto; avevano lottato. Tutta quella gente il cui sangue scorreva nelle sue vene sembrava muoversi silenziosamente nella stanza inondata dal chiaro di luna. E Rossella non era sorpresa di vederli, quegli antenati che avevano avuto il peggio che il destino può assegnare e lo avevano trasformato nel meglio. Tara era il suo destino, la sua lotta, ed essa doveva vincere. Si voltò pigramente su un fianco; a poco a poco il suo spirito naufragava nell'oscurità. Erano davvero presenti, i fantasmi, e le mormoravano parole incoraggianti, o questo faceva parte del suo sogno? - Siate o non siate qui - mormorò sonnacchiosa - vi do' la buona notte... e vi ringrazio.

Pagina 430

Una volta Rossella, disperata, pensò di andare lei stessa in cerca di viveri; ma i clamori isterici di tutta la famiglia paurosa degli yankees la indussero ad abbandonare il progetto. Pork si assentava a volte fino alla sera, e Rossella non gli chiedeva mai dov'era stato. Certi giorni tornava con un po' di cacciagione, altre volte con qualche pannocchia di granturco, con un sacchetto di piselli secchi. Portò anche un gallo che disse di aver trovato nei boschi. La famiglia lo mangiò con piacere misto a un senso di rimorso, perché tutti sapevano che Pork lo aveva rubato, come aveva rubato i piselli e il granturco. Una sera, poco tempo dopo, bussò alla porta di Rossella quando tutti quanti già dormivano e le mostrò timidamente una gamba crivellata di pallini. Mentre la padroncina lo fasciava, spiegò goffamente che mentre cercava di entrare in un pollaio a Fayetteville, era stato scoperto. Rossella non gli chiese di chi era il pollaio, ma gli accarezzò dolcemente la spalla con le lagrime agli occhi. I negri erano irritanti, qualche volta; stupidi e indolenti; ma la loro fedeltà era impagabile e anche la loro dedizione ai padroni bianchi, che li spingeva ad arrischiare la vita per procurare dei viveri per la loro tavola. In altri tempi i ladrocini di Pork sarebbero stati una cosa molto seria, che probabilmente avrebbe richiesto una buona frustata. Elena le aveva sempre detto: - Ricordati che tu sei responsabile del morale come del benessere fisico degli schiavi che Dio ha affidato alla tua cura. Devi pensare che sono come dei bambini; e, come ai bambini, bisogna sempre dar loro il buon esempio. Ma ora, Rossella non ebbe cuore di rimproverare il negro fedele. Il fatto di incoraggiare il furto non le pesava sulla coscienza, che, d'altronde, non era mai stata troppo severa. Le dispiacque soltanto che fosse stato ferito. - Devi stare attento, Pork. Non ti vogliamo perdere. Che cosa faremmo senza di te? Sei stato buono e fedele; e quando avremo denaro ti comprerò un bell'orologio d'oro e ci farò incidere sopra un versetto della Bibbia. Pork scivolò fuori dalla camera ed ella rimase pensierosa. Era stupita che la vita fosse oggi cosí semplice, mentre una volta - tempi passati e lontani! - era piena di complicazioni. Vi era stato il problema di conquistare l'amore di Ashley e di tenersi attorno una dozzina di spasimanti rendendoli infelici. E piccole mancanze di contegno da nascondere ai genitori, amiche gelose da placare, abiti da scegliere... Ora la sola cosa che importava era il poter mangiare a sufficienza per non morire d'inedia, vestirsi in modo da ripararsi dal freddo e avere un tetto che non vacillasse troppo. In quei giorni Rossella cominciò ad avere un incubo che poi la ossessionò per degli anni. Era sempre lo stesso sogno, i cui particolari non mutavano, ma che la spaventava ogni volta di piú; e il terrore la tormentava anche quando era sveglia. Ricordava benissimo gli incidenti del giorno in cui il sogno le era apparso per la prima volta. Pioveva da una settimana, e la casa era piena di freddo e di umidità. I ceppi nel camino era bagnati e fumosi e davano poco calore. Non si era mangiato nulla, dopo la colazione consistente in poco latte, perché la provvista di patate dolci era esaurita e le trappole e le reti di Pork non avevano prodotto niente. Bisognava decidersi a uccidere un porcellino, se si voleva avere qualcosa da mangiare. Visi tirati e affamati, bianchi e neri, la fissavano, chiedendole con gli occhi di provvedere un po' di cibo. Bisognava decidersi a mandar via Pork a cercare di comprare qualche cosa. Per di piú, c'era Wade col mal di gola e la febbre; e non vi era medico né medicine. Affamata e stanca di vegliare il bimbo, Rossella lo aveva affidato a Melania e si era gettata sul letto per fare un sonnellino. Coi piedi gelati, si voltava e rivoltava senza riuscire ad addormentarsi. Pensava e ripensava: «Che debbo fare? A chi rivolgermi? Non c'è nessuno al mondo che possa aiutarmi?» Perché non vi era una persona che la sollevasse da quel fardello troppo pesante per lei? E con questi pensieri, cadde in una sonnolenza irrequieta. Si vide in un luogo sconosciuto, denso di nebbia sicché non distingueva nulla a un palmo di distanza. Sotto ai piedi la terra era ineguale: una landa silenziosa in cui ella era smarrita, atterrita come un bimbo nella notte. Aveva freddo e fame; avrebbe voluto gridare ma non poteva. Nella nebbia erano cose o esseri che stendevano le dita ad afferrarle le gonne, per trascinarla entro la terra che tremava; mani silenziose, irrequiete, spettrali. Eppure, sapeva che al di là di quell'atmosfera opaca era un rifugio, un porto dove potrebbe riparare al caldo. Ma dov'era? Riuscirebbe a raggiungerlo prima che le mani la trascinassero entro le sabbie mobili? E improvvisamente si metteva a correre per entro la nebbia come una pazza, urlando, lanciando avanti le braccia, senza afferrare altro che aria e nebbia umida. Dov'era il rifugio? C'era, ma non riusciva a trovarlo... Lo sgomento le faceva piegare le ginocchia, la fame la faceva svenire. Lanciò un grido disperato e si svegliò per vedere chino sopra di sé il viso preoccupato di Melania che la scuoteva per destarla. Il sogno si ripeté ogni volta che andava a dormire con lo stomaco vuoto. E questo avveniva sovente. La spaventava talmente che aveva perfino timore di addormentarsi, benché continuasse a ripetere febbrilmente a se stessa che non vi era alcun motivo d'aver paura. Nulla; eppure l'idea di quella landa nebbiosa la sgomentava tanto che cominciò a dormire con Melania, la quale la destava non appena i suoi gemiti le rivelavano com'ella fosse nuovamente caduta fra le grinfe dell'incubo. Era diventata magra e pallida. La graziosa rotondità del suo viso era scomparsa; gli zigomi si erano accentuati, rendendo piú obliqui i suoi occhi verdi, dandole un'espressione di gatto affamato in cerca di preda.

