Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il popolo trentino, plaudente alla redenzione, reclama il diritto di decidere sui proprio ordinamenti interni

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Alcide de Gasperi 4 occorrenze

Si convincano tutti che il nostro atteggiamento non è determinato da mire egoistiche di parte, tanto è vero che noi, a base di tutto, invochiamo e reclamiamo la rappresentanza proporzionale. È soltanto il grande amore al nostro paese e il desiderio di vederlo retto a regime sinceramente democratico che ci fa parlare. Ai liberali diciamo: non vi mettete più a traverso al progressivo fatale evolversi del nostro paese, tacciando di antipatriottismo tutto quello che non è conforme alle pretese di uomini e di agglomeramenti politici che non sono l’Italia. Non sappiamo quel che del vecchio partito liberale trentino è destinato a sopravvivere, ma i migliori di esso siano uomini dei nostri giorni e si convincano che fra il passato e il presente v’è un abisso che noi non siamo forse ancora in grado di misurare, tanto è profondo; ce ne accorgeremo domani. Diano intanto la loro opera preziosa a costituire un’amministrazione democratica che possa servire d’esempio alle altre provincie. L‘oratore rivolge anche un vivo appello ai socialisti, perché appoggino con forza questa tendenza di libertà, che non si perde in visioni lontane, ma si concreta in istituzioni locali, ove il popolo può addestrarsi a maggiori fortune, e termina con una vivace apostrofe al governo nazionale. Di questi giorni il governo ha promesso di sfruttare le nostre forze idrauliche, per il risorgimento economico nostro e a beneficio d’Italia. Noi applaudiamo con fede a tali propositi. Ma il governo voglia sfruttare anche quelle altre energie vitali che la lotta secolare e la stessa compressione straniera hanno accumulato nel nostro popolo, chiamandolo al libero governo di se stesso; forse qualche scintilla di quest’energia rianimerà qualche energia sopita dal centralismo burocratico anche in altre provincie: e sarà la fortuna d’Italia, poiché vale anche per il nostro Stato quello che dice Wilson della sua grande repubblica nel discorso sulla «liberation of peoples vital energies»: la fortuna dell’America non risiede nella Wall Street, né a S. Louis, né a Chicago, ma nelle libere comunità americane, ove i cittadini possono sviluppare al massimo grado le loro energie vitali.

L’oratore rileva, prima di tutto, che torniamo a radunarci dopo cinque lunghi anni di silenzio. Il primo periodo di questo silenzio è stato penoso e si è svolto dopo scoppiato il conflitto europeo, durante la neutralità italiana, quando noi ingolfati da anni nella politica triplicista eravamo trepidanti in attesa che si sciogliesse il dilemma: o la nostra unione pacifica alla Madre Patria o l’entrata in guerra dell’Italia. Poi è venuto il periodo di silenzio tragico, quello che si è prolungato per quasi tutta la guerra, quando coll’animo straziato noi contemplavamo impotenti rovine e lutti, conculcazioni, ingiustizie e soprusi senza nome e sentivamo il pianto dei bimbi lasciati senza padre, i lamenti delle madri affrante da una terribile lotta per l’esistenza, la pietà per i profughi a centinaia e a migliaia sbattuti, dispersi in paesi lontani, fra nemici astiosi, nel bisogno di tutto, e la rabbia dei nostri soldati che sapevano di non combattere per una patria loro. Poi venne un terzo periodo, di fiducia, di speranza, e fu quando gli avvenimenti prendevano una piega conforme ai nostri desideri svolgendosi a favore dell’Intesa, e i deputati trentini al Parlamento di Vienna incominciarono a potere dar sfogo ai sentimenti del popolo. Infine, dopo la vittoria, tenemmo un silenzio un po’ preoccupato, un po’ forzoso, diremmo quasi diplomatico, in attesa della definizione delle nostre questioni e dei nostri confini, questioni che andavano rimesse ai fiduciari della nazione, e poi anche per timore che la nostra voce e le nostre critiche sembrassero ingratitudine verso i nostri eroici soldati.

Due esempi tipici: nelle trattative di pace, quale cosa più logica e naturale che l’invitare a Parigi, per la regolazione delle cose che riguardano il nostro paese in confronto degli altri della cessata monarchia, i nostri rappresentanti? L’hanno fatto tutti, dalla Serbia che ha per delegati personalità slovene e croate, all’Austria tedesca che fra gli altri si è fatta rappresentare dal tirolese Schumacher. Ebbene soltanto dopo le ripetute insistenze nella nostra Consulta si consentì acché l’on. Tambosi si recasse a Parigi, ma egli si è trovato nonostante le sue attitudini come sperduto in quell’areopago, poiché il suo non era compito che potesse assolvere una sola persona e pensando a lui mi sono ricordato di quello che scrisse il Gazzoletti, quando gli emigranti trentini proponevano nel ’59 di mandare un delegato alla conferenza di Parigi. Arriviamo così forse alla mancata tutela nel trattato di pace, della nostra produzione vinicola, danneggiandosi così gli interessi di noi italiani per favorire altri che alla guerra hanno portato un contributo soltanto all’ultima ora. L’oratore passa quindi a dimostrare come neppure il trattamento che in questi otto mesi di armistizio si è fatto alle autonomie provinciali e comunali ci possa ispirare fiducia. A parlare soltanto delle autonomie comunali basti questo: che su 338 comuni di cui ha potuto aver notizie, 215 hanno sindaco e rappresentanza eletti regolarmente, 29 hanno la rappresentanza eletta e il sindaco nominato dal governatore, 34 solo sindaco e rappresentanza (una specie di Consulta) nominati, in 50 comuni c’è solo il sindaco nominato, in 5 c’è un commissario militare e in 2 (Cavareno e Quetta) si sono fatte le elezioni durante il periodo di armistizio. L’amministrazione provinciale poi è talmente ridotta nel personale di concetto che non può sviluppare un’adeguata attività. Dunque, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Possiamo poi aggiungere un terzo esempio e cioè l’esperienza fattaci fare in questi giorni con la creazione del nuovo ufficio d’amministrazione civile delle terre redente. (Notiamo fra parentesi che la Consulta, tutti l’hanno visto, non ha avuto nessuna autorità; strappata al governo dopo più di un mese dalla liberazione del nostro paese, essa non è stata mai consultata; non si è richiesto il suo parere su una sola delle questioni più essenziali per noi). Ebbene, per la nuova sistemazione è venuto fuori, all’improvviso, senza che nessuno ne sapesse nulla, un decreto che si dice essere stato però preparato, già da diversi mesi, dal gabinetto Orlando: l’on. Nitti deve averlo trovato a caso, riordinando le carte e spolverando la sua scrivania (ilarità). Questo decreto è molto più grave di quanto non possa esser sembrato a prima impressione; rileggendolo attentamente, si scorgono i pericoli che esso cela. Noi potremmo essere beneficiati per lungo tempo, magari per un anno, da un regime eccezionale durante il quale, senza consultare il parlamento o il nostro paese, ma soltanto, se si vuole, una nuova consulta risiedente a Roma e composta di persone scelte dal governo, il nuovo ufficio centrale dovrebbe affrontare e risolvere per decreto reale tutte le gravi, delicate e complesse questioni delle terre redente.

