Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonando

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Vietato ai minori

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Bonanni, Laudomia 2 occorrenze

Schiacciano le sigarette al suono del campanello, abbandonando la pedana. Il Tribunale rientra. Viene letta rapidamente la sentenza. Sono passate le due. Scomparsi i giudici, si muovono tutti insieme, i contadini affollandosi alla porta grande, le studentesse alla piccola. Il ragazzo, capitato in mezzo fra vestiti e capelli, arretra di nuovo contro la panca. Respira come se fiutasse o gli mancasse l'aria, sempre così giallo. Il padre lo raggiunge e insieme rimangono accantonati. Gli va quasi addosso la donna, che sorride conciliante. "Nicolì, eh?, t'hanno perdonato." Lui spalluccia. Scaturisce fra loro la testa del bimbo e se lo ritrova davanti col mento alzato e la bocchina aperta. Deve ricordarsi benissimo di avergli premuto le mani sulle spalle, anche se non ricorderà altro. Stringe gli occhi sforzandosi a qualche cosa, pare contargli i peli sulla testa con disgusto, forse non ricorda nemmeno che allora aveva i capelli lunghi a riccioli d'oro, vede solo un rossino tosato un po' deficiente. Nell'aula semivuota l'avvocato si rimette a sedere al suo posto. La gente s'è mescolata per il corridoio. Dalla porta a vetri cominciano a sfilare le studentesse, con le braccia sollevate per ricoprirsi la testa. I contadini s'accalcano intorno a frate Alessio che se li porta via. Arrivando sul pianerottolo, padre e figlio fanno in tempo a scorgerli per la gradinata sporca di poltiglia nerastra. Sotto si agitano le teste con cappucci e sciarpe. Quella bionda ancora scoperta. Vi corre l'occhio del ragazzo, sfuggente, come se ai capelli fosse connesso un senso di colpa. Lascia andare avanti il padre. Nel guardarsi alle spalle riconosce l'uomo miope che viene dal corridoio scuro accompagnando l'avvocato traballante a passettirii come un cieco. Ha l'aria di sentirsi aggricciare la carne. La carne la carne la carne. Odierà anche lui per tutto quello che ha detto, non voleva essere difeso. "Nicolì," chiama il padre rauco. È a mezza rampa, stringendosi al collo il bavero sottile dell'impermeabile. Dalla tromba sale un'aria gelata. "Nicolì." Lo spinge a muoversi il rumore di altri passi che sopraggiungono. Imbocca le scale a precipizio, ma poi rallenta dinoccolato. Si mette al muro, non può più nascondersi. Scendono i giudici. Platonico non vede il ragazzo, Toma non lo guarda. È il giovane Oliva a fermarsi. Sembra aver capito l'espressione della schiena, di uno che porti la vergogna addosso come una gobba. Forse rimuginava quel chicco di malvasia e si rende conto che lo rimandano punito per tutta la vita. In faccia lo trova protervo. Ma allunga una mano e lo tocca, gli dice qualche parola. Allora il ragazzo avvampa, violentemente, ingenuamente, si stacca dal muro con un impeto come se volesse uscirsene da se stesso. Mentre padre e figlio passano per ultimi il portone del tribunale, nella sala degli avvocati l'ufficiale giudiziario sta tentando di far parlare Lucrese, che si guarda le dita colpito da afasia.

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Però li picchiarono a pugni sul petto, ammanettati a sangue col filo di ferro, li fecero fuggire abbandonando il gregge, da dietro la siepe _ tiravano sassi per paura sotto una pistola puntata. Difesa: La banda Giuliano. Parte civile: Gli Attila dei proprietari, i Vandali del territorio. Il presidente rimprovera per la pistola, il carabiniere dice che sono molto strafottenti. Sempre vispi, pure così slavati sciupati da tré mesi di detenzione e di ozio, tengono testa a ogni accusa. Li indigna quella di furto. Filo di rame telegrafico: stava rotto in terra e lo toccavano con la mazza per vedere se ci passava la corrente. Dopo si fanno il conto sulle dita: ancora nove mesi dentro. S'afflosciano. Pascolo abusivo e rifiuto delle generalità alla guardia campestre, beffe e sberleffi. Scapigliata rustica selvatica: no no no. Inarticolata. Non punibile per incapacità d'intendere e di volere. Sembra ancora in difetto mentale. Si fa passare dalla madre un tozzo di pane. Sta per addentarlo quando l'arresta lo strillo del PM, e glielo lancia contro con rabbia. Porge al presidente la carta che stringe arrotolata in mano. Vuole assolutamente dargliela. Il presidente seccamente rifiuta. " Sono nocente ", vi si leggerà. Scritto da un compagno di "galera", lui è analfabeta. Molti ragazzini, l'imputato vi si confonde per la sua piccola taglia. Nessuno è stato e sono stati tutti. Che ti fecero? Il bimbo: È 'na mala parola, non se po' dice. Ma la trova pulita per i signori: Le sporcarle. Dopo lo denudarono e lo misero nel "vaschione" per lavarlo. Due, uno ce l'aveva più grosso fece male. Congiunzione carnale non capisce che significa. Nel portone, dietro il muro, "cossù" c'era. Non si ricorda se guardava o faceva, ma c'era. Alza il dito per chiedere permesso di parlare. Gli dicevano: Dammi un po' di culo. È figlio di vecchi. E hanno l'aria di pazzarelli. La madre porta scarponi da uomo con calzini corti, il soprabito ricavato da una coperta grigia militare su un vestito "americano" di seta cincischiata cosparso di aeree ballerine. Dementi, li chiama il padre dell'imputato. Questo figlio unico che ho, dice, me lo vogliono rovinare. Lui guardava solamente.

