Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonarci

Numero di risultati: 12 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Fisiologia del piacere

170423
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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È per questo che noi possiamo amare anche il canarino, che ci saluta col suo canto per la sola speranza dell'usato biscotto; che accarezziamo con affetto il gatto, quantunque sia pronto ad abbandonarci domani, se la nostra casa non gli accomoda più. In ogni caso, però, il piacere cresce a dismisura man mano che l'animale ci paga una somma maggiore di affetto, la quale in alcuni rari casi può superare la nostra. È in questo modo che noi possiamo divenire debitori verso il nostro cavallo o il nostro cane. Il piacere essenziale che è a base di tutte le gioie procurateci dall'affetto alle bestie, è la simpatia che ci lega a tutti gli esseri viventi. È per questa sola ragione che noi, in difetto di migliori corrispondenti, parliamo cogli uccelli, coi rami e coi cavalli, effondendo in essi le nostre gioie e i nostri dolori. Noi abbiamo sempre bisogno di veder riflessi i nostri sentimenti, sia poi che, rinchiusi in una prigione, parliamo ad un ragno; sia che, liberi e felici, possiamo riporre il nostro affetto in una donna che ci adora. L'affetto alle bestie in tutta la sua purezza può venire sodisfatto in mille modi diversi, positivamente e negativamente. Così uno stesso passero può procurarci il piacere di accarezzarlo, o di prestargli la sollecita cura di una prigionia amorosa, o di liberarlo dagli artigli del gatto. In questo sentimento si comincia a misurare il grado dell'egoismo che accompagna sempre i moti più generosi del cuore. L'uomo che ama gli uccelli, ma più di essi il piacere che gli procurano, ii chiude in una gabbia; mentre spesso la donna delicata, che sa amare con minore egoismo, dimostra il suo affetto alle bestie col dar loro la libertà. Queste gioie però non sono quasi mai pure, e si associano ai piaceri del possesso e alle compiacenze dell'amor proprio. La vista, l'udito e il tatto vi prendono pure una gran parte, e ad altre circostanze pari noi amiamo l'usignuolo più del passero, l'elegante cane inglese più del brutto cane da pagliaio. II piacere ha poi un carattere molto diverso ma indefinibile, secondo la classe alla quale l'animale appartiene. Tutte le bestie a sangue freddo c'interessano, ma rare volte ci sono care; e non è che quando sono molto piccine, che noi possiamo averne compassione veramente affettuosa, ma che è sempre fredda. In generale, l'amore per esse è molto languido, e non differisce che di poco, secondo che si indirizza ad una lucertola o ad un pesce, a un baco da seta o ad una rana. Gli uccelli per la loro apparenza calda e piena di moto, ci interessano di più, e l'amore che si ha per essi rassomiglia, in generale, in un ordine molto inferiore, all'affetto che si porta ai fanciulli. Più d'una volta, vedendo saltellar davanti ai nostri piedi un passero vispo e irrequieto, noi lo seguiamo affettuosamente ne' suoi rapidi moti, e, cercando quasi con la fantasia di rinchiuderci in quel caldo corpicino, ci studiamo di immaginarci l'io di quella bella creaturina, tutta grazia e tutto moto. L'affetto per i mammiferi superiori varia assai secondo le singole specie, perchè lo sviluppo della loro intelligenza rende assai più marcata la loro individualità morale; è quasi meno vivace, ma più appassionato di quello per gli uccelli. In essi non è quasi mai la bellezza che c'interessa per la prima, ma la corrispondenza intelligente alle nostre sollecitudini. Il più brutto cane barbone può meritare da noi un affetto assai più intenso di un elegante e stupido cane inglese. L'affetto alle bestie può essere complicato da tutti gli elementi che valgono a rendere cari gli oggetti e gli esseri. Così un tale ha una grande simpatia per tutti i canarini, perchè uno di questi uccelli rallegrò col suo canto la sua prima fanciullezza. Un altro non può vedere una rana senza piacere, per aver sacrificato un migliaio di rane sull'altare della fisiologia, sua scienza prediletta. Un terzo non può vedere senza affettuosa riconoscenza una pulce, perchè una di esse accidentalmente lo risvegliò, mentre un tizio stava per provare a sue spese il piacere patologico di rubare. Infine un altro non guarda mai un baco da seta senza un senso di compiacimento perchè egli deve le sue ricchezze al prezioso bruco della China. L'affetto alle bestie è d'ordinario molto languido, e ci fa solo provare piaceri deboli o negativi, che noi sacrifichiamo facilmente ad interessi maggiori. Questo sentimento non ci impedisce certamente di essere carnivori, nè di uccidere ogni anno milioni di filugelli par procurarci il lusso della seta. Chi pretendesse di ridurci al regime vegetariano, e seriamente accusasse i fisiologi e i naturalisti dei loro assassini scientifici, meriterebbe di essere chiuso in un manicomio. In qualche caso, però, questo affetto cresce al grado di vera passione, e può procurarci le gioie più intense. Tutti possono aver conosciuto qualcuno per il quale l'affetto di un cane e le cure giornaliere prestate amorosamente ad un piccolo serraglio domestico formavano la più cara occupazione della vita. Questi piaceri sono di tutte le età, di ambo i sessi, di tutti i paesi, ma non di tutti gli uomini. Molti non hanno mai sentito il più languido affetto per gli animali e al di là della loro specie non vedono che buoi che si mangiano, belve che si uccidono, vermi che si schiacciano ed animali che si lasciano vivere. La donna invece, in generale, estende l'orizzonte dei suoi affetti fino agli estremi confini della natura viva, ed ella più d'una volta libera con pietosa sollecitudine un moscerino caduto nella rete di un ragno. Quante volte un insetto, che è per naufragare in una vasca, fa palpitare il cuore di una donna e le fa provare uno dei più vivi piaceri nel salvarlo nell'asciugargli le ali al sole e nell'accarezzarlo amorosamente. I vecchi amano in generale gli animali assai più dei giovani, i quali trovano già nei loro fratelli tanti affetti intensi che si dividono il loro cuore generoso.

