Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188165
Pietro Touhar 8 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Pazienza La vera sommissione non può stare senza la pazienza, virtù anche questa necessaria alle fanciulle, a fine di render loro piacevoli le più semplici azioni della vita. Infatti è opportuna a tenere in esercizio le forze dell'animo, a restituire al cuore la sua tranquillità; con essa possiamo dignitosamente sopportare le disgrazie; senza di essa vi è sempre il pericolo di soccombere sotto il peso delle afflizioni. Ma a volere che l'adempimento dei nostri doveri non ci riesca gravoso, bisogna assuefarsi per tempo a esercitar la pazienza, ponendo ogni studio per liberarci dai naturali difetti del nostro carattere. La forza d'animo s'acquista con la perseveranza paziente nel sopportare il male e nel procacciare il bene. Chi si lascia abbattere da un'afflizione, chi si stanca nell'opera del proprio miglioramento, chi si sbigottisce al comparire d'ogni ostacolo diventa debole, si rende incapace di sostenere la propria dignità, di saper vegliare alla propria difesa.

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Quando una donna entra nella sala di conversazione, dove già altre persona sono adunate, si dirige subito verso la padrona di casa, e fatto a lei il primo saluto consueto, riverisce cortesemente con franca disinvoltura le altre donne che troverà presso di sè. Dopo essersi posta a sedere, rende con eguale garbatezza il saluto agli uomini che vengono a presentarle i loro convenevoli. Prima di prender parte anch'ella al conversare, ascolta per capir bene intorno a che cosa il discorso si aggiri, nè si fa lecito di muover parola prima d'esserne invitata dai circostanti; nel qual caso risponde alcun che senza mostrare la pretensione di essere una delle principali interlocutrici. Sarebbe pure biasimevolo improntitudine il voler subito mutare a piacer suo l'argomento del colloquio interrompendo quello che era già intavolato. E maleducata apparirebbe davvero colei che si ponesse a favellare di negozi suoi propri in mezzo alla comitiva, valendosi di termini intesi unicamente dal suo interlocutore, o parlando una lingua straniera. Del resto una giovinetta deve parlar poco e parlare con opportunità; e più le gioverà l'ascoltare, pur rispondendo con assennata scioltezza alle domande che le venissero fatte; le sue risposte poi siano proferite con voce misurata tanto che basti ad essere intesa soltanto dalle persone che più le sono vicine. Non si curi d'imitare le donne frivole che pure hanno modi seducenti, imperocchè la loro affettazione è sovente indizio di quei difetti che una fanciulla deve sempre con ogni maggiore studio sfuggire. S'ella possiede qualche particolare abilità nelle arti gentili, che arrecano gradevole diletto alle conversazioni, e che le venga manifestato il desiderio di darne saggio, non si lasci soverchiamente pregare, nè d'altro lato addimostri troppa premura di aderire all'invito, ma ceda cortesemente; poichè la sua modesta compiacenza varrà a scusare la mediocrità o a dare conveniente risalto al merito. Nel passare in mezzo alla comitiva davanti ad una persona, è necessario salutarla o dirle una parola officiosa; e sarà sempre meglio, potendo, farsi strada dietro di essa. Se camminando le vien fatto di dare involontariamente molestia a chicchessia bisogna voltarsi a chiedere scusa. Per ogni altra avvertenza, che allo stare in conversazione si riferisca, sono da leggere i capitoli precedenti su questo medesimo argomento; gioverà eziandio rammentare il capitolo che tratta delle visite; e, rispetto al vestiario, quello intorno alle feste ed alle accademie di musica. Dobbiamo: Andar subito a salutare la padrona di casa; riverir poi le altre signore a cui sarà più vicina; corrispondere gentilmentente a chi a lei si rivolge per salutarla o per parlarle; discorrer poco, opportunamente e con voce moderata. Non dobbiamo: Prender parte al conversare già intavolato in un crocchio, senza prima aver bene inteso di che si tratti, nè svolgere il discorso; adoperare favella o termini che non siano intesi da tutti; passare dinanzi a qualcuno senza chiedere scusa.

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A volere che l'intimo affetto dell'amicizia sia profittevole, deve essere animato e sorretto da virtuosi sentimenti e da completa propensione verso il bene in tutto e per tutto. Una vera amica deve, col suo esempio, ispirare tutte le virtù che sono capaci di condurre alla felicità. Non abbiamo voluto, nè potevamo far qui un trattato di morale; ma soltanto porgere alcuni avvertimenti opportuni a servire d'introduzione a quanto diremo intorno ai doveri delle fanciulle; e porremo fine con una riflessione a cui annettiamo molta importanza. Non basta saper viver bene pel mondo; bisogna anche saper vivere per morire, poichè la vita altro non è che il sentiero della morte. Spesso questo sentiero è pieno d'inciampi e di pericoli; in mezzo a giardini e prati smaltati di fiori si occultano orribili precipizi; tocca a noi ad andar cauti per saperli scoprire e schivare; la temeraria presunzione d'esser capaci a varcarli potrebbe essere cagione di farci soccombere. Quando saremo presso al termine del viaggio Presso al fine della vita. non vi è speranza di tornare indietro. Non è già nostra mente Non è nostra intenzione. di obbligare la gioventù ad avere sempre davanti a sè l'immagine della morte; ma se talora questo pensiero le si presenta, vogliamo esortarla a non spaventarsene, a non respingerlo con terrore, deve anzi accoglierla con serenità e fortezza d'animo, considerarlo qual sentimento sublime, qual ricordo benefico perchè sappia essere sempre pronta a lasciare con intrepida tranquillità la vita breve e tempestosa di questa terra. Per lo più, infatti, la morte sopraggiunge a tutti quando meno l'aspettano; la giovinezza non è usbergo Usbergo, difesa. sicuro contro di essa; ed è savio e prudente colui che sa regolarsi sempre in modo da poter dire a Dio, con fiducia nella divina misericordia:

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L'assuefarsi a vita molle nuoce alla salute; e dobbiamo stare in letto sol quanto è necessario al riposo del corpo secondo che la sua complessione richiede. Avvezzatevi presto a levarvi sempre di buon mattino. Il che facilmente vi verrà fatto, fissando l'ora del levarsi, e mantenendo costantemente quest'uso, a meno che non sopraggiungano ragionevoli impedimenti. Del resto, una volta presa l'assuefazione, questa addiviene bisogno. Dopo aver consacrato a Dio il vostro primo pensiero, vestitevi con modestia, poichè la decenza è da usare non solo verso degli altri, ma anche verso di noi stessi. Poi datevi cura della nettezza di tutta la persona, e massime di quella dei capelli. Una donna mal pettinata fa mostra di ributtante negligenza. Non abbiate paura dell'acqua fredda, qualora non vi sia stato impedito di farne uso a cagione di qualche incomodo di salute. Sono generalmente giudicati utilissimi a custodire la sanità i bagni frequenti e le giornaliere lavande di tutto il corpo ; e molti, oggidì specialmente, raccomandano di preferire anche in ciò l'acqua nella sua naturale temperatura; ma anche in questo dipendete dal consiglio del medico, e uniformatevi ai desiderii dei vostri genitori. In generale poi le faccende che si riferiscono alla cura della persona vogliono essere sbrigate con sveltezza e con diligenza. A niuna età, e molto meno alla gioventù, s'addice concedere ad esse troppo tempo; il che potrebbe facilmente essere indizio o fomite di mollezza, di svogliatezza e d'ozio pericolosissimo. Procurate poi che le vostre vesti o da casa o per fuori, siano quali si convengono alla vostra età e alla vostra condizione, ma sempre pulitissime, semplici, ordinate; la nettezza scrupolosa, anche nelle vesti, assuefa all'ordine ed alla economia sì di roba che di tempo, qualità necessarie a ciascuno; le vesti sudicie, macchiate, in disordine, sono indizio di trascuratezza e di infingardaggine. Non è lecito ad una donna farsi veder fuori o ricever visite in casa sua, nemmeno a buon'ora, con vestiario d' in-tera confidenza; e sarebbe tacciata di cattiva educazione e di negligenza se non sapesse essere sollecita a darsi pensiero della sua modesta acconciatura. Chiunque riceve una visita non può scusarsi della trascuratezza delle vesti incolpandone il caldo o il freddo della stagione; poichè il caldo, per quanto eccessivo, non vi può obbligare a star per casa fino a tardi in veste di camera o in maniche di camicia, o scalza e senza cuoprirvi le spalle; nè i rigori del verno vi permettono di presentarvi in ciabatte e col capo camuffato in una berretta da notte. Se non è buona creanza mostrarsi così discinta, e come suol dirsi, cialtrona in casa, peggio sarebbe farsi vedere in tale arnese fuori di essa. Il rispetto è necessario verso degli altri e verso di noi. Dobbiamo: Stare in letto sollanto il tempo necessario al riposo; levarci sempre a buon'ora; volgere prima a Dio i noslri pensieri; cuoprire decentemenle e lavare accuratamente la persona; mutare spesso la biancheria di dosso e fare uso di vesti decenti e semplici. Non dobbiamo: Essere trasandate quanto all'acconciatura e alle vesti, nè occultamente, nè palesemente; ricever visite prima di vestirsi e di pettinarsi od in mezzo al disordine della camera.