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Versione elettronica di testi relativi al periodo 800 - 900 Donna Folgore

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Faldella, Giovanni 1 occorrenze

Essi abbandonando il manubrio avrebbero abbandonato al precipizio i tre naviganti dell'aerea nave, se non fossero accorsi a sostegno il padre guardiano ed il frate canovaio attratti al ricevimento. Allorché il canestro areostatico afferrò al promontorio, sbarcandone i tre ascensori, sull'altipiano del convento si palesò un'agitazione maravigliosa, come se abitanti di un altro pianeta vi avessero data la scalata. La devozione eterizzata a superstizione a sei mila metri sul livello del mare propagò in tutti i monaci la credenza che la signora Nerina fosse veramente l'arcangelo Gabriele travestito da fraticello. Il volto della signora era veramente tale da miracolo mostrare . Si determinò nei fratacchioni la follia collettiva di adorarla, e la accompagnarono processionalmente al sublime altare della chiesuola. Dall'altare essa domandò di ritirarsi ad orazione solitaria in sacristia. Quivi, per un trucco combinato dalla fantasia orientale di Marco Antonio Canini, essa traendo dal paniere laminato d'argento una vestaglia e un velo femminile, comparve al Sancta Sanctorum trasformata da Madonna. Ma una Madonna procace. Onde il sospetto e il bisbiglio, che fosse una tentazione diabolica. In quelle carni fratesche addormentate e condensate dall'astinenza si risvegliò terribile il furore erotico di cacciare il diavolo nell'inferno. Come in una fossa di affamati si avventerebbero al gettito di un pane per isbranarlo, si sarebbe fatto scempio della signora Meraldi, se Marco Antonio Canini non avesse salvata la situazione con il suo fascino di vecchio mago. Egli poté aggiungere un nuovo portento al vanto di aver ucciso con un'orazione funebre un assassino. Si dirizzò col mento grigio barbuto su quell'orda di energumeni envergondés assillati dal Demone della libidine; e con voce tonitrua da Deus ex machina : * Questa è per Voi la Madonna; ed io sono il Padre Eterno. Guai a chi le tocca un capello! ... Rispettate, venerate! O vi getto nello spazio! Cadde la minace cupidigia dei fratacchioni sedati. Essi videro spiritualmente in Marcantonio un Gesù invecchiato a Pater noster che proteggeva ex Coelis la ringiovanita Madre divina; e parve loro di penetrare un lembo del mistero della santissima Trinità. Liberi i tre ascesi poterono da quella elevatezza meteorica studiare il panorama dell'Europa da percorrere. I due sposi disegnarono di risalire nella polita frigida Germania per ismorbarsi di quel grassume e tepore d'Oriente. Però la signora Nerina prima di scendere volle ancora confessarsi dal più gagliardo di quei monaci, e dopo la confessione riconciliarsi alle ginocchia del più estatico ed idealizzato novizio. Lasciato Marco Antonio Canini diretto a Costantinopoli con i suoi sogni garibaldini di impero orientale, i neoconiugi Meraldi si diressero a Vienna, dove sotto gli auspicii della poesia metastasiana e all'eco lontana della musica di Cimarosa e Paisiello, la signora Nerina volle ricominciare la sua grande opera dello Studio comparativo di baci nelle Società indo- europee. Per descrivere quest'opera occorrerebbero le Memorie di una nuova signora Casanova di Seingalt. Imperocché Nerina era alla più alta potenza di avventuriera erotica un redivivo Giacomo Casanova di Seingalt. Ma all'inesauribile successo dello spirito avventuriero erotico, e dell'intrigo diplomatico e scientifico, onde riescono pornografiche e mirabolanti le memorie del Casanova, essa univa un predominio assoluto. Sempre più avvalorata di una sensualità combustibile e comburente sopravanzava l'imperatrice Caterina di Russia nello scegliere, comandare e licenziare i suoi amanti. Meritava di pigliare il titolo di Terribile , come la fregata più costosamente agguerrita. Riusciva pallido il paragone classico, che il professore Spirito Losati faceva di lei con l' Ecatomfila di Leon Battista Alberti. Essa era la superdonna per un nuovo Nietzsche; era la Sultana che si riservava un variante harem maschile. Altro che metamorfosi metastasiana! Da Vienna sirena di cabalette e madrigali per improsciuttire quegli arciduchi in tunica bianca, essa passò a Berlino con l'elmo di Minerva armata di tutta la sapienza d'amore: e alla sapienza d'amore univa il brivido fantastico della Dama Bianca. Dal brivido fantastico di fatale spettro notturno essa usciva come una fanciulla vestita da fiore, una fanciulla floreale, che tosto appassisce, se non è amata. Pretendeva sempre essere un fiore incarnato con i suoi amori prepotenti nella più grande varietà. La ricchezza borsuale, di cui non si era mai scordata nelle follie erotiche (anche da fanciulla sotto la rilassatezza del regime paterno si era fatto un ben pinzo borsot ), le permetteva lo sfogo economico dei suoi capricci , che oramai erano più che per pianoforte , erano da organo mastodontico. Ed Adriano Meraldi, il novello sposo, ben poteva tenerle bordone, poiché corrispondente ricercato dai più lucrosi giornali francesi ed inglesi non solo empiva l'Europa delle sue brillanti lettere europee ma gonfiava il suo portafoglio delle più rilevanti ed accreditate banconote. Così la signora Nerina Meraldi, ex contessa De Ritz poté figurare in Russia, come una vergine Nichilina ammirata dai più intellettuali nichilisti non che dai più alcoolizzati arciduchi rispondenti ai nomi di Nicola, Alessio e Sergio. In Danimarca appariva una pazzerella fluida Ofelia, che univa al bruciore delle ghirlande di ortiche il profumo balsamico dei gelsomini lattemiele dei fossi. In Ispagna passava dal tamburello della gitana al crocifisso di Santa Teresa d'Avila modellata nelle più procaci curve dalla bianca lana. In Inghilterra era una perfetta lady, con una gorgiera da Maria Stuarda, a Parigi rappresentava la Dea