Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Trattato di economia sociale: La produzione della ricchezza

395675
Toniolo, Giuseppe 50 occorrenze
  • 1909
  • Opera omnia di Giuseppe Toniolo, serie II. Economia e statistica, Città del Vaticano, Comitato Opera omnia di G. Toniolo, vol. III 1951
  • Economia
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. — E sotto i Valois, finita la guerra dei cento anni, nel proposito positivo di ricostituire la unità della nazione, da Carlo VII (1442-1461) che sottopose alla approvazione regia gli statuti corporativi, a Luigi XI (m. 1483), a Carlo VIII (m. 1498) e a Francesco I (m. I547), si moltiplicarono con lettere patenti («lettres de maîtrise») i mestieri giurati dipendenti dai re, le riforme di varie corporazioni, l'assoggettamento fiscale di esse; e nella seconda metà del sec. XVI si introdusse colle grandi ordinanze di Carlo IX (1567) e di Enrico III (1581) un ordinamento uniforme di tutte le corporazioni francesi. ― Ma, fra arbitri ed abusi, le tradizioni del paese ne contennero fra limiti ragionevoli gli effetti, prevalendo così i benefici. Di tali provvidenze altre valsero a togliere alle corporazioni il carattere feudale; altre a metter freno a pretese egoistiche e a conflitti fra le industrie e ad assicurare il diritto ai cittadini di esercitare l'arte in ogni punto del regno; e le ultime, divenendo universali, a rendere le corporazioni più accessibili e meno restrittive (C. Jannet).

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Ma nel tempo stesso (avvertasi bene) in tale regime di libertà senza freno di legge e di coscienza, — a quel predominio legale delle classi proprietarie imprenditrici, gravante per tre secoli di privilegi e coercizioni sopra i lavoratori del passato, vi sostituì la preponderanza di fatto,spesso non meno iniqua e crudele, che i ceti capitalisti speculatori, muniti della potenza del sapere e del capitale moderno, fecero pesare sul proletariato industriale ed agricolo presente, che ne rimase schiacciato, a preparare nella miseria e nell'odio di classe entro le risorte unioni di mestiere («trade unions») la vendetta contro la società e lo Stato. Non mai tante forze pronte a produrre la ricchezza si trovarono di fronte a tante forze congiurate a distruggerla. Si ripensò allora «che la libertà stessa può asservire, e la legge diventare invece liberatrice». E lo divenne veramente, intervenendo non più a distruggere ma a guarentire a tutti la libertà del lavoro e insieme a coordinarla alla solidarietà sociale.

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Così in un setificio per la preparazione del delicato e prezioso prodotto, il progresso consisterà nel preferire nel lavoro la mano flessuosa della donna a quella rude dell'uomo; nel capitale,stromenti di precisione a quelli elementari; nella natura,più pieghevoli forze motrici dell'elettricità a quelle del vapore. La legge è del pari manifesta nella agricoltura, ove talune derrate o piante richiedono ben definite qualità di terreno (natura), di concimi (capitale), di coltivatori (lavoro); specialmente nell'orticoltura e giardinaggio.

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La produzione nelle imprese tende: nell'ordinamento tecnico, da manuale a divenire artificiale; nell'ordinamento personale,da riunita a rendersi divisa; nell'ordinamento giuridico,da individuale a farsi sociale.

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Essa esprime «la tendenza del lavoro umano di avvalorarsi di fattori (di natura e capitale) sempre più elaborati dall'arte umana».Si esplica perciò ugualmente: — nel lavoro agricolo col passaggio dall'uso di un terreno di originaria composizione naturale alla coltivazione di esso, più tardi chimicamente emendato e idraulicamente bonificato, o dallo spargimento di concimi naturali di stalla a quello di concimi chimici (industriali); — nel lavoro di trasporto dall'impiego per la navigazione della forza naturale del vento a quella provocata artificialmente del vapore; — nel lavoro manifatturiero, dalla filatura a mano col fuso, a quella a mulinello e a macchina. Trattasi sempre di effettuare una produzione con mezzi progressivamente composti e adattati ai suoi fini dall'industria, scortata dalla scienza.