Il diritto del popolo a farsi largo si basa sovratutto sul sentimento oggi comune che è finito il tempo di lasciare far tutto a poche persone. I Trentini non vogliono essere megalomani e andare a dettar legge agl’altri; vogliono che il passaggio amministrativo si compia con beneficio d’inventario e si consideri bene quello che del passato va ancora mantenuto, quello che va riformato e quello che va cambiato, e non si provveda senza aver sentito il loro parere. Ci sono infatti cose che tutti ritengono opportuno mantenere: le provvidenze sociali come le assicurazioni per gli operai e per gli impiegati, la legislazione agricola e specialmente quella forestale, certi ordinamenti scolastici, le provvidenze per l’incremento del concorso forestieri, ecc. Vogliamo poi il mantenimento dell’autonomia provinciale e comunale e cioè che la provincia e i comuni conservino i poteri che hanno di fronte all’autorità politico-amministrativa dello Stato. L’oratore non discuterà qui la parte tecnica dell’autonomia. L’essenziale è che s’era giunti a questo: che nessun passo importante veniva fatto in questioni pubbliche senza l’accordo fra il luogotenente e la giunta eletta dal popolo. Essa contemperava i poteri della burocrazia. Ci si rinfaccia di voler fare del Trentino una repubblichetta. No. La nostra tendenza va semplicemente al di là di quello che c’è ora della legislazione italiana: è un progresso verso quell’assetto ideale di amministrazione che godono certe contee inglesi. Certo, col tempo, noi vorremmo arrivare a sostituire addirittura la burocrazia nei gradi superiori con uomini eletti dal popolo. Sarebbe eresia il chiedere la stessa cosa anche per l’Italia? Allora accettiamo volentieri l’accusa di eretici, giacché sentiamo che questa guerra che ha tutto sconvolto sarebbe inutile senza il trionfo delle nuove idee (applausi). Del resto noi non facciamo che prevenire e sussidiare quel movimento decentralistico che si manifesta anche in Italia dove, se forse le autonomie non sono ancora intese come le intendiamo noi perché manca alla tendenza la forma concreta, si è però d’accordo sul principio di ridurre il potere della burocrazia e aumentare quello degli enti locali. Su questo dobbiamo insistere anche se ci troviamo a cozzare contro l’accusa dei pavidi che volessero gratuitamente tacciarci di antipatriottismo (applausi). Si dirà: aspettate un po’, fidatevi delle dichiarazioni ripetute degli uomini di governo.

Il nuovo governo civile e le nostre autonomie

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Alcide de Gasperi 4 occorrenze

I nazionalisti ed il fascio parlamentare s’opposero vivacemente a tale nomina per ragioni che riguardano il suo atteggiamento durante la guerra. I popolari protestarono per ragioni di principio e tutte le gradazioni dei liberali, meno i più accesi di sinistra, trovarono che a parte ogni considerazione oggettiva era stato per lo meno un errore grave di tattica quello d’inviare in regioni come il Trentino e l’Alto Adige persona della fama e del passato come l’on. Credaro. Bisogna essere vissuti questi giorni a Roma per sapere quante e quanto varie furono le critiche sollevate contro tale nomina. Ne è giunta qui del resto l’eco della stampa nazionale di varie tendenze e si deve solo allo sciopero tipografico, che tuttora perdura nella capitale, se certa stampa, che avrebbe senza dubbio intensificata la campagna, dovette limitarsi allo sfogo di una dimostrazione subito soffocata. Fu con mia non piccola sorpresa che tornato qui constatai che parte della stampa locale s’era ingaggiata a pieno per l’on. Credaro. Evidentemente per la maggior parte, non per ragioni che riguardano il nuovo governatore stesso, ma per il semplice gusto di dare addosso ai cosiddetti clericali, che avevano assunto decisamente un contegno di protesta. Di fronte a tale situazione l’oratore vuol fare alcune semplici e franche dichiarazioni.

Certo se entriamo nel merito delle questioni, che a suo tempo dovranno essere sottoposte al verdetto del popolo, il dissenso fra i singoli partiti è manifesto e lo sappiamo. Quando p.e. l’Internazionale scrive che i socialisti vogliono la religione libera, ma fuori della scuola, noi le opponiamo invece la nostra formula: libertà d’insegnamento religioso nella scuola per chi lo vuole, senz’alcuna costrizione per i genitori, che non lo vorranno. E se il settimanale socialista a questo riguardo ci attende in atto di sfida alle prossime elezioni, noi gli diciamo che affronteremo con tutto l’ardore questa battaglia, chiamando il paese a dire francamente la sua parola. A questo punto l’oratore accenna che parallelamente alle trattative fatte dal partito popolare italiano, anch’egli rendendosi interprete dei suoi amici politici ha cercato di ottenere delle spiegazioni e delle informazioni precise sulle direttive, che dovranno seguire i nuovi governatori. La Libertà ha scritto che s’era recato a Roma a intimare il vade retro Satana, all’on. Credaro. No - esclama l’oratore - non dissi vade retro, ma non dissi nemmeno, se m’è lecito mantenermi sul terreno delle citazioni bibliche: Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum (ilarità). Ma francamente e lealmente abbiamo chiesto al capo del governo quali erano le sue intenzioni e le sue direttive, esponendo lo stato d’animo delle nostre popolazioni, che aveva provocato preoccupazioni e proteste. E quando l’on. Nitti, dichiarando che l’on. Credaro non è massone, ha tenuto a correggere l’opinione che si ha in Italia di lui, gli abbiamo risposto che noi ultimi venuti in Italia troviamo situazioni ormai compromesse e fame fatte indipendentemente dal nostro contributo, e che è su questi elementi che noi e il popolo nostro dobbiamo fondare il nostro giudizio; che ad ogni modo le intenzioni direttive e di imparzialità che il governo assicura voler attuare dai nuovi governatori, se rese pubbliche, potrebbero attenuare almeno l’impressione che la nomina doveva fare. L’oratore si è incontrato anche con l’on. Credaro, il quale ha ripetuto le dichiarazioni di Nitti nel senso di voler venire nel nostro paese semplicemente come rappresentante dell’Italia e non come uomo di parte. Speriamo - aggiunge a questo punto l’oratore - che la sana aria trentina, quando l’on. Credaro avrà abbandonato il nostro paese, avrà guarito o la fama dell’uomo, se i suoi amici hanno torto, o l’uomo stesso, se i suoi avversari hanno ragione. Ma l’accusa che ci si fa di perdere di mira gli interessi generali del paese, per il nostro punto di vista particolare è affatto infondata.