Ragione per i pronipoti di Robespierre, e una floreale regina Ortensia per la Corte decadente del piccolo Napoleone. Vittor Hugo le dirigeva dallo scoglio di Guernesey un'epistola in versi con un clangore di epopea dei secoli, i cui distici alessandrini coglievano al volo concetti, sentimenti ed antitesi rimando baleni sopra una lavagna azzurra di cielo. Ma quell'epoca erotica spaziante per tutta l'Europa non la appaga ancora. Essa sente reincarnata in sé Ur-Teufelin la più antica diavolessa, la Hölle Rose , la Rosa dell'Inferno, la bandiera dell'eterno diabolico femminile, quella che fu già Erodiade e Kundry, Kundry, che vide il Redentore in croce e ne rise, e ne porta con sé lo sguardo di rimprovero omnipresente. Onde il bisogno di una lavanda spirituale nel Giordano. Lesto lesto essa propone un viaggio in Terra Santa. *** Lo stesso Meraldi rotto a tutte le avventure del romanzo e della vita non può nascondere una ripugnanza di profanazione. Ma Nerina dopo tante avventure profane vuole assaporare l'avventura sacra. Come i raggi diffusi dalla Croce avevano redento il genere umano, essa vuole ricondurre alla originale sorgente benefica del Calvario non solo Erodiade, che pretese la testa di S. Giovanni Battista, non solo Kundry condannata pel sogghigno al patimento del Redentore, non solo Aasvero condannato per la crudeltà di negargli un attimo di sollievo dalla Croce ma altresì Medea furiosa, Fedra tiranna tragica, Giocasta incestuosa col figlio, Mirra incestuosa col padre e tramutata in vacca, tutte le bellezze insidiose insidiate, superbe, abbiette, crudeli, tutte le nequitose o brutali bellezze del mondo classico profano in lei impersonate; e con un supremo compenso spirituale di dedizione e devozione intensificata ottenere l'assoluzione di tutti i vizii, che abbiano sollazzato protervamente od inaridito teneramente il genere umano. Essa comprese in una ascensione areostatica dalla brutalità, che troppo volgare è la filosofia del piacere umano, ristretto alla formola di empir la pelle, vuotar la pelle e fregare la pelle. Tale filosofia è significata eziandio dall'asino in panciolle, che si culla, sgambetta e raglia trionfalmente sfregacciando il dorso sull'erba rasa. Invece alla Terra Santa si va umanamente divinizzandosi anche la bestia più zoliana. Con la sua potenza miracolosa di trasformismo psicologico essa si santificò immediatamente di volontà tanto intensa, che non solo si dichiarava, ma si sentiva offesa allo spettacolo dell'imbottatura, che un Trust turco-nord-americano faceva eseguire dell'acqua del Giordano per distribuirla con un'etichetta commerciale alle varie parti del mondo. Così anche i figli dei Nababbi della City a Londra e di Wall Streett (Via dei Milioni) a Nuova York potevano battezzarsi nelle acque del fiume, dove dal Precursore San Giovanni Battista venne originalmente battezzato oriundo del presepe il divino redentore del mondo ... Profanazione, abbominio per la santità improvvisata della pellegrina signora Meraldi già Contessa Vispi De Ritz! Essa sospirava evocando un bel principe giudio cristianizzato, il Ben Hur del colonnello diplomatico americano Lewis Wallace, che con una spada di Arcangelo sfondasse quelle botti. Essa si era costituita nelle condizioni psicologiche più opportune per entrare nella ragna tesale fino colà da Suora Crocifissa. Mentre il Gesuitismo rappresentato da una rappresentante di Suor Crocifissa aiutava la conversione della signora Nerina al Santo Sepolcro, la Massoneria rappresentata da un Console, agente della compagnia di Esploatazione delle acque del Giordano lavorava per il distacco di Adriano Meraldi da lei. Ambedue le rappresentanze delle suddette forze, che si dividono l'impero sociale del mondo civile ed incivile, riuscirono nel comune intento. Suora Ermellina Diotamo, l'ambasciatrice di Suor Crocifissa, avvolse nell'estasi più vellutata quella grande, splendida convertita, che voleva applicare a se stessa i versi manzoniani: maggiore altezza * al disonor del Golgota * giammai non si chinò. Per compire il miracolo, Suora Ermellina, che era una stupenda gerosolomitana scalza, assunse una voce da arpa davidica: * Senta, signora! Vi è in Piemonte, nell'onda dolce del caldo Monferrato una valletta fresca e romita, una Tempe arcadica, dove il bacio di Dio scende con predilezione e ne sigilla con una delizia, che invano si cercherebbe altrove. Che sono mai le battaglie, le vittorie, le ricchezze, le lautezze, le voluttà di questo mondo, se non si riallacciano alla Misericordia Divina, ossia alla Immensità dell'infinito nel tempo e nello spazio? Sono miserie di zanzare e di mosconi, io sono figlia di un rajah indiano e di una principessa armena signora di cento monasteri. Nacqui nell'immagine terrena della celeste Gerosolima, avrei potuto lisciare la barba più azzurra al mitrato più fulgido di perle; pulsare sul cuore del più glorioso guerriero. E volli consacrarmi a Dio, senza offendere il mio volto con un ferro rovente come fece la martire giapponese per rendersi accetta al cenobio e senza imbrattarmi di fetore, come fece il gesuita per salvare la sua castità dalla moglie del Putifarre indiano. Che merito consacrarsi a Dio, quando siamo repellenti presso l'umanità? * Suora Ermellina! Voi siete divinamente bella; ed io mi lascierò condurre da Voi al Santo Oblio, che mi predicate. Ma io nacqui schiava e regina degli Dei Capricci: tutti i pianoforti suonati a questo mondo, dopo la loro invenzione ad oggi, sommati insieme non hanno ricevuto sulle loro tastiere la percussione di tanti capricci musicali, quanti ne accolsi e vibrai io sola. E sono venuta qui apposta per liberarmi da tale schiavitù e per rinunziare a tale signoria. Sono venuta apposta su queste rive miracolosamente redentrici. Senza che mi sia laureata dottoressa, io veggo il miracolo nella storia: che poveri ed umili pescatori e battezzatori di queste acque, sotto l'influsso