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Il contegno è, si può dire, specchio dell'animo; talchè le giovanette devono assuefarsi per tempo a vestire d'onestà, convenienza e gentilezza ogni atteggiamento, ogni moto della persona. Se volessimo qui esporre minutamente tutto ciò che la convenienza vuole rispetto al contegno, sarebbe impresa lunga e difficile; e ci contenteremo perciò di indicare invece i difetti che principalmente sono da fuggire; mentre poi l'assuefazione del conversare e i buoni consigli suppliranno di leggieri al nostro silenzio. Qualunque atteggiamento studiato, affettato, è indizio di qualche difetto. Lo star pettoruta e a faccia tosta dandosi aria di gravità e d'importanza rivela orgoglio; la rilassatezza e l'abbandono sono indizio di pigrizia. In ogni moto della persona conviene usare decenza e modestia, senza legatura, nè aria di pretensione; ci vuole disinvoltura pudica e semplicità decorosa. State pure a testa alta e diritta, ma non intirizzita a guisa di statua o di pertica. Il vostro sembiante, che è testimonio dell'animo, deve tutto spirare soave serenità. Badate che non vi avvenga di fare il cipiglio; e il vostro sguardo non deve essere nè fiero nè avere aspetto di soverchia sicurezza, il che mostrerebbe indole cattiva o insolente. La buona creanza vieta di tener fissi lungo tempo gli occhi sopra la stessa persona; e una fanciulla parlando a qualcuno deve per lo più tenerli sommessi. Sfuggite i mali abiti di stuzzicarvi ii naso, di mordervi le labbra, di lisciarvi i capelli, di toccarvi gli orecchi e simili altre sconcezze. Ponetevi mente in sul serio, poichè i difetti del contegno possono far nascere contro di voi sfavorevoli disposizioni. In generale questi mancamenti derivano da cattive assuefazioni prese fin dall'infanzia e che addiviene quasi impossibile correggere di poi. Deve dunque essere oggetto delle nostre prime cure acquistare contegno decente e che vada sempre d'accordo con le convenienze sociali. Tra queste assuefazioni viziose ve ne sono parecchie tanto comuni che è pur necessario annoverarle. Non devesi, nel corso della conversazione, voltare continuamente il capo ora a destra ora a sinistra a guisa di banderuola che gira a ogni vento; non fare l'altalena con la sedia, o starvi per traverso buttandosi con un braccio sulla spalliera; non incurvare la persona sul davanti, nè sdraiarsi all'indietro; non piantare i gomiti sulla spalliera d'una poltrona o su qualche mobile vicino, appoggiando il mento sulla palma della mano; non incrociare le gambe; non prendersi con le mani un ginocchio; non appoggiare i piedi alle mazze delle sedie; non stropicciare le scarpe sul pavimento; non battere iI tempo con la punta dei piedi; non mettersi a fare strepito con le mani; non toccare or qua or là il vestito della persona a cui parliamo; non dare in risa sgangherate; non discorrere a voce tanto alta da soverchiare quella degli altri, nè a troppo bassa, nè con soverchia prestezza o lentezza; non vagheggiare la propria persona agli specchi; non accomodarsi il vestito, nè baloccarsi ora con una cosa ora con l'altra. Camminate a passo moderato; non s'addice a una donna andar frettolosa per istrada. Il passo più facile e meno faticoso è anche il più conveniente. Tenete con naturale abbandono le braccia senza buttarle alla peggio a destra e a sinistra, e senza, muoverle a scatti. Affinchè il contegno sia irreprensibile, ogni attitudine deve apparir naturale, ogni positura senza studio, ogni moto senza ruvidezza. Il fare onesto e disinvolto, preso fino dalla tenera età, è il più sicuro preservativo da qualsivoglia affettazione. Molte altre avvertenze vi sarebbero da dare su questo proposito: ma volendo, per quanto sarà possibile, sfuggire le ripetizioni, le lasceremo pel capitolo sul Modo di conversare. Dobbiamo: Atteggiare la persona a decenza e modestia; tenere il capo diritto e mostrar la faccia serena; usar passo naturale; aver le braccia sciolte, ma senza dondolarle o buttarle a destra e a sinistra. Non dobbiamo: Fare il cipiglio; guardar fisse le persone per molto tempo; mostrare inquietudine; correre or qua or là; stuzzicare tutto ciò che viene alle mani; andare per le strade con passo frettoloso.

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Non è lecita alcuna astuzia tendente a soddisfare la propria sfrenata curiosità; e sarebbe lo stesso che operare contro onestà e coscienza il fingere di conoscere un segreto per arrivare, a possederlo in ogni sua parte. Queste sarebbero trame degne dell'insidiosa scelleratezza che gl'ipocriti nascondono sotto le più lusinghiere e mendaci apparenze. L'arcano della corrispondenza epistolare è sacro; e se la curiosità spingesse taluno a violare il sigillo di una lettera, ei commetterebbe un delitto; ed una lettera va, rispettata anche quando la troviamo aperta, non essendo lecito leggerla, ove non siamo invitati a farlo dalla persona stessa a cui appartiene. Se vi venisse presentata una lettera aperta a fine di farvene leggere qualche brano che possa interessarvi, non dovete indiscretamente spingere gli sguardi sui paragrafi che non vi spettano. Dalle quali riflessioni è facile dedurre come i doveri del viver civile sarebbero non meno offesi qualora vi poneste furtivamente attorno a qualcuno per ispiare ciò che scrive o ciò che legge. La lettera è un messaggero inviolabile che tanto più deve essere scrupolosamente rispettato, in quanto che la sua fedeltà riposa appunto per intiero sulla vostra discretezza. La buona creanza talora deve raffrenare eziandio la curiosità lecita; che se vi fosse recata una lettera quando siete in compagnia di qualche persona estranea alla vostra famiglia, non potete aprirla per leggerla senza domandarne licenza, qualora si tratti di persona a voi eguale o con cui abbiate alquanta dimestichezza; altrimenti converrebbe aspettare d'essere rimasta sola, od almeno che l'altra avesse ripetutamente insistito per darvi libertà di conoscere il contenuto della vostra lettera. Se andate a fare una visita, e la persona di cui cercate indugiasse alquanto a presentarsi a voi nel suo salotto, o fosse momentaneamente distratta da qualche faccenda, non vi ponete a stuzzicare indiscretamente gli oggetti che sogliono essere tenuti per ornamento sul caminetto o sui mobili. Quando siete in più d'una, e che venga mandato in giro non so che di ragguardevole per rarità, prezzo o merito intrinseco, aspettate discretamente che giunga fino a voi, e non fate a gara per esser la prima ad averlo; e giunto che sia nelle vostre mani, fate di non tenerlo più a lungo degli altri; se poi qualche indiscreto ve lo levasse di sott'occhio prima che abbiate potuto vederlo a vostro bell'agio, non converrebbe farne lagnanza, chè sarebbe lo stesso che rispondere ad un malgarbo con un'altra sgarbatezza. La discretezza nella società è forse uno dei doveri di maggiore importanza. In grazia di essa ci acquistiamo stima; non diveniamo mai importuni, e meritiamo la fiducia di coloro coi quali viviamo. Nelle cose di gran conto la discretezza può essere anche virtù; in quelle spettanti al comun vivere è essenziale parte di civiltà. Del primo caso non è qui luogo a trattare, bastando l'averla ricordata: quanto al secondo poi non dobbiamo stancarci di raccomandarla, perchè invero può spesso avere conseguenze importanti pel nostro bene avvenire e per quello delle persone di nostra attinenza o conoscenza; talchè è necessarissimo assuefarci per tempo ad essere discrete in tutto e per tutto: e badiamo bene, tra le altre, di non offendere anco la carità, narrando, per sola smania di discorrere, quei fatti dei quali la conoscenza possa recar nocumento o rammarico a qualcuno dei nostri simili. È assai malagevole riparare agli effetti di un'indiscretezza; pensate sempre a questa difficoltà, al allora il vostro buon cuore vi premunirà abbastanza da tali errori. Nel conversare con questo e quello udiamo una quantità di cose per le quali non viene imposto segreto; e nondimeno se fossero ricordate, ridette, potrebbero cagionare pregiudizio alle persone a cui spettano; e per questo giova assuefarci a tacere ogni volta che la prudenza, la discretezza e la carità lo comandano; giova premunirci dal vergognoso difetto di addivenire l'eco di tutti; e una volta che avremo acquistato così utile riservatezza, saremo sicuri di poterla vantaggiosamente e facilmente osservare finchè vivremo. Non sarà fuor di proposito rammentar qui alle fanciulline alcuni di quei casi nei quali la loro inesperienza potrebbe farle peccare d'indiscretezza. Primieramente gioverà studiarsi di conoscere le abitudini delle persone con le quali avete maggiore o minore dimestichezza, a fine di non le molestare nelle loro faccende. Se loro sopraggiungesse in vostra presenza il bisogno di accudire a qualche affare, siate sollecite a ritirarvi; e qualora vi fosse fatta preghiera di rimanere, chiedendovi il permesso di sbrigare qualche cosa di premura, non ve ne date pensiero, se non richieste; volgete ad altro la vostra attenzione, e riprendete il colloquio sol quando vi venisse rivolta la parola; ed anche allora contentatevi di cortesi e brevi risposte. Quando siete in procinto d'entrare in una stanza, e udite esservi più persone a colloquio, fatevi sentire, battete all'uscio, e in tal modo avvisatele che siete lì, qualora non vi fosse un servo per avvisarle della vostra venuta. Se in una comitiva, più persone paressero occupate da qualche particolare negozio, non istarà bene unirvi a loro senza esserne invitata, imperocchè non solo vi addimostrereste indiscreta, ma potrebbe anco venirvene una tacita mortificazione se tosto ciascuno interrompesse il dialogo, e momentaneamente si discostassero tra di loro per poi riunirsi alquanto dopo. Se, di mezzo al crocchio di cui fate parte, due persone si allontanano e vanno a discorrere tra di loro, non dovete seguirle, ed aspetterete che abbiano finito il loro colloquio prima di rivolgere nuovamente ad esse le vostre parole. Quando la persona con cui passeggiate ne incontra un'altra a voi sconosciuta, e si forma a parlare con quella, tiratevi alquanto in disparte, fino a che non vi sia fatto cortese invito di assistere liberamente al loro colloquio. A volte anche sopra il tavolino d'un salotto da conversazione trovansi libri, fogli, stampe, e simili altre cose; non siate avide di frugare, di guardar tutto, a meno che la padrona di casa non vi dica o non vi faccia cenno che appunto quelle cose son lì schierate per chi volesse dilettarsi di esaminarle. Talune, forse per vanità, vi tengono in mostra i biglietti di visita ornati di titoli e di armi gentilizie; altre li lasciano impensatamente o sol quanto convenga per mostrare di farne quel conto che si meritano; comunque siasi non istà bene mettersi a leggerli ad uno ad uno, poichè o non importa che lusinghiate una vanità alquanto ridicola, o non dovete mostrarvi curiosa di sapere quali siano le conoscenze della padrona di casa. Ove nella stanza di conversazione fosse qualche uscio aperto, sarebbe grossolana indiscretezza lo spingere uno sguardo curioso per vedere che cosa vi sia al di là di quell'uscio. Finalmente, in qualsivoglia congiuntura, tenetevi dentro i limiti di savia riservatezza, a fine di non riuscire moleste agli altri, e di non esporvi a qualche mortificazione, a qualche spiacevole incontro, a recar alcun danno involontario a chiunque siasi. Abbiamo forse detto abbastanza per far capire quanto importi rammentarsi di questi consigli; e porremo fine a questo capitolo ripetendo, che se la curiosità può talvolta essere scusabile, l'indiscretezza è imperdonabile sempre. Dobbiamo: Scrupolosamente rispettare il segreto delle lettere, considerandole qual deposito inviolabile ancorchè siano dissigillate; usar discretezza quando ci venga dato a leggere e ad esaminare qualche cosa, ritenendolo sol quanto basti all'uopo; non essere d'impedimento a chi si sia, rispetto alle sue abitudini; ritirarci o assentarci al sopraggiungere di improvvise faccende. Non dobbiamo: Tentar di conoscere un segreto; svelarlo a chi si sia quando ci è stato confidato; Non sarà necessario avvertire che questo precetto non ha luogo ove si tratti dei doveri de' figliuoli verso i genitori, imperocchè nè ai fanciulli sogliono confidarsi segreti, e nulla aver possono i figliuoli da tener celato ai genitori. soddisfare la propria curiosità in faccia a persona estranee, aprendo una lettera od un involto senza chiederne loro licenza; toccare alcun che senza il permesso della padrona di casa; intromettersi fra le persone che fanno crocchio da sè; ove non siamo chiamate da una di esse, ec.