Degasperi ricorda che i suoi amici politici già nella Consulta trentina, quando da parte liberale venne proposto di chiedere al governo l’invio di un commissario straordinario nella persona di un illustre parlamentare, si opposero subito a tale proposta per due ragioni: 1) perché la nomina di un commissario straordinario poteva importare il prolungamento del periodo extracostituzionate al di là del termine dell’annessione; 2) perché essendo il commissario straordinario un parlamentare ed uomo politico, la sua nomina sarebbe stata subito frutto di calcoli e combinazioni di gruppi parlamentari e avrebbe portato con sé gli appoggi e le avversioni, di cui tali gruppi lo avrebbero circondato. Noi volevamo invece che la nomina del capo dell’amministrazione civile delle terre redente fosse inspirata a soli criteri amministrativi e affatto indipendente dalle combinazioni di Montecitorio, servendo così non a rompere ma a mantenere una atmosfera di serietà e di oggettività necessaria nel momento in cui le nuove provincie devono poter vedere nell’inviato del governo il rappresentante dell’Italia e null’altro. La nostra opposizione non fu fortunata. Si agì contro il nostro consiglio e così dovemmo divenire purtroppo facili profeti d’una situazione allarmante. S’era appena attenuata l’eco provocata dalla nomina del nuovo direttore generale dell’ufficio delle terre redente commendator Salata, contro il quale i socialisti di Trieste iniziarono una campagna violenta, che il decreto della nomina dei governatori provocava in Italia e da noi una nuova tempesta. Fu in ispecie il nome dell’on. Credaro che divenne subito preda della discussione pubblica.

Per questa battaglia noi daremo tutte le nostre forze ed è qui in gioco l’interesse puramente ideale superiore a qualsiasi interesse passeggero di partito. Su questo terreno non transigeremo e domandiamo solo agli avversari di combatterci colla stessa franchezza e colla stessa sincerità con cui noi accetteremo la battaglia (applausi). La guerra non ha fatto che rafforzare le nostre convinzioni in tal riguardo. L’oratore ricorda di aver letto l’ultima lettera di un soldato trentino ferito e poi morto in un ospedale di Vienna, diretta alla moglie, ove il morente riassumeva le dolorose esperienze della campagna in Galizia e della fatale trincea: «Ricordati di educare e far educare religiosamente i figlioli, perché solo con la religione li renderai capaci di spiegarsi e di sopportare la vita». Questo testamento del soldato è il testamento di migliaia e migliaia dei nostri morti e pensando questa grande guerra come un’immensa burrasca abbattutasi sul mondo, all’oratore è parso che il monito scritto dall’umile soldato possa raffigurarsi a quell’ultimo documento che l’esploratore dei poemetti di De Vigny nell’istante in cui la nave corre sugli scogli e tutto è perduto, affida ad una bottiglia lanciandola nel mare col grido: «Che Dio ci conduca a terra!». Noi oggi, arrivati finalmente su questa terra benedetta d’Italia, raccogliamo il monito scritto guidato a noi dalla mano divina, d’onda in onda e di mare in mare. Lo raccogliamo e promettiamo di trasmetterlo come norma direttiva alla nostra e alla futura generazione: in esso è contenuta la difesa del pensiero cristiano ed infine anche la difesa più pura del pensiero italiano. Il lucido discorso dell’on. Degasperi, ascoltato con vivo interesse e interrotto frequentemente da calorosi applausi, è coperto alla fine da una lunga scrosciante ovazione.

L'assemblea costitutiva del Partito popolare

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Alcide de Gasperi 9 occorrenze

Oh, quante volte nelle ore oscure del lungo esilio un’immensa angoscia ci piombò sull’anima al pensiero che l’opera di tanti anni di entusiasmo e di azione intensa sarebbe forse crollata e che dovevamo assistere impotenti a tanta rovina. Quante volte sovratutto abbiamo temuto di perdere l’anima di questo popolo, la sua anima onesta di lavoratore tenace e di cittadino cosciente. Abbiamo temuto, disperato mai! Ed eccovi qui, vecchi amici, a confermare di persona le nostre speranze. Usciti fuori appena di sotto alle rovine, aggrappativi testé alla riva, dopo l’immane naufragio, arrampicativi appena per il buratto infernale fin su a riveder le stelle, io vi saluto in quest’alba di un mondo nuovo, voi che, lasciate alle spalle le cure di un pauroso egoismo, vi ritrovate a riaffermare i diritti del popolo trentino e a propugnare gl’interessi collettivi del vostro paese (applausi). Molti dei nostri amici sono caduti; sorgiamo in piedi, in segno di pietà (l’assemblea assorge). L’oratore continua: Ma in piedi, amici, voi siete anche per affermare che la vostra volontà dopo tanto schianto, non è spezzata, che il vostro spirito, dopo tanto veleno, non è inquinato, che la vecchia quercia del popolo trentino ha perduta qualche fronda sì, forse qualche ramo, ma il tronco e le radici hanno resistito e tornano a metter foglie e fiori (applausi). Fra voi vedo anche amici giovani, che non conoscono le battaglie di ieri, ma si preparano con entusiasmo a quelle di domani. A loro uno speciale saluto. Il nostro partito non è recinto chiuso e porta nel suo programma i germi di una perenne giovinezza. Chi ama il nostro popolo, chi condivide ed apprezza i suoi ideali, sia il benvenuto, da qualunque parte esso venga. È il momento grave in cui tutte le forze sane devono trovarsi a bordo; solo la zavorra dell’egoismo, dell’interesse personale, delle ambizioni vili getteremo inesorabilmente nel mare! (approvazioni).

Come alimentare quest’entusiasmo, quando a smorzarlo bastava il decreto di scioglimento manu militari di centinaia di nostre rappresentanze comunali, l’indugio che, nonostante reiterate insistenze, si poneva a ricostituire la nostra amministrazione autonoma provinciale, l’indifferenza, se non l’ostilità evidente, con cui fu circondato un nostro corpo consultivo provvisorio - la Consulta trentina - a cui s’era pur voluto dettare lo statuto, gli ostacoli che s’incontrarono, quando si tentò di avere in seno alla «conferenza dei delegati» a Vienna e nella delegazione per la pace a Parigi una rappresentanza dei nostri interessi nella liquidazione della monarchia austro-ungarica e della conclusione della pace? Come non reagire e non protestare quando alla nostra affermazione delle autonomie locali si oppose una burocrazia accentratrice o livellatrice, talvolta attenuata, ma talvolta anche inasprita dalla collaborazione di trentini che, vuoi per malinteso idealismo patriottico, vuoi per ambizione di dominio e con una certa tendenza alla rappresaglia, dedicarono la loro collaborazione a questo sistema di governo che, malgrado il buon volere di parecchi e le cortesie di molti, fu spesso sistema coloniale e quasi sempre antidemocratico? (grandi applausi) Di fronte a questo sistema, che oggi ancora è troppo poco attenuato, il paese non aveva che due alternative: o lasciarsi andare alla deriva, rassegnandosi alla parte passiva degli eterni brontoloni, o reclamare altamente i diritti della democrazia, concretandoli in due postulati fondamentali: l’assetto definitivo della nostra amministrazione può essere attuato solo col concorso dei rappresentanti eletti dal popolo e le nostre autonomie del comune e della provincia devono essere quanto prima reintegrate in tutta la loro essenza.