Pagina 147

Come devo comportarmi?

172885
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
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Noi non possiamo evitare il cruccio e il dolore, ma possiamo resistervi, non abbandonarci in sua balia. Non si può cambiare il mondo; ma si possono cambiare i propri desideri. «Il potere dell'uomo è grande - dice Marc'Aurelio - poi che egli può ubbidire al dovere e rassegnarsi alla disgrazia. » Le passioni non sono invincibili. La ragione le può soggiogare e soffocare. La ragione luminosa, che conosce tutto e tutto distingue, e giustizia quando si applica agli atti della libertà umana, e ciò che ordina è il dovere. La passione più ardente deve tacere e cedere quando la ragione parla; e la legge della giustizia e la legge di Dio. Tutti la conoscono ma non tutti la riconoscono. La vera signora ha imparato a sottomettere desideri, speranze, ogni maniera di passione, alla ragione. Nelle azioni si lascia guidare dalla legge della giustizia, nella quale riconosce il potere di compensare i sacrifici e punire le colpe. Ella sa, che non vi ha felicità vera per chi non cammina su la via della giustizia: che disobbedirle è il colmo dell'infelicita. E illuminata dalla ragione e sorretta dall'idea della giustizia, compie il suo dovere con amore, opera il bene, ammira il bello, non ha rimorsi, non inquietudini, non interne agitazioni, nè lotte.

Pagina 378

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180347
Barbara Ronchi della Rocca 1 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
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La prudenza consiglia di capire bene chi abbiamo davanti, prima di abbandonarci a battute e maldicenze su qualcuno che potrebbe essere un suo parente, un suo amico o il suo amato bene: la gaffe è sempre in agguato. Ed è peggio di una figuraccia qualunque, perché ferisce; è un errore non di forma, ma di sostanza. Per evitare i passi falsi basterebbe non dare mai nulla per scontato ed evitare certi argomenti «pericolosi» con persone che non conosciamo bene, o che non vediamo da tempo. Ma il gaffeur naviga a vista sull'onda dell'emozione del momento o - banalmente - di qualche brindisi. È distratto, svagato, ha sempre fretta e non sa concentrarsi su ciò che sta dicendo. Così chiede «Come sta la signora?» a chi è stato appena piantato dalla moglie, chiama il secondo marito di un'amica con il nome del predecessore, delizia una platea di medici e avvocati dichiarando che «Tutti i liberi professionisti sono ladri ed evasori fiscali»... Siccome nella conversazione non esiste il tasto rewind che permette di recuperare o cancellare una parola di troppo, che cosa si può fare quando la gaffe ci è già uscita di bocca? Senz'altro resistere all'impulso di affastellare spiegazioni e aggiustamenti, perché rischiamo di peggiorare la situazione. È meglio tacere. Al massimo, possiamo dichiararci dispiaciuti, magari aggiungendo frasi del tipo: «Scusate, ho un tale mal di testa che non so quel che dico» e sperare che l'offeso ci creda. Se ci accorgiamo che qualcuno sta per fare una gaffe, possiamo eccezionalmente infrangere la regola e interromperlo mentre sta parlando. Ma se arriviamo troppo tardi, non facciamogli gli occhiacci, non scusiamoci al suo posto, non cerchiamo di correggere, spiegare, mitigare. Fingiamo di non esserci accorti di nulla, e parliamo tranquillamente d'altro. E la «vittima», come deve comportarsi? Se non ha la prontezza di spirito di rispondere con una battuta che sdrammatizza l'atmosfera, cerchi almeno di non mostrarsi offesa o imbarazzata. Accetti le eventuali scuse, e si comporti come se la frase incriminata non fosse mai stata detta.