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Non abbiamo già intenzione di metter qui a confronto la generosità con l'avarizia, di rilevare i pregi di quella biasimando i difetti di questa; ma crediamo doverne toccare sol quanto basti per le loro attinenze coi doveri della civiltà. In molte congiunture la generosità ben intesa ha che fare con la buona educazione. Se vi trovate in una comitiva dove qualche persona autorevole vi proponga di prender parte ad un atto di beneficenza, non potrete negare la vostra cooperazione; il rifiuto sarebbe mortificante per chi ha fatto l'invito, e vi esporreste a generare in altri un cattivo giudizio del vostro carattere. Ogni volta che vi è stato fatto un piacere, è necessario che ne sappiate mostrare riconoscenza con tanta maggiore generosità quanto più disinteressato fu il servigio resovi. Se vi trovate in obbligo di offrire qualche regalo, bisogna che sia sempre proporzionato ai vostri averi, al vostro stato, di modo che non abbia a venirvi biasimo nè di vergognosa spilorceria, nè di prodigalità folle. La generosità poi non consiste sempre nella prontezza a donare e nella larghezza a ricompensare; ma questo elevato sentimento si manifesta spesso in modo più nobile e più degno di stima, quando, per esempio, c'induce a frenare lo sdegno, a reprimere la collera, a scacciare la tentazione della, vendetta, a moderare gli stimoli dell'amor proprio. Daremo prova di vera generosità se ci asteniamo dall'usare, quanto a un nemico, le armi ch'ei rivolge contro sè stesso; se ci curiamo di far trionfare la nostra ragione in faccia di taluno che sia evidentemente al di sotto di noi; se non ci adoperiamo a far risaltare il torto e gli errori di chi ci offre con ciò una vittoria troppo facile; infine se abbiamo il coraggio d'immolare la nostra vanità all'amor proprio degli altri. Come la generosità, in giusti limiti contenuta, è una virtù necessaria ad una donna bene educata, così l'avarizia è un difetto essenziale che a poco per volta trascina alla durezza di cuore, all'insensibilità, all'egoismo, All'egoismo, ad un vizioso amor proprio che spinge l'uomo a non amare che sè e il suo utile. e fa sempre addivenire spregevole agli occhi di tutti chi ha la sventura d'esserne infetto. L'avarizia si svela in tutto e per tutto, nel contegno delle vesti, nel conversare, fin negli sguardi; e porta seco una macchia indelebile che contamina tutte le più semplici azioni. Questa funesta passione non ha limiti, non può esser sottomessa ad alcun freno; e purchè le riesca di trovare sfogo, è capace di conculcare tutte le regole della urbanità, nello stesso tempo che spesso offende anche quelle della giustizia. Chi è sventuratamente preso da questa malattia dell'animo ha il cuore chiuso affatto a qualsivoglia elevato sentimento che valga a farlo essere utile a' suoi simili; la carità non lo commuove, e nel suo segreto rimpiange la meschina elemosina che per vana ostentazione avrà pubblicamente lasciato cadere nella mano del povero; ei volentieri riceve, e mai dà; lascerebbe morire un amico se per salvarlo dovesse aprire il suo scrigno; e divenuto perfino crudele con sè stesso, giunge a isolarsi dal genere umano, perchè l'interno patema Patema, affezione dell'animo, passione interna. che sempre lo tormenta gli fa continuamente temere d'incontrar le occasioni di spendere. La persona abbrutita da sordida avarizia è sempre pronta a biasimare le spese le più innocenti, e dimentica, senza vergognarsene, quelle che dovrebbe giudicare inevitabili. Trascura volentieri di pagare un debituolo contratto al giuoco, e non penserà alle mance consuete pei servitori; si studierà di rimettere ad altra occasione, col secondo fine di diminuirne il valore, la mercede di un servigio fatto a sua richiesta; infine ad ogni poco diventa colpevole di mille bassezze che niuno saprebbe compatire. In sua casa poi l'avaro non ha ritegno. Una spesa insolita, ancorchè necessaria, basterà a svegliare il suo cattivo umore anche in faccia alle persone, quali si siano, che l'hanno cagionata. Se qualche cosa di poco o di niun valore vien rotta o sciupata dalla sbadataggine d'un convitato o d'un amico venuto a far visita, susciterà subito i più sconvenienti rammarici, o farà conoscere almeno sulla faccia l'interno inconsolabile rincrescimento. Se un servitore, per far presto una cosa, butta in terra un oggetto fragile, la collera dell'avaro scoppia nell'atto; e i rimproveri che svelano tutta la sordidezza della sua passione addivengono propriamente gravosi a chi si trova a meschine avventure. Quando l'avarizia è giunta a questo segno prende tutti i mali abiti della cattiva educazione. Se mai vi sentiste inclinate a questo bruttissimo vizio, nemico ostinato dei più gentili ed elevati sentimenti, fate di tutto per correggervene; procurate di dominare per tempo la natura e di struggere i primi germi d'una passione che, invece di andar a cessare col procedere dell'età, acquista anzi ogni dì nuove forze. In conclusione, adunque, non dimenticate mai che la savia economia è una dote necessaria e lodevole, mentre l'avarizia è un vizio detestabile. Dobbiamo: Mostrare generosità quando si tratta di un'opera di carità o di beneficenza; mostrare riconoscenza qual si conviene pei servigi ricevuti; proporzionare al proprio stato i donativi che crediamo di dover fare; metter freno per generosità d'animo alle proprie passioni. Non dobbiamo: Abbandonarci a quella sordida avarizia che distrugge i più elevati sentimenti dell'animo; trascurare gli obblighi ai quali siamo astrette; dimostrare cattivo umore in faccia alle persone di fuori per cagione di qualche involontario danno arrecato da esse o dai sottoposti a qualche cosa che ci appartiene.

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La lettura Usando il tempo con quella regola che al proprio respettivo stato si addice, ne può essere assegnata una parte a qualche gradevole ricreazione, soprattutto alla lettura di libri capaci di nutrir l'anima, di educare l'intelletto, di perfezionare il cuore, di avvalorarci nell'amore del bene. Ma la scelta dei libri è cosa di molta importanza, giacchè se le buone letture giovano, le cattive racchiudono un veleno sottile che a poco a poco fa tralignare le buone qualità, che ci spinge all'errore. Un cattivo libro offende anzitutto la delicatezza dei sentimenti quando è opposto alla religione e ai buoni costumi; e se non abbiamo la forza di gettarlo via con disprezzo, incomincia a dilettare e spesso a corrompere un cuore che sarebbe fatto per serbarsi costantemente illibato. Quanto maggiore è l'artifizio con cui le massime perniciose sono occultate, tanto più grave è il pericolo. Ma le fanciulle educate da madri o da maestre prudenti non hanno da temere simil disgrazia; saranno docili e sommesse, ed ogni loro azione sarà guidata dai consigli dell'esperienza.

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Il giovinetto campagnuolo II - Agricoltura

205984
Garelli, Felice 12 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Il rinettamento del terreno si fa a mano con una piccola marra o zappino, fig. 11, e col sarchiello, fig.12, specie di zappino con uno o due denti. Nelle grandi tenute, e in seminati a righe, si fa la nettatura del terreno con istrumenti da tiro che si chiamano zappa a cavallo, estirpatore, e scarificatore. Questi strumenti si rassomigliano tutti nella struttura e nella forma.

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L'estirpatore, fig.14, è un gruppo di tre, o cinque, e fino a sette vomeri triangolari, a doppio taglio, saldamente fissati in un telaio di legno, o di ferro. Lo scarificatore si distingue dallo estirpatore solamente in ciò, che invece dei vomeri ha coltri. 2. Tutti questi strumenti estirpano le malerbe, e smuovono internamente il terreno, senza sconvolgerne la superficie.

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Con quali strumenti a mano si netta il terreno? - Con quali da tiro? - Che cosa è la zappa a cavallo? - L'estirpatore? - Lo scarificatore? 2. Quale lavoro fanno tutti questi strumenti? - Quale lo fa migliore?

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I lavori sono necessari a rendere il terreno soffice, e netto dalle male piante. Meglio, e più profondamente, si smuove il terreno, e più rigogliosa si fa la vegetazione. I lavori profondi giovano a tutte le terre; risanano le umide, rinfrescano le asciutte. Ma a farli bene, bisogna avvertire alla profondità dello strato coltivabile, e alla natura del sottosuolo. Varia la forma, e anche la frequenza, e il tempo dei lavori, secondo la natura dei terreni. Si lavorano a porche gli umidi, e i sottili; a spianate quelli sani, e di buona pasta. Gli strumenti aratorii son parecchi; quali a mano, e quali a tiro d'animali. A smuovere il terreno, e prepararlo alla coltivazione, si adoperano la vanga, la zappa, e l'aratro. Zappa e vanga fanno buon lavoro, ma lungo, e costoso. Re degli strumenti agricoli è l'aratro: e tu ne esaminasti la particolare struttura. L'aratro chiama dietro sè l'erpice, perchè dia finitezza al lavoro. L'erpice invoca ancora l'aiuto del rullo su terre forti. A questa prima serie di lavori, un'altra ne succede che ha per iscopo di proteggere la vegetazione normale delle piante coltivate, specialmente contro i danni delle male erbe. Queste invadono i seminati, e mandano a male il raccolto, se con zappino, o sarchiello, o zappa a cavallo, o estirpatore, o scarificatore, non si rinetta il terreno. Talora queste sarchiature non bastano a cacciar via le piante parassite, e si ricorre al maggese pieno, o parziale.