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Solo pochi abilissimi operai riuscirebbero a tessere stoffe a disegno artistico, come gli arazzi col telaio ordinario; sostituito quello Jacquard all'opera complicatissima, ben più potranno prestarsi. È di pochi nerboruti il lavoro all'incudine; si sostituisca il maglio a vapore e deboli fanciulli movendo una manovella diventeranno atti a far l'opera di que' ciclopi. E in questi casi forse la parte brutale del lavoro non rimane rimossa?

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È fatto decisivo codesto, che spinge il fondo dei salari a convertirsi in capitale meccanico e a precipitare analogamente le sorti della industria manuale.

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Un mediocre filatoio meccanico di cotone con un motore di 100 cavalli a vapore fa da solo l'opera di 200.000 lavoratrici colla rocca e il fuso. Anzi fu calcolato che per fare a mano tutto il filato di cotone, che l'Inghilterra oggi prepara in un anno colle sue «selfactings» automatiche, occorrerebbero più di 90 milioni di lavoratori, quanta è la popolazione dell'impero germanico, della Francia e Belgio. — Riguardo alla perfezione nella tessitura del cotone, il telaio meccanico (« Kraftwebsthul ») mena vanto sopra quello a mano ben più che per la rapidità (che aumentò del 40%), per la qualità del tessuto che migliorò dell'80%. — E poi quali squisitezze nei lavori a macchina, di ricamo, di trina, di orologeria, di stromenti scientifici, astronomici, navali, ecc. — Per il prezzo la discesa nei prodotti manifatturieri è stata generale; per il pannolano da 20 ad 8 sino a 3 lire al metro; per i filati di cotone dal 1779-1882 da 16 scellini a ½ sc. per ogni libbra inglese (Pierson); e i libri degli amanuensi nel medio evo, oggetto di lusso di pochi mecenati, mercé la tipografia meccanica, divennero accessibili alla generalità; e un giornale come il Times con 20 centesimi fornisce tanta materia ai lettori quanto si contiene in un volume da 3 lire.

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Molto decide sulla diffusione delle industrie meccaniche il motore.I motori idraulici le riservano a certe località privilegiate; quelli potentissimi a vapore e ad elettricità le moltiplicano dappertutto; e i piccoli motori a vapore, a gas, a benzina, ad elettricità promettono di introdurre il lavoro meccanico nelle più comuni operazioni domestiche.

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Un grande motore a vapore e un relativo stabilimento meccanico importano ingenti capitali per la fondazione, per il mantenimento e per l'esercizio; e moltiplicano a milioni i prodotti a disposizione dei consumatori. Dove pertanto difettano i capitali e scarso è lo spaccio entro ristrette barriere naturali o artificiali, l'industria si manterrà manuale e trapasserà a regime meccanico coll'aumentare di quelli e coll'ampliarsi di queste. Così nell'età moderna la produzione meccanica procedette simultanea all'accumunazione capitalistica e all'estendersi dei traffici internazionali.

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Di qui l'ordine delle trasformazioni meccaniche dell'industria moderna: — prima le accolsero le industrie minerarie e manifattrici,massimamente le tessili e innanzi a tutte il re cotone; — dippoi le industrie locomotrici, navigazione e ferrovie; — infine limitatamente l'agricoltura, l'arti domestiche e le estetiche.Tuttavia in queste ultime notevoli progressi: — ed è già abbastanza ricca la suppellettile stromentale delle aziende agrarie (fino all'aratro a vapore); si superò nella macchina da cucire l'ardua complicanza delle operazioni dell'ago a mano; — e le riproduzioni meccaniche (e chimiche) di incisioni, fotografie, di medaglie coniate, fanno concorrenza alla libera mano dell'artista.

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Ma certi effetti transitori a danno dei lavoratori sono del pari innegabili.

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Questi correttivi e freni alleveranno gli inconvenienti del progresso meccanico, senza illudersi Però che abbiano a scomparire appieno giammai. Rimarrà di essi sempre un minimo irriducibile,a rammentare all'umanità laboriosa la condanna divina «di procurarsi il pane col sudore della fronte» (C. Périn).

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. — Ogni specie organica di esse tende a crescere in potenza produttiva con legge di graduale incremento (potenziamento). — Tutte queste varietà di specie e di grado tendono a completarsi a vicenda con legge di integrazione.