Pagina 37

L'angelo in famiglia

182747
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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E credilo fermamente, mia cara; ogni cosa buona che si apprende, torna utile un momento o l'altro; e noi non dobbiamo abbandonarci a quella dottrina poltrona e rovinosa che ci fa attaccare unicamente, e vorrei dire, avaramente, a quanto ci riguarda strettamente oggi; ma pensare e vedere con una testa ed un occhio meno limitato e circoscritto, e quindi abbracciare tutto quello cui possono arrivare le nostre forze e la nostra capacità. Poniamo tu sii la sorella maggiore o mezzana, e che, per circostanze speciali, graviti sulle tue spalle intero o quasi intero il peso della direzione della famiglia, e specialmente dei fratelli e delle sorelle. In tal caso la tua virtù d'annegazione dovrebbe arrivare alla generosità per metterti all'altezza del tuo ministero, e senza rinunciare alla giovialità ed alla semplicità che debbono essere l'abito costante della tua giovinezza, tu dovresti circondare il tuo petto d'una corazza invulnerabile di fortezza d'animo per renderti capace a superare ed a vincere le battaglie della tua condizione. Molto probabilmente qualche sorella e più ancora qualche fratello sfaccendato che vorrà farla da saccente, troveranno grave l'obbligo di stare a te soggetti; ma ove tu adorni il giogo di tenero amore, di un amore che ti renda facile all'ajuto, di un amore insomma che renda quel giogo leggiero e soave; il fratello e la sorella non cercheranno più di scuoterlo, ma saranno contenti di portarlo teco. Per venire però alla spiegazione pratica della cosa, sarà meglio discendere ai particolari, perchè se è bene formare in noi stessi un criterio complessivo che c'indichi i nostri doveri e ci mostri la loro importanza, questo criterio riesce spesso inutile e vago se dall'astratto non scendiamo al concreto di quella vita d'ogni giorno, di quella vita combattuta da quei cento e mille obblighi e contrasti che tentano deviarci dalla retta via, turbando la nostra pace e confondendo le nostre idee. Se a te spetta la direzione della famiglia, io vorrei vederti donnina fin d'ora; non già ch'io pretenda e neppure che io permetta tu ti spogli come t'ho detto poc'anzi della tua giovialità e dello slancio dei tuoi vent'anni; ma io desidero che a questi vantaggi tu aggiunga gli altri di una certa sodezza di principj e di condotta che ti facciano non tanto parere, quanto ti facciano veramente diventare una donnina, una cara donnina. Mi pare quasi di vederti come in uno specchio, lesta il mattino levarti di letto prima degli altri, volare appena ti sia possibile in Chiesa ad assistere all'incruento Sacrificio della Messa, ed intanto recitare le tue preghiere, fare la tua meditazione, prepararti agli avvenimenti possibili della giornata; quindi ornato il cuore e lo spirito dalla grazia e dalla luce che partono dal Tabernacolo Santo, far ritorno alla casa che te sola aspetta per risvegliarsi, per accogliere bramosa, insieme coi raggi del sole, i raggi di carità che emanano da tutta la tua persona. Sì, ho detto i raggi di carità, poichè tu sei pronta ai bisogni d'ognuno, dei grandi, dei piccoli, dei superiori, degli uguali e degli inferiori; hai occhio a tutto e nulla sfugge alla tua penetrazione. Questi ha bisogno di essere sollecitato, quello ha d'uopo di freno; questi ha bisogno una parola di conforto; quello ha d'uopo d'essere corretto, ed a tutti tu rivolgi la parola prodigiosa. Ciò riguardo allo spirito; ma tu sai che l'uomo è composto non di solo spirito ma altresì di corpo, ed a questo pure si rivolgono le tue solerti cure. Tu prevedi i bisogni dei tuoi sudditi, e regnando sovr'essi con un regno di devozione, di sacrificio, ti privi per essi, ti posponi ad essi, e ti sforzi procurar loro il bisognevole vestimento, il nutrimento, l'istruzione, e tutto quanto ponno e debbono desiderare. Ma saggia ugualmente che premurosa, tu misuri il