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Già ti dissi, che misurando alla terra il letame a centellini, non si dura molta fatica a insaccare il grano. E così fanno purtroppo quasi tutti i coltivatori: avendo scarsità di concime, lo sparpagliano un po' dappertutto sulle varie terre. Queste poi, magramente concimate, è naturale che diano un magro prodotto. Son le belle spighe che fanno abbondante il ricolto; ma le belle spighe si ottengono solamente in terra buona, o migliorata da larghe concimazioni. Vuoi convincerti che, per ben raccogliere, bisogna ben concimare? Vuoi toccar con mano che a concimar poco si ha una perdita nella coltivazione, ed a concimar molto si coltiva con benefizio? Esamina con attenzione il conto che ti presento. Io suppongo che tu abbia un ettaro di terra coltivato a frumento, alla solita maniera. La spesa di coltivazione non si discosta guari dalle cifre seguenti: Affitto, o interesse del valore del terreno e imposte . . . . . . . . . . . . . . . . L.135 Semente . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 Lavori del terreno, mietitura e battit. . » 60 Concime . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 -- Spesa totale L. 295 Il prodotto sarà approssimativamente di 11 ettolitri di grano, e 110 miriagrammi di paglia, che valgono: 11 ettolitri di grano a L. 23 l'ettol. L. 253 110 mir. di paglia a L. 0,50 il mir. . » 55 -- Valore totale del prodotto L. 308 Quale è dunque il benefizio ricavato dalla coltivazione di un ettaro di frumento? Lire 13, ossia la differenza che si ottiene sottraendo dal valore del prodotto che fu di . . . . . . . . . L. 308 le spese fatte per ottenerlo, cioè . . . » 295 -- Benefizio L. 13 Ti sembra poco: e hai ragione. Ma io ti dico che molti coltivatori non guadagnano neppure queste povere 13 lire, e vi perdono, perchè non sanno coltivare. 2. Ora prova un po' a concimare meglio il terreno. Spendi in concime 100 lire in vece di 50. Le altre spese rimangono a un dipresso quelle di prima, o almeno crescono ben poco. Supponiamo che invece di 295 lire tu ne spenda 355. Il prodotto aumenta, e sale per lo meno a 16 ettolitri di grano ed a 150 miriagr. di paglia; onde ricaverai da 16 ettol. a L. 23 L. 368 150 mgr. di paglia a L. 0,50 . . . . » 75 -- Valore totale del prodotto L. 443 In questo caso hai già un benefizio di L. 88. Un altr'anno, aumenta ancora a 150 lire la spesa del concime. Portiamo pure le spese di coltivazione a L. 420. Il raccolto non sarà inferiore a 22 ettolitri di grano, e a 200 mgr. di paglia che, ai prezzi sopra indicati, ti daranno un prodotto di L. 606; e quindi avrai un benefizio netto di 186 lire. Da questi esempi tu vedi che quanto più si spende in concime, tanto più si guadagna. Se fai una spesa doppia, o tripla in concime, ne ricavi un guadagno dieci, quindici volte maggiore. Ho dunque ragione di ripetere che nel concime si ha tutto. Esso dà il grano, la paglia, il fieno, e ogni altro prodotto. Quindi chi ingrassa la terra, conosce il fatto suo, e fa fortuna. Chi smunge la terra, smunge la sua borsa. DOMANDE: 1. È vero che la terra rende in proporzione di quel che riceve? - Dimostra, con un esempio pratico, che non coltiva con beneficio chi concima scarsamente il terreno. 2. Prova con altro esempio che raccoglie molto chi concima bene.

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.); dà robustezza al gambo del frumento, e impedisce che alletti; favorisce la vegetazione di tutte le piante, accelerando a loro vantaggio la scomposizione delle materie animali, e vegetali, contenute nel terreno. La calce è ancora un buon correttivo per terre compatte, che rende più soffici; per terre torbose, o di brughiera, cui neutralizza l'acidità, e rende proprie ad una buona coltivazione. 2. Non si adopera allo stato di calce viva, perchè brucierebbe le piante, ed i semi. La si lascia prima sfiorire. Per ciò si dispone a mucchietti sul campo cui si vuole applicare, e questi si cuoprono di terra. Dopo 15 o 20 giorni, rimescolata bene con la terra, si spande uniformemente sul campo, e con replicate erpicature, seguite da lavori, alternativamente profondi e superficiali, s'incorpora bene col terreno. Ma il modo migliore di applicarla è di farne composte. Per ciò si dispone la calce viva a strati alternati con altri di zolle erbose, di terra di spurgo dei fossi, di torba, di polvere di strade, ecc. Il mucchio si cuopre con uno strato di terra; si lascia sfiorire la calce; poi si rimescola bene due o tre volte, a distanza di alcuni giorni da una volta all'altra. La sua azione sarà tanto più efficace, quanto più vecchia, e ben rimescolata, è la composta. 3. La calce si impiega in quantità variabile secondo la natura dei terreni. Agli argillosi, e ai torbosi, se ne dà molto. In generale la dose varia da 3 a 5 ettol. per anno, e per ettaro. Ma si applica per solito ogni 4 o 5 anni, e perciò in dose proporzionatamente maggiore. DOMANDE: 1. La calce a quali terre si dà, e a quali piante giova? - È un correttivo utile a quali terreni? 2. In quante maniere si adopera? - Come si fanno le composte di calce? 3. In quale dose si applica alle terre?

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Si applica a intervalli di 5 a 10 anni, ed in quantità di 50 a 100 e fino a 200 ettolitri per ettaro, dove si può avere a poca distanza, ed a buon prezzo. La calce, e la marna, aumentano il prodotto delle terre; ma le spossano presto, perchè agiscono come stimolanti, e rendono più pronta la scomposizione dei concimi. Esse dunque non suppliscono alla concimazione ordinaria; la richiedono anzi maggiore, e la rendono più utile. 3. Il gesso è un concime utile alla canapa, al lino, e utilissimo ai prati di trifoglio, e di medica, dei quali duplica talvolta il prodotto. Si adopera crudo, o cotto, in polvere, e a dose non maggiore di 200 chilogrammi per ettaro. Si spande a mano, in primavera, a vegetazione già cominciata, di buon mattino con la rugiada, perchè si fermi sulle foglie delle giovani piante. DOMANDE: 1. A quali terre giovano i calcinacci? - Come si adoperano? 2. Qual è l'azione della marna? - In qual dose si applica? - La calce, e la marna, bastano a concimare le terre? 3. A quali piante giova l'applicazione del gesso? - Quando, e come si adopera?

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Sono dunque un concime utile a tutte le terre, e a tutte le piante, specialmente alle viti, agli alberi fruttiferi, alle patate, ai prati umidicci, dai quali fanno sparire i giunchi, e le piante acide, che l'umidore vi fa crescere. Le ceneri correggono efficacemente le terre argillose, fredde; le torbose cui tolgono l'acidità; ristorano quelle impoverite da continue coltivazioni di cereali. Comunemente si adoperano le ceneri lisciviate, cioè che servirono al bucato. Esse costano di meno, ed hanno azione meno energica e corrosiva, che le vergini, o vive. Se ne spandono circa 200 miriagrammi per ettaro, e la loro azione dura almeno da 4 a 5 anni. 2. La fuliggine è pure un eccellente concime che si ha in casa, o che si può acquistare a buon mercato. Giova a tutte le colture, particolarmente ai prati umidicci, nei quali fa guerra alle cattive erbe. Si spande nella quantità di 15 a 20 ettol. per ettaro, mescolata col doppio di terra. DOMANDE: 1. Le ceneri a quali piante giovano? - E a quali terre? - Si adoperano vergini, o lisciviate? In quale dose? 2. La fuliggine è pure un concime? - Utile a quali colture? - Quanto se ne spande per ettaro, e come?

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Il numero delle piante create da Dio a popolare la terra è grandissimo: ve n'ha di tutte specie, di tutte forme, di tutte grossezze. Altrettanto si può dire degli animali. Moltissime piante sono utili all'uomo; altre inutili, o nocive. È ancora lo stesso negli animali. 2. L'uomo imparò presto a scernere le piante utili da quelle che non lo erano. Imparò anchè presto a distinguere tra gli animali quali gli fossero amici, o giovevoli, e quali nemici. A questi ultimi fece e fa continua guerra. Degli altri addomesticò quelli che lo potevano aiutare ne' lavori, o provvedergli cibo con la loro carne. Fece lo stesso con le piante: addomesticò quelle che potevano servire al suo nutrimento, all'alimentazione del bestiame, ai bisogni delle varie industrie; e cacciò via le inutili dalle terre che imprese a coltivare. DOMANDE: 1. Quante e quali piante Dio ha create a popolare la terra? - Sono tutte utili all'uomo? E gli animali sono tutti utili? 2. Quali specie di animali addomesticò l'uomo? - E quali piante?

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Queste varie parti del corpo, od organi, hanno struttura diversa, e son destinate a funzioni od uffizi diversi. Anche le piante hanno organi diversi, destinati a funzioni diverse: e sono la radice, il fusto, le gemme, le foglie, i fiori, il frutto. Esaminiamo questi organi uno ad uno. 4. La radice è la parte che s'addentra nella terra. Essa serve prima a fissare la pianta nel terreno, e poi a nutrirla. La sua forma varia nelle diverse piante. È a filamenti lunghi e sottili nel frumento; a ciuffi più grossi e numerosi nel granoturco, e nel trifoglio; a grosso corpo, o fittone, profondo e ramificato, nell'erba medica. Il corpo, e i rami della radice sono formati di filamenti, o barbe. Queste hanno alla loro estremità delle boccucce, o piccole bocche, per mezzo delle quali succhiano gli umori del terreno. DOMANDE: 1. Quale dev'essere il primo studio del coltivatore? 2. Le piante sono esseri viventi? 3. Quali sono gli organi delle piante? 4. Che cosa è la radice? - A che serve? Quale forma ha? - Come succhia gli umori dal terreno?

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La superficie del terreno lavorato si dispone a porche, o a spianate. Le porche sono aiuole strette, convesse, fiancheggiate da solchi profondi. Le spianate sono aiuole larghe alcuni metri, alquanto rialzate nel mezzo, e separate da solchi superficiali. 2. Si lavorano a porche i terreni molto sottili, per crescere lo spessore dello strato coltivabile, e i terreni compatti ed umidi, per dare più facile scolo all'acqua. Anzi in questi si aprono anche dei solchi trasversali, od acquai, unicamente destinati a raccogliere le acque di pioggia, o di neve. Ma, con la lavorazione a porche, rimane improduttiva una parte del terreno, cioè quella dei solchi; è quasi impossibile di spander bene le sementi; e la vegetazione vi si presenta diseguale. 3. Si lavorano a spianate le terre sane, e sciolte; ma si potrebbero ridurre a spianate, di mediocre larghezza, anche le terre compatte, se si lavorassero più profondamente dell'ordinario. 4. Il numero dei lavori dipende dalla natura del terreno, e dai bisogni delle piante che si coltivano. Vanno smosse più frequentemente le terre umide e fredde; importa assai la scelta del tempo conveniente a lavorarle. 5. In generale, perchè i lavori del terreno riescano veramente utili, bisogna farli a tempo opportuno. Le terre sciolte, leggere si possono lavorare in ogni tempo. Non così le terre forti. Queste, a lavorarle umide, aderiscono con forza agli strumenti, e rovinano gli animali; poi fanno crosta durissima, non si maturano, e molta semente si perde. Troppo secche induriscono, e a romperle, e quindi a sminuzzare le grosse zolle, si spreca molta forza. Il tempo migliore per lavorare terreni forti sarebbe subito dopo fatta la raccolta, per avere nel sole un aiuto alla disgregazione, e alla maturazione delle terre. DOMANDE: 1. Come si dispone la superficie lavorata del terreno? 2. Quali terreni si lavorano a porche? - Quali svantaggi presenta questo modo di lavoro? 3. Quali terreni si lavorano a spianate? 4. Da che dipende il numero dei lavori che si dànno al terreno? 5. Qual è il tempo più opportuno a lavorare le terre?

