Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIOR

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Comizi fiemmesi

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Alcide de Gasperi 3 occorrenze

Corradini, l’egregio segretario luogotenenziale tanto benemerito dell’attuale soluzione, si diffonde poi più largamente a parlare dell’ultimo secolo, delle disposizioni dei governi bavaro, italico ed austriaco, che condussero infine all’amministrazione degli undici capi comune, la quale, secondo i decreti dell’autorità, doveva sussistere fino che fosse compiuta la divisione di tutti i beni fra gli undici comuni. La divisione totale non avvenne né in via amministrativa né in seguito ai processi divisionali che durarono dal 1823 fino al 1888. La divisione non poté farsi o perché i comuni non s’accordavano intorno alle parti che sarebbero loro toccate, o perché nelle sentenze non si ammetteva come base di divisione il numero della popolazione, affermando che la comunità non era da eguagliarsi ai comuni, ma ad una società privata vicinale. Da tali sentenze e dall’esito dei processi dei non vicini, (quelli del tribunale dell’Impero del ’72 e del ’74, dalla maggior parte delle sentenze del tribunale amministrativo fino al 1891), attinse forza il movimento «vicinale» che s’incamminò per le vie legali con la petizione del 27 agosto 1897. La petizione veniva respinta. Sono poi noti i fatti del maggio 1906 e la conseguente causa dei vicini che finì con le due sentenze del 25 aprile 1907 e 21 ottobre 1907. Siccome esse rappresentano lo stato giuridico della comunità in quel momento in cui si procedette al compromesso, fissato nello statuto provvisorio è bene che ci soffermiamo a considerarne il contenuto. In queste sentenze — e qui seguiamo l’esposizione del dr. Corradini — troviamo rilevato: 1) che la comunità di Fiemme prima del 1807 era un comune politico complessivo; 2) che con disposizione del Regio Governo bavaro 4 gennaio 1807 fu sciolta la Comunità quale comune politico e costituite le undici regole a comuni indipendenti, cioè divisa la Comunità in undici comuni; 3) che il patrimonio della cessata Comunità fu in parte suddiviso fra i comuni e che il rimanente fu e viene in base a misure amministrative del Regio Governo italico, riconosciute legali ed ulteriormente sviluppate dal Governo austriaco, amministrato quale bene e patrimonio comunale per conto degli undici comuni da una commissione (consesso) istituita quale rappresentanza comunale; 4) che questo patrimonio, in ispecie le vaste ed assai ricche foreste rimasero anche dopo lo scioglimento dell’unitario vincolo comunale, cioè dopo la divisione dell’antica comunità in undici comuni, destinata a quelli scopi politici ai quali servirono prima dello scioglimento: strade, affari sanitari, provvedimenti, poveri, scuole, ecc. cioè per scopi comunali; 5) che l’amministrazione del patrimonio della cessata comunità a nome e per conto degli undici comuni per scopi comunali forma una istituzione a senso del paragrafo 83 regolamento comunale, vale a dire la comunità come sussiste attualmente è una unione, un complesso di comuni e non già un complesso di vicini; 6) che il consesso non era soltanto una negotiorum gestio, nella quale si immischiarono gli undici capi comune ed il loro presidente senza mandato; lo sviluppo storico della comunità dopo il suo scioglimento quale comune politico della valle — dice il Tribunale amministrativo — comprova chiaramente che l’amministrazione finora esistita (cioè il consesso) si basa su disposizioni autoritative della supremazia dello Stato, che regola gli affari comunali, disposizioni che, dopo ritornato il Governo austriaco, vennero riconosciute legittime e tenute ferme. Il consesso non era quindi di un organo abusivo ma legale; 7) che la giunta provinciale in forza del diritto di sorveglianza conferitole dalla legge era in grado ed è obbligata a tutelare i diritti dei comuni di fronte alle pretese di terzi (cioè dei vicini) fino a tanto che, forse in seguito ad un processo civile, sarà creata una condizione giuridica che obbliga a desistere da diritti finora esercitati dai comuni. In proposito osserva poi il Tribunale amministrativo che i tentativi dei vicini non hanno finora sortito un esito favorevole come risulta dalle sentenze del 31 ottobre 1900 26 aprile e 2 luglio 1901. Tale è la condizione giuridica della comunità. In via di fatto poi tro-viamo l’amministrazione ufficiosa, con la direttissima ingerenza della Giunta. La luogotenenza pensava anche di imporre alla comunità un nuovo statuto. Di fronte a che sorse l’idea dello statuto provvisorio che inaugurasse un periodo di transizione, salvando più che fosse possibile influenza e diritti dei vicini e introducendo una progressiva democratizzazione dell’amministrazione della comunità. Chi trattò l’oggetto del compromesso fu — nel modo sopraddetto — l’on. Paolazzi, chi lo formulò, il dr. Corradini, al quale i fiemmesi devono sincera gratitudine. Lo statuto trovò oggi opposizione ad Innsbruck, dove si volevano maggiori restrizioni. Finalmente venne approvato.