vitto e le vesti alla condizione e, più ancora allo stato finanziario in cui ti trovi, e fedele a quell'assioma: è utile abituarsi piuttosto al meno che al più, abitui te stessa ed i fratelli tuoi ad una vita frugale e scevra affatto da quelle leccornìe e da quelle levigature che ci rendono piuttosto servi che padroni, assuefacendoci a quelle esigenze e quei bisogni che costituiscono altrettante privazioni, quando taluna delle molteplici combinazioni e casualità della vita ci rendono difficile o penoso il conseguirle. Pulito ma semplice e non molto dispendioso sia il vestire, e parimenti semplice e sano il pasto: una sola la voce che chiama i componenti la famiglia alla refezione del mattino, refezione uniforme per tutti, tranne l'unico caso di malattia di alcuno: si contenti oggi il gusto dell'uno, domani il gusto dell'altro; ma, ripeto, ognuno si adatti a quello che è preparato per tutti. Io credo e credo fermamente che non solo dall'osservanza di questa regola sia giovato il buon andamento e l'economia domestica in modo assai rilevante; ma so per prova che altamente ne è giovato l'indirizzo morale e intellettuale degli individui. E perchè ridi a questa mia proposizione? Ti pare strano e quasi incredibile che ci abbiano a che fare tra loro le vivande ed i costumi, le vesti e l'intelligenza? Prendendo la cosa così vagamente si crederebbero davvero impossibili tali rapporti; ma se per poco tu esamini ben benino la faccenda, ci scommetto, converrai perfettamente con me. Ma ora mi avvedo che se mi dilungo in quest'argomentazione, perdo di vista, od almeno mi allontano da quello che più davvicino riguarda i doveri della sorella maggiore; e però mi riservo di comunicarti le mie idee in proposito ai legami che passano tra il vitto ed i principj, nella conferenza che tratterà dei pranzi e quindi della ghiottonerìa. Tu adunque, donnina provvida e previdente, dopo la colazione comune ed uniforme, mandi alla scuola quelli tra i tuoi fratelli e sorelle che ci debbono andare; ma li mandi dopo d'esserti bene accertata che hanno compiuto con diligenza i loro cómpiti, e dopo d'averli tu stessa guidati ed indirizzati al bisogno. Fra il giorno ti occupi della casa, dei genitori, se Iddio te li ha serbati, e quando le tue forze pajono indebolirsi, e il tuo cuore ha bisogno di qualche cosa che lo sorregga, lo levi a Dio, e pur toccando coi piedi la terra, sollevi al cielo il tuo spirito tuffandolo, per così dire, nel mare di dolcezza che è il cuore di Gesù, e ti senti incoraggiata, rinforzata, rinnovata. La convivenza con diverse persone d'indole probabilmente differente e fors'anche opposta, ti costerà non solo fatica, ma bene spesso contrasto: quel contrasto che non potrà essere vinto con altra arme se non con quella della virtù e dell'annegazione, cercando costantemente di correggere il carattere tuo e quello dei tuoi soggetti ed uguali. Qualche volta dal tuo petto uscirà prolungato e mesto un sospiro, le tue braccia come stanche ed abbattute si abbandoneranno in atto di prostrazione; ma se il tuo occhio si solleverà in alto e s'incontrerà con qualche immagine della Vergine Santa, che la tua pietà porrà in ogni angolo della casa, quasi a profumarla, a santificarla, Essa, la Mamma nostra pietosa, t'infonderà una virtù, una forza, che ti renderà capace di tutto fare, di tutto ottenere, di trionfare delle maggiori difficoltà. La tua operosità non interrotta, permettendoti di sollevare tratto tratto il tuo cuore alla fonte dell'amore, renderà amabile la tua compagnia, efficace l'opera tua ed oltremodo feconda, e non ti priverà del necessario riposo della mente e del corpo. Questo riposo ti verrà talora da una passeggiata; talora da una visita carissima fatta o ricevuta; talora da una buona lettura; talora da una combinazione imprevista, che Dio penserà Lui stesso a mandarti se vedrà che l'avrai meritata; ma il riposo in un modo o in un altro verrà, stanne pur certa. Dopo di avere dedicato te stessa