di un vero, ma sconosciuto e crocifisso figlio di Dio, abbiano potuto cambiare faccia e fondamento ad una progredita, elevata civiltà umana. Queste acque, che hanno redento il mondo, potranno redimere anche me, ed affrancarmi dai miei capricci. Ma, suora Ermellina, ancora di grazia, mi permetta lo sfogo di un capriccio, in cui annegare tutti gli altri. Mi sia concesso detergermi in queste acque originali del Giordano. E tu, suora Ermellina, siami gemella nel bagno sacro. Suora Ermellina nella lavanderia del Monastero gerosolimitano chiusa da grate verzicanti fece rizzare due botti piene dell'acqua del Giordano destinata all'esportazione nel Canadà. Scoperchiatine i mezzuli superiori, la maestra e la catecumena entrarono nel rispettivo cocchiume, come immersione di anime bianche. A un tratto la signora Nerina emerse, come gentile bàbau da una scatola a sorpresa, e gridò: * Non basta, non basta! Non basta ridursi a giocattoli di Norimberga per attuffare nell'oblio la ricchissima collezionista di amanti e mariti, che sono stata io. Bisogna rinnovare all'aperto il miracolo, che ha lavato e levato i peccati del mondo. Voglio lavarmi con te nel fiume sacro, libera, libera come la Natura e l'Immaginazione. Sai nuotare? * Sì! * Nuoteremo insieme. Si radunò un concilio di badesse e patrassi per consultare, se si poteva concedere quell'ultimo capriccio idraulico. La bocca fiorita di un colto, giocondo e santo francescano, padre Alessandro Bassi, rivendicatore di Emaus, perorò favorevolmente, citando l'esempio del Poeta Divino, che sulla sommità del Purgatorio si era autorizzato un bagno nei fiumi Lete ed Eunoe con promiscuità di sessi (Matelda, Dante e Stazio) davanti le virtù Cardinali e teologali, davanti la stessa Teologia Beatrice e davanti una interminabile processione di luminari della Santa Fede. Fu arriso un consenso a quel Capriccio della signora Nerina, tanto era l'interesse spiegato dal gesuitismo per attrarla al Santo Oblio. Furono prese le disposizioni dal governo Turco con i consoli cristiani e venne scaglionato alla debita distanza un servizio di giannizzeri, perché nessun occhio profano potesse intorbidare il lavacro di quelle bellezze sante o destinate a santificarsi, come nella leggenda di Santa Godiva si chiusero ermeticamente tutti gli usci, le finestre e gli abbaini per la nuda cavalcata della pietosa, che a tale prezzo affrancava la terra dalla esosa imposta. Dove l'onda del Giordano è più tiepida e romita sotto l'ombra verdeazzurrata degli alti palmizi e dei cedri, la signora Nerina, che aveva preteso la scioltezza delle chiome ad entrambe, volle la mano di Suor Ermellina. Plasmate da un velo bianco di vergini martiri cristiane entrarono nel primo solco delle acque; e si diffusero nel gorgo, come se menassero un ballo in tondo acquatico. La signora Nerina guidava la danza subacquea; Suora Ermellina si piegava al capriccio. Le chiome diffuse, parevano alghe natanti, seguaci cappelliere alle rose divine dei volti di ninfe. La signora Nerina provava una letizia sovrumana nel rompere coi seni floreali quelle onde somme nella storia religiosa della umanità. Essa aveva provato con un principe romano il pizzicore salubre mordente delle acque albule nell'originale laghetto d'Averno; essa aveva provato con un arciduca russo l'ebrietà esilarante di un bagno in una vasca ripiena di vino spumeggiante ed aromatico di Sciampagna. Ma tali sensazioni erano state un nulla di fronte all'estasi divina procuratale dal bagno nel Giordano. Le pareva da una valle di baci divini vogare a un oceano di baci divini. Là dentro sentiva annegarsi definitivamente la sua numerosa collezione di mariti ed amanti umani, là dentro affogarsi per sempre i suoi capricci per pianoforte. Essa diveniva cosa di Dio, persona di Dio, spirito di Dio. Neppure la satiriasi cattolica di Barbey d'Aurevilly sarebbe capace di abbarbicarla. Essa scomunicava le immagini degli eresiarchi, che la fantasia le portava sulle rive del Giordano per accivettarla ancora. Via Eutichio antecessore di Strauss e di Renan nello spacciare che in Cristo sia soltanto la natura umana! Via Eutichio della castagna! Ad Ario altr'aria! Via straccio di Strauss! Via, rinnegato di Renan! Via Stefanoni! Via asino, asinone di Podrecca! Indarno le balenavano ancora diaboliche tentazioni di inciprignire le gelosie tra le potenze protettrici del Santo Sepolcro; scagliare nuovamente la Germania contro la Francia, escludere maggiormente la già sempre esclusa Italia ... aggrovigliare le unghie dei carmelitani nelle barbe dei cappuccini ... La signora Nerina emerse dalla santissima onda, in cui era trascorsa allargatasi beatamente lieve come spola, emerse con la chioma stillante come se avesse espuntato dalla superficie dell'acqua un fascio di raggi solari, emerse sentendosi capace di vincere in armi, lettere e scienze l'imperatore Giuliano l'apostata. Con tale sentimento di capacità essa si consegnò spirito e corpo a Suor Ermellina, perché la traducesse al Santo Oblio. Il distacco dal novello marito, che pareva crisi di gran momento, invece fu cosa agevolmente naturale, come lo spicchio di due castagne da un riccio maturo calpesto da un bove. Adriano Meraldi, sebbene serbasse una perennità copiosa di orgasmo, lutulenza e flatulenza nella attività letteraria, era un cervelletto rammollito, un cuoricino rammollito. Aveva adottata la filosofia dell'intrepido maresciallo di Francia settecentista, che avendo colta la moglie nel boudoir tra le braccia del cavaliere servente, chiese scusa di non aver bussato alla porta prima di entrare e levò l'incommodo. Così, se egli avesse sorpreso la moglie carolare nel Giordano non con la candida suora Ermellina, ma con un bronzeo e barbuto monaco armeno, avrebbe reso il saluto militare e se ne sarebbe andato in altra parte. La Massoneria mercantile gli diede occasione di allontanarsi. Speculando sulla sua prodigiosa forza di