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Appena entrato in Atlanta disse al sindaco che tutti gli abitanti dovevano abbandonare la città. E vi erano vecchi e ammalati che non potevano muoversi; e donne che... insomma, neanche loro si potevano muovere. E lui li scacciò ugualmente durante uno spaventoso temporale e quando furono nei boschi mandò a dire al generale Wood di andarli a raccogliere. Una quantità di gente morí di polmonite. - Ma perché? Non potevano fargli alcun male! - esclamò Melania. - Disse che aveva bisogno della città per far riposare i suoi uomini e i suoi cavalli - replicò Franco: - Infatti vi rimasero sino alla metà di novembre; e prima di partire diedero fuoco alla città e distrussero tutto. - Tutto! - esclamarono le ragazze sgomente. Sembrava impossibile che la città piena di vita che esse conoscevano, coi suoi bei palazzi e i grandi negozi, fosse distrutta! - Insomma, quasi tutto - si corresse frettolosamente Franco, turbato dall'espressione dei loro volti. Cercò di apparire allegro perché non voleva affliggere delle signore. Non raccontò ciò che aveva visto l'esercito quando aveva attraversato Atlanta nel ritirarsi; i comignoli rimasti dritti tra le ceneri, i mucchi di rottami mezzo bruciati e di mattoni frantumati che ingombravano le strade, i vecchi alberi disseccati dal calore. Ricordava la sua sofferenza a quello spettacolo e le maledizioni dei confederati. Sperava che le signore non sarebbero mai venute a sapere gli orrori compiuti al Cimitero, in cui erano sepolti anche Carlo e i genitori di Melania. Era una visione che gli dava ancora l'incubo. Sperando di trovare dei gioielli sepolti insieme ai morti, i soldati yankee avevano scoperchiato le tombe, avevano derubato i cadaveri, strappando dalle bare le targhe d'oro e d'argento coi nomi, le borchie e le maniglie pure d'argento. Gli scheletri erano rimasti alla rinfusa fra le loro bare vuote e sconquassate, esposti alle intemperie. E Franco non poté neppure raccontare dei cani e dei gatti: migliaia di animali affamati, abbandonati quando i loro padroni erano stati cosí bruscamente evacuati e che erano diventati quasi selvaggi per la paura, il freddo e la fame. Franco cercò nella sua mente qualche informazione meno spaventosa da fornire alle signore. - Vi sono alcune case ancora in piedi; case che erano lontane dalle altre e a cui il fuoco non si è comunicato. Sono rimaste anche le chiese e la Sala Massonica. E qualche negozio. Ma il quartiere degli affari nei pressi della ferrovia e dei Cinque Punti... tutto quello è raso al suolo. - Allora - esclamò Rossella amaramente - il magazzino che mi aveva lasciato Carlo vicino alla ferrovia è stato distrutto? - Se era presso alla ferrovia certamente non c'è piú; ma... - A un tratto sorrise. Come mai non ci aveva pensato prima? - Allegre, signore! La casa di vostra zia Pitty è ancora in piedi. Magari un po' danneggiata, ma esiste. - E come mai? - È di mattoni e è quasi l'unico tetto di ardesia che vi sia ad Atlanta; questo ha evitato che le scintille comunicassero il fuoco. Poi è quasi l'ultima casa a nord della città. Quando ho visto miss Pitty la settimana scorsa a Macon... - L'avete vista? E come sta? - Benone. Quando le ho detto che la sua casa era ancora in piedi ha subito pensato di ritornarvi. Cioè... se il vecchio negro Pietro glie lo avesse permesso. Molta gente di Atlanta è tornata, perché si teme che a Macon arrivino i soldati di Wilson, e questi sono peggiori di quelli di Sherman. - Ma che idea, tornare mentre non vi sono case! Dove abitano? - In attendamenti e capanne di legno, e sistemandosi in sei o sette famiglie nelle poche case rimaste. E tentano di ricostruire. Non dite che sono sciocchi, miss Rossella. Voi li conoscete come li conosco io. Sono attaccati alla loro città e - scusatemi, miss Melly - cocciuti come muli quando si tratta di Atlanta. Non capisco il perché; ma sarà perché io sono nato in campagna e non amo alcuna città. E i primi tornati sono i piú fortunati; gli ultimi invece non troveranno neanche una pietra, perché tutti quanti si riforniscono di quello che trovano per poter fabbricare. L'altro ieri ho visto la signora Merriwether con Maribella e la loro vecchia negra che caricavano delle pietre su un biroccino. E la signora Meade mi disse che appena il dottore fosse di ritorno, avrebbe, col suo aiuto, fabbricato una capanna di legno. Ha già vissuto in una capanna tanti anni fa, quando giunse ad Atlanta che si chiamava ancora «Marthasville»; e non le importa nulla di ripetere la stessa esperienza. Certo non parlava sul serio; ma questo dimostra la loro maniera di pensare. - Senza dubbio, sono pieni di energia - replicò Melania con orgoglio; - non è vero, Rossella? Rossella annuí, fiera essa pure della sua città di adozione. - Se zia Pitty torna ad Atlanta - proseguí Melania - forse faremo bene a tornarvi anche noi; altrimenti, se sta sola, muore di paura! - Come potrei lasciar qui tutto adesso? - ribatté Rossella sgarbatamente. - Ma se vuoi andare, vai; io non ti trattengo. - Non volevo dir questo, tesoro! - esclamò Melania desolata, arrossendo. - Non avevo pensato... Certo tu non puoi lasciare Tara; e... forse zio Pietro e la cuoca avranno cura di zia Pitty. - Ma non c'è nulla qui che ti impedisca di andare - ritorse ancora brevemente e con asprezza Rossella. - Sai che non voglio lasciarti. E... senza di te avrei troppa paura! - Come vuoi. Del resto, vedrai che appena Sherman saprà che è stata ricostruita qualche casa, tornerà a incendiarla. - Non tornerà - intervenne Franco; e, malgrado i suoi sforzi, il suo volto si oscurò. - Oramai ha attraversato lo Stato per impadronirsi della costa. Savannah è caduta in questa settimana; e pare che ora gli yankees siano diretti alla Carolina del Sud. - Savannah è caduta! - Sí. Non era possibile tenerla: vi erano troppo pochi uomini, benché siano stati mobilitati tutti quelli che potevano reggersi in piedi. Sapete che quando gli yankees marciavano su Milledge-ville furono chiamati tutti i ragazzi delle Scuole Militari e furono perfino aperti penitenziari per procurarsi delle truppe fresche? Sicuro: tutti i detenuti ebbero la possibilità di recarsi a combattere, con la promessa del condono della pena se uscivano salvi dalla guerra. Vi assicuro che c'era da rabbrividire a vedere quei ragazzi nelle stesse file con dei ladri e degli assassini! - E di questa gente hanno fatto dei soldati! - Non vi spaventate, miss Rossella; del resto hanno dimostrato di essere degli ottimi combattenti. - Ma dov'era l'esercito del generale Hood? - Il generale Hood è rimasto a combattere nel Tennessee per scacciare gli yankees dalla Georgia. - Ha fatto un bell'affare! - esclamò Rossella con sarcasmo. - Ha lasciato quei maledetti yankees spadroneggiare qui, facendoci proteggere soltanto da ragazzi di scuola, detenuti e Guardia Nazionale! - Non si parla in questo modo, figliuola - interruppe Geraldo. - Dai un dispiacere a tua madre. - Sono maledetti, gli yankees! - ripeté Rossella con calore. - E non potrò mai usare altre parole per loro. Il ricordo di Elena mise tutti a disagio, e la conversazione improvvisamente cessò. Fu Melania a riprenderla. - E a Macon avete visto Lydia e Gioia Wilkes? Avevano... avevano saputo nulla di Ashley? - No, miss Melania. Sapete che se avessi avuto notizie di Ashley sarei corso qui a spron battuto per informarvene. Ma non dovete essere troppo preoccupata per lui. Come volete che dia notizie di sé chi è in prigionia? E nelle prigioni yankee si sta assai meglio che nelle nostre. Vi è da mangiare in abbondanza e sono fornite di medicinali e di coperte... - Oh, lo so che sono ben provvisti! - esclamò Melania con amarezza. - Ma non danno niente ai prigionieri. E voi lo sapete, Mr. Kennedy; ma parlate cosí per tranquillizzarmi. Se si potessero fare scomparire gli yankees dalla faccia della Terra! Che volete, sono certa che Ashley è... - Non lo dire! - gridò Rossella col cuore in gola. Finché nessuno diceva che Ashley era morto, in lei sussisteva una debole speranza che egli vivesse ancora; ma le sembrava che se quelle parole fossero pronunciate, in quel momento egli morrebbe. - Non vi preoccupate per vostro marito, Mrs. Wilkes - intervenne il monocolo. - Io fui catturato nei primi tempi e poi fui scambiato; e mentre ero in prigione mangiavo polli e focacce... - Bugiardo! - E Melania accennò a un sorriso. E poi, per cambiare argomento: - Se vogliamo andare in salotto, vi canterò qualche canzone di Natale. Il pianoforte è la sola cosa che gli yankees non hanno potuto portar via. Dev'essere terribilmente stonato; vero, Súsele? - Terribilmente - rispose Súsele, sorridendo a Franco. Si alzarono per passare nell'altra stanza; sulla soglia Franco trattenne Rossella per la manica. - Posso parlarvi un momento a quattr'occhi? Per un attimo ella ebbe il timore che l'ufficiale volesse chiederle le sue provviste di vettovaglie; e si preparò a mentire coraggiosamente. Rimasero soli dinanzi al caminetto; e tutta la falsa gaiezza che aveva animato il volto di Franco Kennedy scomparve. Rossella ebbe l'impressione di trovarsi dinanzi a un vecchio. Egli si tirò un momento le fedine grige e si raschiò la gola prima di parlare. - Mi dispiace molto di vostra madre, miss Rossella... - Non ne parliamo, vi prego! - E vostro padre... è cosí da quando...? - Sí... non è piú in sé... Ma vi supplico... - Scusate, miss Rossella. - E stropicciò i piedi nervosamente. - Ma il fatto è... Insomma, volevo dire qualche cosa a vostro padre, ma capisco che è inutile. - Forse potete parlare con me, Mr. Kennedy. Oramai... sono io il capo di casa. - Ecco... - e Franco ricominciò a tirarsi la barba. - Volevo... volevo chiedergli la mano di miss Súsele. - Ma come! - esclamò Rossella stupita. - Non gliel'avevate ancora chiesta? E le fate la corte da tanti anni! Egli arrossí e sorrise imbarazzato, come un ragazzo timido. - Ma... non sapevo se... se vostra sorella era disposta... Io sono molto piú vecchio di lei... E c'erano tanti giovinotti che giravano qui intorno... «Bah!» pensò Rossella. «Venivano per me, non per lei!» - E non so neanche adesso se... se mi vuole. Non gliel'ho mai domandato, ma... credo che lei sappia qual è il mio sentimento. Miss Rossella, io non ho piú nulla. Avevo molto denaro - scusatemi se ne parlo - ma non mi è rimasto altro che il mio cavallo e l'abito che ho addosso. Quando mi arruolai vendetti la maggior parte della mia proprietà e investii il denaro in titoli della Confederazione; e voi sapete che cosa valgono oggi. Meno della carta su cui sono stampati. D'altronde, non ho neppure questi, perché sono andati bruciati quando gli yankees incendiarono la casa di mia sorella. So che ho torto a chiedere miss Súsele oggi, ma... Non so che cosa succederà di noi quando la guerra sarà finita. Mi sembra la fine del mondo: non siamo sicuri di nulla. Però... penso che potrebbe essere un conforto per me e forse anche per lei se fossimo fidanzati. Non chiedo di sposarla finché non potrò essere in grado di mantenerla; e non so quando ciò potrà accadere. Ma se il vero amore può equivalere alla ricchezza, vi assicuro che Súsele, da questo punto di vista, sarà ricca come nessun'altra al mondo. Disse queste ultime parole con una dignità che commosse Rossella, benché le sembrasse strano che qualcuno potesse amare sua sorella. Questa le sembrava un mostro di egoismo e di perversità. - Va bene, Mr. Kennedy - rispose tranquilla. - Credo di potervi rispondere a nome di mio padre. Egli ha sempre avuto simpatia per voi ed era sicuro che Súsele vi avrebbe sposato. - Davvero? - esclamò Franco, felice. - Senza dubbio - e nascose un sorriso ricordando quante volte Geraldo aveva brontolato perché lo spasimante di Súsele non si decideva a manifestare le sue intenzioni. - Le parlerò stasera - proseguí egli, con le labbra un po' tremanti. Poi prese la mano di Rossella e la strinse. - Siete molto buona, miss Rossella. - Adesso ve la mando - e Rossella si avviò verso il salotto, da cui giungeva suono del pianoforte e la voce di Melania che cantava un inno. Bruscamente si volse verso Kennedy. - Che avete voluto significare dicendo che vi pare la fine del mondo? - Vi parlerò con franchezza - cominciò Franco lentamente - ma non vorrei che spaventaste le altre signore ripetendo loro quello che vi dirò. La guerra non può piú durare a lungo: non abbiamo piú uomini e i disertori sono numerosissimi; molto di quanto si voglia riconoscere. Non vi sono viveri, e senza mangiare non si può combattere. Lo so perché sono addetto appunto al vettovagliamento. Ho percorso in tutti i sensi questa regione da quando abbiamo ripreso Atlanta: non vi è di che nutrire un uccellino. E lo stesso è per trecento miglia a sud di Atlanta. Il popolo muore di fame; le ferrovie sono distrutte; non abbiamo piú fucili, le munizioni si stanno esaurendo e non vi è cuoio per le scarpe... Perciò, siamo alla fine. La fine delle speranze della Confederazione turbò Rossella meno delle notizie sulla scarsità di viveri. Se quanto diceva Franco era vero, era inutile mandare Pork col denaro degli Stati Uniti a cercare di procurare qualche cosa... Ma Macon non era caduta. A Macon dovevano esservi dei viveri. Appena il commissario del dipartimento fosse ripartito, ella manderebbe Pork a Macon. Pazienza: correrebbe il rischio che il cavallo fosse requisito dall'esercito! Ma valeva la pena di tentare. - Bene, non parliamo di cose spiacevoli stasera, Mr. Kennedy - disse. - Andate nello studietto della mamma; vi manderò Súsele, cosí potrete... insomma, avrete un colloquio con lei. Sorridendo, rosso di emozione, Franco uscí dalla stanza: Rossella lo seguí con lo sguardo. «Peccato che non possa sposarla adesso» pensò. «Sarebbe una bocca di meno in casa.»

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E dire a me di dire a voi, chiaro e tondo che lei non capire che voi tutte abbandonare lei in momento di bisogno. - Oh basta! - gridò aspramente Mammy, indignata di sentir parlare di Tara come di una «vecchia fattoria». Bisognava essere un ignorante negro cittadino per non sapere la differenza fra una fattoria e una piantagione. - Non avere anche noi momenti di bisogno? Non avere avuto grande bisogno di miss Rossella e di miss Melania? E se miss Pitty aver bisogno di assistenza, non avere suo fratello? Zio Pietro le lanciò uno sguardo indignato. - Noi non avere avuto niente da fare con mist' Enrico da molti anni e non incominciare proprio adesso. - Quindi si rivolse alle ragazze che cercavano di nascondere il loro sorriso. - Voi badroncine dovervi vergognare di lasciare povera miss Pitty sola, con metà di suoi amici morti e altra metà a Macon; e Atlanta piena di soldati yankee e straccioni negri liberati. Le due ragazze avevano subíto il rimprovero cercando di avere l'aria mortificata; ma l'idea di zia Pitty che mandava il vecchio Pietro per sgridarle e ricondurle ad Atlanta finí col farle scoppiare in una risata. Naturalmente Pork, Mammy e Dilcey fecero eco, felici di vedere il detrattore della loro diletta Tara beffeggiato e schernito. Súsele e Carolene si unirono al coro e perfino sul viso di Geraldo si disegnò un vago sorriso. Tutti ridevano, ad eccezione di Pietro, che si dondolava su un piede e sull'altro con crescente indignazione. - Cosa avere tu, negro? - interrogò Mammy con un sogghigno. - Essere troppo vecchio per proteggere tua badrona? Pietro si risentí. - Io troppo vecchio? No, madama! Io poter proteggere miss Pitty come sempre fatto. Non averla protetta a Macon dove essere rifugiati? E quando yankees essere venuti a Macon e lei svenire continuamente perché avere tanta paura? E non avere cavalcato su questo ronzino per riportare badroncine ad Atlanta? Non per proteggere... - E Pietro si drizzò in tutta la sua altezza come per vendicarsi... ma per quello che sembrare. - Chi, cosa sembrare? - Quello che dire gente vedendo miss Pitty vivere sola. Dire cose scandalose sul conto di signorine che vivere sole - continuò Pietro; e i suoi ascoltatori si resero conto che per lui Pittypat era ancora la graziosa fanciulla sedicenne che doveva essere difesa dai pettegolezzi. - E io non volere che gente criticare. E non volere che prendere estranei per compagnia... No, madama. E avere detto: «Finché avere persone di tuo sangue, non dovere far questo». Questo avere detto. E ora persone di suo sangue rinnegarla. Miss Pitty essere una bambina e... A questo, Rossella e Melania risero anche piú forte e piombarono sui gradini non potendosi piú reggere. Finalmente Melly si asciugò le lagrime che il riso convulso aveva fatto sgorgare dai suoi occhi. - Povero Zio Pietro! Mi dispiace di aver riso. Davvero! Perdonami. Miss Rossella ed io non possiamo venire a casa adesso. Forse io potrò venire in settembre, dopo il raccolto del cotone. La zia non ti avrà mandato con l'idea che tu potessi ricondurci su quel sacco d'ossa? A questa domanda il viso rugoso di Pietro espresse la piú grande costernazione. Il suo labbro pendulo si ritrasse con la rapidità con la quale una tartaruga ritrae il capo nel guscio. - Miss Melly, io credere che diventare vecchio, perché avere dimenticato perché avermi mandato, ed essere cosa importante. Io avere una lettera per te. Miss Pitty non averla voluta affidare alla posta e a nessun altro per portartela... - Una lettera per me? Di chi? - Essere... E miss Pitty dire: «Tu, Pietro, portare a miss Melly» e io dire... Melly balzò in piedi con una mano sul cuore. - Ashley! Ashley! È morto! - No. badrona! No, badrona! - E la voce di Zio Pietro sembrò uno squillo, mentre egli frugava nella tasca della sua giacca. - Essere vivo! Essere sua lettera. Venire a casa. Lui... Dio di misericordia! Sorreggila, Mammy! Lasciarmi... - Lasciala stare, vecchio scemo! - tuonò Mammy lottando per impedire a Melania di piombare a terra. - Scimmia pietosa! Prenderla qui, piano. Tu, Pork, prendere piedi. Miss Carolene, reggere sua testa. Mettere su divano in salotto. Fu un tumulto: tutti erano attorno a Melania, tranne Rossella, gridando spaventati, correndo in casa a prendere guanciali e acqua. In un istante Rossella e Pietro rimasero soli nel porticato. Ella era immobile, incapace di muoversi, e fissava il vecchio negro che agitava debolmente una lettera. Il viso nero e grinzoso era pietoso come quello di un bimbo rimproverato da sua madre; tutta la sua dignità era scomparsa. Per un attimo Rossella pensò soltanto: «Non è morto! Ritorna!» e questo non le diede né gioia né eccitazione: solo una stupefatta immobilità. La voce di Zio Pietro le giunse come da lontano, lamentosa e calmante. - Mist' Willie Burr di Macon che essere nostro parente avere portato a miss Pitty. Mist' Willie essere in stessa prigione di mist' Ashley. Lui avere avuto cavallo ed essere arrivato presto. Ma mist' Ashley venire a piedi e... Rossella gli strappò di mano la lettera. Era diretta a Melania e la soprascritta era di mano di Pitty, ma ella non esitò. La aperse in fretta e il biglietto di Pitty che vi era accluso cadde al suolo. Dentro alla busta era un pezzo di carta piegata, sudicia per le molte tasche per cui era passata, sgualcita e con gli angoli strappati. L'indirizzo era di mano di Ashley: «Alla signora Ashley Wilkes, presso la signorina Sara Giovanna Hamilton, Atlanta, oppure alle Dodici Querce, Jonesboro, Georgia». Con dita tremanti, aperse e lesse: «Diletta, ritorno a casa, accanto a te...». Le lagrime cominciarono a riempirle gli occhi, sicché non poté piú leggere; il cuore le batteva cosí forte che quasi le toglieva il respiro. Stringendo la lettera, salí di corsa i gradini, attraversò il vestibolo, passò dinanzi al salotto dove tutti gli abitanti di Tara si affollavano a soccorrere Melania, entrò nello studio di Elena. Chiuse la porta a chiave e si gettò sul divano piangendo, ridendo, baciando la lettera. - Diletta - mormorò - ritorno a casa, accanto a te...