ai tuoi fratelli, ti guarderai bene di far loro sentire il peso del tuo sacrificio, poichè essi, oltre al provarne umiliazione, ne sarebbero molto probabilmente irritati, e questo non concorrerebbe sicuramente a rendere efficace l'opera tua, ma l'attraverserebbe e le sarebbe di ostacolo spesso insuperabile. Il tuo regno, tel ripeto ancora, il tuo regno sia regno di amore, di dolcezza, ed essendo condiscendente in tutto quanto non urta il principio e la regola indeclinabile della casa, potrai usare di una santa fermezza in tutto il resto. Le tue cure non saranno interrotte nella giornata, nè dal ritorno a casa dei tuoi, nè dal loro coricarsi, osservando tu sempre pel pranzo e per tutto il resto quelle massime di uniformità e di economia alle quali ho solo accennato, ma che tu hai bene compreso. Guai se tu facessi delle preferenze, o parzialità, guai! ne andrebbe grandemente compromessa la tua autorità e svanirebbe il tuo ascendente! Tu, come angelo della famiglia, appartieni non tanto alla terra quanto al cielo, quindi non devi tenerti paga di curare nei fratelli e nelle sorelle la vita del corpo; tu devi, curare assai più in essi la vita dell'anima, quindi offrir loro in te stessa l'esempio di una fede cieca, operosa, costante. Tu devi avvalorare il tuo esempio con buoni consigli, con saggi ammaestramenti, insegnando tu stessa ai tuoi fratelli ed alle sorelle le verità della religione, le preghiere e le pratiche, ajutandoli a compierle, conducendoli alla Chiesa, ai Sacramenti, alla predica e anche più alla spiegazione della Dottrina Cristiana. Oh! se tu con quella dolcezza insinuante che nella bocca di una giovinetta semplice e virtuosa acquista tale un fascino da cui non sanno sottrarsi neppure le anime inveterate nel vizio e nell'incredulità, se tu con quella dolcezza inviterai, ammaestrerai coloro che teco hanno comune la nascita, l'educazione, la fortuna e perfine il nome, oh! la tua famiglia si manterrà o diventerà una famiglia di santi, una famiglia veramente invidiabile. Che se il demonio riuscirà ad infiltrarsi in quel santuario consacrato dalla tua presenza e dalla tua virtù, e prenderà dominio di taluno dei tuoi cari, oh! non ti perdere di animo, no non ti perdere di animo! il Signore permette che il tuo cuore sia trafitto, ma solo per rinvigorire, per ritemprare la tua costanza! Già ti pare quell'anima diletta sia perduta nell'abberramento dell'incredulità o delle passioni; già ti pare veder quell'anima sull'orlo del precipizio che la deve gettare in un luogo di eterna riprovazione; già tu la vedi precipitata... No, non temere, non temere; là in fondo a quel cuore sopita, ma non morta, c'è l'idea di Dio, anzi la fede in Dio; quell'idea di Dio si risveglierà, la scuoterà, la muterà, la risusciterà, e quello che ti sembrava un tizzone d'inferno, diventerà carbone ardente sull'altare del Dio che tu adori, che tu ami! Oh! è pur bello quel racconto evangelico in cui si narra come gli apostoli si trovavano sul mare, e questo furioso ingrossava, ingrossava; le onde si sollevavano spaventosamente; il vento sibilava con orrido suono e quegli uomini la di cui fede era ancor debole e vacillante, si spaventarono, e svegliarono il maestro divino che sul fondo della barca placidamente dormiva. E, non temete, diss'egli con quella sua voce soave, e levatosi in piedi comandò ai venti ed al mare, e si fece bonaccia. Fatti animo, figliuola, quel fratello, quel padre, quell'anima che ti preme, è la barca in preda alle onde; ma in fondo alla barca 26 c'è Gesù, quel Gesù che vi è stato collocato nell'infanzia, nella primitiva educazione... Destalo tu Gesù in quel cuore, colla tua fervorosa, incessante preghiera, e quel Gesù si alzerà, e dicendo: Non temete, porrà in silenzio il vento delle passioni e ritornerà nel tuo diletto congiunto la calma, la pace... L'arcobaleno sfoggia nel cielo azzurro i suoi bei colori, e ti annunzia il sereno, la fede. Leva a Dio l'inno del tuo ringraziamento!