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Tale predominio umano è così decisivo in tali industrie naturali per eccellenza, che nel cammino della civiltà altre di esse sono destinate quasi a scomparire (la caccia); altre in buona parte a tramutarsi in rami accessori di industrie principali (come la pastorizia); altre a pareggiarsi nell'assetto ed esercizio alle industrie scientifiche e capitalistiche per eccellenza (come l'industria mineraria).

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Di questo grande fatto sociale abbiamo due saggi caratteristici nella storia; — la invasione degli Hyksos o re pastori in Egitto, dall'anno 2.000 a 1.700 circa a. C.; — e la conquista della Palestina e insediamento degli ebrei in quella «terra promessa» circa 1605 a. C., condotti da Mosè e Giosuè, un pastore ed un guerriero.

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Ma non già a scomparire nella civiltà; ma piuttosto a riprendere importanza in altri luoghi e sotto altra veste.

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., specialmente nei paesi tedeschi (Boemia, Sassonia, Misnia, Salisburgo, Tirolo), e del ceto rispettivo, che colà raggiunse allora oltre a 100.000 mineranti — la tecnica e l'usufruimento estensivo dei giacimenti non essendo profondamente mutata, questo ordinamento tradizionale si protrasse sostanzialmente fino a tempi prossimi a noi.

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Dinanzi a simili quotidiani pericoli, non vi ha che l'enorme fascio dei capitali sociali associati che valga a fronteggiare la natura ed il mercato, ripartendo quelli in un numero sconfinato di azionisti o di sodalizi confederati, «trusts», per diminuire nella mina il danno dei singoli. E frattanto l'arma di difesa contro il rischio diviene spesso occasione e spinta a rischi artificiali e ad offese più flagranti.

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Le scienze positive vennero a raffermare la distinzione giuridica della proprietà del suolo e del sottosuolo: — il terreno minerario; — vi ha una tecnologia mineraria, senza somiglianza alcuna con quella agronomica; — l'economia delle miniere presenta nella sua costituzione e leggi un ciclo a sé,assolutamente estraneo a quello dell'economia agraria.

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Sono colpe economiche, attenuate talora da necessità sociali o politiche, come quelle che a cavaliere del medio evo e moderno traevano la repubblica veneta nel breve suo territorio a denudare per le sue flotte militari e mercantili le rocce carsiche dell'Istria; o della Spagna e Portogallo, che per snidare i moreschi e poi a fornire i galeoni alle improvvise navigazioni d'Africa e America ovvero alla «grande armada», radevano al suolo le foreste della Castiglia e dell'Estremadura.

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Orbene: a questa immensa e progressiva richiesta, incaricamento e trasporto del legname, corrispose quel disboscamento vandalico di speculatori improvvisati o di improvvidi proprietari in tutta Europa occidentale e in tutti i paesi circummediterranei, non del tutto quivi arrestato, anzi esteso furiosamente (in condizioni telluriche diverse) al Nord America e al Canadese, che bastò a distruggere in pochi decenni annose foreste, che la Provvidenza da sterminate età geologiche avea pazientemente preparato e che sapienti istituzioni e leggi serbarono pressoché intatte per secoli a duraturo beneficio sociale; lasciando dietro a sé sconvolgimenti tellurici e disastri sociali, che in gran parte l'opera umana non riuscirà a riparare mai più.

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Ma è soltanto in zone temperate meno favorite e in seno a genti più lente ad insediarsi sopra un proprio territorio e a prenderne il pieno dominio economico, cioè fra gli ari migranti ad occidente per occupare il suolo europeo, che l'operazione fondiaria dissodatrice si dispiega con distinte leggi razionali-storiche.