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All'erpice si dà una forma diversa, secondo la natura dei terreni cui deve servire; secondo che questi son arati a solchi, od a piano; e secondo l'effetto che si vuole ottenere. Per terre compatte l'erpice ha un telaio pesante, e denti di ferro, o acuminati, o taglienti, come il coltro dell'aratro. Per terre sciolte, per la copertura delle sementi, si usano erpici leggeri, e a denti di legno. Per terre lavorate a solchi l'erpice ha il telaio incurvato. In queste terre, non spianate, giova meglio l'erpice snodato, cioè composto di tutti pezzi mobili. 4. I denti dell'erpice sono per lo più inclinati. E perchè? Per poter fare un lavoro più o meno superficiale. L'erpicatura riesce più profonda, se i denti sono inclinati verso il tiro; più superficiale, se sono rivolti oppostamente al tiro. Con un erpice a denti dritti, ossia verticali, si può anche fare un lavoro più profondo, caricando il telaio di pietre, per renderlo più pesante. Qualunque ne sia la forma, un buon erpice deve avere i denti a ugual distanza fra loro; e ogni dente deve tracciare il suo solco distinto. DOMANDE: 1. L'aratro basta da solo a preparare bene il terreno? - Quali strumenti si adoperano per rompere le zolle, e, ragguagliare la superficie? 2. A quale scopo si erpica il terreno? - Che cosa è l'erpice? 3. Qual erpice si adopera in terre compatte? - In terre sciolte? 4. Perchè in taluni erpici i denti sono inclinati? - A quali condizioni deve soddisfare un buon erpice?

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La giovinetta campagnuola

207514
Garelli, Felice 18 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Ti parlai del companatico: ma c'è a dire anche del pane, che in generale non si fa bene. Sia di pura farina di frumento, o vi si mescoli cruschello, o farina di segala, di formentone, di castagne, o di patate, bisogna impastarlo bene — poi lasciar fermentare la pasta a un grado conveniente — e da ultimo procurarne la buona cottura. Bada sovra tutto a rivoltar bene la pasta, a batterla, comprimerla e ripiegarla più volte in ogni senso. Quanto meglio l'avrai impastato, più bello e rigonfio sarà il pane. La pratica ti insegna a quale grado conviene sia lievitata la pasta, prima di metterla in forno. Avverti poi che il forno non sia eccessivamente caldo. Il pane è più saporito, se non cuoce tanto in fretta. Non farne troppo in una volta: l'indurire sarebbe il meno danno; ma il pane piglia la muffa, e fa male alla salute.

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Dio disse a tutti gli uomini:Amatevi l'un l'altro come buoni fratelli, come foste una sola famiglia. Ognuno faccia agli altri quello che vorrebbe fosse fatto a lui, e non faccia agli altri ciò che non vorrebbe a lui venisse fatto. Il Signore vuole da noi anche più: Gesù Cristo disse a tutti gli uomini: Amate i vostri nemici, fate bene a coloro che vi odiano, pregate per coloro che vi perseguitano. Io terrò come fatto a me stesso quello che farete a pro degli altri, e ve ne compenserò, chiamandovi a possedere il regno de' cieli. Perchè noi potessimo eseguire il suo comando, Iddio ci ha fatto il cuore capace di un amore infinito: Egli infuse nell'anima nostra la virtù della carità. È questa la più bella, la più santa, la più divina delle virtù. Essa ci insegna ad amare, a compatire, a perdonare, a beneficare. Felice chi ascolta i consigli della carità! Egli cammina dritto nella via del bene, e si rende caro agli uomini, e a Dio. Giovinetta, accogli nel tuo cuore la carità: ama il prossimo come te stessa. Questo amore ti darà le più dolci consolazioni nella vita presente, e ti prepara il premio nella vita futura.

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Ricòrdati allora che «il male viene a libbre, e se ne va a oncie;» perciò se tu, o altri cade ammalato, ricorra a quei due gran medici, che sono l'acqua e la dieta: e il più delle volte guarirà tosto. Se poi il male cresce, allora, senza por tempo in mezzo, chiama il medico, e segui esattamente le prescrizioni di lui. Non fare come la più parte dei campagnuoli, che mandano solleciti pel veterinario, se una bestia si ammala; e del loro male, o di quello dei suoi, si curano tanto poco, che aspettano a mandare pel medico, quando è già tempo di chiamare il prete, ed il notaio. Consigliandoti a mettere in serbo piante medicinali, non ti ho detto di farla da medichessa. Ora ti aggiungo due altri consigli. Non dare ascolto a certe femmine sciocche, e superstiziose, che pretendono di saperne più del medico, e vantano specifici per guarire le malattie. Non prestar fede ai ciarlatani che sulle piazze, nei giorni di fiera, vendono boccette, unguenti, e cerotti per guarire ogni sorta di mali. Bada che essi sono cavadenti di mestiere, veri scrocconi, che girano il mondo in carrozza, e vivono da gran signori, alle spalle degli ignoranti, e dei babbei che s'affollano a comprarne gli specifici.

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Chi non lo sa, spreca: oggi, perchè ha il fienile ben provvisto, getta il foraggio nella greppia a larghe braccia: più tardi fa mangiare paglia asciutta. Vuoi fare economia del foraggio, e nutrir bene le tue bestie? Taglia e sminuzza il foraggio, come si fa nei paesi, che la sanno più lunga di noi nel buon governo del bestiame. Per tagliare i foraggi, si adopera uno strumento, fatto apposta, che si chiama trincia- paglia, o trincia-foraggi. Ve n'ha di grossi, a ruota, che valgono cento e più lire, e servono per le grandi stalle. Ve n'ha di piccoli, a basso prezzo, specie di coltelli, uniti ad un tagliere, che bastano a preparare la razione a poche bestie. Col trincia-foraggi si taglia il fieno a pezzetti di uno o due centimetri, e il bestiame lo divora tutto, senza che ne perda briciola. Quando lo dài intero, te ne spreca la metà, gettandolo nel letto. Col trinciarli, rendi più facile a digerirsi le paglie, e i fieni di qualità scadente, i foraggi legnosi e grossolani. Prova, tieni conto di tutto, e vedrai l'economia che ti risulta. Col risparmio che fai nel foraggio, in poco tempo tu paghi la spesa del tagliafieno, e te ne avanza.

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Si rivanga in primavera; e si lascia riposare qualche tempo la terra lavorata, prima di seminarvi; perchè i semi attecchiscono male, se li affidi a un terreno lavorato di fresco. Ti giova seminare, e piantare tutto in file: così risparmi tempo, e fatica a nettare l'orto dalle malerbe. Per far bene il lavoro, tendi una funicella, e con la punta del foraterra segna il solco nel terreno lungo la corda. Vi metti quindi i semi; copri i più piccoli con un dito di terra, e con due o tre dita i più grossi. Con la coltivazione a linee sbrighi, da sola, tutto il da farsi nell'orto, lavorandovi tutt'al più un'ora al giorno per cinque o sei mesi dell'anno. Seminando a getto o alla rinfusa, non bastano le tue braccia a nettare il terreno. Devi aspettare che le malerbe siano un po' alte, dovendole estirpare a mano: ed è tanto nutrimento rubato alle buone piante. Eppoi questi lavori di nettamento riescono sì lunghi e faticosi da fartene scappare la volontà. Te lo ripeto: coltiva tutto a file; e ne sarai contenta. In due ore farai maggior lavoro, e più utile, che in quattro giornate. Provvediti dunque un zappino e una rastia. Con questa tagli le malerbe, appena escono da terra. Ripeti l'operazione ogni otto, o dieci giorni, in tempo secco, avvertendo di estirpare a mano le malerbe nelle file. Col zappino mantieni la terra smossa tra le file. Le sementi procura di fartele nell'orto stesso; altrimenti bada a provvederle di buona qualità, e di sicura riuscita. Finisco con un consiglio. In giro alle aiuole coltiva alcuni fiori. Essi dànno la vita, rallegrano l'occhio, profumano l'aria, abbelliscono l'orto. Alle rose di varia fioritura aggiungi garofani, reseda, gerani, ecc. Non dimentica tra essi il gelsomino, il giglio, e la viola màmmola: e questi ti ricordino sempre le virtù che fanno di te, giovinetta, il fiore più bello, e più caro della famiglia.

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È un difetto comune alle giovinette quello di chiacchierare un po' troppo: ed è un brutto difetto, del quale molte volte si hanno a pentire. Chi troppo ciarla, spesso falla, o dice sciocchezze. Parlare è facile, ma parlare bene e a proposito, è difficile. Parla poco; e sbaglierai meno. Per parlar bene quando devi parlare, sappi tacere quando devi tacere. Parlare poco, e a tempo, è da persona savia. Perchè Dio t'ha dato due occhi, due orecchi, e una lingua sola? Hai due occhi per veder molto, due orecchi per ascoltar molto, e una sola lingua per parlar poco. Dunque ascolta molto, e parla poco. Chi parla, semina; chi tace, raccoglie. Sopra tutto guardati dal brutto vizio di metter bocca nelle cose che non ti spettano; di sentenziare sui fatti altrui; di ridire tutto quello che vedi, o senti, e che può recar danno, o molestia altrui: ti guadagneresti i nomi di ciarlona; dottoressa; maldicente; pettegola; maligna. Ti piacerebbe di essere battezzata così? Bada dunque a te, e non ti avanzerà più tempo ad occuparti degli altri. Tieni a mente il proverbio: Dei fatti altrui, men se ne sa, meglio si sta. Compatisci gli altrui difetti, se vuoi che gli altri compatiscano i tuoi. Il tuo parlare sia sempre schietto, verace, e prudente. Se ti si confida un secreto importante, guàrdati bene che non ti esca di bocca. Non confidare ad amiche quello che non vuoi che si sappia. Vedi quello che accade, quando tu fai una confidenza ad un'amica, a patto che non la dica a nessun'altra. Questa la ripete solamente a una sua amica fidata, e le impone la stessa condizione del silenzio. La seconda amica la ripete a una terza. Così d'amica fidata, in amica fidata, il secreto gira, e gira tanto che arriva, e assai presto, alla persona cui tu intendevi di non lasciarlo arrivare mai. Se dunque vuoi che un secreto non si divulghi, sappilo custodir bene. Ma ricòrdati che pel babbo, e per la mamma non ci hanno da essere secreti.