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Melania pregò Mammy di lasciarle abbastanza ritagli di velluto per ricoprire la carcassa del suo cappello ormai logoro e suscitò le risa generali dicendo che il vecchio gallo del pollaio sarebbe costretto ad abbandonare, come guarnizione, la sua bella coda dai riflessi metallici, a meno che non prendesse immediatamente la fuga verso la palude. Rossella, mentre guardava le mani che volavano sul lavoro, udí quel riso e guardò tutti quanti con celata amarezza e disprezzo. «Non hanno l'idea di ciò che sta veramente accadendo a me, a loro, al Sud. Credono ancora, malgrado tutto, che nulla possa veramente accadere a nessuno di loro, perché sono chi sono: gli O'Hara, i Wilkes, gli Hamilton. Anche i negri credono questo. Pazzi! Stolti! Non capiranno mai! E nulla li muterà. Melly può vestire di stracci e raccogliere il cotone e magari aiutarmi ad uccidere un uomo, ma questo non la muta. È ancora la perfetta signora Wilkes! E Ashley, dopo la guerra, le ferite, la prigionia, è lo stesso gentiluomo di una volta, quando possedeva le Dodici Querce. Will è diverso. Egli comprende come le cose sono realmente; ma non ha mai avuto molto da perdere. Quanto a Súsele e Carolene... credono che si tratti di cosa temporanea. Sono convinte che Dio farà un miracolo, specialmente a loro beneficio. Ma Egli non lo farà. Il solo miracolo sarà quello che io vado a tentare con Rhett Butler... Essi non possono cambiare. Io sono la sola veramente mutata... e se avessi potuto farne a meno, ne sarei ben contenta.» Finalmente Mammy mandò gli uomini fuori dalla sala da pranzo, per poter cominciare le prove. Pork aiutò Geraldo a salire le scale per condurlo a letto, e Ashley e Will rimasero soli nel vestibolo illuminato da una lanterna. Tacquero per un poco: Will masticava il suo tabacco come un placido ruminante, ma il suo volto era tutt'altro che placido. - Non mi piace - disse finalmente con voce sommessa - questa gita ad Atlanta. Non mi piace neanche un poco. Ashley lo guardò; poi volse rapidamente lo sguardo altrove chiedendosi se Will nutriva lo stesso tremendo sospetto che lo tormentava. Ma era impossibile. Will ignorava ciò che era avvenuto nel frutteto in quel pomeriggio e la disperazione di Rossella. Né poteva aver notato il viso di Mammy quando era stato pronunciato il nome di Rhett Butler; d'altronde, Will non sapeva che Butler aveva del denaro e ignorava la cattiva reputazione di colui. Per lo meno, Ashley era convinto che Will non fosse al corrente di queste cose; ma dal suo ritorno a Tara si era accorto che quell'uomo, come Mammy, sapeva tante cose senza che alcuno glie le dicesse; sovente le intuiva prima che avvenissero. Ora nell'aria era una minaccia che Ashley non avrebbe saputo definire, ma da cui sapeva di non poter salvare Rossella. In tutta la sera i loro occhi non si erano mai incontrati, e la brillante gaiezza con la quale essa lo aveva trattato lo spaventava. Il sospetto che lo lacerava era troppo atroce per essere formulato in parole. Né aveva egli il diritto d'insultarla chiedendole se vi fosse fondamento di verità. Strinse i pugni. Non aveva alcun diritto su ciò che riguardava lei; in quel pomeriggio aveva rinunciato per sempre. E nessuno poteva aiutarla. Ma in quell'attimo il ricordo di Mammy e della sua espressione decisa mentre tagliava il velluto, lo risollevò alquanto. Mammy sorveglierebbe Rossella, che questa lo volesse o no. «Tutta colpa mia» pensò con disperazione. «Sono io che l'ho condotta a questo punto.» Ricordò come ella aveva irrigidito le spalle quando si era allontanata e come aveva sollevato la testa. Si sentí struggere il cuore per la propria inettitudine, e provò contemporaneamente un senso di ammirazione. Sapeva che nel vocabolario di lei non esisteva la parola «coraggio»; e sapeva che ella lo avrebbe fissato stupita se egli le avesse detto che era l'anima piú intrepida che avesse mai conosciuto. Sapeva che essa prendeva la vita come veniva, opponendo il suo forte spirito a qualsiasi ostacolo si presentasse, lottando con una decisione che non ammetteva sconfitta, e continuando a combattere, anche quando vedeva che la sconfitta era inevitabile. Ma per quattro anni egli aveva visto altri che avevano rifiutato di ammettere la sconfitta; uomini che avevano gaiamente affrontato il futuro disastro, perché erano intrepidi e coraggiosi. Ed erano stati ugualmente sconfitti. Mentre fissava Will nel vestibolo poco illuminato, Ashley pensò che non aveva mai conosciuto una intrepidezza pari a quella di Rossella O'Hara che partiva alla conquista del mondo avvolta nelle tende di velluto di sua madre e adorna con le penne della coda di un galletto.