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Ciò specialmente quando il grande possesso si accompagna a sentimenti opposti a quelli di solidarietà sociale, come fu il caso del feudalismo in Italia, rappresentato da invasori stranieri nemici del popolo. Laddove invece la grande proprietà si accoppia a coscienza della funzione sociale della terra, il malanno può convertirsi in beneficio. Così i ceti privilegiati ieratici e politici delle grandi monarchie orientali favorirono mercé lo Stato le mirabili trasformazioni fondiarie di que' territori. E così si spiega come le proprietà ecclesiastiche, specie monastiche, anticipassero dovunque i dissodamenti e le migliorie del suolo europeo. Era l'attuazione dei principi cristiani intorno ai doveri della proprietà privata; — per essi Iddio è il sovrano padrone della terra, che la destinò alla sussistenza e al benessere di tutti mercé la coltivazione, e la proprietà particolare è legittima anche per questo che essa è meglio adatta normalmente a rendere la terra più produttiva a beneficio individuale e sociale insieme. Cosicché rimane condannato moralmente (non sempre giuridicamente) il proprietario che disvia dalla naturale destinazione il terreno, lasciandolo incolto, appena ciò si traduca in un danno comune (Brants, Pesch, Cathrein). Questi stessi concetti della bibbia, del vangelo, del diritto canonico, ispirano i documenti (pubblicati da G. Ardant), per cui i papi dal sec. XVII al XVIII fino a Pio VI, per ovviare al danno del latifondo incolto, autorizzarono (pur troppo invano) i coltivatori a lavorare e seminare la campagna romana, anche riluttanti quegli inerti latifondisti.

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. – A rassodare le classi rurali e per esse a favorire le trasformazioni fondiarie concorre la residenza di quelle sulla terra posseduta o coltivata.

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Rispetto ai coltivatori il loro insediamento a contatto della terra lavorata presenta a lungo andare due forme tipiche principali.

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Processo critico che sembra destinato a vario grado a riprodursi come legge storica periodica, ogni qualvolta si rinnovelli il contrasto di territori di condizione fondiaria profondamente opposta; ma che negli intervalli sembra pur destinato ad attenuarsi e sparire, come accennava ad avverarsi oggi fra Europa ed America (Loria, Fanno).

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Il vero periodo iniziale delle trasformazioni del suolo europeo (a torto dai più ignorato) è quello del primo formarsi dei regni barbarici sulle reliquie latine fino all'impero di Carlo Magno, dal sec. VI al IX, a. C., uscendo l'arte rigeneratrice terriera dalle sedi delle colonie romane (più progredite che non il regime collettivo dei germani) e dalle nuove comunità claustrali. Di qui il precoce risveglio dell'arte fondiaria latino-visigota in Ispagna, poi avvantaggiata dalle tradizioni orientali degli arabi conquistatori colle loro opere fluviali e irrigatore. Altrettanto le sorprendenti iniziative dei celati in Irlanda e in Islanda, maestri della praticoltura in quelle isole verdi;i quali coi monasteri di s. Patrizio (387-465), e poi con quelli di s. Colombano e di s. Gallo, dalla Scozia (Bangor, Hy) e dal Galles (sec. VI) trasferiscono l'agricoltura e il giardinaggio in Francia, a Costanza, a Bregenz, a Bobbio, a Lucca (s. Frediano) (fra il 594 e il 612). E questi, coi monasteri d'Inghilterra fondati da Agostino per missione di Gregorio Magno (506) e con quelli benedettini (dal 520) in Italia, irradiati poi dovunque (Cluny, Fulda), hanno primamente costruito il suolo europeo, la cui trasformazione volle rilevare Carlo Magno con un censimento generale, simile a quello di Augusto (Hergenröther).

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XVIII a servizio della agricoltura, quali Priestley (1774 inglese) e Scheeale (1775, svedese) chimici, Bakewell (zootecnico), J. Tull (meccan. agr.), Sinclair (agronomo) — prendendo ispirazione dagli economisti italiani, Bandini e Tavanti in Toscana, Verri e Carli in Lombardia, Zanon (1768) nel Veneto e dai fisiocrati francesi, ed elaborandone le applicazioni nelle accademie e società per il progresso agrario (come quella inglese del 1723, dei Georgofili 1753) di tutta Europa in quel secolo — mettono capo finalmente a taluni uomini che possono dichiararsi i fondatori della agronomia scientifica moderna.Tali due tedeschi A. Thaer (annoverese, n. 1732) coll'opera classica Introduzione all'agricoltura Vinglese (1798-1801); e più tardi Giusto Liebig (n. 1803), coll'opera sua massima La chimica applicata all'agricoltura e alla fisiologia (1840); a cui si aggiunge l'inglese A. Young (1741-1820), che coi suoi viaggi sul continente, specie in Francia e Italia, avea destato l'emulazione fra le nazioni germaniche e latine. Donde quel lavorio di assimilazione enciclopedica, in cui si distinsero fra due date memorande i francesi, dapprima col Corso completo tecnico-pratico di agricoltura di Rozier e Parmentier (1781-93), e poi a mezzo il sec. XIX (1843) colle lezioni universitarie a Parigi di Gasparin, Economia rurale.Da allora ad oggi è una irradiazione progressiva di scienza applicata alla economia agraria, che abbraccia il mondo civile (Rosa, Giglioli).