Pagina 390

Il codice della cortesia italiana

184734
Giuseppe Bortone 1 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
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Non si pensa, invece, quanto è piú difficile essere giovani; è tanto difficile, che si comprende l'incanto della giovinezza soltanto allorché essa è per abbandonarci! E gli anni giovanili, se trascorsi senza la consapevolezza profonda dei tesori che essi contengono, sono anni non vissuti; come è salute non goduta quella di coloro che si accorgono della felicità di esser sani soltanto quando sono ammalati. Né le donne belle sono sempre simpatiche e care, perché ostentano la loro bellezza quasi fosse un merito personale; perché, come si suol dire, la fanno pesare. E i ricchi non son sempre benevolmente guardati e giudicati, appunto perché ignorano il precetto fondamentale dell'« arte d'esser ricchi », ossia non agiscono in maniera da farsi perdonare la ricchezza di cui godono.

Pagina 300

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188340
Pietro Touhar 2 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
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Non dobbiamo: Stare in sussiego verso chi viaggia insieme con noi, nè abbandonarci a soverchia familiarità con persone sconosciute; pretendere tutti i nostri comodi a scapito dei vicini; entrare inconsideratamente in discorso con tutti; trascorrere a soverchia esultanza nei passeggi pubblici; separarci affatto dalla comitiva del soggiorno campestre, ossia nelle villeggiature o nelle scampagnate.

Pagina 52

Non dobbiamo: Abbandonarci a quella sordida avarizia che distrugge i più elevati sentimenti dell'animo; trascurare gli obblighi ai quali siamo astrette; dimostrare cattivo umore in faccia alle persone di fuori per cagione di qualche involontario danno arrecato da esse o dai sottoposti a qualche cosa che ci appartiene.

Pagina 79

Come si fa e come non si fa. Manuale moderno di galateo

200473
Simonetta Malaspina 1 occorrenze
  • 1970
  • Milano
  • Giovanni de Vecchio Editore
  • paraletteratura-galateo
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Se c'è stato qualcosa tra noi e loro che ci ha ferito profondamente, prima di abbandonarci ad una reazione forse eccessiva cerchiamo di riflettere e di domandarci se vale veramente la pena troncare un'amicizia per quanto è accaduto. Qualunque sia il torto, qualunque sia la verità, è giusto spiegarsi reciprocamente con sincerità e comprensione. Tutti abbiamo qualche difetto e al momento opportuno occorre saper perdonare senza recriminazioni: bisogna, anzi, saper dimenticare.

Pagina 13

Le buone maniere

202328
Caterina Pigorini-Beri 1 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
  • paraletteratura-galateo
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Bisogna ricordare prima di tutto che senza elevare ad assioma l'antico adagio: che in ogni amico di oggi può esservi un nemico del domani, una riserva prudente deve regolare ogni nostro atto; evitare sinchè si può di abbandonarci a confidenze delicate, e benchè sia cosa gradita il ricevere doni e cortesie, ricordarsi il proverbio chinese, il quale insegna che ciò che è pur conveniente di offrire, l'indipendenza e l'educazione comandano di rifiutare. E in ogni caso accettare sempre colla maggiore discrezione. La discrezione non è che prudenza e temperanza, virtù cardinali vale a dire, su cui riposa la morale umana e la quiete del vivere onesto. Quando gli Eremiti presso al giaciglio del morente Maestro, gli chiesero un precetto per sapersi governare nei pericoli, fra gli uomini e nelle battaglie della vita, egli rispose semplicemente: Siate discreti. Questo precetto così semplice racchiude la grande scienza del vivere: la tolleranza, l'opportunità, la pace, la compiacenza, l'amore ai proprii simili, l'indulgenza pei colpevoli, la giustizia per tutti gli uomini e per noi stessi.

