Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il galateo del campagnuolo

187549
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1873
  • Collegio degli artigianelli
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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E quel che è più strano di tutto si è che diffidano piuttosto delle persone di studio; mentre si abbandonano ciecamente alle persone ignoranti. Il maestro, il medico, il segretario spiegheranno coi dati della scienza un fenomeno naturale, il fulmine, l'aurora boreale, e il contadino ascolterà con quell' aria che dice: a me non la si fa bere; oppure: chissà se sarà così! Un paltoniere qualunque dirà d'aver visto la Madonna sopra un albero, oppure l'ombra di un morto sulla porta del cimitero, e ci si crede come al Vangelo! Se qualche male vien addosso a loro, o al bestiame, i prescritti del medico o del veterinario o non li eseguiscono, o lo fanno con infiniti ma e se; vi passa una cialtrona di donnicciuola, che consiglia il più matto empiastro che si possa immaginare, quello senza indugio vien applicato. Esaminate pure ma troverete quasi sempre la diffidenza più oltraggiosa verso chi sa e la credulità più sciocca ne' farabutti. Ciò che fa ancora più contrasto coll'onestà abituale della gente di campagna è la volgare credenza nella venalità di chi comanda. Fa male al cuore vedere come i contadini credono che tutto si ottenga col danaro; non v'è onestà di magistrato, che essi non credano, che si possa corrompere coll'oro. In una lite si dà loro la sentenza contro? L'avversario, dicono tosto, acciecò il giudice con marenghini. Un giovane tisicuzzo vien dichiarato inabile al servizio militare? Sono i rotoli d'oro che il padre fece sguazzare nelle tasche del medico e del commissario. Un bravo giovane prende bene il suo esame? Il padre chiuse gli occhi ai professori con buoni biglietti di banca. Uno spunta un intrigo? È il prefetto che fu comprato. E chi toglie loro di capo che le imposte, che essi sudano a pagare, non siano mangiate dai ministri, dai deputati, dai senatori? e lo dicono piano e forte. Insomma la diffidenza dappertutto. La giustizia, l'onestà, la virtù, il galantomismo, l'onore, sono vane parole; col danaro si ottiene tutto; e vengono poi fuori co' loro provverbi: le braghe di tela con quel che segue; danaro e amicizia rompono il collo alla giustizia; ed altri su questo andare; e se v'è qualche tristo fatto lo tirano sempre in campo; ma non citano mai quegli esempi di onestà a tutta prova, di rettitudine d'animo fino all'abnegazione, che pur tanti ve ne sono, d'uomini che consumarono il loro avere per beneficare altrui, di gente che sacrificò il meglio della vita a pubblico vantaggio. Massimo d'Azeglio nel 1852 usciva dal ministero, del quale era stato Presidente, e vendette subito i cavalli e licenziò le persone Di questi già non se ne tien conto, si trova di servizio; perchè scrive egli « non avendo più lo stipendio di ministro, se spendessi in cavalli spenderei quel che non ho. » E nel 1849 si diceva che aveva ricevuto milioni dall'Austria! Nel 1859, dopo esser stato Commissario nelle Romagne, ove per aver carattere militare, da colonnello, era stato promosso generale di brigata, così scriveva al ministro della guerra. «Ora la conclusione della pace avendo determinato S. M. a richiamarmi dalle Romagne, sopprimendo la carica, colla quale m'aveva voluto onorare, prego l'E. V. a voler presentare al Re la dimanda delle mie dimissioni. La carriera militare, breve ed interrotta, che ho corsa, non mi dà nessun diritto al grado che occupo, al quale non è conveniente si giunga se non dopo lunghi e segnalati servizi.» Nel 1861 così si rivolse al ministro dell'Interno: «Quand'io lasciai il posto di governatore di Milano, fui messo in disponibilità con metà dello stipendio. Trovo