Noi faremo opera solidale con loro, perché il popolo italiano si conquisti un parlamento ed un governo che siano fedeli esecutori della sua libera volontà; perché siano fatte leggi che assicurino al lavoro il predominio sul capitale e che strappino agli sfruttatori i mezzi di arricchirsi a spese del popolo; perché la proprietà privata venga sottoposta ai limiti morali ed alle condizioni giuridiche che soli ne rendono legittimo l’uso; perché le grandi organizzazioni capitaliste siano soggette al controllo del popolo e sia chiamato chi vi lavora a partecipare ai loro utili; perché lo Stato sostenga con tutti i suoi mezzi le sane energie popolari chiamate a ricostruire la società colla riorganizzazione delle classi, giuridicamente riconosciute, colla cooperazione e col libero sviluppo della piccola proprietà rurale ed industriale, favorita questa in modo particolare nella legislazione tributaria.

., il Governo abbia mancato di avvedutezza e di energia, l’assemblea domanda che venga subito istituita col concorso delle associazioni economiche della regione una commissione composta di fiduciari del paese che d’accordo coi rappresentanti delle altre terre redente provveda nell’esecuzione del trattato a salvaguardare i nostri interessi ed a prepararne una migliore difesa in occasione della stipulazione delle nuove convenzioni commerciali.

Dopo ch’egli si è ingaggiato alla società, gli resta ancora la parte più nobile di se stesso, queste alte facoltà per le quali egli si eleva a Dio, ad una vita futura, a dei beni sconosciuti in un mondo invisibile. Noi persone individuali abbiamo un altro destino che gli stati». Amici, scusate la lunga citazione. Ma innanzi a quello che avviene intorno a noi, è necessario risalire ai principi. Abbiamo oltrepassata la frontiera di un mondo ch’è scomparso negli abissi dei secoli e abbiamo messo il piede trepidanti in una nuova società politica. Ma l’una e l’altra società compiono quaggiù i loro destini. I nostri invece sono superiori ad entrambi. Per questo nella nostra anima abbiamo portato con noi dalla società umana che ci si è sfasciata attorno alla società nuova che ci ha accolto, un certo corredo di diritti naturali e di concetti superiori che regnano nella cittadella della nostra coscienza. Uno dei più cospicui di questi diritti è quello di professare e far insegnare liberamente la fede dei nostri padri. Ché si parla di austriacantismo, quando reclamiamo per i padri di famiglia il diritto di far insegnare il catechismo ai loro figlioli? Questo diritto era scritto nella nostra coscienza dalla natura prima che Austria o Italia fossero, al di sopra e al di fuori di ogni società umana (applausi). Ché ci accusate di tiepido amor patrio, quando reclamiamo per i tedeschi la stessa equità che abbiamo domandato per noi? È questo un sentimento di giustizia che sta in fondo della nostra coscienza e che vi soffoca ogni velleità di rappresaglia per i torti subiti. Ché ci denunciate di scarso civismo, quando protestiamo contro la Sardegna, come avevamo protestato contro Katzenau, o quando deprechiamo ogni eccesso del militarismo ovunque si trovi? La protesta s’inspira ad una concezione superiore del diritto naturale e primordiale dell’individuo di fronte a quella qualsiasi società umana che lo circonda (applausi). Vedano quindi i nostri avversari, se vogliono comprendere la nostra politica, di non scordare che al di sopra di essa noi poniamo le leggi immutabili della natura e della morale. E vediamo noi amici di non dimenticare mai che siamo entrati nella vita nazionale con questo patrimonio perenne di verità, di diritti e di principi, con questa coscienza morale che va tenuta ben in alto al di sopra del cammino dei partiti perch’essa è la lucerna che rischiara loro la via. Sovra tutto in questo momento. Questa fiaccola bisogna agitare sovratutto in questo momento, in cui lo spettacolo dell’immensa violenza patita, degli orrori e disordini del militarismo a cui hanno assistito, minaccia di travolgere il senso morale delle nostre buone popolazioni. A questo s’aggiunge l’attiva propaganda socialista.

Da una parte i loro capi più autorevoli avevano prima e durante la guerra preso tale posizione da sembrare escluso che i loro adepti potessero poi atteggiarsi a bolscevichi ed entusiasmarsi per la terza internazionale, dall’altra parte i sindacati di mestiere che inquadravano le forze principali del partito, erano prima affigliate alle centrali dell’Austria, ove il massimalismo comunista venne contenuto dai socialisti della scuola classica entro limiti assai ristretti. Quali ragioni particolari potevano proprio spingere i socialisti delle terre redente a prendere altra via da quella seguita dalla maggior parte dei loro compagni dell’Intesa, dell’Austria e della Germania? Eppure in un paese, appena ricongiunto alla propria nazione, sentirono il bisogno di negare nella forma più recisa ogni e qualsiasi nazionalismo, proclamando l’apoteosi di Lenin, che, se fossimo in Russia, avrebbe fatto fucilare il pur loro Battisti e i compagni che si batterono con lui, ed oggi, riconfermati dal voto di Bologna, i nuovi propagandisti del partito vi predicano ovunque la conquista violenta del potere politico, la dittatura proletaria, la guerra civ1le. Sappiamo che queste torve teorie e questi principi sanguigni, per ragioni a cui abbiamo altra volta accennato, trovano in parte notevole del nostro popolo buon terreno. Questo fatto è inutile negare, bisogna ammettere, anche se dispiaccia. Noi avremmo certo preferito che i socialisti nostrani, seguendo l’esempio dei socialisti dell’Alsazia-Lorena, avessero collaborato in questo grave momento al rinnovamento economico democratico del paese, trovando nel riavvicinamento dei nostri programmi, in quanto riguarda le rivendicazioni politico-sociali immediate, la possibilità di procedere in una azione molto utile al popolo e per un lungo tratto parallelamente, come avviene oltre che in Austria e in Germania, nel Belgio. Ma i socialisti nostrani della nuova maniera, trovarono più facile e più redditizia la propaganda per la conquista violenta della dittatura politica che per la rivendicazione delle nostre libertà locali; entusiasmano più agevolmente col comunismo e coi soviet che con qualsiasi riforma sociale di pratica attualità; ottengono più facili trionfi nel tuonare spietatamente contro tutte le guerre piuttosto che nel propugnare provvedimenti per rimediare alle conseguenze della guerra guerreggiata in paese (applausi prolungati). Di fronte a questa propaganda massimalista, l’unico argine di resistenza è il partito popolare. A noi tocca fronteggiare questa propaganda che dilaga, con uno sforzo più intenso di organizzazione ed una diffusione più viva delle nostre idee. Il compito è aspro, tanto più che ai nostri fianchi abbiamo altri partiti minori, che, incapaci essi stessi di un programma di ricostruzione sociale, si cacciano di traverso nelle nostre file per sgominare la nostra compagine, e racimolare aderenti fra i nostri disertori. Ma questo sforzo va fatto, a costo di qualsiasi sacrificio. Non è questo il momento di risparmiarci (approvazioni). Una nuova forza è venuta del resto ad alimentare l’attrazione della nostra propaganda, ed è il senso di solidarietà con milioni di fratelli della stessa fede che combattono per il trionfo degli stessi ideali entro la nazione. Ecco cosa vuol dire, amici miei, avere finalmente una patria.