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Un bugiardo si conosce più presto che uno zoppo; la verità, come l'olio, viene a galla. Ma poi, anche non si venisse a scoprire la bugia, forse che Dio non vede nel cuore? Non lo sa la coscienza? La bugia è un vizio brutto, e schifoso, che fa nell'anima una macchia più nera dell'inchiostro. La bugia è il primo passo al mal fare. Per ciò i bugiardi, e gli impostori sono disprezzati da tutti. A chi è conosciuto bugiardo non si crede più nulla, neanche se dice la verità. Peppina ha commesso un piccolo fallo; lo confessò subito, e le fu perdonato. Peppina è una ragazza sincera; non dice mai quel che non è, e tutti le vogliono bene. Quando si manca, bisogna confessare la propria mancanza, come ha fatto Peppina. Bisogna dir sempre la verità, anche se, a dirla, ce ne vien danno. È brutta cosa aver due lingue. Non si deve mai dire il falso; anche quando, a dire il falso, può venirne vantaggio. Non devi far la spia dei falli altrui. Ognuno ha da guardare a sè. Prima di parlare, pensa a quel che devi dire. A tempo e luogo sappi anche tacere, per non recar danno ad altri.

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Questa gioia del lavoro cresce ogni giorno, ci fa contenti del nostro stato, e ci anima a continuare nella stessa vita attiva e laboriosa. Napoleone I, mentre passava a cavallo per una foresta, vide un boscaiuolo che lavorava, e cantava allegramente, ed esclamò: «Vedi quell'uomo; si guadagna il pane con tanta fatica, eppure sembra felice!» E accostatosi a lui, senza essere conosciuto, gli domandò: «Che cosa ti rende sì allegro?» E quegli rispose: «Ho una salute di ferro, e lavoro volentieri: non ho forse ragione di essere contento? «Quanto guadagni al giorno? «Tre lire. «E bastano per te, e per la tua famiglia? «Altro che bastano: mantengo la moglie e tre figlioli, e me ne avanza ancora da mettere a interesse, e a pagare vecchi debiti. «Come è possibile ciò? «Metto danaro a interesse, mandando a scuola i miei figlioli; pago vecchi debiti, col mantenere i mie genitori». Vedi, giovinetta, come il lavoro fa la gente virtuosa, e contenta del proprio stato!

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Il tempo è un tesoro che non costa un soldo; ma se lo perdi, non lo puoi comprare, neppure a pagarlo un milione. Il tempo viene, passa, e non ritorna più: impara dunque a spenderlo bene, fin che lo hai. L'arte di impiegar bene il tempo si impara da ragazzi; si perfeziona con l'età, e l'abitudine; e poi non si perde, nè si dimentica più. Bada anzitutto che ogni cosa ha il suo tempo, e vuol essere fatta in quel tempo. Gli alberi mettono prima le foglie, poi i fiori, poi maturano i frutti. Così il campo prima si ara, poi si semina, più tardi si miete. Se un contadino volesse mietere quando è tempo di seminare, o seminare quando è tempo di mietere, farebbe ridere fin le galline. Così c'è il tempo di lavorare, quello di mangiare, e quello di riposarsi. Or bene, fa ogni cosa secondo il suo tempo. Quando è tempo di fare una cosa, non pensare a farne un'altra; e quando fai una cosa, sii tutto intento e attento a quella, se vuoi riuscirla bene. A far le cose sbadatamente, o fuor di tempo, si diventa vecchi senza aver fatto mai nulla di bene. Non rimettere a domani ciò che puoi fare oggi. Un buon oggi, dice il proverbio, vale due domani: e molte volte il domani non è più a tempo.

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25.La costanza riesce a tutto. Sì, giovinetta: con la pazienza, e la volontà, si viene a capo di tutto; senza costanza tutto va male, e non s'arriva a far nulla. Per riuscire in un lavoro, bisogna farlo con calma, e perseveranza, e non sgomentarsi delle prime difficoltà che s'incontrano. Se il lavoro che hai da fare è lungo, e pesante, non potrai finirlo nè in un giorno, nè in due; ma vi arriverai al fine, se tutti i giorni, senza perder tempo, ne farai un po'. Il mondo non fu fatto in un giorno; — un albero non cade al primo colpo di scure. Se è un lavoro difficile, mèttivi tutta l'attenzione che puoi. Se non ti vien fatto subito a modo, non devi perderti d'animo, e dire: «È inutile, tanto non mi riesce»; continua, e riuscirai. Si sa che nessuno nasce maestro. Anche qui ricorda i proverbi: Chi fa falla; — provando e riprovando si impara; — col vedere quel che non va, si capisce quel che va. Tutte le cose sono difficili, prima di diventar facili. Quando si guarda una montagna dal piede, sembra impossibile di salirne la cima: è così alta! così erta! Pròvati a salire, e trovi ombre, fontane che t'invitano a proseguire il cammino; più vai, più prendi coraggio; ed eccoti sulla cima, ove la bella vista di altri monti, di valli, e di pianure ti compensa della fatica fatta per giungere lassù. In conclusione: nulla è difficile a chi vuole di buon proposito, e tu pure lo sai per prova. Ricòrdati come ti imbizzivi di non poter imparare l'aritmetica! ma poi ti mettesti proprio di buona voglia, ed ora i conti li fai bene. Così avviene di ogni cosa: quasi sempre chi vuole, può. Sii dunque ferma, e perseverante nei buoni propositi, se vuoi che ti riesca bene quanto imprendi a fare.

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La formica sa che, venuto l'inverno, fuori non troverà più nulla, e lavora nell'estate, dal mattino alla sera, a far provvista di cibo. Anche le api sono bestioline giudiziose, e previdenti, come le formiche. Vedi con quanta arte si fabbricano la loro casetta! Con quanta diligenza lavorano durante la buona stagione! È un via vai continuo dall'alveare alla campagna, a far provvista di miele per l'inverno; leste volano da un fiore all'altro per raccoglierlo; si allontanano anche più miglia a farne ricerca; e quando n'han le zampette cariche, volano a deporlo; poi ripartono subito a cercarne dell'altro. Impara anche tu a mettere in serbo quanto ti sopravanza al bisogno. Nei giorni buoni provvedi pei giorni cattivi, che vengono sempre; perchè dice bene il proverbio: il sole del mattino non dura sempre fino a sera; e chi spende in gioventù, digiuna nella vecchiaia.

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Ma un po' di buona creanza è necessaria a tutti, per farsi voler bene dalle persone con cui si tratta. Chi ha maniere incivili, grossolane, sgarbate, dà molestia, e disgusto alla gente. Se una persona è ruvida come una grattugia, nessuno si accosta volentieri a lei. Marta è una buona pasta di ragazza, ma, a trattare con lei, si direbbe il contrario. Se le chiedi un servizio, te lo fa con mal garbo; se lo riceve da altri, non dice un «grazie». A chi le parla, risponde asciutto ed aspro. Marta ama i suoi fratellini, ma non sa far loro una carezza; a divertirsi con essi non ci ha gusto. Obbedisce borbottando; s'imbroncia per nulla. La gente, quando parla di Marta, dice sempre: «Peccato che non conosca il galateo!». Giovinetta, fa in modo che la gente non dica altrettanto di te. Se vuoi essere benvoluta, conserva negli atti, nelle parole, in casa e fuori, il contegno di una ragazza bene educata. Ricòrdati che il bel tratto trova tutte le porte aperte — La creanza costa niente, e compra tutto. Ma ricòrdati ancora che la gentilezza delle maniere vuole avere a compagna la bontà del cuore.

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Oggi tutti si va a scuola, poveri e ricchi. E più si è poveri, più si ha bisogno della scuola: e ai contadini fa mestieri, quanto a ogni altro. Alla scuola s'impara a scrivere, se occorre, quattro parole ad un lontano; a fare una ricevuta; a tenere i conti; a far calze, a cucire di bianco, a rammendare. E s'imparano altresì la pulitezza, l'ordine, l'abitudine al lavoro, i doveri del proprio stato. Forse che tutto ciò è inutile? L'ignoranza a che giova? Lascia la gente nell'impotenza, e con la testa piena di pregiudizi, il che è anche peggio. Perciò fu detto con ragione, che l'ignoranza è la peggiore delle miserie. La donna che sa, fa bene i fatti suoi. Chi si affatica per sapere, lavora per avere, e si fa strada alla fortuna. Un tempo le scuole erano pochissime, e ad istruirsi c'erano grandi difficoltà per la povera gente. Ma ora l'istruzione è a tutti obbligatoria per legge; in ogni villaggio vi hanno scuole per maschi, per femmine, per fanciulli, e per adulti, con buoni maestri, e bene ordinate. Non si ha che la fatica di andarvi. Epperò oggidì chi rimane ignorante, colpa sua.

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Carlambrogio sa quanto giovi un'abitazione sana, e l'ha procurata a sè e agli animali. La sua casetta guarda al bel mezzodì; da varie finestre riceve abbondanza di luce; ha dinanzi l'aia col pozzo; l'orto di fianco, e il letamaio di dietro, a mezzanotte. La stalla è a vôlta; alta, ampia, in modo che le bestie vi stanno comode; i muri intonacati, e imbiancati; le finestre munite di imposte e invetriate. Negli angoli della vôlta vi sono sfiatatoi che, nell'inverno, si aprono per rinnovare l'aria, senza dover aprire porte, o finestre. Il pavimento è fatto con mattoni di costa, e un po' inclinato, per dare scolo alle urine, le quali, raccolte da un canaletto, inclinato anch'esso, vanno a versarsi in un pozzetto, fuori della stalla. Uguali attenzioni usò Carlambrogio perchè il porcile, e l'ovile fossero sani, ariosi, e bene esposti. Queste spese gli tornarono a benefizio grandissimo. Tutta la famiglia di Carlambrogio ha fior di salute, e gli animali, che dalla sua stalla si presentano al mercato, vi fanno la prima figura, e ne ottengono i prezzi più alti.