di poter far a meno della somma, che importa. Mi par dovere nelle attuali condizioni delle finanze di rinunziare al soldo di disponibilità!» E giova rammentare che d'Azeglio non era ricco; viveva del lavoro del suo ingegno. Camillo Cavour, accusato di infiniti monopolii; alla sua morte, lasciò il patrimonio avito tutt'altro che moltiplicato. Vincenzo Miglietti, fu due voìte ministro; quando venne a morire, non lasciò che un nome onorato; o come avvocato guadagnava le suo trenta mila lire all'anno! Ed è lunga la schiera d'intemerati cittadini, che ben lungi dal lucrare sulle pubbliche cariche a danno dello Stato, scapitarono anzi ne' ìoro privati interessi. più facile pensar male. Che ci sia qualche caso, che loro dia ragione, pur troppo è a confessarsi; ma sono eccezioni, che non debbono punto servir di regola generale. Ora vi s'aggiungono ancora le amministrazioni provinciali e comunali. Chi non pensa che il sindaco mangi sul Comune, che mangi il segretario e l'assessore? Porgete l'orecchio qui e qua, e troverete che ne' paesi non v'è più una persona onesta, una coscienza intemerata, se state alle dicerie volgari. E badate contraddizione; ciascuno per sè stima il sindaco, il consigliere, il segretario, come uomini incapaci di azioni meno che oneste, la loro rettitudine è proverbiale, ognuno loro affiderebbe la borsa a custodire; tuttavia trattandosi di roba del Comune, bah! mangiano anch'essi; come se prendere al Comune non fosse rubarizio. Oh in che mondo viviamo? O siam tutti ladri? Ripeto, che fa stizza sentir dar addosso alle persone più stimabili con tanta leggerezza! Mettiamo ora per un momento che qualcheduno di costoro abusi dell'autorità e della carica sua, e volga a suo pro il danaro del Comune; chi è in colpa? Chi li ha portati là? siete voi, voi che loro avete dato il voto. E se avevate qualche dubbio sulla loro fede; perche li avete eletti? Pecchè non avete cercato persone probe, oneste, intelligenti, incapaci del male? Il torto è vostro, picchiatevi il petto, e gridate: mea culpa. Ma voi bandite la croce addosso ad uno, e poi alla sua scadenza lo rieleggete; che logica è questa? Quando siete in tempo di riparare al male, nossignore, andate colla testa nel sacco; e poi vi mettete alle querimonie. Nel tempo delle elezioni, pensate bene a' casi vostri, badate chi eleggete, osservate se è galantuomo prima di tutto, se amministra bene le sue sostanze, se ha ordine in casa propria, se è onesto, e poi smettete le diffidenze, che vi fanno torto e torto marcio; vi fanno passare per incontentabili, pigoloni, maldicenti, di mala fede, e capaci voi di far quello che credete degli altri; giusta il proverbio di chi non si fida, non è a fidarsi; oppure chi mal fa, mal pensa. Da questo sistema di recriminazioni e querimonie, sapete che seguirà? Che le persone oneste, che han cura del loro buon nome, che non amano le brighe, piuttosto che esporsi alla maldicenza del pubblico, alle critiche insensate del primo barbagianni venuto, si terranno infuori da ogni amministrazione, e allora?... Allora i guasta-mestieri, i ciarlatani, i furbi, gl'intriganti, gli arruffa-popolo si faranno innanzi, e viva finchè ce n'è; costoro sì che penseranno al vostro vantaggio!... Dunque un po' di buona fede, e quando conoscete uno probo e dabbene, non date retta a tutte le ciancie, che l'invidia e la gelosia potranno mettere in giro per sorprendere la vostra credulità, per allontanare i buoni, per far strada ai tristi. Tutti abbiam de' nemici, e le autorità più che ogni altro, perchè è naturale, che coloro che non vogliono filar dritto, tutti i cattivi soggetti insomma, non possano veder di buon occhio la legge e chi debbe farla eseguire; il malvagio è certamente nemico del galantuomo, il vizio è l'eterno avversario della virtù.

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