Degasperi s’introdusse, chiedendosi perché il partito popolare ora trattasse in un suo pubblico comizio politico il problema amministrativo della valle e rispose: fino a tanto che la classe vicinale batté le vie dei tribunali il partito si astenne da qualunque influsso, quantunque seguisse mediante la stampa con interesse e larghezza d’idee il movimento. Anche durante la campagna elettorale non fece irrisorie promesse: è falso quanto asserisce il Popolo che l’on. Paolazzi si sia impegnato di fare quello che non poteva cioè d’influire sulle autorità giudiziarie; è vero invece che egli disse, quando i vicini per qualunque ragione abbandonassero le vie dei tribunali e volessero venire ad un compromesso con le autorità amministrative, allora il deputato della valle sentirebbe il dovere di assumere la parte di mediatore per combinare un onesto compromesso. Questo anche avvenne, la mediazione dell’on. Paolazzi non si svolse nel segreto dei gabinetti burocratici, come mentisce il Popolo, ma l’abbozzo dello statuto venne prima presentato e discusso coi rappresentanti dei vicini, i regolari, poi venne distribuito a moltissimi interessati, ed infine i due delegati della Giunta e della Luogotenenza trattarono con le undici rappresentanze. Ora che lo statuto è approvato coloro che non hanno mosso un dito per sciogliere la questione, muovono ad una facile critica, lamentando che non vi sia ricostruita l’antica libertà di Fiemme, come se fosse stato possiblie creare uno statuto, il quale, ignorando completamente la posizione giuridica e politica in cui si trova ora la comunità generale, restaurasse la libertà del medio evo. Lo statuto rappresenta un compromesso e precisamente un compromesso fra le condizioni giuridiche e di fatto, a cui è ridotta la comunità, da una parte e le tendenze della maggioranza popolare dall’altra.

Si pensi che già nel 1795 i fiemmesi accettavano nelle consuetudini la riserva del vescovo Pietro Thun, la quale in sostanza autorizzava il Vescovo e i suoi successori a modificare a proprio talento gli antichi statuti. Dal 1810 al 1866 la comunità non fu punto indipendente. Troviamo la diretta ingerenza delle autorità politiche in moltissimi casi, perfino i preventivi dovevano subire l’approvazione e le nomine la conferma. È vero che dopo il' ’66 la Giunta non esercitò una sorveglianza così intensa, come prima, ma ciò accadde anche per moltissimi comuni e del resto nel 1870, nel 1879, nel 1883, nel 1886, nel 1888, nel 1889, nel 1890 e nel 1897 intervenne e i tribunali le diedero ragione. Secondo il provvisorio la Giunta non interverrà che in casi di ricorsi, oppure di infrazione del regolamento. Per il resto l’amministrazione è autonoma. Ed infine si oppone che il provvisorio sarà un provvisorio austriaco e durerà in eterno. Ciò dipenderà dai fiemmesi, conclude l’oratore. Se essi, compresi dall’importanza di questo momento affideranno il nuovo consesso in mano di uomini onesti, sinceri, amanti del popolo e del benessere della valle, il provvisorio cederà presto il campo ad un definitivo migliore.