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Come abbandonare la terra rossiccia, i grandi pini, la palude, il tranquillo cimitero nel quale Elena dormiva all'ombra dei cedri? L'odio per Rhett le bruciava in cuore. Magari lo impiccassero! Almeno non le accadrebbe piú di trovarsi di fronte a lui che conosceva la sua disgrazia e la sua umiliazione. Senza dubbio, se avesse voluto avrebbe trovato modo di farle avere il denaro! Sí, impiccarlo era troppo poco! Meno male che non poteva vederla adesso, coi vestiti bagnati, i capelli scomposti e un tremito che la scuoteva tutta. Come doveva essere brutta, e come riderebbe lui, se la vedesse! I negri che incontrava la guardavano insolentemente e ridevano fra loro mentre ella correva, scivolava, si fermava per rimettere le scarpette che le sfuggivano. Come avevano l'ardire di ridere, quegli scimmioni neri! Ridere di lei, di Rossella O'Hara di Tara! Le sarebbe piaciuto farli frustare a sangue. Erano dei veri demoni gli yankees: liberar coloro, permettere che si burlassero dei bianchi! Via Washington era triste come il suo cuore. Una volta vi erano molte belle case, ma ben poche erano state ricostruite. Si vedevano viali e giardini invasi dalle erbacce; pilastri su cui erano scolpiti nomi che ella ben conosceva, anelli di ferro ai quali mai piú si annoderebbero le redini dei cavalli. Vento e pioggia, fango ed alberi spogli, silenzio e desolazione. Com'erano bagnati i suoi piedi e com'era lunga la strada per giungere a casa! Udí uno scalpitio di zoccoli dietro di sé e si trasse di lato sullo stretto marciapiedi per evitare maggiori macchie di fango sul mantello di zia Pitty. Lungo la via si avanzava lentamente un cavallo attaccato a un carrozzino ed ella si volse, decisa a chiedere un passaggio se il conducente era bianco. La pioggia le annebbiava un poco la vista, ma ella scorse che il conducente la scrutava da sotto il mantice d'incerato che lo ricopriva. Vi era in quel volto qualche cosa di cognito e quando ella si fermò per distinguere meglio la persona, sentí una leggera tosse d'imbarazzo; poi una voce nota esclamò con piacere e stupore: - Possibile! Miss Rossella! - Oh, signor Kennedy! - esclamò a sua volta la giovane donna lanciandosi attraverso il fango e appoggiandosi alla ruota inzaccherata senza alcun pensiero per il suo vestito. - Non sono mai stata cosí contenta di vedere una persona, in vita mia! Egli arrossí di piacere per l'accento di sincerità delle sue parole; lanciò in fretta un fiotto di saliva piena di tabacco dalla parte opposta e balzò a terra. Le strinse la mano con entusiasmo e sollevando il mantice la aiutò a salire. - Ma che cosa fate da queste parti, miss Rossella? Non sapete che questo è un quartiere pericoloso? E siete bagnata come un pulcino... Via, avvolgetevi il vestito attorno ai piedi. Cercò di ripararla alquanto ed ella fu felice che qualcuno si occupasse di lei. Era una cosa piacevole, anche se colui che si affaccendava era quella zitellona vestita da uomo che rispondeva al nome di Franco Kennedy. Specialmente dopo il brutale trattamento di Rhett. E che gioia, vedere un viso della Contea mentre era cosí lontana da casa! Notò che era ben vestito e che il carrozzino era nuovo. Il cavallo sembrava giovine e ben nutrito, ma Franco appariva molto piú vecchio di quello che era in realtà; piú vecchio di come le era sembrato quando era venuto coi suoi uomini, in quella vigilia di Natale. Era magro e giallo, e sotto ai suoi occhi acquosi erano due borse di pelle floscia. La barba brizzolata era piú rada, macchiata di tabacco e scompigliata come se egli la tirasse continuamente. Ma sembrava allegro e brillante, a differenza dei volti tristi e preoccupati che Rossella scorgeva dovunque. - È una vera gioia vedervi - riprese Franco con calore. - Non sapevo che foste in città. Ho visto miss Pittypat la settimana scorsa e non mi disse che sareste venuta. E... hm... non è venuto nessun altro con voi da Tara? Pensava a Súsele, il vecchio sciocco. - No - rispose ella cercando di avvolgersi attorno al collo un lembo di vestito che era rimasto asciutto. - Sono venuta sola e senza preavviso. - E stanno tutti bene, a Tara? - Sí, abbastanza. Bisognava pur parlare di qualche cosa; ma Rossella era incapace di pensare ad altro che alla sua sconfitta. Se almeno le riuscisse di trovare un argomento sul quale egli potesse conversare fino a casa, in modo da dover soltanto mormorare ogni tanto una parola di assenso! - Sono sorpresa di vedervi, Franco. Non sapevo che foste ad Atlanta. Mi pare che qualcuno mi abbia detto che state a Marietta. - Ho da fare, a Marietta; una quantità di faccende... Non ve lo ha detto miss Súsele che sono stabilito ad Atlanta? Non vi ha parlato del mio negozio? Ricordò vagamente che Súsele doveva averle detto qualche cosa in proposito; ma lei non badava mai molto ai discorsi di sua sorella. Le era bastato sapere che Franco era vivo e che un giorno o l'altro le toglierebbe il peso di Súsele. - No, non mi ha detto nulla - mentí. - Avete un negozio? Come siete bravo! Egli sembrò un po' piccato che Súsele non avesse dato la notizia, ma l'elogio gli fece piacere. - Sí, ho preso una bottega, e credo di aver fatto bene. Mi dicono che ero nato per fare il negoziante. - Rise divertito; era la sua solita risata chioccia che le aveva sempre dato noia. «Vecchio scemo presuntuoso» pensò. - Ma voi riuscite in qualsiasi cosa, signor Kennedy! E come vi è venuto in mente di aprire un negozio? Quando vi vidi a Natale diceste che non avevate il becco d'un quattrino al mondo! Egli si schiarí la voce, si tirò i baffi e sorrise col suo sorriso un po' timido. - È una storia lunga - cominciò. «Dio sia ringraziato!» pensò Rossella. E a voce alta: - Raccontate! - Vi ricordate l'ultima volta che venimmo a Tara, per cercare delle provviste? Dopo non molto andai a far parte del servizio attivo. Che volete, i commissari non erano piú molto necessari, visto che vi era cosí poco da provvedere... Pensai quindi che il posto di un uomo sano era fra i combattenti. Entrai in cavalleria e presi parte a diversi combattimenti finché mi buscai una pallottola in una spalla. Sembrava molto fiero di questo; e Rossella esclamò: - Che spavento! - No, niente di grave. Fui mandato in un ospedale al Sud, ed ero quasi guarito quando giunsero gli yankees. Che momenti! Chiunque era in grado di camminare dovette aiutare a caricare quello che esisteva di rifornimenti e di medicinali per portarlo via. Stavamo per caricare tutto su un treno quando gli yankees entrarono in città da una parte; noi uscimmo dall'altra con la maggior velocità possibile. Vi assicuro che fu ben triste cosa vedere gli yankees incendiare tutta quella roba che avevamo dovuto lasciare al deposito! Avevamo ammonticchiato ogni cosa sui marciapiedi accanto ai binari per oltre mezzo miglio; e tutto fu bruciato. Riuscimmo a stento a salvarci. - Terribile! - Sí; questa è la parola. Terribile! I nostri uomini erano rientrati in Atlanta e quindi il nostro treno fu mandato qui. Dopo poco tempo la guerra era finita e... vi era una gran quantità di porcellane, di materassi e di coperte che nessuno reclamava. Credo che come diritto appartenessero agli yankees; queste, almeno, erano le condizioni della resa, no? - Hum - fece Rossella distratta. Cominciava a riscaldarsi e si sentiva un po' stordita. - Non so ancora se ho fatto bene o male - proseguí lamentosamente. - Ma pensai che tutta quella roba non sarebbe servita in nessun modo agli yankees. Probabilmente l'avrebbero bruciata. E i nostri l'avevano pagata; quindi mi parve che, dopo tutto, appartenesse con maggior diritto alla Confederazione o ai confederati. Non sembra anche a voi? - Hum... - Sono lieto che siate d'accordo con me. È una cosa che mi è sempre rimasta un po' sulla coscienza... Molti mi dicono: «Non ci pensate, Franco!» ma non posso. Non riuscirei piú a guardare in faccia nessuno se credessi di aver commesso un'azione disonesta... Voi credete che io abbia fatto bene? - Senza dubbio - affermò Rossella, senza sapere che cosa le chiedeva quel seccatore. Certo si trattava di un caso di coscienza. Alla sua età, avrebbe ormai dovuto imparare che non valeva la pena di preoccuparsi di tante sciocchezze! Ma era sempre stato cosí nervoso e incerto! - Mi fa piacere sentirvi dir questo. Pensate che dopo la resa avevo in tutto e per tutto dieci dollari d'argento. Sapete bene che cosa fecero della mia casa e dei miei magazzini a Jonesboro! Insomma, coi dieci dollari rimisi il tetto a una vecchia bottega ai Cinque Punti, vi trasportai la mercanzia e cominciai a venderla. Tutti avevano bisogno di letti, di piatti, di materassi ed io vendevo a poco prezzo. Insomma, col denaro che incassavo comprai altra merce e il negozio a poco a poco si avviò benino. Credo che andando avanti cosí finirò col guadagnare parecchio denaro. Alla parola «denaro» la mente di lei tornò chiara come un cristallo. - Avete detto che avete guadagnato parecchio? Evidentemente egli era felice del suo interessamento. Ad eccezione di Súsele, nessuna donna aveva mai avuto verso di lui piú di una cortesia formale; ed era molto lusinghiero vedere una creatura come Rossella pendere dalle sue labbra. Fece rallentare il passo al cavallo per non arrivare a casa prima di aver finito la sua storia. - Non sono un milionario, miss Rossella, e in confronto del denaro che avevo prima, quello di adesso è ben poco. Ma quest'anno ho guadagnato mille dollari. Naturalmente cinquecento sono serviti per pagare la nuova merce, la riparazione del negozio e l'affitto. Ma cinquecento sono di guadagno netto; e siccome le cose andranno certamente meglio, l'anno venturo dovrei guadagnarne duemila. Poi ho un'altra corda al mio arco. Il discorso finanziario aveva ridestato il suo interesse. Ella velò gli occhi con le ciglia folte e gli si avvicinò un po' di piú. - Cioè? Egli rise. - Senza dubbio vi annoio parlando di affari. Una bella donnina come voi non ne capisce nulla. Vecchio imbecille! - Non ne capisco nulla, ma m'interessa tanto! Raccontatemi tutto e mi spiegherete quello che non comprendo. - Ebbene, l'altra corda che ho al mio arco è una segheria. - Che cosa? - Uno stabilimento per tagliare e piallare il legname. Non l'ho ancora comprato, ma sto per farlo. È un certo Johnson che vorrebbe venderla perché ha bisogno di denaro contanti; quindi me la venderebbe e rimarrebbe a dirigerla per mio conto con uno stipendio settimanale. È uno dei pochi laboratori rimasti in questa regione, miss Rossella. Gli yankees li hanno distrutti quasi tutti. E chi ha una segheria ha una miniera d'oro, perché il legname si vende al prezzo che si vuole. La gente ha la smania di ricostruire le case distrutte. Atlanta ricomincia ad avere una popolazione numerosa: gente che viene dalla campagna perché non può fare andare avanti piantagioni e fattorie senza schiavi; yankees e «carpetbaggers» che sciamano qui cercando di finire di spogliarci. Vi assicuro che Atlanta sarà tra breve una gran città; avranno bisogno di legname per fabbricare; quindi io comprerò questa segheria appena... sí, appena mi pagheranno certo denaro che mi devono. L'anno venturo di questi tempi, avrò un po' piú di possibilità. Credo... credo che sappiate perché desidero aver presto del denaro, non è vero? Arrossí come una zitellona e rise. «Pensa a Súsele» disse fra sé con disgusto Rossella. Per un momento considerò la possibilità di chiedergli in prestito trecento dollari; ma respinse l'idea. Si turberebbe, balbetterebbe, si scuserebbe, ma rifiuterebbe. Certamente egli pensava di sposare Súsele in primavera; privandosi di quel denaro sarebbe costretto a rimandare il matrimonio. D'altronde Súsele non glie lo permetterebbe; aveva troppa paura di diventare una zitellona, e smuoverebbe cielo e terra piuttosto che ritardare le sue nozze. Ma che aveva quella ragazza piagnucolosa perché quel vecchio imbecille fosse cosí ansioso di offrirle un morbido nido? Súsele non meritava un marito innamorato, né meritava gli utili di una bottega e di una manifattura. E quando avesse in mano del denaro, si guarderebbe bene dal contribuire al benessere di Tara! Andasse pure in rovina, Tara, purché lei avesse dei bei vestiti e «Mrs.» dinanzi al suo nome. Al pensiero dell'avvenire sicuro di Súsele e del proprio cosí precario, Rossella fu presa da una collera violenta contro l'ingiustizia della vita. Volse la testa perché Franco non vedesse la sua espressione. Ella era in procinto di perdere tutto ciò che possedeva, mentre Súsele... Improvvisamente prese una decisione. Súsele non doveva avere Franco con la sua bottega e la sua segheria! Non li meritava. Farebbe in modo di averli lei, invece. Pensò a Tara e ricordò Giona Wilkerson pieno di veleno sui gradini dell'entrata; e si afferrò all'ultima pagliuzza che galleggiava nel naufragio della sua vita. Rhett le era venuto meno, ma il Signore le aveva mandato Franco. Ma come fare? Come fargli dimenticare Súsele e indurlo a farle una dichiarazione? Lo guardò di sbieco. Certo, pensò freddamente, non è bello. Ha dei brutti denti, ha l'alito cattivo e potrebbe essere mio padre. Inoltre è nervoso e timido. Ma almeno è un gentiluomo; e credo che sopporterei piú facilmente lui di Rhett. E senza dubbio mi sarebbe piú facile dominarlo. D'altronde, i mendicanti non possono scegliere. Che egli fosse il fidanzato di Súsele non la turbava. Era già scesa cosí in basso col suo tentativo presso Rhett, che l'appropriarsi il fidanzato di sua sorella le sembrava assai meno disonesto. Col sorgere di questa nuova speranza si raddrizzò, dimenticando che aveva i piedi freddi e bagnati. Fissò Franco con gli occhi fermi, socchiudendo le palpebre in modo tale che egli si allarmò un pochino; allora ella riabbassò rapidamente lo sguardo ricordando le parole di Rhett: «Ho visto degli occhi come i vostri durante un duello alla pistola... Non risvegliano l'ardore nel petto di un uomo». - Che avete, miss Rossella? Freddo? - Sí - mormorò. - Vi dispiacerebbe... - esitò timidamente -... se mettessi la mano nella tasca del vostro pastrano? Sono gelata e il mio manicotto è tutto fradicio. - Ma... diamine! E siete senza guanti! Dio, che idiota sono stato ad andare cosí piano, mentre voi siete qui che tremate e avete bisogno di un po' di fuoco! Svelta, Sally! - e frustò la cavalla. - Ma a proposito, miss Rossella, vi ho tanto parlato di me e non vi ho neppure chiesto che cosa facevate da queste parti con una pioggia cosí terribile. - Sono stata al Quartier Generale degli yankees - rispose senza riflettere. Egli inarcò le ciglia stupito. - Ma come, miss Rossella! I soldati... Perché... «Maria, madre di Dio, fammi pensare subito una buona bugia» pregò in fretta. Bisognava che Franco non sospettasse affatto che ella era andata a visitare Rhett. - Sono andata... sono andata a chiedere se... se qualcuno degli ufficiali volesse comprare dei lavori di fantasia per le mogli, perché io ricamo molto bene. Egli si appoggiò indietro sul sedile inorridito; l'indignazione lottava in lui con lo stupore. - E siete andata dagli yankees... Ma, miss Rossella, non dovete! Certamente vostro padre non lo sa... e miss Pittypat... - Oh, morirei se lo diceste a zia Pitty! - esclamò veramente angosciata; e scoppiò in lagrime. Era facile piangere, perché aveva tanto freddo e si sentiva infelice; ma l'effetto fu straordinario. Franco non sarebbe stato piú imbarazzato o smarrito se ella avesse improvvisamente incominciato a spogliarsi. Fece scoppiettare piú volte la lingua contro i denti, mormorando: - Oh, povero me, povero me! - e fece qualche gesto goffo verso di lei. Un pensiero audace lo attraversò: avrebbe dovuto farle appoggiare la testa sulla sua spalla e accarezzarla; ma non l'aveva mai fatto con nessuna donna e non sapeva da dove rifarsi. Rossella O'Hara, cosí brillante e spiritosa, piangente nel suo carrozzino! Rossella O'Hara, la piú orgogliosa di tutte le orgogliose, che cercava di vendere i suoi ricami agli yankees! Ella singhiozzava dicendo ogni tanto qualche parola, dalle quali egli comprese che le cose a Tara non andavano molto bene. Il signor O'Hara continuava a essere «fuori di sé», e non vi erano viveri abbastanza per dar da mangiare a tutti quanti. Era quindi venuta ad Atlanta per cercare di guadagnare un po' di denaro per sé e per il suo bambino. Franco fece nuovamente scoppiettare la lingua e ad un tratto la testa di lei fu sulla sua spalla. Non seppe mai come; ma Rossella singhiozzava disperatamente contro il suo petto, dandogli una sensazione nuova ed eccitante. Le accarezzò la spalla timidamente; da principio guardingo, poi vedendo che non era respinto divenne piú audace e l'accarezzò con piú sicurezza. Era una povera creatura, dolce, femminile, abbandonata. E come era coraggiosa! Cercava di guadagnar denaro col suo ago! Ma andare a trattare con gli yankees... questo era troppo. - Non lo dirò a miss Pittypat, ma dovete promettermi che non lo farete mai piú. L'idea che la figlia di vostro padre.... Gli occhi verdi pieni di lagrime lo fissarono smarriti. - Ma, Mr. Kennedy, debbo fare qualche cosa. Devo pensare al mio povero bambino, visto che non c'è nessuno che possa aiutarci! - Siete una donnina coraggiosa; ma la vostra famiglia morirebbe di vergogna. - E allora che debbo fare? - Lo guardò ancora come se pendesse dalle sue labbra. - Adesso non lo so, ma ci penserò. - Oh, come siete buono, Franco... Non l'aveva mai chiamato per nome; e questo gli diede un'impressione di piacevole sorpresa. La povera ragazza era cosí sconvolta che probabilmente l'aveva fatto senza accorgersene. Certo, se egli potesse fare qualche cosa per la sorella di Súsele O'Hara, lo farebbe con gioia. Trasse un fazzoletto di seta rossa e glie lo porse. Rossella si asciugò gli occhi e cominciò a sorridere di un sorriso tremulo. - Sono un'ochetta - disse scusandosi. - Perdonatemi. - Non siete un'ochetta; siete una brava donnina che cercate di portare con disinvoltura un fardello troppo pesante. Temo che miss Pitty non possa esservi molto utile. Ho saputo che ha perduto quasi tutto e anche il signor Enrico Hamilton si trova in cattive acque. Vorrei soltanto avere una casa per offrirvi un ricovero. Ma ricordatevi, miss Rossella, che quando avrò sposato vostra sorella, vi sarà sempre un posto per voi sotto il nostro tetto, e anche per Wade Hamilton. Questo era il momento! Certamente gli angeli e i santi l'aiutavano; perciò le avevano dato l'opportunità. Ella fece in modo di sembrare molto stupita e imbarazzata e aperse la bocca come per parlare in fretta, ma la richiuse subito. - Non ditemi che non sapete che questa primavera diventerò vostro cognato - riprese Franco con gaiezza nervosa. Quindi, vedendo i suoi occhi pieni di lagrime, chiese spaventato: - Ma che c'è? Forse miss Súsele è ammalata? - Oh, no! No! - Ma c'è qualcosa che non va... parlate. - No, non posso! Non sapevo! Credevo che vi avesse scritto... Ma che infamia!... - Scritto che cosa? - tremava. - Fare questo a un brav'uomo come voi! - Ma che ha fatto? - Non ve lo ha scritto? Ah, certo si vergognava troppo! Ed è naturale che si vergognasse! Oh, avere una sorella cosí infame! Franco non riusciva neanche piú a parlare. Col viso color di cenere e le redini allentate fra le mani, la fissava. - Sposa Toni Fontaine il mese prossimo. Oh, come mi dispiace, Franco! Mi dispiace di essere proprio io a dirvelo! Ma era stanca di aspettare e aveva paura di rimanere zitella.

