Generalmente però gli scrittori e gli artisti si contentano di abbozzare i soggetti quando passeggiano. Pochi hanno la forza di limare e di finire a mente nei suoi più minuti particolari una composizione. La fatica maggiore dopo un primo abbozzo la si fa sempre al tavolino. Foscolo nella sua autobiografia parlando in persona di Didimo Chierico, disse: "Esso aveva la beatitudine di poter scrivere trenta fogli allegramente di pianta; e la maledizione di volerli poi ridurre in tre soli, come a ogni modo, e con infinito sudore faceva". Vi sono delle pagine immortali nella letteratura, che passarono per una trafila di rimaneggiamenti, di evoluzioni e di trasformazioni tali, che chi le scrisse non vorrebbe fossero rivelate mai a chi le legge. Alcuni celebri scrittori lavorano come di mosaico; le parole e i pensieri tengono raccolti come pietruzze innanzi a sè, alla mano, e con esse disegnano e coloriscono le loro figure. Sul tavolo tengono degli elenchi di vocaboli e di frasi cercate con pazienza nei dizionari e nei libri e che con altrettanta industria incastrano nei loro periodi. Nessuno io credo improvvisa od inventa: neppure i genii hanno la creazione immediata. Giorgio Vasari racconta che Michelangelo, "innanzi che morisse, abbruciò gran numero di disegni, schizzi, e cartoni fatti di mano sua, acciò nessuno vedesse le fatiche durate da lui ed i modi di tentare l'ingegno suo, per non apparire se non perfetto, ed io ne ho alcuni di sua mano trovati in Fiorenza; dove, ancora che si vegga la grandezza di quello ingegno, si conosce che quando e' voleva cavar Minerva dalla testa di Giove, ci bisognava il martello di Vulcano".
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Non c'era nessuna tavoletta, né abbozzata, nè da abbozzare.
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Obbedendo alle leggi naturali, Marta le avrebbe dato uno schiaffo; ma frenandosi e dominandosi, riuscì ad abbozzare un sorriso. La buona signora Merelli intervenne, chiedendo alla sorella di Toniolo se fosse guarita da una nevralgia che aveva sofferto. - Sì, sì, sono guarita perfettamente. Ma nevvero che molte ragazze sarebbero state felici di sposare Alberto Oriani? - Senza dubbio; eppure egli ha preferito questa sposina, nè io so dargli torto - tornò a dire dolcissimamente la signora Merelli. - Già, le ragazze del paese non hanno i vezzi delle cittadine, - esclamò con enfasi la sorella di Toniolo. - A proposito, non si è saputo più nulla dell'Elvira, la maestra? A questa improvvisa e inopportuna domanda, la signora Merelli stette per perdere le staffe, osservando che Marta impallidiva. Tossì, tuttavia, si spianò le gale dell'abito, e disse col suo bel candore: - E chi ci pensa più? Manca da tanti anni! - Oh! questo non serve - rimbeccò l'altra malignamente, - quando si sono lasciati certi ricordi dietro a sè... Non dicevano che avesse avuto un figlio? - Quante calunnie! La signora Merelli, indignata, tese la mano quasi per attestare l'innocenza dell'assente, Marta afferrò quella mano, e alzandosi, e trascinando con sè l'ottima creatura, uscì dalla stanza, soffocata dai singhiozzi. Alberto che l'aveva vista uscire, le tenne dietro subito. - Non si spaventi - disse la signora Merelli - fa un po' caldo in sala, e poi tutti quegli sigari! Per quanto si stia bene, lo creda a me, qualche cosa si soffre sempre... - Ti senti male? - chiese Alberto con premura. Marta gli si appese al braccio, negando col capo; e quando la signora Merelli, vedendola al sicuro ritornò nella sala da pranzo, ella mosse verso il cortile, proprio come se provasse un senso di soffocazione. Il cortile della farmacia era messo a giardino, con delle scalinate di fiori e degli arrampicanti piantati dentro a botti vuote. La luna lo batteva in pieno, rischiarando ogni angolo colla sua luce fredda ed eguale di doccia. Marta si gettò nelle braccia di suo marito scoppiando in lagrime. - Ma Dio, Marta, che hai? - Dimmi che mi ami, dimmi che mi ami... Alberto pensava che se lo avessero sorpreso nel cortile, abbracciato con sua moglie, sarebbe diventato lo zimbello degli amici. - Via - disse con un leggero accento di rimprovero - sono scene da bambina, torna in te, sii ragionevole. Siamo qui per divertirci e non per piangere. Ella raddoppiava le lagrime, avviticchiata al suo collo, tremando, spasimando. Marta... insomma! Pensò poi che fossero fenomeni nervosi inerenti alla prima fase della gestazione, e per il rispetto che professano gli uomini a questo misterioso travaglio femminile, replicò con dolcezza annoiata: - Lo sai bene che ti amo. - Dimmelo ancora! - Ti amo. Ma ella non si staccava, sospirando sempre, aspettando che un guizzo, un fremito passasse dal corpo di lui al suo, dandole la sensazione di un'anima sola, rispondendo a ciò che ella stessa provava, la vita, la rivelazione attesa... ed egli se ne stava ritto, rassegnato, e la luna li illuminava entrambi freddamente serena. - Camminiamo, ti passerà. Marta non disse più nulla. Docilmente si lasciò infilare la mano nel braccio di suo marito e fecero due o tre giri intorno alle botti degli arrampicanti. Egli non sapeva che cosa dirle. L'umidità della sera, forse, le avrebbe dato noia? Ma doveva sentirla anche lei. Non era un gusto, davvero, aver lasciata una stanza calda, un crocchio di amici, un buon bicchiere e delle ciarle e degli scherzi, per passeggiare tondo tondo in un cortile. - Ti senti meglio? - domandò infine. Marta fece un movimento impercettibile colle spalle, schiuse le labbra senza poter parlare ed appoggiò il cuore, che le batteva violentemente, contro il braccio di lui. Egli stette ancora un momento incerto, guardò l'uscio della sala da cui usciva uno sprazzo di luce allegra, guardò sua moglie, le botti, il cortile deserto, e: - Se rientrassimo?...
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