L'adunanza femminile pro università

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Alcide de Gasperi 2 occorrenze

Osserva che coloro i quali non sanno altro che esclamare: le donne badino alle calze e a cuocere il brodo, non vedono o non vogliono vedere l’evoluzione economica che ha costretto la donna ad occupazioni extrafamigliari. Sarebbe come dire ad un tessitore: Non imbrancarti come gli altri, ma attendi al tuo vecchio botteghino di casa. All’evoluzione economica è seguita parallelamente l’evoluzione intellettuale poi la trasformazione in senso democratico della vita pubblica. Non tener conto di tali avvenimenti anche in riguardo alla donna equivale a perdere la visione della realtà ed il terreno sotto i piedi. Si ha paura delle esagerazioni? Queste vengono evitate colla chiarezza delle idee e dei propositi e col buon senso delle donne trentine. In quanto al ridicolo di cui vorrebbero favorirci gli insipienti, serve a nostra consolazione il constatare che ogni cosa nuova ebbe in esso un avversario da superare. Per toccare un esempio vicino a noi, non si trovò ridicolo la donna—medico? Ed ora non c’è persona di buon senso che non si meravigli del fatto che per certe malattie si siano preferiti gli uomini alle donne. Infine che vogliono codesti parrucconi? L’oratore ricorda il lavoro del Moschino, dato recentemente al nostro Sociale. L’uomo era fervido propagandista delle idee socialiste e del libero amore e, coerentemente, viveva colla sua amante in una cosidetta «libera unione». La donna invece richiesta da un amico delle idee del suo compagno, risponde: Non ne so nulla: Io amo quindi ci credo e basta. Vogliono i parrucconi che la donna di fronte ai problemi moderni si riduca alla semplice ed incerta voce del cuore, senza badare alla testa? L’oratore conclude la sua desta e calzante dimostrazione, constatando che oggi in questa adunanza solenne per la prima volta viene affermato in modo categorico 1) il dovere della donna d’interessarsi' della cosa pubblica, 2) la partecipazione della donna trentina alla lotta pro università. La nostra voce s’alzi e si diffonda solenne, sì che colui il quale domandasse dal Brennero: Chi sono i giovani, i vecchi, uomini, donne? si abbia una risposta: è la voce del popolo intiero, e‘ la voce di tutti gli italiani! (Grandi applausi).

Quante madri seppero influire almeno sui ragazzi del V corso, o sulle ragazze (a Trieste, a Gorizia!) Eppure se si ragionava non c’era che questo dilemma: o tu vai a scuola perché non è lecito marinare la scuola, oppure: stai a casa e me ne assumo la responsabilità io ma lo sciopero, la protesta è non di scolari ma delle famiglie intere. Tali furono gli scioperi scolastici in Polonia, e ora in Boemia. Quante, venendo più in sù sanno dare un consiglio ai giovani universitari sui loro metodi di partecipazione? Tremano, ma non intendono. In secondo luogo la partecipazione della donna è richiesta dalla nostra causa nazionale. Non si tratta di politica nel senso triste di lotte faziose, ma di etica, di esistenza. In questo cozzare di odi e di passioni non sarebbe bella la collaborazione conciliante della donna? Infine l’oratore tocca un motivo più egoistico e naturale cioè il fatto che la donna ha in gran parte già aperte le aule universitarie e le avrà di più per l’avvenire (Licei femminili). Il D.r Degasperi descrive poi per parti come va intesa la partecipazione della donna. Nessuno pensa alle esagerazioni delle suffragiste. Ma anzitutto la donna dovrà cercare di intenderla la Q.U. e di seguirne le manifestazioni pubbliche. In generale, rileva la necessità di una maggiore cultura politica. In secondo luogo col manifestare la sua opinione e i suoi voti in conferenze e petizioni, e qui si reca ad esempio la campagna delle donne italiane contro il divorzio, la lotta nazionale delle donne polacche e boeme, l’agitazione pro lavoratrici nella Francia. In terzo luogo la donna partecipa indirettamente alla Q.U. col suo influsso in famiglia.

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