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Non si era mai trovato tra le quinte di un grande ricevimento; gli sembravano buffe le donne che correvano per la casa come se vi fosse un incendio, ma nulla al mondo avrebbe potuto fargli abbandonare quello spettacolo. Le lanterne di carta colorata dipinte dalla signora Elsing e da Fanny lo avevano particolarmente incuriosito, perché non ne aveva mai viste prima d'allora. Melania le aveva nascoste in cantina ed egli aveva avuto campo di esaminarle minutamente. - Dio mio, non ci avevo pensato! - esclamò Melania. - Che fortuna me lo abbiate detto, Baldo! Come fare? Bisogna sospenderle agli alberi e fra i cespugli e accendere le candeline perché tutto sia illuminato quando arrivano gl'invitati... Rossella, potresti mandare Pork a fare questo servizio mentre noi ceniamo? - Voi avete molto giudizio, miss Wilkes, ma vi agitate facilmente - disse Baldo. - Quanto a quello stupido negro, meglio non farlo maneggiare quegli arnesi. Darebbe fuoco a tutto. Sono... molto carini - concesse. - Li sistemerò io mentre voi e il signor Wilkes mangiate. - Come siete gentile, Baldo! - E Melania volse i suoi occhi infantili pieni di gratitudine sul mutilato. - Non so che farei senza di voi. Non sarà meglio che intanto mettiate dentro le candeline, cosí ve le trovate pronte? - Sí, forse, - ammise Baldo con poco garbo, e si avviò zoppicando per la scala che conduceva in cantina. - Cosí bisogna fare! - esclamò Melania ridendo quando Baldo fu scomparso. - Volevo proprio che lo facesse lui, questo lavoro... Ma se glielo avessi chiesto, non lo avrebbe fatto. E ce lo siamo anche levato dai piedi per un po' di tempo. I negri hanno tanta paura di lui che sono incapaci di far nulla quando se lo sentono alle spalle. - A me non piacerebbe avere in casa quel vecchio «desperado» - fece Rossella sgarbatamente. Detestava Baldo come questi detestava lei; ed era raro che scambiassero una parola. La casa di Melania era la sola in cui egli rimaneva anche quando Rossella era presente. E la guardava sempre sospettoso e con freddo disprezzo. - Ti procurerà qualche noia, ricordati quello che ti dico. - Macché! Basta saperlo prendere... Ed è cosí affezionato ad Ashley e a Beau che io mi sento assolutamente tranquilla sotto la sua protezione. - Vorrai dire che è affezionato a te, Melania! - interloquí Lydia con un lieve sorriso, guardando affettuosamente sua cognata. - Credo che tu sia la prima persona che quel vecchio briccone ha amato dopo... dopo sua moglie. E probabilmente sarebbe contento se qualcuno ti insultasse, perché cosí potrebbe ucciderlo per dimostrarti il suo rispetto. - Come corri, Lydia! - E Melania arrossí. - Sai benissimo che mi ritiene un'oca perfetta. - Non vedo che importanza possa avere il modo di pensare di quel vecchio furfante - rimbeccò bruscamente Rossella. Il ricordo di come Baldo l'aveva giudicata a proposito dei forzati la irritava sempre. - Ma ora me ne debbo andare. Vado a pranzo; e poi debbo passare al negozio per pagare i commessi e al deposito per pagare i carrettieri e Ugo Elsing. - Vai al deposito? - chiese Melania. - Ashley deve andare a parlare con Ugo. Mi fai il favore di trattenerlo fino alle cinque? Se torna a casa prima, ci sorprenderà certamente a terminare una torta o qualche altra cosa e allora la sorpresa andrà a monte. Rossella rise internamente; il suo buon umore era tornato. - Va bene; cercherò di trattenerlo. Mentre ella parlava i pallidi occhi senza ciglia di Lydia la fissavano scrutandola. «Mi guarda sempre in un modo tanto curioso quando parlo di Ashley» pensò Rossella. - Trattienilo piú che puoi dopo le cinque - riprese Melania. - Poi verrà Lydia con la carrozza a prenderlo... Vieni presto stasera, Rossella; non voglio che tu perda un minuto del ricevimento. Nel tornare verso casa Rossella pensò malinconicamente: «Non vuole che io perda un minuto del ricevimento... e allora perché non mi ha invitata ad aiutarla a ricevere come Lydia e zia Pitty?» Di solito a Rossella non importava nulla dei ricevimenti di Melania. Ma questa era la riunione piú numerosa che Melania avesse mai organizzata; e per di piú era il compleanno di Ashley; sarebbe stato per lei una gioia trovarsi accanto a lui a ricevere gli ospiti. Ma sapeva benissimo perché non era stata invitata. E se non lo avesse saputo, il commento di Rhett era stato abbastanza schietto. - Una rinnegata ricevere tutti gli eminenti ex-confederati e democratici che interverranno? Sei troppo ingenua. E pensa che se non fosse per la bontà di Melania, tu non saresti invitata affatto. Rossella si vestí piú accuratamente del solito quel pomeriggio, indossando il nuovo vestito di taffetà cangiante verde scuro che sembrava viola secondo i riflessi; e il nuovo cappello verde chiaro guarnito di piume. Come le sarebbe stato meglio quel cappello, se Rhett le avesse permesso di tagliarsi i capelli davanti e arricciarli sulla fronte! Ma egli aveva dichiarato che se le avesse visto i ricciolini, le avrebbe passato il rasoio su tutto il capo. Ed era cosí cattivo in quei giorni, che senza dubbio lo avrebbe fatto. Era un bel pomeriggio di sole non troppo caldo; il venticello tepido che frusciava tra gli alberi faceva ondeggiare le piume del cappello di Rossella, la quale si sentiva il cuore pieno di gioia come sempre quando doveva vedere Ashley. Forse se si sbrigava a pagare i carrettieri e Ugo, costoro se ne andrebbero lasciandola sola con Ashley nel piccolo studio che sorgeva al centro del deposito. Le occasioni di vedere Ashley a quattr'occhi erano poco frequenti. E dire che Melania l'aveva pregata di trattenerlo! Che cosa buffa! - Giunta al negozio pagò Willy e gli altri impiegati senza neanche chieder contezza degli affari della giornata. Era sabato, la giornata laboriosa della settimana, perché tutti i coltivatori venivano in città per fare acquisti, ma ella non chiese nulla. Nel tratto fra il negozio e il magazzino si fermò parecchie volte parlare con delle signore «Carpetbaggers» in splendidi equipaggi (non cosí belli come il suo, però) e con parecchi uomini che attraversavano la strada polverosa per venirla a salutare. A causa di questi indugi arrivò al deposito piú tardi di quanto sperava e trovò Ugo e i carrettieri che l'attendevano seduti su una bassa catasta di legname. - C'è Ashley? - Sí, è in ufficio - rispose Ugo. - Sta cercando di... insomma sta esaminando i conti. - Oh, oggi non occorre che se ne preoccupi! - E abbassando la voce soggiunse: - Melly mi ha mandato qui per trattenerlo in modo che essa possa terminare di preparare ogni cosa per il ricevimento. Ugo sorrise, poiché anch'egli era a parte del complotto. Rossella pagò lui e i carrettieri e, lasciandoli bruscamente, andò verso l'ufficio mostrando chiaramente che non desiderava essere accompagnata. Ashley venne ad incontrarla sulla soglia e rimase nel sole pomeridiano coi suoi capelli dorati e sulle labbra un sorriso che era quasi una smorfia. - Come mai, Rossella, siete in città a quest'ora? Perché non siete a casa mia ad aiutare Melly nei preparativi per il ricevimento di stasera? - Oh, Ashley! - esclamò ella indignata. - Ma voi non dovete saperne nulla! Melly sarà molto delusa se voi non sarete sorpreso. - Ma io sarò l'uomo piú sorpreso di Atlanta - rispose Ashley con gli occhi ridenti. - E chi ha avuto la cattiva idea di informarvi? - Praticamente tutti gli uomini che sono invitati da Melania. Il primo è stato il generale Gordon. Mi ha raccontato che sa per esperienza che quando le donne preparano delle sorprese di questo genere, scelgono di solito le serate in cui gli uomini hanno deciso di pulire tutte le armi che sono in casa. Poi sono stato avvertito dal nonno Merriwether; mi ha raccontato che una volta sua nuora organizzò una riunione per lui senza dirglielo; e fu lei la piú sorpresa di tutti, perché il nonno aveva pensato bene di curare i suoi reumatismi con un'abbondante razione di whisky, ed era troppo ubriaco per partecipare al ricevimento... Insomma, tutti gli uomini per i quali è stato dato un ricevimento a sorpresa, mi hanno prevenuto. - Che infamia! - esclamò Rossella senza poter trattenere un sorriso. Quando egli sorrideva in quel modo le ricordava il vecchio Ashley delle Dodici Querce. Ma sorrideva cosí di rado! A un tratto ella si sentí come se avesse sedici anni: un po' ansimante ed eccitata. Provò un folle impulso di togliersi il cappello e gettarlo in aria gridando «Urrà». Ma pensò che Ashley sarebbe stato molto stupito e si mise a ridere; e rise fino alle lagrime. Anche Ashley rise gettando indietro la testa, credendo che la gaiezza di lei provenisse dall'amichevole tradimento degli uomini che avevano rivelato il segreto di Melly. - Entrate, Rossella. Sto riguardando i conti. Ella passò nella piccola stanza piena di sole e sedette sulla sedia dinanzi alla scrivania a coperchio scorrevole. Ashley la seguí e sedette sull'angolo della tavola lasciando ciondolare le gambe. - Oh, lasciamo perdere i conti oggi! Non voglio seccature. Quando porto un cappello nuovo, mi pare che tutte le cifre mi sfuggano dalla testa. - E quando il cappello è cosí grazioso immagino che le cifre sfuggano di gran corsa! Diventate ogni giorno piú carina, Rossella. Scivolò giú dalla tavola e, ridendo, le prese le mani e allargò le braccia per poter ammirare il vestito. - Come siete graziosa! Credo che non invecchierete mai! Al suo contatto ella si rese conto di avere sperato proprio quello, pur senza averne coscienza. Durante quel pomeriggio cosí felice, ella aveva anelato al calore delle sue mani, alla tenerezza dei suoi occhi, a una parola affettuosa detta da lui. Questa era la prima volta che essi si trovavano veramente soli dal giorno del frutteto; la prima volta che le loro mani s'incontravano in un gesto non soltanto formale; e durante quei lunghi mesi ella aveva desiderato quel contatto. Ma ora... Strano che il tocco delle sue mani non la eccitasse! Una volta la sola vicinanza l'avrebbe fatta tremare. Ora provava solo un senso di cordialità e di contentezza. Nessuna febbre si trasmetteva dalle mani di lui alle sue; e il cuore non accelerava i suoi battiti. Questo la sconcertava alquanto. Eppure era sempre il suo Ashley, che ella amava piú della vita. E allora perché...? Ma respinse questo pensiero. Le bastava essere con lui e che egli tenesse le sue mani sorridendo cordialmente, senza agitazione e senza febbre. Le sembrava un miracolo se pensava a tutte le cose inespresse che erano fra loro. Gli occhi di lui la fissarono chiari e brillanti, sorridenti come un tempo, e come se fra lei ed Ashley non vi fosse mai stato altro che felicità. Pareva che nessuna barriera piú li separasse. Rossella rise. - Oh, Ashley! Divento vecchia e decrepita. - No, Rossella; anche a sessant'anni sarete sempre la stessa. Vi ricorderò sempre come eravate nel giorno dell'ultimo banchetto, seduta sotto una quercia, con una dozzina di giovinotti attorno a voi. Potrei anche dirvi come eravate vestita: un abito bianco stampato a fiori verde scuro ed uno scialle di pizzo bianco sulle spalle. Portavate degli scarpini verdi con allacciature nere e un enorme cappello di paglia di Firenze con lunghi nastri verdi pendenti sulle spalle. Ricordo quest'abito perché quando ero in prigione e sentivo che le mie condizioni peggioravano, cercavo di raccogliere tutti i miei ricordi e sfogliarli come delle immagini, rivedendo ogni particolare... S'interruppe bruscamente e il suo volto si oscurò. Lasciò cadere dolcemente le sue mani ed ella rimase in attesa di altre parole. - Abbiamo fatto molta strada da quel giorno tutti e due, non è vero, Rossella? Abbiamo percorso sentieri che non credevamo di dover percorrere. Voi siete arrivata in fretta, direttamente; io con lentezza e riluttanza. Sedette nuovamente sulla tavola e la guardò; sul suo volto apparve ancora una volta un piccolo sorriso. Ma non era il sorriso che l'aveva resa cosí felice pochi minuti prima: era un sorriso pallido e triste. - Sí, siete giunta rapidamente, trascinandomi dietro a voi. A volte mi chiedo che cosa sarebbe accaduto di me senza il vostro aiuto. Rossella si affrettò a difenderlo contro se stesso con tanta maggior vivacità in quanto le tornarono in mente le parole di Rhett su questo argomento. - Ma io non ho mai fatto nulla per voi, Ashley. Vi sareste messo a posto ugualmente senza di me. Un giorno o l'altro sareste diventato ricco, come certamente state per diventare. - No, Rossella: il germe della grandezza non è mai stato in me. Credo che se non ci foste stata voi, io sarei stato annientato, come la povera Catina Calvert, e tante altre persone che una volta avevano dei grandi nomi. - Non parlate cosí, Ashley. Mi sembrate triste. - No, non sono triste. Non piú. Una volta... una volta lo ero. Adesso sono soltanto... S'interruppe ed improvvisamente Rossella comprese ciò che egli stava pensando. Per la prima volta si rese conto di ciò che Ashley pensava quando i suoi occhi guardavano lontano, assenti, chiari come cristallo. Finché la passione le aveva colmato il cuore, lo spirito di lui le era rimasto precluso. Ora, nella tranquilla cordialità che era tra loro, Rossella cominciava a comprenderlo. Ashley non era piú triste. Era stato triste dopo la resa, triste quando ella lo aveva pregato di venire ad Atlanta. Adesso era soltanto rassegnato. - Non voglio sentirvi parlare cosí, Ashley - esclamò con veemenza. - Parlate come Rhett. Anche lui non fa che ripetere cose di questo genere, e parla di ciò che chiama la sopravvivenza... non so di che e m'infastidisce tanto che mi metterei a urlare. Ashley sorrise. - Avete mai pensato che Rhett ed io siamo fondamentalmente simili? - Oh, no! Voi siete fine, onesto, mentre lui... - s'interruppe confusa. - Eppure lo siamo. Proveniamo da gente della stessa razza, siamo stati educati alla stessa maniera, abituati allo stesso genere di pensieri. Ma, abbiamo preso vie diverse. Pensiamo ancora nello stesso modo, ma le nostre reazioni sono differenti. Per esempio, nessuno di noi credeva alla guerra, ma io mi arruolai per combattere ed egli ne rimase fuori quasi sino alla fine. Tutti e due sapevamo che la guerra era un errore. Tutti e due sapevamo che si sarebbe perduta. Ma io ho voluto combattere in questa lotta inutile, e lui no. A volte penso che aveva ragione lui; e allora... - Ma quando smetterete di guardare i due lati di ogni questione? - Il tono di Rossella non era impaziente come sarebbe stato in altri tempi. - Non si arriva mai a nulla in questo modo. - È vero, ma... dove volete arrivare? Me lo sono chiesto molte volte. Io, per conto mio, non ho mai desiderato di giungere in nessun luogo. Ho solo desiderato di essere me stesso. A che cosa voleva arrivare? Era una domanda stupida. Voleva denaro e sicurezza. Eppure... Il denaro lo aveva; e anche tanta sicurezza quanta era possibile averne in un mondo cosí incerto. Ma ora che ci pensava, questo non le bastava. Tutto ciò non l'aveva resa felice benché l'avesse liberata dall'angoscia dell'indomani. «Se avessi avuto questo, e te per soprappiú» pensò guardandolo «allora sarei giunta all'apice dei miei desideri.» Ma non parlò temendo di sciupare l'atmosfera che si era creata fra loro. - Desiderate soltanto essere voi stesso? -. rise compassionevole. - Invece io ho sempre cercato di non essere me stessa. E quanto a ciò che voglio raggiungere, credo di esservi arrivata. Volevo essere ricca e sicura e... - Ma non avete mai pensato, Rossella, che a me non importa affatto di essere ricco? No; non aveva mai pensato che qualcuno potesse non desiderare la ricchezza. - E allora, che cosa desiderate? - Ora non lo so. Una volta lo sapevo, ma l'ho quasi dimenticato. Piú di tutto desidero essere lasciato solo, non essere tormentato da gente che non mi piace, trascinato a fare cose che non vorrei fare. Forse... desidero il ritorno degli antichi tempi che non torneranno mai, e sono ossessionato dal loro ricordo e dal ricordo di un mondo finito, scomparso. Il tono della sua voce richiamò alla memoria di Rossella i bei giorni di Tara, facendole dolere il cuore. Ma dopo quell'epoca era venuto il giorno in cui ella si era coricata triste e desolata sul terreno delle Dodici Querce e si era detta: «Non voglio piú guardarmi indietro»; e si era drizzata contro il passato. - Preferisco i tempi attuali - disse. Ma non lo guardò. - Accade sempre qualche cosa di eccitante, oggi, di brillante, di divertente. Gli antichi tempi erano scialbi e uggiosi. - (Oh, giornate serene e pigre, calmi crepuscoli sulla campagna! Risate gioconde e acute che provenivano dal quartiere dei negri! Vita piena di calore, piena del conforto di sapere che cosa porterà l'indomani, come posso rinnegarti?) - Preferisco l'epoca attuale - ripeté; ma la sua voce era tremante. Egli scivolò dalla tavola, ridendo dolcemente, incredulo. Mettendole la mano sotto il mento, volse il viso di lei verso il suo. - Come mentite male, Rossella! Sí, la vita è brillante adesso... E questo è il male. Gli antichi tempi non erano eccitanti, ma in essi c'era un fascino, una bellezza, uno splendore lento e tranquillo. Rossella abbassò gli occhi. Il tono della voce di lui, il contatto della sua mano riaprivano dolcemente delle porte che ella aveva chiuse per sempre. Dietro a quelle porte era la bellezza degli antichi giorni; ed ella sentí nascere in sé una struggente nostalgia. Ma qualunque fosse quella bellezza, bisognava lasciarla dov'era. Non si poteva procedere nel proprio cammino portando seco un fardello di ricordi dolorosi. Egli abbassò la mano che le carezzava il mento, prese una mano di Rossella, la trattenne fra le sue. - Vi ricordate... - cominciò; e nello spirito di lei un campanello ammonitore suonò: «Non guardare indietro! Non guardare indietro!» Ma lo trascurò, sentendosi trascinare in un gorgo di felicità. Finalmente lo comprendeva, finalmente i loro spiriti si incontravano. Era un momento troppo prezioso per perderlo, qualunque fosse il dolore che poteva venire dopo. - Ricordate... - e sotto l'incanto della sua voce le pareti nude del piccolo ufficio scomparvero, gli anni tornarono indietro ed ella si trovò insieme con lui, cavalcando in un viale di campagna, in primavera. Egli parlava stringendole lievemente la mano, e nella sua voce era il fascino triste di vecchie canzoni a metà dimenticate. Udiva il gaio tintinnare dei finimenti mentre essi cavalcavano sotto agli alberi di corniolo nella proprietà dei Tarleton; udiva il proprio riso spensierato, vedeva il sole che faceva brillare i capelli chiari di lui, osservava la grazia altera con la quale egli stava in sella. Nella sua voce era la musica dei violini e dei banjos al cui suono essi avevano danzato nella casa bianca che non esisteva piú. Vi era il lontano squittire dei cani da caccia nella palude, sotto la luna fredda e pura delle notti d'autunno, e il profumo di zabaglione servito nelle grandi ciotole ornate di agrifoglio nelle sere di Natale, fra i sorrisi dei volti neri e bianchi. E vecchi amici tornavano in massa ridendo come se non fossero morti da tanti anni: Stuart e Brent con le loro lunghe gambe e i capelli rossi, scherzosi e rumorosi, Tom e Boyd impetuosi come puledri, Joe Fontaine coi suoi occhi neri e ardenti, e Cade e Raifort Calvert che si muovevano con languida grazia. Vi era anche John Wilkes; e Geraldo, rosso per la grappa bevuta; e un sussurro e una fragranza che era Elena. Su tutto questo era un senso di sicurezza, la certezza che domani porterebbe la stessa felicità goduta oggi. La voce di lui tacque; per un istante essi si fissarono negli occhi; e fra loro giacque la gioventú piena di sole che avevano spensieratamente condiviso e che ora non era piú. «Ora so perché non può esser felice» pensò Rossella con tristezza. «Non lo avevo mai compreso prima, come non avevo mai compreso perché neanch'io potevo essere felice. Ma... Dio mio, parliamo come parlano i vecchi!» disse fra sé con dolorosa sorpresa. «I vecchi guardano indietro. E noi non siamo vecchi. Ma sono accadute tante cose e tutto è cosí mutato che sembra siano passati cinquant'anni. Ma non siamo vecchi!» Guardò Ashley; ma egli non era piú giovine e brillante. La sua testa era curva ed egli guardava distrattamente la mano che teneva ancora fra le sue; Rossella vide che i suoi capelli erano grigi, di un grigio argenteo come il chiaro di luna su un'acqua tranquilla. La bellezza del pomeriggio d'aprile era scomparsa anche dal suo cuore e la triste dolcezza dei ricordi era amara come il fiele. «Non avrei dovuto acconsentire a guardare indietro» pensò disperata. «Avevo ragione nel dire che non volevo mai piú voltarmi verso il passato. Fa troppo male e scava nel cuore profondamente finché non si può piú fare altro che rimpiangere. Questo è il male per Ashley. Egli è incapace di guardare in avanti. Non vede il presente; ha timore dell'avvenire e perciò guarda il passato. Non lo avevo mai compreso. Oh Ashley, amor mio, non dovete guardare indietro! A che scopo? Non avrei dovuto lasciarmi tentare da voi a parlare degli antichi giorni. Ecco che cosa succede quando si ricorda l'antica felicità: si prova dolore, crepacuore, scontentezza.» Si alzò in piedi, lasciando ancora la mano in quella di lui. Doveva andare. Non poteva piú rimanere e pensare al tempo di una volta vedendo il suo volto stanco, triste e malinconico. - Abbiamo percorso molta strada da quel tempo, Ashley - disse cercando di parlare con voce ferma. - Avevamo delle belle idee allora, eh? - E poi, con impeto: - Oh Ashley, nulla è accaduto secondo i nostri desideri! - È sempre cosí. La vita non è obbligata a darci quello che desideriamo. Dobbiamo prendere quello che ci càpita e ringraziare che non sia peggio. Ella si sentí improvvisamente il cuore pieno di stanchezza e di pena al pensiero della lunga strada percorsa. Rivide la graziosa Rossella O'Hara che amava i corteggiatori e i bei vestiti e che aveva l'intenzione di diventare, un giorno, quando ne avesse tempo, una gran dama come Elena. Improvvisamente, gli occhi le si riempirono di lagrime che le scorsero lentamente giú per le guance, mentre ella lo guardava muta, come una bimba stupita e addolorata. Egli non disse nulla, ma la prese dolcemente fra le braccia, le fece posare il capo sulla sua spalla e premette la sua guancia contro quella di lei. Ella si abbandonò e gli circondò il corpo con le braccia. La dolcezza di quella stretta le fece asciugare le lagrime. Com'era bello abbandonarsi senza passione, senz'ansia, come nelle braccia di un amico diletto. Solo Ashley che condivideva i suoi ricordi e la sua giovinezza, che conosceva il suo passato e il suo presente, poteva comprenderlo. Udí rumore di passi fuori, ma non vi badò, credendo che fossero i carrettieri che andavano a casa. Rimase un istante ad ascoltare il lento battito del cuore di Ashley. Improvvisamente egli si sciolse da lei ed ella fu sorpresa dalla sua violenza. Alzò gli occhi stupita, ma egli non la guardava; al disopra della sua spalla, Ashley fissava la porta. Si volse: sulla soglia erano Lydia, pallida, coi suoi chiari occhi fiammeggianti, e Baldo, malevolo come un pappagallo guercio. Dietro a loro era la signora Elsing.