reclame , lo associarono al Trust per l'esportazione dell'acqua del Giordano, e lo incaricarono di una perlustrazione boschiva in Anatolia e poi in Persia a fine di realizzare una vistosa economia nella confezione delle botti. * * * Ritornando in Occidente sulla fregata o meglio vaporiera mercantile Stella d'Oriente con la dolce e serafica guida di Suora Ermellina, la signora Nerina si paragona trionfalmente a quella principessa del Boccaccio, che navigando sposa venne rapita dai corsari, e dopo averne fatte più che Carlo in Francia e subite più che Taide nella Suburra reddì a casa per vergine. Come di primavera i poggi brulli e secchi dall'inverno trasudano, esprimono una nuova lanuggine di verde verginale, così essa sentiva rinverdire, ringemmare, rifiorire l'anima sua di una virginità rifatta. L'ago dell'anima sua segnava definitivamente una declinazione magnetica verso il Santo Oblio, mentre il Suo ultimo marito ed amante Adriano Meraldi zoppicava arditamente verso le agognate foreste vergini dell'Anatolia, della Persia e forsanche dell'Indostan. Per tal modo allo spirito della signora Nerina si presentava in ombra una commedia o tragedia spirituale intitolata I due zoppi , degna di essere scritta da Spirito Losati: due zoppi calanti per diverse bande dal sommo dantesco emisfero di Gerusalemme. A Genova la Signora Nerina venne ricevuta in un abbraccio da Suora Crocifissa. Alla peccatrice pentita e redenta sembrò di sentire in quell'abbraccio la gloria della Santa Croce Cristiana. Condotta nel Monastero della Visitazione, vide aspettarla in un angolo della foresteria la figura ingrandita di suo padre, che aveva messo pancia. Il Comm. Atanasio Vispi, che aveva risoluto di scontare nell'ultima parte della sua vita i soverchi capricci concessi nella prima parte alla figlia, per riuscire nel magnanimo intento aveva assimilato l'energia democratica del macellaio Baciccia Calzaretta, la cavalleria romantica e l'inflessibilità puritana del suo genero Federico De Ritz, ed egli droghiere emerito di Augusta Taurinorum (direbbe l'abate prof. Vigo Razzoni) si sentiva investito della patria potestà come un antico cittadino romano. Invano Nerina si prosternò davanti quella arcigna figura. Egli non si curvò a sollevarla. Solo la ammonì: * Sii costante a purgare nella penitenza e nella santità il tuo, il nostro disonore. E scenderà ancora sulla tua fronte il bacio di tuo padre con il perdono celeste di tua madre. E forse, forse ... Così dicendo, egli guardava dall'alta finestra nel basso della via, dove pareva sostasse in attesa il fantasma di un cavaliere mortalmente offeso e tradito. Quel fantasma si sollevava, come in una nube ossianesca; era il conte Federico De Ritz proclamato deputato al Parlamento dal suo cappellano maggiore professore Vigo Razzoni; era una camicia rossa di Garibaldino; sotto l'ascella sinistra la gruccia di Mentana; nella mano destra la spada per colpire la moglie infedele, e liberare Roma serva del maggior prete, che deve tornare alla rete. Papà Vispi fece comprendere poco opportunamente all'anima spontaneamente avvinta della figlia, che, se essa fallisse al ritiro del Santo Oblio, c'erano le succursali regie Carceri per una rea di adulterio e bigamia, malgrado l'oscillante giurisprudenza del caso. Accompagnata da Suor Crocifissa e da Suora Ermellina la signora Contessa Nerina fece il suo auspicato ingresso nell'Ospizio del Santo Oblio. Era stata lungamente annunziata a quel popolo preceduto di spirituali recluse. La più sardonica di esse, una sbiobba, quasi per vendicarsi d'essere stata soprannominata dessa supa mitonà , l'aveva preconizzata come una contessa d'coule ch'ai na sta sent su na rama . E contessa cento su na rama fu il nomignolo preparato al Sant'Oblio per la Contessa De Ritz. La capricciosa avventuriera, che aveva fatta una indigestione di amori mondani, ora provò l'estasi del digiuno carnale. In quell'estasi come le parvero abbietti i romanzi sensuali scritti e perpetrati nella bassa vita! cronache, lenocinio di concubiti! Ma come mantenersi alta nell'estasi? Fanciulla inginocchiata davanti al padre e davanti al busto di gesso della mamma non aveva giurato di divenire una moglie onesta? E come aveva mantenuto il giuramento? Opportunamente al Santo Oblio avevano introdotto l'adorazione perpetua del Santissimo Sacramento. Non mai dovevano mancare due adoratrici genuflesse davanti all'altare di Gesù Sacramentato, sotto il lumicino della lampada mantenuto perpetuo come il fuoco delle Vestali. Si era assegnato il turno alle ricoverate; e la signora Nerina, oltre il proprio turno, richiedeva e volontieri soddisfaceva il turno delle compagne indisposte. Quell'abbandono prosternato ad un punto altissimo, immenso, infinito le riempiva l'anima. Un'altra soddisfazione liberatrice le era dato dal godimento del paesaggio. Quella vita verginale le aveva acuito, raffinato il senso delle bellezze naturali, come se la signora Nerina in quel ritiro avesse acquistato la squisitezza artistica dei paesisti Corot e Fontanesi. Essa sentiva, gioiva estremamente la bellezza della primavera nelle delicatezze ceramiche e profumate, con cui fiorivano il biancospino, il pesco, e il ciliegio; godeva e sentiva estremamente il mantello lionato delle messi estive; godeva e sentiva estremamente di primo autunno l'azzurreggiare, il rosseggiare o l'ambrare dei grappoli di uva, zinne vegetali per l'ilarità umana; e nell'ultimo autunno, quando le brine tessevano filigrane danzanti sulle ragnatele delle siepi, e il sole mattinale le risvegliava in brilli di diamante, essa inneggiava a Dio artista. D'inverno la neve le dà il riposo del candore, che confonde ogni cosa nella purezza abbacinante, il riposo del candore, quanto diverso dal riposo, che dà il verde, in cui pullula l'annunzio di nuova vita! Quando la serenità invernale consentiva agli occhi suoi il nitido panorama, essa indugiavasi a godere