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Solo l'affitto capitalistico, mentre distingue più nettamente la rendita del proprietario, offre a questo garanzia di un regolare pagamento e di una periodica elevazione della stessa, dietro la crescente produttività del terreno. E d'altra parte l'affitto capitalistico, mentre conferisce nel più alto grado al profitto dell'imprenditore, lascia a questo ogni libertà di innovazioni tecniche (di fronte al padrone) e lo spinge nel suo stesso interesse a profondere capitale di

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Tali successi sottostanno però a questa principale condizione,oltre a quella di scienza e capitale nel coltivatore: — che la durata del contratto sia a lungo termine (18, 36, 50 anni), affinché il finanziere si induca a riversare il suo capitale in migliorie del fondo altrui, sicuro di aver tempo proporzionato a ricuperarlo (ammortamento), e ciò con vantaggio di lui, del proprietario, del territorio nazionale. Bensì al di là di certi limiti di tempo si palesa opposizione d'interessi fra proprietario e finanziere: questi vorrebbe prolungare al massimo la durata del contratto per godere intero l'incremento di prodotto e di prezzi che frattanto si effettuasse; quello vorrebbe abbreviarla, per attrarre a sé con successive elevazioni di canone quell'aumento stesso. Ma il conflitto si dirime con formule già proposte ed attuate (di lord Kames, Domblasle): si può nel contratto originario a lunga durata, p. e. a 50 anni, prestabilire i periodi e la misura di elevazione del canone, p. e. di 1/5 ogni dieci anni, salvo nel fittuario alla scadenza d'oggi periodo di ritirala.

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Di alcuni aspetti di essa dicemmo già, accennando a riforme e proposte per restituire una funzione sociale all'enfiteusi, per proteggere il piccolo fittaiolo, per trasformare il salariato delle grandi affittane, per sorreggere le piccole proprietà coloniche. Ma tale legislazione e politica sociale tende a formare un corpo a sé, a cui di recente si adoperano tutti gli Stati, per alte esigenze di solidarietà sociale e di civiltà.

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infine la proprietà colonica,che si intende di moltiplicare, mercé lo «Small holdings acts» del 1892, col quale la contea (come in Irlanda lo Stato) è autorizzata ad acquistare terreni, per adattarli a scopo agricolo, aiutando poi finanziariamente i contadini a comperarli.