Pagina 32

Il galateo del contadino

202975
Miles Agricola 1 occorrenze
  • 1912
  • Casalmonferrato
  • Casa agricola F.lli Ottavi
  • paraletteratura-galateo
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Se ci si offre da bere o qualche altro simile complimento, dobbiamo accettarlo, ma senza abbandonarci ad eccessive libazioni od a eccessivi atti di confidenza che purtroppo si commettono in queste occasioni da persone poco e punto educate. Nell'accomiatarsi da casa altrui, primo dovere è quello di salutare le donne con un inchino e con un accenno di saluto fatto colle mani, porgendo queste agli uomini, ma senza esagerazioni. Se si tratta di visite fra donne è ammesso anche nell'accomiatarsi il bacio in fronte o sulle guancie, ma anche in ciò non bisogna esagerare troppo, come non conviene stare lì mezz'ora a salutarsi per la strada come se si trattasse di un addio fra innamorati! I contadini, in generale, peccano in questi comunissimi atti della vita di relazione del troppo e del poco. Il giusto invece anche qui sta nel mezzo. La buona educazione rifugge dalle esagerazioni di qualsiasi genere e natura. La semplicità dei modi e l'urbanità non sono due cose inconciliabili.

Pagina 12

Eva Regina

204479
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 1 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
  • paraletteratura-galateo
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Bene è dunque coltivarla in noi, provocarla quando tace, riaccenderla quando accenna a languire, trattenerla quando vuole abbandonarci o sostituirla subito da un'altra se vien meno. La speranza è indispensabile al nostro mondo morale come la luce, come l' ossigeno. Sperate contra spem ha raccomandato uno dei Padri della Chiesa : sperate oltre ogni speranza. La circostanza più comune, un'ora, un attimo, bastano per mutare in un destino favorevole un triste destino : per aprire un nuovo orizzonte, per salvare. Tutto è mistero in noi e intorno a noi e tutto è possibile, anche il prodigio.... FINE.