il diadema delle Alpi, marosi arrestati dal Dito di Dio: sulla pianura del Po e dei confluenti suoi, dai piedi delle Alpi ai candidi poggi monferrini, spaziava, dilagava la nebbia. Allora alla romita contemplatrice pareva di contemplare lo spettacolo da una specola sopra le nubi, da un altro pianeta, dal Paradiso. Il sole saettava la nebbia padana, la illustrava e diradava a fiocchi di bambagia, che principiava a lasciarsi traforare dai campanili; poi negli screpoli, nelle radure comparirono chiese, interi villaggi, isole; poi tutta la pianura del Po scintillante nei solchi e nelle punte, come un'argenteria libera dall'imballaggio. E la Contessa, resasi suora del Santo Oblio, batteva le mani e benediceva all'omnipotenza del Creatore. Prosa non ispregievole dopo tanta poesia. A compire la felicità della reclusa, essa accorgevasi, che la rinunzia al lusso e alla lussuria le aveva anche impreziosito il gusto dei cibi semplici e delle bevande schiette. Ma non ancora è spenta la razza dei diavoli di Dante e della Basvilliana, che si contendono le anime. I diavoli di Nerina sono i capricci. Soddisfattone uno, spregiarlo, e intraprendere la serie degli altri. Che fate, angeli tutelari di Nerina? Dormite? Dormi, anima della madre sua? Dormi un sonno marmoreo, come nel busto del Cimitero di Torino, o sei ingessata, come il modello nel salone di San Gerolamo? Svegliatevi! Provvedete! Non mirate voi, quale sconvolgimento si prepara, quale pervertimento si opera nella psiche complessa, multipla di Nerina? Essa era ormai stanca di regnare su quel piccolo mondo di segregate. Supa mitonà , Bimblana, Gibigianna, Gilda ecc., le preparate a schernirla come Contessa Cento su 'na rama , erano state facilmente avvinte al carro della sua solitudine religiosa, e la riconoscevono regina di rarissime virtù. Ma che diventa mai la solitudine, se l'anima interiore non è riempita dalla grazia di Dio? Dopo una piova primaverile, Nerina contempla sitibonda la pianura del Po, che si rimbarba di verde. E sente poco per volta vuotarsi l'interno dell'anima sua, e incrostarsi la superficie di nuovi desiderii e prudori voluttuosi. Che è mai un eremo alla sua nuova vista? È un buco, un vuoto schiacciato, seppellito, dimenticato dalla Natura, maledetto, escluso dalla Vita; si chiami il convento delle Meteore o l'Ospizio del Santo Oblio. Peggio le pare un'ingiuria, una ritorsione della Natura, che nessuna forca può espellere. La reclusa del Santo Oblio sente il bisogno irrefrenabile di riallacciarsi alla vita mondana. E rapidamente accumula in sé tanta energia di elettricità psicologica, da superare l'orrenda riverenza delle pitonesse nella mitologia antica, o la forza medianica sorgente in Eusapia Paladino. È la precorritrice di una stazione radiografica ultrapotente per una telegrafia senza fili, per una trasmissione telodinamica del pensiero e della volontà femminile. La sua possa di magnetismo animale, per le correnti maravigliose, che la scienza ha già lealmente riconosciuto, sebbene non sia ancora riuscita a spiegarle, arrivava, toccava persino il suo secondo marito nel penultimo Oriente. Adriano Meraldi, lasciando ai colleghi affaristi del Trust per l'esportazione delle acque del Giordano la ricerca del legname più resistente e più economico per le botti, si era dato alla caccia della pantera e della iena con una passione scientifica da imitare il naturalista Michele Lessona, e con una felicità artistica da aspirare a Nembrodt del fucile e della penna. Dalla Persia era calato nell'India sacra, dove aveva incontrato la truppa signorile dei battifolli torinesi in cui era incorporato il baroncino Svembaldo Svolazzini, angelico rampollo del fiero neofeudatario di S. Gerolamo. Le accoglienze oneste e liete, che si fecero il letterato e il baroncino dello stesso paese d'origine, ricordano quelle di Virgilio e Sordello nel purgatorio di Dante. A tanta distanza da S. Gerolamo sparvero le differenze sociali tra il figlio dell'economo cadastraro e il figlio del nobile Mecenate. Che importa, se il professorino aveva nelle ripetizioni delle vacanze annoiato con i latinetti il baroncino? La carità del natio loco, il dolce suon della comune terra livellava in quella lontananza plebeo e patrizio, Chirone ed Achille, lasciando soltanto emergere i vincoli dei soavi ricordi ed affetti. * Illustre professore! * disse il baronetto saltando al collo di Adriano Meraldi. * Dolce tirone! * gli rispose Meraldi, stringendoselo al petto. Il professorino Meraldi a S. Gerolamo aveva trascurata la popolana Gilda per correre dietro alla capricciosa tota Nerina . Ed il baroncino Svembaldo aveva raccolta per sé la purissima popolana; e come un giovane Dio se ne era fatto l'altare della sua religione. I ricci, gli occhi, la luce della fronte e dell'anima di Gilda erano per lo Svembaldo tesori impagabili, non surrogabili. * Umanità! * egli esclamava a se stesso: * Rispetta le pure simpatie dell'amore, che sono tramiti divini. Egli si era afforzata la sua fede amorosa nelle fatiche del viaggio e della caccia alle Indie. L'incontro e la presenza di Adriano Meraldi gli rinfocolò nel cuore un braciere non mai spento. In quella vegetazione feconda di tutto l'amplesso dell'acqua e del sole, egli, come se possedesse il pennello e la poesia di Tullo Massarani, divinizzò l'immagine di Gilda a nuova Sacuntala. Clemente Corte, artiglieria piemontese fusa nel coraggio e nel genio garibaldino, studiava le conquiste inglesi nelle Indie ad ammonimento e correzione delle velleità coloniali d'Italia. Svembaldo Svolazzini anelava ritornare in Italia per la piena, santa, perenne conquista della sua Gilda. Meraldi e il baroncino, sulle rive del sacro Gange, come per un contagio spirituale, risentono insieme gli stimoli dei primi amori di S. Gerolamo; e tali stimoli vengono maggiormente acuiti da una inopinata comparsa. Sbarcava, col suo manto di madonna gerosolomitana, con