S’introduca subito per decreto reale un nuovo sistema elettorale attribuendo il diritto di voto agli uomini ed alle donne dai 21 anni in su e applicando lo scrutinio di lista colla proporzionale e s’indicano in base a tale regolamento le elezioni.

Le forze attive del paese si concentrarono, dopo qualche indugio, intorno a questa bandiera che noi avevamo issato per i primi. Solo qualcuno fece lo scandolizzato, accusandoci con una parola sciocca – austriacantismo - di volere quasi una specie di restaurazione legittimista; qualche altro, specie tra i giornalisti delle vecchie provincie d’Italia, giudicando poco favorevole per noi la congiuntura elettorale, pur approvando, esprimeva le meraviglie che fossimo proprio noi a chiedere l’appello al popolo e il rinnovamento degli istituti democratici locali. Gli uni e gli altri ignorano, pare, il nostro programma politico che non è di oggi né di ieri. La democrazia cristiana è sempre stata avversaria dell’unità meccanica degli stati moderni, di questi artefatti colossi politici, in cui non esistono che milioni di atomi di fronte ad un governo centrale e ad una rigida uniformità amministrativa; unità meccaniche, diceva il nostro grande maestro, Giuseppe Toniolo «di continuo minacciate da pletora al capo e da paralisi agli arti», ed ha sempre propugnato invece «gli stati come unità organiche, cioè stati risultanti dal coordinamento di vari circoli concentrici di vita autonoma comunale, provinciale, regionale in una vasta unità nazionale politica». È assurdo che si tenti di creare qui un contrasto fra trentinismo e italianismo. Lo Stato è come un organismo umano e trae la sua vitalità dalle sue cellule elementari. Provvediamo a che queste cellule siano sane, e si riempiano di energia animatrice, ed avremo dato il più cospicuo tributo ai progressi della nazione. Attingiamo anche qui del resto alle fonti più pure della nostra storia. Le nostre vicinie, i nostri municipi, le nostre comunità, che cosa furono se non i gangli più vivi e resistenti del nostro organismo di fronte alla prepotenza assorbente del dominio straniero e questi gangli a che cosa ci ricongiungono se non alle fulgide tradizioni dei comuni italiani che irradiarono tanta civiltà nel mondo? (applausi fragorosi) Non abbiate quindi paura, voi che vi chiamate progressisti e siete pur così pudibondi conservatori, in un momento in cui altri parla di costituente e altri ancora organizza un supremo sforzo per conquistare la dittatura, di proclamare alto il diritto alle nostre libertà e di rivendicare le nostre autonomie. Non ci parlate semplicemente di decentramento amministrativo, cosa desiderabilissima anche questa, ma cosa vale un decentramento delle istanze burocratiche, se non vi è unito un proprio e fondamentale decentramento dei poteri? Per concludere: nessuna meraviglia perciò che i popolari abbiano issato per i primi, in quest’ora storica per il nostro paese, la bandiera delle rivendicazioni democratiche: era nel loro programma, e solo ci è grande conforto che questo corrisponda così bene all’esigenze psicologiche e agl’interessi più urgenti del nostro paese a questa svolta della sua storia. Aggiungeremo di più. Poiché il programma autonomista, sostanziato di postulati concreti, lanciato in mezzo alla nazione, ove, come abbiamo visto, raccoglie il suffragio delle energie più sane e capaci di rinnovare l’Italia, è programma di dignità e di fierezza, esso contiene anche una forza educativa del costume politico. Solo se salverà le sue autonomie, il Trentino e i trentini avranno politicamente una personalità propria e poiché saranno forti di una maggiore libertà e di una maggiore sicurezza dei loro diritti potranno dimostrare agli altri con qual virtù si possa servire la patria, quando si e forti di una forza propria (applausi). Rifacciamoci ora di nuovo al momento della nostra liberazione politica. Con quale ansia, amici miei, abbiamo atteso la grande giornata! Quando venne finalmente, le aspre lotte per la nostra esistenza nazionale, il diuturno contrasto per dimostrare la legittimità delle nostre aspirazioni, avevano inciso nelle nostre menti un concetto altissimo di quello ch’è per l’individuo la nazione e di quanto dovesse valutarsi per noi il ricongiungimento colla madre patria. Il fatto che s’invocava non era il cambiamento di dogana, il mutamento di governo: era a traverso l’unione politica, l'unione morale colla nostra nazione. Quest’unione morale abbiamo quindi esaltato perché ci chiama ad un sentimento comune di grandezza, ci fa partecipi di un patrimonio glorioso del passato, ci associa alle conquiste civili dell’avvenire e, facendo di ciascuno di noi un figlio della grande nazione italiana, irradia su noi una luce nuova che eleva il nostro spirito e moltiplica i nostri impulsi di progresso. Nessun pericolo quindi per noi di svalutare l’opera di unificazione nazionale.

Manda un plauso speciale ai coraggiosi maestri della Tommaseo, assicurandoli che il popolo sarà grato a coloro che in momenti difficili ne affermano i supremi interessi morali.

Una conferenza dell'on. Degasperi a Merano. Il contraddittorio coi socialisti

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Alcide de Gasperi 4 occorrenze

Degasperi a Merano. Il contraddittorio coi socialisti

Nella seconda, egli ricorda che gli amici che lo hanno invitato a parlare sono gli stessi che a Merano hanno da anni potuto sostenere un modesto ma valoroso gruppo di unioni professionali cristiane. Questi sindacati hanno saputo combattere delle lotte in difesa degl’interessi operai, talvolta anche assieme ai socialisti. Ciò gli dà occasione di accennare rapidamente all’attuale momento politico, quale è caratterizzato dall’affacciarsi alla vita politica in forma imponente del movimento operaio. Non è vero, come vanno affermando i propagandisti del socialismo, che movimento operaio e partito socialista siano la stessa cosa. Fin dall’inizio dell’epoca nuova si distinsero accanto a Saint Simon e Louis Blanc, Lammenais, Lacordaire e Montalembert, accanto a Marx Lassalle, Ketteler e Kolping. Due scuole, due teorie e due organizzazioni si divisero il campo in tutte le nazioni latine. Nei paesi anglosassoni, in Inghilterra, in America, in Australia le più grandi organizzazioni operaie sono fuori del socialismo. Questo fatto, che inutilmente si vuol negare, fa riflettere. Ciò vuol dire che la differenziazione non è causata dal non volere le organizzazioni non socialiste rappresentare l’interesse immediato ed il progresso indefinito della classe lavoratrice, ma è motivata dall’idea del materialismo storico, a cui il socialismo educa le organizzazioni sue. Chi non accetta tali principi non può essere socialista cosciente, per quanto sia caldo fautore della classe operaia.