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Ma a trattar male le bestie, si fa danno anche alla borsa. Gli animali malmenati dimagriscono, e quindi scemano di prezzo; oltre a ciò contraggono vizi, e difetti, che, nei contratti di compra o vendita, sono causa frequente di litigi e di spese. Vedi dunque che il tornaconto, non meno che la carità, comanda di trattar gli animali con dolcezza, di nutrirli bene, tenerli puliti, e non strapazzarli con lavori eccessivi. Il bestiame è una necessità pei lavori, e pel concime; ma è ancora un mezzo di guadagno per chi sa governarlo; mentre è causa di grosse perdite a chi lo trascura. Se il bestiame è affidato alle tue cure, sii attenta e paziente. Ama gli animali; affeziònati ad essi, e tràttali con dolcezza. Se un animale è triste, o non mangia volentieri, od è ferito, prèstagli le cure necessarie. Al pascolo sta in continua vigilanza. Impedisci che le bestie si battano fra loro; che si sbandino; che entrino nei seminati, o sulle terre altrui. Tieni d'occhio che non cadano nei fossi; non si accostino a precipizi; non si arrampichino in luoghi pericolosi. Abbi cura di non lasciarle troppo tempo al sole. Scegli i luoghi dove l'erba è migliore. A quando a quando loro parla, accarezzale, e non maltrattarle mai. Nella stalla distribuisci, ad ora fissa, le razioni; fa la pulizia giornaliera degli animali; rinnova la lettiera; spazza le corsìe, dà aria, e pulisci tutto. Pensa prima agli animali che a te. Non lasciarti vincere dal sonno: se fa bisogno, sii in piedi a qualunque ora di notte; àlzati per tempo al mattino; e alla sera va al riposo solamente dopo assestata ogni cosa.

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E lo ferma, ponendo a guardia della casa la virtù dell'economia. L'economia, utile a tutti, è per la povera gente altrettanto necessaria che il lavoro. Vedi quanto si suda a far piccoli guadagni! Pensa quanti pericoli corrono le raccolte, per le quali si fa tanta fatica! La brina, la siccità, la grandine possono mandarle a male: e allora come si vive, se nelle buone annate non si è fatto, con l'economia, un po' di risparmio? Per arricchire ci vuol molto: ma per andare in rovina ci vuol poco. Con la scioperatezza la miseria viene a tutta corsa, e va poi via a passo di formica. «Trista quella cà, che mangia quanto ha». Con la virtù dell'economia, la miseria potrà far capolino all'uscio, ma non vi entra. «La roba sta con chi la sa tenere». Senza economia, si lavora tutto l'anno, e si è sempre al verde. «Saccoccia forata non tiene il miglio».

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La buona massaia non compera mai a credito. Occorre biancheria per la casa? Abbisogna un abito per lei, o per altri della famiglia? Ne fa la compra, se ha il danaro che ci vuole; altrimenti la ritarda, fino a che abbia il mezzo di pagarla. Essa sa che col danaro contante si provvede roba migliore, e a meno prezzo. Eppoi: è mille volte meglio aver poca roba, ma tutta nostra, che averne molta, pagata col danaro altrui. Essa ha paura dei debiti, e con ragione, perchè sa che, a fare un debito, si lega una corda al collo, e dà il capo della corda in mano al creditore. Quindi fa qualunque sacrifizio, prima di contrarre un debito, anche piccolo. Per solito i debiti cominciano col poco, e finiscono col molto: precisamente come la valanga, che comincia dall'alto con una pallottola di neve, e, rotolando a valle, si ingrossa come una montagna. Guai a fare il prima debito! A pagarlo, se ne fa un altro più grosso; il secondo ne tira un terzo. Per chiudere un buco, si apre una finestra; per chiudere una finestra, si apre una porta..... e così si va dritti alla malora. Per ciò la buona massaia non fa il passo più lungo della gamba, e limita le spese secondo le entrate. Se poi la necessità vuole che essa faccia un debito, pensa continuamente al modo di pagarlo; e ogni giorno, vendendo uova, galline, legumi, mette a parte qualche cosa, per levarsi quel peso dalle spalle il più presto possibile.

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Regola le tue occupazioni in modo di trovar tempo a tutto, e di far ogni cosa a suo tempo. Rammenta che l'ordine nel lavoro è già un mezzo lavoro. La fanciulla disordinata gira di qua, gira di là, si affanna, e non ha mai nulla di fatto; e non impara nulla. Se vuoi diventare una buona massaia, avvèzzati a tenere ogni cosa ordinata; e osserva questo precetto: «un posto per ogni cosa; e ogni cosa a suo posto». Ora all'opera. Finita la colazione, e data al bestiame la razione preparata alla sera, farai la pulizia della casa. Te l'ho già detto, ma giova ancora ridirlo. Nettezza non è lusso; è sanità, e decenza. Il sudiciume è segno schifoso di disordine, di trascuratezza, di miseria; è la vergogna della massaia. La nettezza è la particolare eleganza del povero; essa rende piacevole una casa, anche povera e disadatta. Tu sai che la calamita attira il ferro, e se lo attacca. Ebbene, la casa, se ordinata e pulita, fa lo stesso con gli uomini: li attira a sè nei giorni di festa; non li lascia andar girelloni, o all'osteria. Dunque fa che ogni cosa sia sempre all'ordine. Occhio a tutto: ai pavimenti, ai letti, alla cucina, al vasellame, ai mobili. Più volte al giorno abbi in mano la scopa, e l'innaffiatoio. A rallegrare l'occhio ed il cuore, aggiungi un vaso di fiori alle finestre, e, se puoi, un quadro nella stanza.

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Il giovinetto campagnuolo I - Morale e igiene

215138
Garelli, Felice 12 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
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Chi non lo sa, spreca: oggi, perchè ha il fienile ben provvisto, getta il foraggio nella greppia a larghe braccia: più tardi fa mangiare paglia asciutta. Vuoi fare economia del foraggio, e nutrir bene le tue bestie? Taglia e sminuzza il foraggio, come si fa nei paesi, che la sanno più lunga di noi nel buon governo del bestiame. Per tagliare i foraggi, si adopera uno strumento, fatto apposta, che si chiama trincia-paglia, o trincia-foraggi. Ve n'ha di grossi, a ruota, che valgono cento e più lire, e servono per le grandi stalle. Ve n'ha di piccoli, a basso prezzo, specie di coltelli, uniti ad un tagliere, che bastano a preparare la razione a poche bestie. Col trincia-foraggi si taglia il fieno a pezzetti di uno o due centimetri, e il bestiame lo divora tutto, senza che ne perda bricciola. Quando lo dài intero, te ne spreca la metà, gettandolo nel letto. Col trinciarli, rendi più facile a digerirsi le paglie, e i fieni di qualità scadente, i foraggi legnosi e grossolani. Prova, tieni conto di tutto, e vedrai l'economia che ti risulta. Col risparmio che fai nel foraggio, in poco tempo tu paghi la spesa del taglia-fieno, e te ne avanza.

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Dio disse a tutti gli uomini: Amatevi l'un l'altro come buoni fratelli, come foste una sola famiglia. Ognuno faccia agli altri quello che vorrebbe fosse fatto a lui, e non faccia agli altri ciò che non vorrebbe a lui venisse fatto. Il Signore vuole da noi anche più: Gesù Cristo disse a tutti gli uomini: Amate i vostri nemici, fate bene a coloro che vi odiano, pregate per coloro che vi perseguitano. Io terrò come fatto a me stesso quello che farete a pro degli altri, e ve ne compenserò chiamandovi a possedere il regno de' cieli. Perchè noi potessimo eseguire il suo comando, Iddio ci ha fatto il cuore capace di un amore infinito: Egli infuse nell'anima nostra la virtù della carità. È questa la più bella, la più santa, la più divina delle virtù. Essa ci insegna ad amare, a compatire, a perdonare, a beneficare. Felice chi ascolta i consigli della carità! Egli cammina dritto nella via del bene, e si rende caro agli uomini e a Dio. Giovinetto, accogli nel tuo cuore la carità: ama il prossimo come te stesso. Questo amore ti darà le più dolci consolazioni nella vita presente, e ti prepara il premio nella vita futura.

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Un bugiardo si conosce più presto che uno zoppo; la verità, come l'olio, viene a galla. Ma poi, anche non si venisse a scoprire la bugia, forse che Dio non vede nel cuore? Non lo sa la coscienza? La bugia è un vizio brutto e schifoso, che fa nell'anima una macchia più nera dell'inchiostro. La bugia è il primo passo al mal fare. Per ciò i bugiardi e gli impostori sono disprezzati da tutti. A chi è conosciuto bugiardo non si crede più nulla, neanche se dice la verità. Pierino ha commesso un piccolo fallo; lo confessò subito, e gli fu perdonato. Pierino è un ragazzo sincero; non dice mai quel che non è, e tutti gli vogliono bene. Quando si manca, bisogna confessare la propria mancanza, come ha fatto Pierino. Bisogna dir sempre la verità, anche se a dirla ce ne vien danno. È brutta cosa aver due lingue. Non si deve mai dire il falso, anche quando dicendo il falso può venirne vantaggio. Prima di parlare, pensa a quel che devi dire. A tempo e luogo sappi anche tacere per non recar danno ad altri. Non devi far la spia dei falli altrui. Ognuno ha da guardare a sè. Ma quando mai tu fossi interrogato in tribunale su qualche fatto che conosci, allora sei obbligato in coscienza a dire tutta intiera la verità, come fossi innanzi a Dio.

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Ma nel punto che stava per spiccarle dall'albero, gli vennero giù due legnate sulle spalle, che lo gettarono tramortito a terra. La lezione fu un po' dura; ma Nicola a menar le unghie sulla roba altrui se l'ha meritata. Capitò anche peggio lo scorso autunno a Maurizio, che entrò di notte in una vigna a rubarvi dell'uva. Il guardiano, già arrabbiato per altre simili ruberie, gli scaricò tanto di piombo nella schiena, da lasciarlo malconcio fin che vive. Il castigo, in verità, fu crudele; ma Maurizio se l'è andato a cercare. Va rispettata la roba altrui, come vogliamo rispettata la nostra. Si suda tanto per avere un magro raccolto, e vederselo portar via da malviventi è pur doloroso! Ed è anche una dura vita quella di star su tante notti a vegliare, perchè i birboni non facciano man bassa sull'uva e sui frutti maturi. Non vieni a dirmi: «infine poi due pesche, due grappoli d'uva valgon sì poco!» Bada, ragazzo, che ogni vizio ha principio dal poco; e anche a diventar ladri consumati si comincia dal poco. Come ha fatto Pasquale? Cominciò dal rubacchiare qualche soldo in casa per darsi bel tempo, e finì con assassinare sulle strade: ora sconta le sue colpe con dieci anni di galera. Bada, giovinotto: o poco o molto, chi si appropria ciò che non è suo, è un ladro. È ladro chi ruba le ciliegie e le mele nell'orto, la legna nei boschi, i pali nelle vigne, ecc. È ladro il vaccaro che lascia andar le bestie a pascolare sulle terre altrui. È ladro il mezzaiuolo che non dà al padrone la giusta parte di uva, di grano, di bozzoli, di frutta che gli spetta nella divisione dei prodotti del podere. È ladro il bracciante pagato a giornata che, lontano dagli occhi del padrone, si ristà dal lavoro. E anche ladro chi, trovato un oggetto, non cerca chi l'ha perduto, e lo ritiene come suo. E il ladro è un uomo infame, disonorato, che fa vergogna alla propria famiglia, e finisce male i suoi giorni. Impara dunque da giovane a rispettare la roba altrui, ad essere giusto con tutti, a dare a ciascuno il fatto suo, ad essere onesto e leale nei contratti. Pensa che la roba di mal acquisto non fa mai buon pro; e ricordati che la riputazione perduta è come uno specchio rotto.