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Fino a quel momento non aveva pensato affatto ad abbandonare la sua industria. Per molte ragioni desiderava conservarla; e il suo valore finanziario era il motivo meno importante. Negli ultimi anni aveva avuto piú volte occasione di venderla ad ottime condizioni, ma aveva sempre rifiutato. Gli stabilimenti erano la prova evidente di ciò che aveva fatto con le sole sue forze, ed ella ne era orgogliosa. Inoltre rappresentavano il solo contatto possibile con Ashley. Se li avesse venduti, avrebbe avuto assai raramente occasione di vederlo, e probabilmente non lo avrebbe mai visto solo. E voleva vederlo; voleva sapere quali erano adesso i suoi sentimenti verso di lei, se il suo amore era morto, seppellito dalla vergogna, in quella terribile sera del ricevimento. Rimanendo in rapporti di affari, avrebbe avuto l'opportunità di parlargli, senza che nessuno potesse fare osservazioni. E col tempo, ella avrebbe certo riconquistato il terreno che forse aveva perduto nel suo cuore. Ma se vendeva gli stabilimenti... No; non aveva voglia di venderli; ma stimolata dall'idea che Rhett l'aveva fatta apparire ad Ashley in cosí cattiva luce, aveva immediatamente mutato pensiero. Ashley avrebbe l'azienda, e a prezzo cosí favorevole che sarebbe costretto a riconoscere la sua generosità. - Voglio vendere!... - esclamò adirata. - Che ne pensi, adesso? Negli occhi di Rhett passò una lievissima luce di trionfo mentre egli si curvava ad allacciare una scarpina di Diletta. - Credo che te ne pentirai - rispose. Ella era già pentita delle sue parole impulsive. Se le avesse dette dinanzi a chiunque altri che Rhett, le avrebbe ritrattate senza vergogna. Perché precipitare in quel modo? Guardò suo marito con la fronte aggrondata e vide che la stava osservando col suo antico sguardo ansioso di gatto dinanzi alla tana di un topo. Quando le vide aggrottare le ciglia, rise improvvisamente, con un balenío dei suoi denti bianchi. Rossella intuí vagamente che egli l'aveva costretta in quella posizione. - C'entri per qualche cosa in questo? - gli chiese furibonda. - Io? - Inarcò le sopracciglia con sorpresa beffarda. - Dovresti conoscermi meglio. Non compio mai delle buone azioni io... se posso farne a meno.