Pagina 703

L'uccellino azzurro

212556
Maeterlink, Maurice 1 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Egli non ci chiede che di abbandonarci per un momento, quanti siamo, piccoli e grandi, ad una poetica e candida credulità, che di riprestar fede ancora alle novelle e alle fiabe in cui si svagava l'anima umana nel buon tempo antico, quando tutti eravamo più innocenti e più pronti ad uscire dalla tetra ed angusta prigione della vita materiale e materialista, per abbandonarci all'ingenuità dell'impreveduto, dell'irreale, dell'ideale. Bisogna quindi concedersi alla lettura dell'Oiseau bleu con uno speciale stato d'animo e di spirito, ma non occorrerà alle lettrici e ai lettori troppo sforzo di attenzione o di immaginazione per intendere subito di qual genere sia la morale di questa favola maeterlinckiana e più precisamente quale verità il poeta voglia farci scoprire sotto il velame delle sue parole musicali e nella successione dei suoi scenari multicolori. Non intraprendiamo noi, tutti e sempre, spinti da un desiderio più forte di noi, un gran viaggio oltre i nostri dolori, i nostri vincoli, i nostri limiti, alla ricerca della felicità? Non siamo noi tutti, come Mytyl e Tyltyl, sempre ansiosi di raggiungere la realtà del nostro sogno, la vera essenza del nostro ideale? Ma da che la vita, brutale e materiale ha assopito in noi la voce della poesia, ha chiuso i nostri occhi agli aspetti della bellezza, ha consumato in una vana ed affannosa lotta terrestre e quotidiana i nostri spiriti e i nostri istinti migliori, noi abbiamo disimparato a riconoscere l'anima delle cose che ci sono più vicine, la poesia del creato che è a portata della nostra mano, ed anche quando siamo pronti a sognare e ad invocare i più lontani paradisi, sembriamo ignorare i profumi del nostro giardino e chiuder l'orecchio all'amore che mormora più presso al nostro cuore. «Come son curiosi gli uomini! - dice Maeterlinck - Da quando le fate son morte essi non ci vedono più affatto e non se ne accorgono nemmeno!» Noi siamo infatti dei ciechi, per il poeta, noi che non sappiamo più vedere l'anima delle cose e riconoscere la bellezza e lo spirito in ogni cosa. Ogni cosa della vita, sembri pure informe o inanimata - egli ci dice invece - ha una voce, ha un' anima ed una bellezza, che bisogna imparare a discernere e ad intendere, che bisogna apprendere a personificare. Ecco qui nell'Oiseau bleu, personificata l'anima della luce, del pane, del fuoco, dell'acqua, degli alberi, degli animali. Tutto parla, tutto si muove, tutto s'appassiona e deve appassionare nel mondo. Non ci sono pietre preziose e pietre non preziose. «Tutte le pietre sono simili, tutte le pietre sono preziose». Dove parla lo spirito dell'uomo, la natura, animale o vegetale, parla intorno a lui, parla a lui. Che l'uomo si volga intorno e interroghi, e il mondo risponderà. Batta a tutte le porte, anche alle più ignote, tenebrose, spaventose e gli sarà aperto. Chieda la luce e, poichè la luce s'è fatta compagna dell'uomo, si è posta dalla parte dell'uomo, la luce sarà. Anche la più tenebrosa e spaventosa porta della Notte s'apre, infine, sul più meraviglioso dei giardini, sul giardino in cui gli uccellini azzurri, a miriadi, formano quasi un velario di luce azzurra, volando di raggio di luna in raggio di luna. Che dite? La morte? Il tenebrore e l'orrore freddo della morte? Ma non ci sono morti, non esiste la morte, tutto è vivo al di là come al di qua. Chi può mai parlare, chi ha mai parlato di morte? Tyltyl e Mytyl s'accorgono presto che i morti sono vivi, sono sempre vivi. Basta che qualcuno pensi a loro, basta che qualcuno li ricordi, perchè essi tornino a vivere felici. - Che cosa vuol mai dire la morte? - chiedono i morti. «Ogni volta che pensate a noi ci risvegliamo e vi rivediamo!» Quando si aprono le tombe nel freddo cimitero del regno di Tyltyl e di Mytyl, i fanciulli vedono uscirne, invece di gelidi e grami spettri, una luminosa e musicale fioritura di esseri vivi. «Dove sono i morti? - si domandano l'un l'altro. - Non ci sono morti!» L'Oiseau bleu è la fiaba della realtà che è poetica quanto il sogno e bella quanto il sogno, è la fiaba dell'ottimismo maeterlinckiano. Eppure questo uccellino azzurro, che è il segreto della felicità e delle cose, Tyltyl e Mytyl non lo trovano in nessun regno, in nessun cielo, in nessuna foresta, in nessun cimitero. L'uccellino azzurro non esiste, non esiste o cambia di colore e muore quando lo si è trovato e imprigionato in una gabbia. L'ideale dunque, la felicità dunque, non sono di questo mondo e neppure dell'altro mondo. Si ha voglia di viaggiare per paradisi ed inferni, anche dietro alle fate più miracolose, anche muniti dei talismani più preziosi; il nostro più bel sogno non si avvera mai, balena per sfuggirci, s'illumina per adeguarsi al nostro più triste e quotidiano orizzonte, per morire tra le nostre mani ghiacce dopo aver aleggiato per un tratto fuori dalla nostra calda fantasia. È vero, ma fino ad un certo punto. Riaccompagnate a casa, nella loro povera casa paterna, nitida e pura, Tyltyl e Mytyl. Come è più bella, ai loro occhi, la loro casa, dopo che essi hanno aperto il cuore al loro gran sogno ed han tanto peregrinato per le vie dell'ideale! Il babbo e la mamma sono più giovani e più buoni, le pareti sono più lucide e accoglienti, i mobili più belli e più lustri. Sono gli stessi, ma sono così diversi! Tutto è lo stesso e tutto è così diverso e l'uccellino azzurro è lì, dentro casa. Sono andati a cercarlo così lontano, in mezzo a tanti miracoli, a tanti prodigi, a tante paure e tante lotte e l'avevano lì in casa, era la tortora di casa, così azzurra, perchè, insomma, la felicità è vicina a noi, è dentro di noi, la felicità è nel contentarci di quello che abbiamo, nel saper vedere il bello e il buono di quello che la provvidenza ci ha dato, nel saper tenere gli occhi e il cuore aperti ad accogliere la bontà e la bellezza di tutte le cose, nel mettere la nostra poesia in tutte le cose. è proprio questa l'ottimismo dell'Oiseau bleu ed è un tale ottimismo, la morale e l'insegnamento, di questa favola così vera.