il collo lungo, che pareva tornito da Fidia, e con il profilo greco non scismatico, Suora Ermellina Diotamo, che dal Santo Oblio veniva a dirigere un Collegio di Dame inglesi a Calcutta. Quando essa si era accomiatata dalla Contessa Nerina, questa con una prosternazione, che mascherava la lampeggiante voglia di un tradimento, la aveva pregata: * Madre santa, se Ella vede quel ... signore, gli dica, gli dica ... * E di più non aveva detto. Suora Ermellina riportò ad Adriano Meraldi il profumo tentatore della diavolessa lontana, i cui tentacoli per vie incognite ritornavano direttamente imperiosi a lui. Provò a disperdere quel profumo nella danza serpentina di una bajadera. Inutilmente desiderò l'incolumità di un fachiro. Egli soggiacque alla terribile ripresa di malore ignobile; per cui si rinnovò la minaccia dell'amputazione chirurgica della gamba sinistra. Ed egli pure dovette adottare l'uso d'una stampella. Invece quale balzo di elasticità angelica darà l'orgasmo di Svembaldo Svolazzini, allorché apprenderà da Suora Ermellina, che anche Gilda è assicurata al Santo Oblio? Appena potranno, Svembaldi e Svolazzini partiranno in guerra contro il Santo Oblio. Ma d'altra parte, che dovrebbe importare irosamente del Santo Oblio a Federico De Ritz? Perché se ne cruccia e se ne tormenta? Che desidera di più? Egli con una votazione magnifica, quasi plebiscitaria, è stato eletto deputato al parlamento Nazionale dal suo ligio feudale collegio di Ripafratta. Si sarebbe detto un compenso popolare alla sua sventura matrimoniale, solatium uxorium , friggeva a se stesso, per paura che l'aria lo sentisse, l'abate prof. Eleuterio Vigo Razzoni, primo cappellano della sua corte, e suo grande, eminentissimo elettore. L'on. Conte nel palazzo dei Cinquecento a Firenze, per votare sì, alzava la gloriosa stampella, come faceva l'eroico Benedetto Cairoli. E l'alzata era più animosa, quando si trattava di sollecitare la liberazione della madre Roma; ciò che induceva a bisbigliare qualche gufo clericaleggiante: * Veh! l'idea nazionale di Roma o Morte si regge sulle grucce. I buzzurri andranno a Roma di gamba zoppa in die judicii. Crepi l'astrologo clericaleggiante! rispose la Fortuna d'Italia; e l'Italia al 20 Settembre del 1870 compiva il suo fatale ingresso a Roma per la breccia di Porta Pia. Federico De Ritz non imitò Enotrio Romano che fece squacquerare le oche del Campidoglio contra l'Italia, come se questa vi salisse a scappellotti e calci. Non mostrò il contorcimento di budella mostrato da Giuseppe Mazzini, per la nobile invidia, di non averla condotta lui l'Italia a Roma. Federico De Ritz con il suo buon senso e con il suo buon cuore sentì che l'Italia compiva a Roma il miglior ingresso patriottico e cristiano con la maschera guerriera e gianduiesca di re Vittorio, con la probità catoniana del flebotomo Giovanni Lanza e con la scienza moderna di Quintino Sella, anzi che con i sonagli della vieta retorica e con i barili di fiele dei profeti in malora. Federico De Ritz ne provò una così sana ed alta soddisfazione, da poter rinunziare alla stampella destra, surrogandovi un bastoncino. Ma come la liberazione di Roma aveva tolto al partito avanzato italiano il programma, per cui combatteva, e inflittagli la necessità di cercare un altro programma di riforme progressive, così a Federico De Ritz quell'estrema soddisfazione patriottica e politica riapriva l'animo ad altre cure personali. Le corna rodono! * Rodono le corna! lo avvertiva un proverbio romanesco sonettato dal Belli. E gli rivogava in seno tutta la complessa filosofia delle corna. Non si addiceva a lui la filosofia allegra, con cui Massimo D'Azeglio terrificava il nipote prossimo ad ammogliarsi: le corna sono la pace di casa, perché la moglie fedele fa scontare la sua fedeltà con le bizze domestiche, mentre la moglie infedele copre la sua infedeltà con le moine al marito. Né meno gli entrava l'erudizione latina, che avrebbe potuto confermargli l'abate Vigo Razzoni: significare le corna presso gli antichi romani forza, potenza. Onde la laude oraziana del vino " addis cornua pauperi" , aggiungi corna, cioè forza al povero che in grazia sua più non trema davanti le Altezze reali e le baionette del Regio Esercito, è una laude, che più delle preghiere cristiane può far parte del programma minimo dei socialisti. Se non che quell'eterno buffo dell'avvocato Ilarione Gioiazza applicava il precetto oraziano " adde cornua pauperi" al ricco padrone di casa, che si godeva la bella mogliera del povero portinaio. Appunto per ricreare, rifiorire l'anima, Federico De Ritz si rivolse all'amico avvocato Ilarione Gioiazza, domandandogli: * Ed ora, che dobbiamo fare, dopo la presa di Roma? * Per me, * gli rispose Gioiazza, a cui le maggiori batoste maritali dell'amico De Ritz non avevano tolto del tutto il rimorso pella supposta primizia peccaminosa di Capri, * per me lasciami fare l'avvocato. Commetti pure un delitto o un crimine. Ed io ti difenderò volontieri davanti al Tribunale Correzionale o la Corte d'Assisie. Commetta un delitto il papa, ne commetta il Re fuori della costituzione; ed io li difenderò volontieri davanti il Senato costituito in alta corte di Giustizia; ma lasciatemi fare l'avvocato. Una simile domanda Federico De Ritz rivolse al prof. Spirito Losati; e ne ottenne questa risposta: * Tolto il potere temporale al Papa bisogna studiare, se occorra togliergli il potere spirituale, o piuttosto spiritualizzare il Papa stesso. Finora non ho risolto a quale appigliarmi delle due corna del dilemma. Federico De Ritz ragionava non potersi dire di lui, che portasse magnificamente le corna, poiché era riuscito ad internare la moglie in un luogo di santità immune. Anzi quasi quasi vantava la gloriola vendicativa, crudele del secondo marito della Pia dei Tolomei. Ma ad ogni modo della sua già empia, ed ora Pia, gli ritornava l'ossessione. Desiderava mortificarla con