Voi, dice rivolto ai popolari trentini, eravate la coda dei cristiano-sociali tedeschi a Vienna e del centro germanico che hanno votato la guerra, noi, socialisti italiani, siamo vergini di ogni colpa, quindi possiamo inveire contro la guerra e declinarne ogni responsabilità. Piano, signor Flor, replica l’on. Degasperi, vi nego il diritto d’intrupparvi coi socialisti italiani, per rifarvi una verginità che non avete. Voi, socialisti trentini, prima e durante la guerra, sia come partito politico, sia come movimento politico eravate tutto una cosa col partito socialista internazionale austriaco. I deputati socialisti italiani di Trento e Trieste fecero parte del club socialista in compagnia dei tedeschi anche quando ne uscirono gli slavi. Se mai dei partiti locali trentini qualcuno deve assumere la responsabilità dei club parlamentari austriaci è proprio il vostro, non noi che eravamo costituiti in partito separato dai cristiano-sociali tedeschi. Ma noi ci possiamo rivendicare Federico Adler soggiunge il Flor, che ammazzò Stürgh ed iniziò la nuova era. L’atto di Federico Adler, replica l’on. Degasperi, fu sconfessato dal vostro organo centrale l’Arbeiterzeitung e dal club parlamentare socialista. E il Flor insiste allora sul contegno del Centro germanico e simili partiti. Questi hanno votato per le spese militari avanti la guerra, quindi l’hanno preparata. Certo, ammette l’on. Degasperi; i cattolici, come altri partiti che ebbero responsabilità di governo, votarono anche le spese militari, ma senza voler assumere la responsabilità di tutta la loro politica, e senza voler escludere che ci sia stato qualche imperialista cosciente, non è vero che la maggioranza dei deputati votavano tali spese a malincuore e per la preoccupazione che bisognasse armarsi per non essere assaliti dai vicini, già più agguerriti? Non era questa la teoria in voga da tanti secoli nonostante i pacifisti di tutti i partiti, che per voler la pace convenisse preparare la guerra? Del resto qual differenza esiste fra il Centro che vota 300 cannoni prima della guerra e i socialisti germanici che votando i crediti militari e i prestiti di guerra germanici rendono possibile la costruzione di migliaia di cannoni, che serviranno a massacrare il Belgio e a devastare la Francia? Nell’uno e nell’altro caso - la maggior parte in buona fede - credono che ciò sia inevitabile per evitare la guerra o un lungo prolungarsi di essa. Il Flor insiste ancora: non vagate all’estero, parlateci dei socialisti italiani! Degasperi lo accontenta. Cita Bissolati, Battisti. Flor a questo punto s’impenna, dice che i socialisti hanno cacciato dal loro partito tutti i loro consenzienti che hanno sbagliato. È facile a Degasperi dimostrare che per rimaner «vergine» Flor deve cacciar fuori la grande maggioranza dei socialisti d’Europa, ad incominciare dai classici epigoni di Carlo Marx. A questo si arriva quando non si vuol distinguere fra le varie cause del conflitto mondiale, per ridurlo semplicisticamente ad una lotta fra i proletari ed i capitalisti di tutti i paesi. A tal fine non si distingue fra la guerra dell’Austria provocatrice e dell’Italia, tiratavi per i capegli, della Germania aggreditrice e del Belgio che difende la propria esistenza. Si abbandona la realtà storica per fare della demagogia.

Non intende occuparsi ex professo della questione dell’Alto Adige né fissare il nostro atteggiamento di fronte ai tedeschi, ma non può non rilevare che, da quando egli ed i suoi amici venivano a parlare ai lavoratori italiani di Merano ad oggi, la situazione politica è radicalmente mutata ed egli può parlare questa sera in un comizio indetto dalla sezione più settentrionale del Partito popolare italiano. Nessuna intenzione aggressiva lo muove, anzi, poiché a Merano regnò quasi sempre una pacifica convivenza fra italiani e tedeschi, non sarà fuori di luogo che vengano rivolte proprio da qui ai tedeschi alcune parole che contribuiscono ad una spiegazione leale.

Costituzione, finalità e funzionamento del Partito Popolare Italiano

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Sturzo, Luigi 22 occorrenze
  • 1919
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 74-87.
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Nel campo della borghesia professionista e studiosa, per il lungo e perseverante infiltramento di una filosofia anticristiana e materialista, per l'influenza massonica negli studi e negli ordinamenti statali, per una amoralità sistematica nel campo degli affari e nella economia capitalistica, è stato alimentato il pregiudizio anticlericale e laico, che in molti si è fermato a una concezione antitetica col sentimento nazionale e con la supremazia statale, elevata a primo etico della vita pubblica. In altri il pregiudizio è arrivato sino alla lotta antireligiosa non solo negli elementi educativi e morali ma persino nelle manifestazioni di gerarchia e di culto. Bisognava rompere il cerchio assiderante, che metteva quasi fuori della vita pubblica coloro che non accettavano o contrastavano questa ambientazione di pensiero, con l'accusa di antipatriottismo, e che negava a coloro che apertamente professano la regione cattolica e cercano di trarre da essa ispirazioni pratiche di vita sociale, ogni diritto di essere e di rappresentare una massa organizzata nelle grandi assise della nazione.

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Voi che siete qui convenuti a Bologna, rappresentate il vasto, cordiale, fiducioso consenso, che da un capo all'altro del nostro paese esplose dall'animo di quanti aspiravano ad un partito, che non avesse legami col passato, che non sognasse materialismi etico-sociali, né anticlericalismi di maniera; né si attardasse in concezioni equivoche di appoggio a quell'ombra di vita quale è il vecchio liberalismo nello sfacelo di ordinamenti sorpassati, nel dissolvimento di una compagine sociale fittizia; ma che per sé stante traesse dalle idealità cristiane la sua ispirazione e dalla viva realtà politica e sociale il suo orientamento pratico e la sua forza organizzativa.

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D'altra parte i continui monopoli di fatto di ogni organismo del lavoro affidato o concesso ai socialisti e alle loro organizzazioni sindacali e cooperative e il prepotere di esse nella vita pubblica alimentava la tendenza a confondere con il più crasso materialismo economico e con la più accesa lotta di classe il diritto alle conquiste economiche e politiche del proletariato.

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Oggi era maturo un atto, che, senza costituire una ribellione, fosse invece l'affermazione nel campo politico della conquista della propria personalità, e potesse chiamare a raccolta quanti, senza nulla attenuare delle proprie convinzioni religiose da un lato, e senza menomazioni esterne nell'esercizio della vita civile e politica dall'altro, potessero convenire in un programma e in un pensiero politico, non di semplice difesa, ma di costruzione, non solo negativo ma positivo, non religioso ma sociale.

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In questo senso il nostro programma sarà da noi elaborato e concretizzato nella vita quotidiana di studi, di lotte, di polemiche, di contributo legislativo, di attività, di trionfi e di sconfitte; e tutto contribuirà a renderci sempre più vicini alla realtà della vita, non attraverso puri schemi mentali o ordini del giorno, che assolvano allo sforzo verbale di un adattamento alla media delle nostre assemblee, ma attraverso opere ricostruttive e sforzi pratici per l'attuazione concreta nella realtà.