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Del resto, in pro della colonizzazione agricolo-fondiaria non solo si conservano e trasformano certe forme collettive di proprietà e di esercizio, ma si ricostituiscono.Simile soluzione attende l'istituto contestato degli usi civici, cioè di servitù collettive a pro di date popolazioni non solo su beni patrimoniali ma spesso privati (fra noi ademprivi, vagantivi, tratturi)per pascolo, legnatico, caccia, pesca, strame, ecc. —Tali intromissioni di terzi su beni altrui, che spesso impediscono o devastano la regolare coltivazione, tuttavia compongono in generale dei diritti sacri, utili e cari a popolazioni che li acquistarono in periodi di passaggio dalla proprietà collettiva a quella esclusiva individuale delle terre, quasi comproprietà sullo stesso bene. La Gran Bretagna trapassò da tale sistema dei campi aperti, («openfields system») a quello dei poderi chiusi («inclosures») con ben 4000 Atti dal sec. XVII al XIX, a tutto profitto della proprietà individuale; e così dovunque, anco in Italia, fra le proteste e resistenze (sfruttate da agitatori) della coscienza popolare offesa. Oggi pertanto si inclina a scindere questa duplice proprietà («dual ownership») non in altro modo che obbligando i proprietari dei fondi gravati a cederne una porzione agli utenti, quelli acquistando la pienezza della proprietà rurale, questi ricostituendo un bene collettivo ridotto a bosco ceduo, prato, canneto, ove esercitarvi, quasi novelle universitates rurales,i consuetudinari diritti. Ma v'ha di più. Sull'esempio recente inglese si autorizzano comuni urbani e rurali o province (nuova forma di municipalizzazione) a comperare all'ignaro terreni per destinarli ad usi collettivi, o per cederli in frazionate proprietà coltivatrici (anche a famiglie di operai industriali) o più spesso in piccoli fitti a condizione di favore. E si propugna che ogni ente morale (opere pie, istituti ecclesiastici, di pubblica utilità) o unioni professionali (di classe) o società cooperative, se già non possiedano, acquistino un patrimonio fondiario e lo destinino a nuove e più sociali forme di aziende agrarie per elevare il proletariato agricolo e per favorire la coltura intensiva; come in passato le corporazioni benedettine colle domuscultae ed oggi i cattolici d'Italia coi fitti collettivi. Insomma si delinea la futura ricomposizione del «demanio popolano» distrutto dalla rivoluzione (L. Luzzatti).

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Si specificano le imprese a seconda delle sostanze o materie di lavorazione in gruppi progressivamente distinti quasi senza limite. Le aziende agrarie si distribuiranno forse per serie speciali in colture pratensi e granarie, di vigneti e oliveti, di piante coloniali e industriali, di ortaggi e di giardino, con poche ulteriori suddivisioni, ma quelle manifattrici? I gruppi fondamentali di esse — a seconda che elaborano materie alimentari, fibre tessili, sostando minenarie non metalliche, minerali metallici,a cui è necessario per la molteplicità e mistura d'altre materie aggiungere un gruppo di industrie diverse — sono immensi ordini di imprese dietro la divisione scienrifica dei regni di natura (Schönberg, Lanzoni). Ma procedendo a suddistinzioni di generi, specie, famiglie, quali sono rilevate o dalle statistiche manifatturiere o classificate dalle esposizioni industriali, si perviene nei paesi progrediti a molte migliaia di arti,distinte ciascuna per oggetto, per fisionomia, per ambiente di vita propria,quasi infiniti gruppi di cellule vitali, ognuno fornito di speciali condizioni di sviluppo e prosperità.

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Parallelamente si specificano giusta i mezzi tecnici (forze e stromenti), che adoperano a sussidiare il lavoro inerme dell'uomo; — donde le imprese manuali e quelle meccaniche.Questa distinzione elementare, ma decisiva per la differentissima capacità di progresso, è destinata bensì ad attenuarsi; ma per far luogo di ricambio, in quest'arti meccaniche per eccellenza, a nuovi aggruppamenti industriali giusta l'impiego dei motori, iquali in nessun'altra industria si diversificano quanto in quella manifatturiera; sicché oggi le officine statisticamente si classificanogiusta le forze motrici a vento, ad acqua, a vapore, ad elettricità, ad aria calda e compressa, a petrolio, a gas, a benzina, ecc.; donde una varia convenienza economica di applicazione, che concorre ai progressi produttivi di ogni impresa.

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Negli ultimi decenni la tecnologia vi interpose le serie delle macchine utensili («machines outils») mosse a mano con piccoli motori (a gas, a vapore, o idroelettrici), così varie da divenire oggetto di speciali esposizioni, e da penetrare non solo colle macchine da cucire, da calzature, da nastri, nelle famiglie, ma ancora con seghe, torni, cilindri, forbici ed ogni presidio perfezionato d'arte, nelle antiche e modeste botteghe del falegname, tornitore, fabbroferraio, calzolaio, ecc. a rigenerarle; le quali perciò vengono a ricadere nel giro amplissimo dell'arti più o meno meccaniche.