amplessi tirannici carcerarii, ripugnando al suo carattere nobile il sistema del terribile Orsenigo (novellato da Vittorio Imbriani), il quale Orsenigo uccise di lenta vergogna la moglie con amplessi retribuiti a similitudine meretricia. Il Conte Federico domanda al suocero papà Vispi il consiglio, se visitare Nerina; e papà Vispi gli risponde romanamente: no! * Nerina isolata nel ritiro può divenire una santocchia per un'altra vita. Ad ogni contatto di questa vita si disfarà, come la materia, che resiste sotto la campana pneumatica, e si scioglie al minimo soffio d'aria. Federico De Ritz domandò il permesso di visitare Nerina al Canonico Puerperio, cioè Giunipero. Questi, che aveva già dovuto soffiare: "la Contessa è un diavolo, anzi una donna da perderci l'anima" , gli rispose amabilmente, dimostrativamente di no: * Senta, veda ... ciò che è capitato a un mio collega direttore spirituale ed amministrativo di un manicomio, ossia casa di Salute. Vi era stato ritirato per necessità di decenza un giovine signore, già valoroso ufficiale di artiglieria. La giovine signora volle pietosamente visitarlo. Il marito violò la moglie. Che ne nascerà? Non vorrei accadesse il rovescio a Lei, perché la sua signora contessa è stata certamente una pazza morale o meglio imm ... Lasciamola alla guardia di Dio e della Madonna Salvatrice! Tutte queste ripulse non domarono le voglie di Federico De Ritz verso Nerina. Forse le basse voglie gli sarebbero state vinte da una ripetuta, quasi violenta chiamata telegrafica, che il partito gli fece al Parlamento. Se non che dal Parlamento, dalla smunta politica italiana lo distorse la notizia pubblicata dai giornali di Torino: che vi era giunto l'egregio scrittore piemontese Adriano Meraldi divenuto celebrità europea. La notizia perveniva pure al Sant'Oblio , dove la contessa Nerina, acquistando sul personale un ascendente, da disgradarne quello della superiora suor Crocifissa, aveva organizzato un perfetto servizio postale clandestino a suo comodo, e mediante la speciale abilità di un affascinato curatino si procurava il frutto proibito di giornali freschi, sotto la specie di nocciolo di gomitoli o modelli di vestiario. A quella notizia la Contessa Nerina si sentì secretamente invasata, trionfata dal suo antico carattere meccanico divenuto simbolico: il carattere capriccioso deleterio della signora di Challant, macina di maschi, secondo il novelliere vescovo Bandello, e secondo il poeta drammaturgo Giacosa, Venere sanguinaria, che prometteva e dava mille deliziose agonie, e spingeva l'un contra l'altro armati gli amanti, e baciandole, fatava le spade, che vicendevolmente li trafiggessero. * Ah! Meraldi a Torino! Come lo cercheranno, lo ustoleranno, se lo disputeranno, se lo divoreranno quelle smorfie di signore torinesi, cagne, gatte, carogne! Essa spedì immediatamente due biglietti. L'uno: All'eg.o scrittore Sig.re Adriano Meraldy celebrità europea * Torino "Sempre tua Nerina sposa amante." L'altro: * All'on. sig.re Conte avv. Federico De Ritz * Torino "Tua pentita, penitente Nerina, ma sempre tua, tua per sempre." * * * Adriano Meraldi aveva divisato di partire quella mattina per isciogliere il più santo voto del suo cuore, recandosi ad abbracciare i suoi vecchi genitori a san Gerolamo. Invece il biglietto di Nerina gli diede un altro dirizzone. Il Conte Federico De Ritz nell'accostarsi all'Ospizio del Sant'Oblio sopra una timonella del signor Barolla di Passabiago noto concessionario di vetture pubbliche, si sentiva scalpicciare di dietro un altro veicolo più veloce. Discesero quasi contemporaneamente Federico De Ritz ed Adriano Meraldi al cancello del Santo Oblio; ed ambidue licenziarono le rispettive vetture. Si posero di fronte, ambidue appoggiata l'ascella sinistra sopra una gruccia; e si guardarono. Balenò loro l'esempio di quei due eminenti letterati e patrioti subalpini, rivali anche nella poesia e nella politica, i quali una sera si trovarono sullo stesso pianerottolo, davanti lo stesso usciolino di una famosa e distratta principessa cosmopolita, da cui avevano avuto un appuntamento alla stessa ora precisa? Quei due cavalieri moderni, mostratisi i biglietti come uno scambio di poteri, e filosoficamente persuasi, che niuna bellezza di questo mondo vale la spesa di un rancore, tirarono a sorte chi dovesse entrare. Ma la farsa filosofica qui non era possibile. Invece di una principessa cosmopolita, che dispensava le sue grazie benefica a tutti, come il sole, si annidava al Santo Oblio Nerina dotata dell'incantagione, per cui le serpi affascinano mortalmente gli uccelli. Invece della farsa essa esige la tragedia. Il Conte Federico De Ritz, premendo sulla stampella, alza il bastoncino e grida fieramente ad Adriano Meraldi: * Difenditi! * Ecco i due zoppi di fronte ad avvelenarsi con gli occhi, prima di percuotersi coi bastoni; i due zoppi: Federico azzoppato da Marte per l'amore della patria e dell'umanità; Adriano azzoppato da Venere o più precisamente da lue venerea. Era un vespro del caduco autunno; e l'atmosfera pareva impregnata di vapori e versi ossianeschi cesarottiani. I belligeranti, fiancheggiando la muraglia del Santo Oblio, combattevano sotto una pianta di fischianti foglie. Il loro piede zoppo diveniva piè di vento per scavalcarsi e saltalenare a mo' dei galletti. Ma essi combattevano come i primi uomini, che con la clava si contesero le prime donne (non di teatro); combattevano come i primi uomini selvaggi. E si bastonavano, come burattini al teatrino Gianduja. Nerina accoccolata, contorta, mentre si sbattocchia la battaglia tra Meraldi e De Ritz, grida a se stessa: * Che colpa è la mia, se Dio mi ha creata serpe? * Poi geme: * Sant'Oblio! Sant'Oblio! Soffro, perché sento qualche cosa spegnersi in me. Saranno mortali le bastonature dei due zoppi? Se non di bastone, c'era da morirne di vergogna.

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