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È a tutti noto quale sia stata la nostra azione di partito dal 18 gennaio ad oggi; quasi cinque mesi di incessante lavoro, per potere arrivare a questa prima nostra affermazione nazionale con una maturità che deve, lo spero, renderci fiduciosi del nostro avvenire. Il nostro primo compito era l'organizzarci al centro e alla periferia, e posso riassumere i dati che a tutt'oggi risultano, come una approssimazione della realtà, perché molti elementi sono sfuggiti per mancanza di corrispondenza, altri non si sono potuti apprezzare direttamente per difficoltà di informazione, per imprecisione di rapporti, per facili deficienze, che in un'azione rapida e vivace non potevano affatto mancare. In ogni capoluogo di provincia, in forma provvisoria, per incarico del centro o per designazione di convegni e di assemblee locali, è stato costituito un comitato o una commissione di propaganda; su 69 provincie solo in undici mancano i comitati e vi sono solo dei corrispondenti. Questo organismo importante e delicato assumerà dopo il congresso forma definitiva e carattere costituzionale, con norme già deliberate e rese pubbliche; in modo da dare a tali centri l'autorità e la rappresentanza che viene dalla regolare elezione fatta dalle sezioni esistenti nella provincia.

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Tanto più interessa che questi organismi siano definitivi e rappresentino direttamente le forze organizzate, in quanto che alla vigilia delle elezioni generali politiche (che speriamo siano fatte con lo scrutinio di lista e a rappresentanza proporzionale) s'impone la coordinazione delle forze, che può essere fatta localmente dai centri provinciali. In tali organismi si è dato posto ai rappresentanti del gruppo dei consiglieri provinciali iscritti al partito per coordinare la loro azione amministrativa alle direttive politiche del partito.

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Fin oggi il numero delle sezioni approvate arriva a 850 e gli iscritti tesserati a 55.895; però alla segreteria centrale vengono segnalate dall'ufficio stampa molte altre sezioni (circa 200) che non hanno ancora mandato il verbale né ottenuta l'approvazione. Così l'ufficio contabile segnala 106.135 tessere inviate, dietro richiesta, a comitati, a sezioni ed a incaricati e ogni giorno arrivano lettere di regolarizzazione. Se si pensa che è stato difficile improvvisare dei propagandisti del partito e se si rileva che ogni giorno affluiscono al centro richieste di conferenzieri e di organizzatori, sì da non dare il tempo di rispondere; se si rileva il numero dei comizi, convegni locali e provinciali tenuti in questi pochi mesi di attività; se si rileva l'adesione data al partito da 20 giornali quotidiani e da 51 settimanali; se si nota il movimento di lettere e di telegrammi, oltre 7000; e ciò con pochi uomini e con pochi mezzi; si può di sicuro dire che la formazione del partito era matura nella coscienza popolare, e che solo mancava la prima scossa per richiamare alla nuova attività politica una parte cospicua del nostro paese.

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Essi rappresentano quel glorioso partito popolare trentino che a noi ha dato un nome ed una storia.

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Consci di questa nostra posizione e responsabilità, fin dal primo sorgere abbiamo iniziato la più viva battaglia che si sia fin oggi combattuta per le nostre riforme costituzionali a favore del collegio plurinominale con sistema proporzionale. Le affermazioni teoriche che facevano capo all'associazione proporzionalista di Milano furono col nostro passo portate su terreno politico, per una attuazione immediata; e alla nostra affermazione seguirono quelle degli altri partiti. Però taluni di questi, e più che i partiti talune coalizioni e consorterie ben note in Italia, mentre a voce mostravano e mostrano di volere la riforma, all'ombra discreta del governo le cospirano contro. L'urgenza delle elezioni, ieri a giugno oggi a ottobre, è l'argomento principale di questi anonimi oppositori che per il temuto ritardo delle elezioni affacciano non si sa quali conseguenze dannose per la nazione.

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I tentativi di un bolscevismo di maniera, tendente a portare in Italia una dittatura di classe e un depauperamento economico, ebbe la nostra parola ammonitrice nell'appello del 9 aprile; mentre alle classi dirigenti si ricordava il dovere di sane ed urgenti riforme che il popolo oppresso dal disastro economico e dal malgoverno politico invoca a gran voce. E a questo fine era stata già diramata la circolare del 3 aprile sul problema agrario, che incombe sulla nostra vita nazionale come il principale problema di produzione e di distribuzione della ricchezza, problema che deve essere risolto per salvare il paese dalla crisi economica che minacciosa si avanza.

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Con sobrietà e con fermezza esso ha detto la sua parola con la circolare dell'11 maggio sulle grandi questioni internazionali e nazionali che si dibattono a Parigi, levando per primo la voce della coscienza cristiana ferita dal rinnovarsi ed ingigantirsi di imperialismi economici a danno della umanità; mentre prima aveva protestato contro la violazione del principio di autodecisione invocato da Fiume e contro i più vitali interessi della patria nostra.

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A noi è agevole il compito di insistere con ogni mezzo; ed è stato bene che la prima affermazione del gruppo parlamentare del partito sia avvenuta proprio sulla rappresentanza proporzionale, e che il nostro amico onorevole Micheli, quale relatore, abbia dato il suo nome al progetto di legge che è davanti alla camera, come a segnare la nostra prima battaglia di partito, per il risanamento morale dei costumi politici e per l'inizio delle più vaste riforme istituzionali da noi invocate.

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A completare il nostro lavoro, segnato a rapidi tocchi in questa relazione e a rispondere alla necessità della formazione politica delle nostre masse abbiamo fatto appello alla stampa, e in diverse riunioni tenute con i direttori dei giornali quotidiani aderenti al partito si è visto quale forza da utilizzare abbiamo con noi. Però era necessario non solo sviluppare la propaganda con opuscoli e stampe già diffuse a migliaia, ma avere un organo di partito. Ed è già venuto alla luce il primo numero del Popolo Nuovo,accolto da generale favore come una voce continua e forte che indirizzi e guidi nell'aspra e difficile lotta.

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Dobbiamo infine salutare con entusiasmo la scuola dei propagandisti sorta a Roma e il fascio universitario del partito sorto a Bologna, indice delle nuove vivaci forze giovanili intellettuali, che portano insieme il sacro fuoco della gioventù e la più elevata elaborazione di cultura.

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Per i problemi pressanti dell'emigrazione e della tutela degli ex-combattenti si sono stretti rapporti col consorzio nazionale di emigrazione e lavoro e con il segretariato nazionale cooperativo; e non vi è stata pubblica manifestazione di interesse collettivo a cui il partito sia rimasto estraneo. Esso ha infatti portato la sua voce al congresso nazionale del pubblico impiego in Roma, in quello dei professori secondari di Pisa, in quello contro la tubercolosi a Genova, in quello della «Tommaseo» a Modena, affermando dappertutto quei principi che rispondono alla concezione del nostro programma nella pratica elaborazione della vita.