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Difatti il mercante è tratto per le operazioni in grande, che esigono disciplina ed anche per cupidigia di lucro, a deprimere l'artigiano autonomo per ridurlo a salariato nella propria officina e forse ad abbandonarlo per volgersi, ad operai isolati e

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Col normale sviluppo organico della fabbrica (come già altrove fu ricordato) si forma una gerarchia di funzioni produttive, cui seconda una graduazione di salari talora elevati; e si nota universalmente che ivi si aumenta ognor più il gruppo superiore degli operai qualificati («skilled»)rispetto a quelli comuni o braccianti («unskilled»). E se nella fabbrica predomina la rimunerazione a salario fisso giornaliero,in certa opposizione col profitto dell'impresario, ben si possono stringere rapporti più diretti di cointeressenza,quali il salario a compito (a fattura), già usato largamente nelle industrie tessili, e.

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Questo è vero in generale; ma non è indispensabile siffatto governo assoluto dell'imprenditore, il quale può atteggiarsi con mutuo vantaggio a re costituzionale. Già vi hanno esempi in cui un consiglio eletto dagli operai della fabbrica («conseil d'usine») è chiamato a trattare coll'imprenditore dei salari e loro modificazioni, del regolamento interno e sua applicazione, delle controversie e lor scioglimento, infine della gestione di alcune istituzioni comuni, esempi meritevoli di più estese imitazioni. E altrove si ammettono gli operai (ciò è più frequente) a partecipare al capitale della fabbrica, comperandone le azioni, divenendo soci dell'impresario-capitalista. In questi vari modi la fabbrica può diventare palestra di elevazione professionale,preparando la classe salariata senza uscire dallo stabilimento a sollevarsi per gradi fino a quella capitalistica, colmando fra esse l'abisso. Di tutto ciò vi hanno saggi felici e diffusi in Inghilterra, Belgio, Italia, Francia (presso le grandi ditte Briggs, Harmel, Rivière, A. Rossi, ecc.), specie dal 1867, dacché all'esposizione di Parigi sotto Napoleone III si cominciò a rendere pubblici e premiare questi modi di trasformazione del salariato di fabbrica.

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Ma ciò ad una condizione, che prorompe dalle esperienze tristi e liete di tale regime, vale a dire che all'esercizio puramente utilitario della fabbrica si accoppi un più alto dispiego dei doveri etico-sociali, che essa medesima crea ed impone. Vi ha tutto un campo aperto a nuove iniziative di più elevata giustizia ed equità, di patronato sapiente e disinteressato da parte degli imprenditori capitalisti, che primi ad avvantaggiarsi degli ordinamenti di fabbrica, devono primi adoperarsi a correggerne le conseguenze economiche, morali, igieniche a danno degli operai, — a nuove combinazioni di solidarietà fra le moltitudini operaie di fabbrica, per assicurare i loro interessi collettivi, la dignità ed elevazione, — nuove provvidenze di legge, proporzionate ai più complessi rapporti della fabbrica stessa, di che si dirà a proposito della legislazione industriale.

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. ‒ A questo luogo gli scrittori per lo più discutono «il quesito della grande e piccola industria e se questa innanzi a quella per legge di progresso produttivo sia destinata a degradare e forse a scomparire». Sia lecito osservare che così il quesito e metodicamente mal posto ed espresso. Non è dagli elementi quantitativi di qualunque ente (grande o piccolo) che si possa giudicare della ragione di sua esistenza e funzione. Chi fra i naturalisti discuterebbe, se nell'universo debbono soltanto vivere gli organismi infinitamente grandi o gli infinitamente piccoli? Tutti sono destinati a coesistere giusta la loro speciale natura,ossia qualità, in relazione all'ambiente estrinseco. Del pari per noi trattasi di giudicare soltanto dell'importanza comparativa che nel progresso è riservata all'una o all'altra forma di impresa autonoma («selbstӓndig»), di cui vedemmo tre forme tipiche nella storia, distinte per la specie o qualità di lor costituzione interna. Sono dunque gli elementi qualitativi che distinguono le imprese; e meglio perciò si formulerebbe il quesito: «quale importanza comparativa spetti ai tre tipi morfologici di imprese (a cui gli altri possono ridursi): il mestiere, la manifattura, la fabbrica, nel progresso normale della produzione».