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Il romanzo della bambola

222207
Contessa Lara 4 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • paraletteratura - romanzi
  • UNICT
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Si deve abbandonare ogni idealità pretensiosa, e sopratutto la fissazione di fare una parte principale nella vita. Ciascuno, si sa, è necessario: altrimenti Dio non lo avrebbe posto al mondo; ma egli è un sassolino, niente altro che un umile sassolino, nell'immenso, meraviglioso edifizio che si va costruendo da secoli e secoli con pietre tutte eguali, benchè qualcuna sembri grande e qualche altra piccina. A poco a poco, nel cervello di cartone del burattino le memorie del suo tumultuoso passato si confondevano come un sogno di cui le immagini si cancellano insensibilmente; e tutti i trionfali successi ottenuti su le scene di tanti paesi diversi, paesi non veduti da lui nè da' suoi compagni, viaggianti entro un bussolotto, erano ormai echi cosi deboli ch'egli non li udiva più nemmanco come un lontano mormorio. Bisogna dire che il vivere insieme alla Giulia, stanca, disgustata lei pure di fittizi piaceri e vuote soddisfazioni di vanità, avea contribuito non poco, fino da quando stavano nella soffitta del rigattiere, a correggere le tendenze vagabonde e battagliere d'Orlando; ora, poi, il soggiorno dei campi faceva il resto. - Vedi un po' come si sta benino, tra questa buona gente! - osservava la Giulia, con la sua vocina misteriosa, che solo Orlando, di quanti le stavano intorno, udiva. Una ottava piena di serenità e di quiete intima le rispondeva:

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Allora principiò per l'infelice pupattola il martirio di sentirsi divorar lentamente il povero piccolo piede, senza poterlo ritirare, anzi, dovendolo abbandonare inerte, come cosa morta. Le sembrava che, insieme al piede, la bestia le dilaniasse il cuore, la testa, ogni nervo del corpicino. Perchè, perchè non veniva ora la sua Marietta a strapparla di lì, a salvarla? Nessuno! Nessuno si ricordava piú di lei, rifiutata, buttata via senza pietà, come un impiccio, come un limone spremuto. Dal buco fatto nella pelle fina del roseo pieduccio, una ferita orrenda, la segatura scorreva, e ne' sussulti impressi dal topo nel roderla, si vuotava parte della gambina; che rimase poi lì con la sua pelle floscia, cadente, quando l'animale si fu ben impinzato e volle mutar cibo. Fuori, l'inverno era finito, e la primavera, con le sue magnifiche giornate, già tiepide e odorose di fiori, invitava a lasciar la città per i semplici divertimenti all'aria aperta della bella campagna. Anche per i signori de' Rivani era prossima la partenza; e già si facevano in casa tutti i preparativi. Il Moro era stato il primo a esser nominato dalla Marietta tra le cose da portare con sé. Con lui ella avrebbe fatto chi sa quante galoppate allegre per il bosco, sotto gli alberi, dove anche a mezzogiorno c'è ombra. Si trattava di condurlo perfino ai bagni di Viareggio; per le gite lungo la spiaggia e le colazioni nella pineta, dove tutte le sue amiche e più ancòra le bambine conosciute colà l'avrebbero invidiata. Innanzi di lasciare Roma per tutti i mesi della villeggiatura, la signora de' Rivani soleva fare una distribuzione degli oggetti usati di vestiario alle sue persone di servizio e a' suoi poveri; ma prima che agli altri alla famiglia della propria sorella, signora Amalia Cerchi, mamma di Camilla: una signora che, come abbiamo detto, s'era maritata male ed era poco felice. Alla signora Amalia e a Camilla, dunque, venivano, quasi di diritto, gli oggetti migliori fra quelli scartati; e si dava loro anche roba addirittura nuova perchè non si mortificassero. Quell'anno, poi, c'era un monte di vestiti, di sottane, di mantelletti, una sfilata di cappelli, e scatole di guanti, e cassette di scarpe; più regali del solito, perchè anche il signor Giovanni aveva inzeppato il guardaroba al suo ritorno da Milano. Nella stanza degli armadi, davanti agli sportelli spalancati, stavano la signora de' Rivani con la signora Amalia e le due cuginette: la Marietta e Camilla. Nessuna persona di servizio assisteva a quella scelta, per non offendere la miseria della signora Cerchi. - Questo non lo prendo, sai - diceva la signora Amalia alla sorella, tenendo in mano un abitino di velluto - perchè per Camilla è troppo bello. - No, anzi, prendilo; l'ho messo da parte proprio per lei - insisteva la madre della Marietta.

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Sicchè la pupattola vedeva la sua povera amica abbandonare il calduccio del letto e la sentiva tossire, con que' colpi di tosse secca che, in chi ascolta, entra per gli orecchi e si conficca nel cuore. Più in là i brividi si fecero più acuti. La bambina batteva i denti come uno che è nudo nel gennaio; e si doveva accatastare sul letto tutto quel che trovava capace a coprirla: persino il tappetuccio del tavolino, persino i suoi vestiti da estate. Ma dopo, il caldo era terribile; le faceva buttar via tutto da dosso; e allontanare la Giulia, come se la pupattola avesse avuto del sangue nelle vene. In quel calore eccessivo smaniava, senza riposo. Una notte, finita ch'ebbe la bottiglia che si era messa vicino al letto, s'alzò a piedi nudi, trovando un rifrigerio nel freddo de' mattoni, e andò a bere al mesciacqua, attaccandovisi come un'assetata. - T'amo! T'amo! - si faceva dire ogni poco dalla pupattola, quasi che la dolcezza di quella parola avesse potuto farla star meglio. La bambola ripeteva: T'amo; con tutta l'animuccia sua; ma a che pro? Non basta l'affetto a risanare, a salvare le persone amate. Ormai Camilla rimaneva parte della giornata in letto; s'alzava tardi e si coricava presto; non era più buona a sfaccendare in casa; e accorata guardava sua madre, che passava e ripassava, brontolando un poco ma meno di prima, coperta d'un largo grembiule la bella veste da camera, ch'era uno spoglio della signora de' Rivani. Quando il male s'aggravò e la bambina non potè levarsi quasi più affatto, la sua solitudine le sarebbe parsa insoffribile, se quella bambola, piccola immagine umana, non fosse stata con lei. La Giulia sentiva perfettamente la propria azione benefica, e si compiaceva d'esser lì a fianco della povera inferma. Com'era diversa la malattia di Camilla da quella che aveva avuta Marietta per la sua gola! Si ricordava d'aver patito anche quella volta, ma adesso era tutt'altro tormento; e le faceva l'effetto d'aver perfino un cuore diverso per sentirlo. Spesso, voltandosi e rivoltandosi nella smania dell'insonnia, Camilla sbatteva un braccio su la pupattola: e subito la paura d'averla sciupata, più ancora quella di averle fatto male, gliela faceva attirare a sè, e osservarla e carezzarla. Povera Giulia! I suoi bei capelli biondi s'erano aggrovigliati come serpentelli d'oro; di vestirla non se ne parlava più; non sembrava, certo, più lei. Una sera Camilla non istette alle mosse. Chiese con voce fioca: - Mamma, mi dai una camicina? La signora Amalia aprì un cassetto e prese una camicia della figlia. - No, non per me... - fece questa. - O per chi? - Per la Giulia... Sono lì, accanto alle mie, le sue camicine. La madre prese quel che le si chiedeva, ma ci fece la sua brava osservazione: - Sei malata e pensi sempre ai balocchi! Pensa piuttosto a guarire. Camilla avrebbe voluto dirle che per essa la Giulia non era soltanto un balocco; ma stette zitta; e raccogliendo le poche forze che le restavano, si sollevò a stento sul guanciale e lentamente mise la camicia linda, bene stirata, alla sua compagna di letto. Quando la zia de' Rivani seppe che la bambina era tanto malata, venne subito a trovarla, rimproverando la sorella di non averla avvertita prima. La signora Amalia si scusò assicurandola ch'ella avea ritenuto trattarsi di cosa passeggera. Allora cominciarono le visite regolari del dottore, mandato da casa de' Rivani; e Camilla dovette prendere molte medicine disgustose, che non le fecero alcun bene, perchè ormai il suo male era troppo avanti; anzi le stava a dirittura nel sangue fino dalla nascita. - Quando sarai guarita ti regalerò un giocattolo nuovo - le diceva la zia - basta che tu sia ubbidiente al dottore. Un giocattolo nuovo! Non lo desiderava affatto, lei, affezionata com'era alla Giulia. Soltanto, se guariva, avrebbe domandato qualche pezzo di roba da far dei vestiti alla pupattola, ormai in cattivo arnese. Questa miseria dell'amica sua e l'impossibilità in cui ella si trovava per allora di rimediarvi, era il suo principal dispiacere, quasi un pensiero fisso. Ma non ne disse mai nulla alla zia, contentandosi di baciarle piano piano una mano: la bella mano inguantata e odorosa. - Marietta come sta? - era una delle sue poche domande. La Marietta stava bene; ma non aveva voglia di far niente; disubbidiva a più non posso; e una signorina di Berlino che avevano preso in casa perchè la bambina imparasse il tedesco, se n'era andata su due piedi per le impertinenze ricevute.