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A questa elaborazione abbiamo chiamato anche la donna, costituendo i gruppi femminili nelle nostre sezioni e studiandone i problemi che la riguardano, perché anche la donna deve oggi contribuire con le sue forze sane e con la sua indole animatrice al formarsi della nuova società che sorge.

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A quelli che non solo vogliono un programma audace eun'azione di avanguardia qual è segnata dal nostro partito, ma temendo che gli elementi che lo formano manchino oggi di quella coesione intellettiva e morale che arriva alla parte pratica di attuazione di metodi e di atteggiamenti, prevedono deviazioni e compromessi, io dico alto e sereno che la forza dinamica di un partito è fatta di fiducia, non di preconcetti, di assimilazioni, non di repulsione, di simpatia, non di esclusivismi. Così si elabora la coscienza di un partito organizzato sul tipo di quella del nostro spirito, che nel contrasto e nella contraddizione delle sue energie e passioni, arriva a dominarsi e dominare, a sviluppare le sane tendenze, a vincere gli ostacoli, ad affrontare la vita.

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Per questo abbiamo redatto un regolamento molto preciso, in cui traspira un senso di alta disciplina ed abbiamo fissato pochi temi sintetici, che diano il tono e la caratteristica del partito, e valgano a far prendere posizione netta e chiara nel dibattito sugli interessi nazionali e sulle tendenze politiche nel paese. Certo nessuno potrà presumere di aver fatto un lavoro privo di mende e di imperfezioni; e il rilievo sarà facile a quanti, e dal punto di vista generale e da quello locale, troveranno che si poteva fare in modo diverso e con risultati migliori. Quel che preme si è che il lavoro fatto fin oggi, con tanta attività e con sì vive speranze in ogni parte, non sia svalutato da un congresso che deve esserne la più alta ed insieme sincera espressione e deve poterlo sintetizzare sì da poter destare energie sopite, vincere diffidenze ingiustificate, superare difficoltà non dome, accendere entusiasmi profondi.

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Siamo oggi alla prima prova, molti di noi non si conoscono; altri si sono visti designati alla nostra mente nel passato prossimo o remoto quando le stesse concezioni odierne venivano a noi sotto un angolo visuale diverso. Quante teorie oggi ammesse e sostenute da noi furono ieri oggetto di contrasto e di biasimo! Come è mutata oggi la situazione politica e sociale del paese! Come certi problemi ieri posti in primo piano, oggi sono superati e risoluti! Tutto si rifà e si rinnova nella coscienza collettiva.

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a questo avvenire inneggio dal profondo dell'animo nel momento solenne, nel quale, fiducioso di aver compiuto il mio sforzo di sognatore e di uomo di azione, consegno al congresso il mio mandato e quello di tutta la commissione provvisoria che insieme con me nei primi difficili passi ha guidato e reso maturo alla vita il Partito Popolare Italiano.

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E benché ciascuno abbia un modo di concepire il nostro partito e fra noi sia diversa la valutazione del nostro stesso programma, delle nostre energie, del nostro compito immediato e dei nostri metodi, pure la realtà sarà più forte di noi; e il nostro partito deve anch'esso subire la prova della realtà e della lotta, e se sapremo restare al nostro posto di combattimento, potremo dire ciascuno innanzi alla propria coscienza di avere assolto il nostro dovere di cittadini in un'ora che si presenta per la patria estremamente difficile; ma potremo insieme avere conquistata e coordinata quella intima energia che oggi è sparsa in mille nuclei polarizzati verso di noi, ma ancora a noi, al nostro pensiero sociale, alla nostra dinamica politica, se non estranei, diversi. L'avvento del nostro partito fu sognato molti anni addietro come una vera forza popolare di evoluzione e di conquista; oggi possiamo chiamarla una realtà vivente a cui è segnato un avvenire.

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La costituzione del partito (1. Appello al Paese, 2. Programma)

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Sturzo, Luigi 7 occorrenze
  • 1919
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 66-71.
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A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà. E mentre i rappresentanti delle nazioni vincitrici si riuniscono per preparare le basi di una pace giusta e durevole, i partiti politici di ogni paese debbono contribuire a rafforzare quelle tendenze e quei principi che varranno ad allontanare ogni pericolo di nuove guerre, a dare un assetto stabile alle nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia sociale e {{67}}migliorare le condizioni generali del lavoro, a sviluppare le energie spirituali e materiali di tutti i paesi uniti nel vincolo solenne della «società delle nazioni».

Questo ideale di libertà non tende a disorganizzare lo stato ma è essenzialmente organico nel rinnovamento delle energie e delle attività che debbono trovare al centro la coordinazione, la valorizzazione, la difesa e lo sviluppo progressivo. Energie che debbono comporsi a nuclei vitali che potranno fermare o modificare le correnti disgregatrici, le agitazioni promosse a nome di una sistematica lotta di classe e della rivoluzione anarchica, e attingere dall'anima popolare gli elementi di conservazione e di progresso, dando valore all'autorità come forza ed esponente insieme della sovranità popolare e della collaborazione sociale.

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Le necessarie e urgenti riforme nel campo della previdenza e della assistenza sociale nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà devono tendere alla elevazione delle classi lavoratrici; mentre l'incremento delle forze economiche del paese, l'aumento della produzione, la salda ed equa sistemazione dei regimi doganali, la riforma tributaria, lo sviluppo della marina mercantile, la soluzione del problema del mezzogiorno, la colonizzazione interna del latifondo, la riorganizzazione scolastica e la lotta contro l'analfabetismo varranno a far superare la crisi del dopo-guerra e a tesoreggiare i frutti legittimi e auspicati della vittoria. Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, ispirandoci ai saldi principi del cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell'Italia; missione che anche oggi, nel nuovo assetto dei popoli, deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi imperialismi, di fronte a sconvolgimenti anarchici di grandi imperi caduti, di fronte a democrazie socialiste che tentano la materializzazione di ogni idealità, di fronte a vecchi liberalismi settari che nella forza dell'organismo statale centralizzato resistono alle nuove correnti affrancatrici.

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A tutti gli uomini moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti nell'amore alla patria sanno congiungere il giusto senso dei diritti e degli interessi nazionali con un sano internazionalismo, a quanti apprezzano e rispettano le virtù morali del nostro popolo, a nome del partito popolare italiano facciamo appello e domandiamo l'adesione al nostro programma.

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X. - Riforma elettorale politica con il collegio plurinominale a larga base con rappresentanza proporzionale. Voto femminile. Senato elettivo con prevalente rappresentanza dei corpi della nazione (corpi accademici, comune, provincia, classi organizzate).

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Largo decentramento amministrativo ottenuto anche a mezzo della collaborazione degli organismi industriali, agricoli e commerciali del capitale e del lavoro.

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Sviluppo dell'agricoltura, colonizzazione interna del latifondo a coltura estensiva. Regolamento dei corsi d'acqua. Bonifiche sistemazione dei bacini montani. Viabilità agraria. Incremento della marina mercantile. Risoluzione nazionale del problema del mezzogiorno e di quello delle terre riconquistate e delle provincie redente.

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