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Questa gioia del lavoro cresce ogni giorno, ci fa contenti del nostro stato, e ci anima a continuare nella stessa vita attiva e laboriosa. Napoleone I, mentre passava a cavallo per una foresta, vide un boscaiuolo che lavorava, e cantava allegramente, ed esclamò: «Vedi quell'uomo; si guadagna il pane con tanta fatica, eppure sembra felice!» E accostatosi a lui, senza essere conosciuto, gli domandò. «Che cosa ti rende sì allegro? E quegli rispose: «Ho una salute di ferro e lavoro volentieri: non ho forse ragione di essere contento? «Quanto guadagni al giorno? «Tre lire. «E bastano per te e per la tua famiglia? «Altro che bastano: mantengo la moglie e tre figlioli, e me ne avanza ancora da mettere a interesse e a pagare vecchi debiti. «Come è possibile ciò? «Metto danaro a interesse, mandando a scuola i miei figlioli; pago vecchi debiti col mantenere i miei genitori». Vedi, giovinetto, come il lavoro fa l'uomo virtuoso, e contento del proprio stato.

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Il tempo è un tesoro che non costa un soldo; ma se lo perdi, non lo puoi comprare, neppure a pagarlo un milione. Il tempo viene, passa e non ritorna più: impara dunque a spenderlo bene fin che lo hai. L'arte di impiegar bene il tempo si impara da ragazzi; si perfeziona con l'età e l'abitudine; e poi non si perde, nè si dimentica più. Bada anzitutto che ogni cosa ha il suo tempo, e vuol essere fatta in quel tempo. Gli alberi mettono prima le foglie, poi i fiori, poi maturano i frutti. Così il campo prima si ara, poi si semina, più tardi si miete. Se un contadino volesse mietere quando è tempo di seminare, o seminare quando è tempo di mietere, farebbe ridere fin le galline. Così c'è il tempo di lavorare, quello di mangiare e quello di riposarsi. Or bene, fa ogni cosa secondo il suo tempo. Quando è tempo di fare una cosa, non pensare a farne un'altra; e quando fai una cosa, sii tutto intento e attento a quella, se vuoi riuscirla bene. A far le cose sbadatamente, o fuor di tempo, si diventa vecchi senza aver fatto mai nulla di bene.

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Non rimettere a domani ciò che puoi fare oggi. Un buon oggi, dice il proverbio, vale due domani. Il più delle volte il domani non è più a tempo, come capitò a Matteo. «Domani seminerò il mio campo; la stagione è opportuna» disse Matteo. E l'indomani era in piedi all'alba. Mentre stava per recarsi al campo venne un compare, che l'invitò ad andare con lui al mercato. Matteo esitò alquanto, poi pensò: «un giorno prima o dopo non è poi gran male: seminerò domani». E andò al mercato, dove si fermò fino a tarda ora mangiando e bevendo assai. Al mattino appresso, pel troppo vino bevuto, gli dolevano la testa e lo stomaco. «Pazienza, disse Matteo, oggi mi riposo, seminerò domani». Ma il domani cominciò a piovere, e la durò per più giorni di seguito. Matteo seminò troppo tardi, e ne cavò un meschino raccolto. Egli riconobbe a sue spese la verità dei proverbi: Chi ha tempo, non aspetti tempo. - Del presente si è padroni, dell'avvenire no.

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La formica sa che, venuto l'inverno, fuori non troverà più nulla, e lavora nell'estate, dal mattino alla sera, a far provvista di cibo. Anche le api sono bestioline giudiziose, e previdenti, come le formiche. Vedi con quanta arte si fabbricano la loro casetta! Con quanta diligenza lavorano durante la buona stagione! È un via vai continuo dall'alveare alla campagna, a far provvista di miele per l'inverno; leste volano da un fiore all'altro per raccoglierlo; si allontanano anche più miglia a farne ricerca; e quando n'han le zampette cariche, volano a deporlo; poi ripartono subito a cercarne dell'altro. Impara anche tu a mettere in serbo quanto ti sopravanza al bisogno. Nei giorni buoni provvedi pei giorni cattivi, che vengono sempre; perchè dice bene il proverbio: il sole del mattino non dura sempre fino a sera; e chi spende in gioventù, digiuna nella vecchiaia.

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Al contrario è uno spensierato, che si dà bel tempo nell'estate, ma è naturale che poi si trovi a denti asciutti nell'inverno. Senti che lezione fu data a questo fannullone. Un giorno, al cominciar dell'inverno, un grillo, sfinito dalla fame e dal freddo, si presentò ad un alveare, e chiese alle api qualche goccia di miele per sfamarsi. Una delle api, che stava a guardia della casa, gli domandò: «Che cosa hai fatto nell'estate? Perchè non hai provvisto un po' di cibo per l'inverno?» «Io spesi (disse il grillo) allegramente il mio tempo bevendo, saltando, cantando, senza darmi pensiero dell'inverno». «Ben diversamente facciamo noi, rispose l'ape. Noi lavoriamo molto nella state a far provvista di cibo per la stagione in cui prevediamo che sarà per mancarci. Ma chi non sa far altro che bere, saltare e cantare, come fai tu, nell'estate, ben deve aspettarsi di morir di fame nell'inverno». Ciò detto, l'ape chiuse l'uscio in faccia al grillo. Giovinetto, tieni a mente la lezione. A chi da giovane fa come il grillo, capita come a lui da vecchio: morrà di miseria. Giovane ozioso, vecchio bisognoso.

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Tu invece l'hai speso, dicendo a te stesso: «Un soldo risparmiato a che serve? Che cosa si può fare con un povero soldo?». Io ti rispondo che molte volte la fortuna d'un giovane comincia da un soldo risparmiato; e ti ricordo il giustissimo proverbio: Chi non sa tener conto d'un soldo non vale un soldo. Uno spillo val meno d'un centesimo, non è vero? Ebbene, uno spillo raccolto da terra fece la fortuna di un povero giovane, di nome Lafitte. Questo giovane, disagiato di fortuna, ma ricco di buon volere, lasciò il natìo paese, e si recò a Parigi a cercarvi una occupazione. Dopo aver picchiato inutilmente a molti usci, si presentò ad un ricco banchiere. Era l'ultimo tentativo, dopo il quale, se non gli riusciva, avrebbe rifatto la via del paese. Ed anche questo fallì, come gli altri. Neppur là c'era lavoro d'avanzo per occupare altri giovani. Lafitte uscì di là sconfortato; camminava a testa bassa, e rifletteva alla disperata sua condizione. Traversando il cortile della casa del banchiere, scorse a terra uno spillo; lo prese, e l'appuntò nell'abito. Il banchiere, che dai vetri del suo studiolo vide quell'atto, giudicando che non avrebbe mancato di riuscire un uomo savio ed operoso chi in giovane età addimostrava di saper curare le piccole cose, richiamò a sè Lafitte, dicendogli che l'avrebbe in qualche maniera occupato. Applicatolo dapprima ai più umili uffizi, per metterne a prova la buona volontà, poi grado grado a lavori più importanti, per valutarne la capacità e la diligenza, il banchiere ebbe tanto a lodarsi dell'opera di Lafitte che, dopo averlo associato ai proprii affari, finì per lasciarlo erede di tutte le sue grandi ricchezze. Uguale fortuna toccò a molti altri giovani, i quali seppero, come Lafitte, mettere in pratica il proverbio: Chi vuole il molto curi il poco.

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Guardando la sua faccia sempre tranquilla e serena, non puoi a meno di esclamare: «Che aria di galantuomo!» E Carlambrogio lo è davvero: tutto il paese lo dice un modello di bontà, e di onestà. Egli non recò mai dolore ad anima viva: fece anzi del bene al suo prossimo, quante volte ne ebbe occasione. E queste occasioni furono tante, si può dire, quanti i giorni della sua vita. Lavoratore instancabile, si procacciò una bella fortuna, e sa farne buon uso. Egli è largo del suo ai poverelli, ma la carità sa farla a tempo e luogo; la rifiuta al vizioso, che non la merita, e la fa quanto più può, e senza vanto, a chi è veramente povero. Uomo di gran cuore, compatisce i difetti altrui, perdona le offese; ma la sua coscienza, retta ed onesta, si ribella ad ogni violenza ed ingiustizia, e lo fa pronto sempre a difendere il debole contro il prepotente. Animo schietto e leale, ama in tutto la verità; e la dice a fin di bene, e senza paura, anche a quelli che non vorrebbero sentirla, per esempio, agli oziosi, ai frequentatori di osterie. Così trasse molti dalla mala via del vizio, della bettola, del giuoco. Tutti ricorrono a lui per consiglio nelle cose importanti: niuno si pentì mai d'avere seguìto il suo avviso, sempre conforme a giustizia; molte discordie e liti si composero in pace per opera sua. In Carlambrogio si verifica il proverbio: «chi fa bene, trova bene». Egli sparge i benefizi intorno a sè, e raccoglie consolazioni senza fine: tutti lo stimano, e gli vogliono bene. Giovinetto, spècchiati in Carlambrogio: egli, per diventare il galantuomo che è, cominciò ad essere un bravo ragazzo.

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Carlambrogio sa quanto giovi un'abitazione sana, e l'ha procurata a sè e agli animali. La sua casetta guarda al bel mezzodì; da varie finestre riceve abbondanza di luce; ha dinanzi l'aia col pozzo; l'orto di fianco, e il letamaio di dietro, a mezzanotte. La stalla è a vôlta; alta, ampia, in modo che le bestie vi stanno comode; i muri intonacati e imbiancati; le finestre munite di imposte e invetriate. Negli angoli della vôlta vi sono sfiatatoi che, nell'inverno, si aprono per rinnovare l'aria, senza dover aprire porte, o finestre. Il pavimento è fatto con mattoni di costa, e un po' inclinato, per dare scolo alle urine, le quali, raccolte da un canaletto, inclinato anch'esso, vanno a versarsi in un pozzetto, fuori della stalla. Uguali attenzioni usò Carlambrogio perchè il porcile e l'ovile fossero sani, ariosi, e bene esposti. Queste spese gli tornarono a benefizio grandissimo. Tutta la famiglia di Carlambrogio ha fior di salute; e gli animali, che dalla sua stalla si presentano al mercato, vi fanno la prima figura, e ne ottengono i prezzi più alti.

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