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Questa, che già commetteva prodotti a certo numero di piccoli industriali autonomi in proprie officine o in laboratori familiari si snatura, essa tramuta gli artigiani (uomini o donne) in salariati a fattura («à la pièce»), spesso dispersi e isolati nelle case, e nella reciproca concorrenza della fame li sfrutta con mercedi (per ogni unità di prodotto) irrisorie, per rifarsi delle quali ognuno assume una quantità eccessiva di lavoro, che non dà tregua giorno e notte a sé, alla moglie e figliuoli, e spesso asservisce sotto di sé altre ragazze e fanciulli con salari ancor più stremati ed esaurienti in flagranti condizioni igieniche e morali. Così la minuta impresa autonoma non esiste più; ed essa fece luogo a quel sistema del lavoro sudato («sweating labour»), che diffusosi massimamente fra le cucitrici dell'ago sostenta i suntuosi e capitalistici magazzini di biancheria, di sartorie, indumenti (Bocconi, Printemps, Louvre) in tutte le capitali, da Vienna, a Roma, a Parigi, a New York.

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Il mestiere, alla sua volta, il quale sopra una produzione affine a quella della grande impresa trova da questa disviata la propria abituale clientela, è costretto a rinunziare sempre più ai mezzi necessari per trasformarsi e reggere alla concorrenza. Ed esso si estingue per languore.

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. ‒ L'attività industriale non rimase certamente estranea a prescrizioni e provvidenze giuridico-politiche, rivolte — a riconoscere e tutelare le varie iniziative e forme di imprese, coi diritti obblighi che esse importano, — a disciplinarne l'esercizio nell'interesse privato e sociale, — e ad accrescerne la potenza produttiva,per mezzo dello Stato. Ciò tanto più in quanto l'industria manifattrice, dopo l'agricoltura, raffigura la specie di produzione economica più normale e diffusa nelle popolazioni e più influente sulle sorti della civiltà; basti ricordare l'età comunale, fiorita sul ceppo del lavoro industriale (Schönberg, Brentano, Wagner, Lampertico).

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Esse riescono a comporre altrettante unità distinte telluriche,in cui viene a insediarsi una divisione territoriale di industrie (della produzione umana) corrispondente a quella divisione etnica,detta più sopra, ribadendo così la autonomia economica di ogni nazione;

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il senso estetico e l'abilità della mano dell'incisore riescono a fornire un prodotto artistico soltanto col sussidio di quello stromento delicatissimo che è il bulino. La forza impulsiva delle correnti aeree viene effettivamente utilizzata nell'industria soltanto per mezzo dei molini a vento e delle vele dei bastimenti; e la potenza naturale di una cascata mercé la ruota a schiaffo o la turbina che la raccoglie. Ecco la funzione effettrice;

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Per riguardo al modo di comportarsi nella produzione il capitale è fisso o circolante,a seconda che presta il suo ufficio nella produzione in modo continuo, servendo a più cicli tecnici produttivi,ovvero in modo istantaneo, non servendo che ad un ciclo solo di produzione.La macchina che tesse una serie di pannolani, fino a che essa è logorata, è capitale fisso; una balla di cotone greggio, che basta per una pezza di tela, trasmutandosi immediatamente nel contenuto e nelle proprietà fisiche del prodotto, è capitale circolante.

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La circolazione infine è complementare,conferendo a rendere più vasti, complessi e perfetti tutti gli altri procedimenti della vita economica. Chi dubita che lo scambio a permuta o monetario o a credito, il sistema ferroviario e il commercio mondiale, le crisi, di banca e di borsa, non si ripercuotano profondamente sull'assetto e sulle vicende delle industrie, sulle varietà e continuità dei consumi, sui redditi di ogni classe, e che ai tempi moderni tutto ciò non abbia portato una rivoluzione in tutti i fenomeni economici preesistenti?

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la scelta in genere di condizioni naturali più o meno propizie.In seno a terreni ed a climi ingrati porge scarsi effetti utili quel capitale stesso, che in condizioni di suolo e di temperie più favorevoli appresta doppio e triplo risultato. Di qui una certa tendenza dei capitali destinati alla agricoltura di discendere dalle zone di terreni più elevati e sterili, a quelle più feconde del piano e delle pingui vallate;

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