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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222703
Misteri del chiostro napoletano 3 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
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Gli scrissi una lettera in cui a chiare note gli dissi come il ritenere più lungamente la sorella nel monastero equivaleva a volerla abbandonare a morte sicura. Venne egli subito in Napoli, e disse a Chiarina che si apparecchiasse a seguirlo. Essa mostrossi dolente di lasciarmivi, sebbene convinta d'altronde ch'io stessa non vi sarei rimasta più a lungo, perchè la mia domanda non poteva incontrare in Roma alcun ostacolo. Uscì adunque del chiostro, condotta dal fratello, e le giovani monache in segno di ringraziamento, accesero delle candele alla Vergine. Senonchè, il rio destino non avea cessato di perseguitare quella miserella. Era d'inverno. Il freddo degli Abruzzi, dove il fratello dovette ritornarsene, recò grave pregiudizio alla salute di Chiarina, e come d'altra parte il tempo fa dimenticare le passate sofferenze, credette questa di trovarsi più riparata nel chiostro, che non viaggiando col fratello. Di lì a qualche tempo facea ritorno in Napoli, e domandava di essere ripristinata nel suo pesto di educanda. Quale idea! Le feci osservare l'incauto proponimento, non degno della sua provata prudenza: le rammentai i passati patimenti, le diedi il consiglio di scegliersi piuttosto un ritiro, prendersi una cameriera: e viver tranquilla e indipendente. Mi rispose: "Voglio starmene, amica diletta, appresso di voi: non voglio rientrare che per voi sola." "Ma io sono in procinto di lasciare San Gregorio." "Son già passati dei mesi dacchè siete pronta a partire, ma chi sa se ve lo permetteranno?" Il giorno che per farla rientrare fu convocato il Capitolo, volli mettere in salvo la mia coscienza. Nell'atto di dare il mio voto, alzai la mano, e feci vedere a tutte quante che nell'urna bianca io gettava la pallina nera. L'ammissione riuscì coi soli voti delle monache vecchie: le giovani lo diedero contrario. Entrò adunque, ma poco dopo si pentì di non avere seguíto il mio consiglio. La sua tosse, esacerbata durante la notte, disturbava i sonni della conversa. Per evitar le rampogne e le imprecazioni che per tale motivo ne riscuoteva, la povera malata cacciava il capo sotto le coltri, e vi rimeneva immota e quasi sepolta. Una mattina la conversa andò a svegliarla: pareva immersa nel sonno. La chiamò a nome, la tornò a chiamare: non diè risposta. La scosse: non si muoveva Rimosse allora la coperta che le nascondeva il volto..... Era morta! Sedici volte sono ritornate da quel tempo le rondinelle, ma lo spirito angelico di Chiarina non farà più ritorno in questa valle di lagrime!

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Carlo Alberto, sconfitto presso Novara dall'Austriaco, era costretto ad abdicare ed abbandonare l'Italia. La corte pontificia, da tale disfatta incoraggita, invocava da Gaeta, per essere ristaurata in Roma, le armi degli Stati cattolici, e già si accingevano in suo soccorso l'Austria, la Spagna e la repubblica francese. In Toscana veniva ristabilito il dominio granducale per una sollevazione popolare in favor dell'antico regime, mentre Venezia, abbandonata a sè sola, e Roma strettamente assediata, lottavano: questa contro i Francesi, quella contro gli Austriaci, con sforzi eroici di prodezza. Benchè profondamente afflitta dalle infelici condizioni dell'Italia, non perdetti di vista la speranza di finirla coll'Ordine benedettino. Da me pregata, mia madre portossi a Gaeta all'incontro di Pio IX, con una supplica, nella quale io chiedeva al pontefice l'atto di secolarizzazione, coll'impegno di rimanere vincolata a' voti, non altrimenti che come semplice canonichessa. E perchè le monache di San Gregorio avevano mosso lite per indennizzazione a quel mio parente, che simulato aveva nel tempo della professione d'essermi debitore di ducati mille, io implorava inoltre dal pontefice d'esser dichiarata immune da tale ingiusta esigenza. Pio IX parve commosso alle istanze di mia madre, alle preci delle mie sorelline. Si volse attorno per vedere se nella stanza vi fosse l'occorrente da scrivere, e non avendovelo trovato, disse alla mia famiglia di ritornare dopo due giorni. Intanto il mio acerrimo persecutore, l'arcivescovo e cardinale, informatosi di queste pratiche, partiva premurosamente da Napoli alla volta di Gaeta, e vi giungeva l'indomani dell'arrivo di mia madre, latore di quella lettera famosa, da me indirizzata al papa sotto la salvaguardia della confessione, e da lui intercettata e aperta. Mia madre tornando dal pontefice lo trovò cambiato. "Signora," le disse con gravità, "fate che vostra figlia si contenti di quello che ha ottenuto finora; chi troppo vuole, niente ha. Ella vorrebbe mutar abito e condizione: non possiamo consentirvi. Che direbbero, che farebbero le altre monache, vincolate nella medesima sua condizione? Avevamo dimenticato il suo nome l'altr'ieri: ce l'ha rammentato il cardinale Riario, ed oggi stesso abbiamo letta una carta, ch'essa cindirizzava due anni fa." Era evidente, che, come quelle della povera Italia, le mie sorti andavano in rovina. Un mese dopo mi veniva dal Riario partecipato un Breve pontificio, per cui Pio IX mi concedeva la grazia di starmene stabilmente in conservatorio, sotto condizione di clausura: potendo però uscirne l'estate per i bagni di mare, purchè i medici li avessero ordinati, e di più che fosse piaciuto all'arcivescovo di permetterli. Quanto poi alla lite mossa dalle monache, ordinava ch'io dovessi versare alla cassa di San Gregorio ducati mille, e che da quel monastero percepissi, vita durante, un assegnamento mensile, proporzionato alla somma da me versata. Insino allora aveva ricevuto pel mio mantenimento ducati 14 e mezzo; da quel momento non mi vidi più consegnare che una polizzetta mensile di ducati sei, a titolo d'alimento mio, e della conversa. - Carità e munificenza fratesca! Alla necessità non resistono neanche gli Dei. Giuocoforza mi fu ristringere il vitto ad una sola pietanza, ed assuefare il palato al pane nero. Ciò dovei fare, mentre, di porpora decorato, l'autore della mia indigenza dava pranzi sontuosi a' parassiti papassi, suoi colleghi, che, da Roma trafugati, rifluivano presso i Borboni, affine di seco loro consultarsi intorno a' mezzi di ribadire più sicuramente i ferri al popolo d'Italia. Venne Pio IX in Napoli, tramutato di luogo, come di colore e di sentimenti. Sebbene uscissi spesso, reputai superfluo, anzi pericoloso, il disegno di ricorrere nuovamente alla sua misericordia. Egli, che chiudeva l'orecchio a' gemiti della sua patria, per quale supremo privilegio l'avrebbe aperto alle lamentazioni d'una povera monaca? E fiancheggiato qual era da un Ferdinando II, da un Riario, come poteva, poniamo pure che avesse voluto, dar ascolto ai miei lamenti? Il solo fanatismo della infima plebe napoletana sorreggeva ancora nel vacillante seggio que' due volgari nemici di ogni bene. E il re di Roma, debole di cuore, più debole di mente, assetato di popolarità, incapace di acquistarla durevolmente, metteva la barca sdrucita della povera Chiesa a rimorchio della loro galera. Una sera, mentre sull'imbrunire io mi ritirava, la Polizia vietò alla carrozza ov'io era di traversare la piazza delle Pigne. Ritrovandosi il Santo Padre nel Museo delle antichità pagane, Ove il principe reale gli faceva da cicerone, non sarebbesi potuto aprire un varco nella folla, senza far calpestare dai cavalli la gente. Mi convenne, voltando strada, fare un lunghissimo giro, scendere per la Vicaria e risalire per San Pietro a Majella. Quest'involontario ritardo eccitò la rabbia dell'idrofoba portinaia del conservatorio, la quale con quegli occhi biechi e sanguigni, che mi facevano rizzare i capelli in capo dalla paura, mi disse: "Se un altr'anno avremo la disgrazia di tenervi con noi, affè di Dio che non metterete più il piede fuori di questa porta!" E così dicendo, alzava minaccioso l'indice in aria, a guisa di maestro di cappella. Prima di partir da Napoli, volle il papa visitare uno ad uno tutti i monasteri di clausura. Quando toccò al monastero di San Giovanni, le suore di Costantinopoli manifestarono a quelle religiose il desiderio di vedere la persona del pontefice in un luogo, che, per la vicinanza dei due monasteri, a ciò si prestava. Salito adunque il papa sopra una certa terrazza, benedisse complessivamente tutto il gregge a lui dintorno. Non so chi m'accennasse all'attenzione sua. Fissò egli lo sguardo sopra di me, e disse: "Una benedizione particolare alla monaca claustrale!" Ed alzata la destra, mise la parola in effetto. Quell'atto non mi recò alcun conforto. Io m'augurava salute, tranquillità, ed emancipazione dall'ignobile servaggio. - Ora, quali di questi beni mi recava quella benedizione? Da lì a pochi giorni Pio IX ritornava in Roma, lieto quanto quel suo predecessore, che alla caduta di Rienzo ritornava vescovo e signore nell'Eterna Città. Il cardinale colse il momento per infierire contro di me. Mi giunse all'orecchio allora che tutti i rigori della clausura stavano per essermi scaricati addosso; per lo che mi veniva proposto di restituirmi presto al primiero carcere, di rinunziare una volta per sempre a qualsiasi speranza d'affrancamento, di rassegnarmi alla sorte delle altre monache, senza più ruminare ulteriori tentativi: e in compenso di tale atto d'abdicazione, mi si lasciava travedere l'onore d'un badessato, che per un Breve di speciale condonamento, nonostante l'età giovanile, avrei ottenuto. Quanto più attraente di tale prospetto era il pan nero che divideva colla mia buona e fidata Maria Giuseppa! Feci rispondere al porporato, ch'io preferiva soggiornare libera in una capanna, anzichè badessa in un carcere. Come rispose Sua Eminenza? - Mi tolse anche quel magrissimo assegnamento mensile di sei ducati! Me ne rimasi dunque, come i Toscani dicono, nelle secche di Barbería. Di lavori donneschi io ne sapeva un po', e l'Onnipotente, che tempera i venti per l'agnello tosato, non m'aveva privata d'operosità e d'industria. Per non viver d'accatto nel conservatorio, per non essere a carico altrui, avrei dunque preferito di guadagnarmi la vita colle proprie mani. - Ma come si fa ad industriarsi dimorando in casa di nemici, e brancolando nel buio che cuopre l'avvenire? Ad un mio parente che rinfacciava al cardinale quell'accanimento codardo contro una donna, duro come un macigno, costui rispondeva: "La madre è ricca: ci penserà lei." Distesa in quel letto di Procuste; stretta, per meglio dire, fra l'uscio e il muro; destituita al fine dei mezzi di sussistenza, feci ricorso all'energia dell'animo per cercare scampo in una disperata uscita. A mali estremi, rimedi estremi. Una sera, invece di ritirarmi secondo il solito al conservatorio, avvertii per lettera la badessa di voler chiudere la porteria tra vespro e nona, perchè, non volendo mangiare il pane altrui, sarei rimasta in casa mia.

Pagina 240

Ora, a prevenire che là suddetta religiosa trabocchi in guai peggiori, cioè in uno stato di demenza continua, opiniamo di consenso cogli altri nostri colleghi, qui riuniti in consiglio, che debba essa abbandonare il regime claustrale, regime che essenzialmente influisce ad alimentare la narrata morbosità. Questa nostra dichiarazione, giurata in coscienza, e risultante dall'osservazione di circa venti mesi, non peccherebbe che di soverchia concisione, non portando descritte minutamente tutte quante le sofferenze dell'inferma. Napoli, 23 gennaio 1853. Il medico consultante del luogo Dott. PIETRO SABINI. Il medico del luogo Dott. ALESSANDRO PARISI.

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