Anche quelli che non soffrivano avevan l'aria abbattuta, e più I'aspetto di deportati che d'emigranti. Pareva che la prima esperienza della vita inerte e disagiata del bastimento avesse smorzato in quasi tutti il coraggio e le speranze con cui eran partiti, e che in quella prostrazione d'animo succeduta all'agitazione della partenza, si fosse ridestato in essi il senso di tutti i dubbi, di tutte le noie e amarezze degli ultimi giorni della loro vita di casa, occupati nella vendita delle vacche e di quel palmo di terra, in discussioni aspre col padrone e col parroco, e in addii dolorosi. E il peggio era sotto, nel grande dormitorio, di cui s'apriva la boccaporta vicino al cassero di poppa: affacciandovisi, si vedevano nella mezza oscurità corpi sopra corpi, come nei bastimenti che riportano in patria le salme degli emigrati chinesi; e veniva su di là, come da uno spedale sotterraneo, un concerto di lamenti, di rantoli e di tossi, da metter la tentazione di sbarcare a Marsiglia. La sola nota amena di quello spettacolo erano i pochi intrepidi che, sopra coperta, uscivan dalle cucine con le gamelle colme di minestra tra le mani, per andarsela a mangiare in pace ai loro posti: alcuni, facendo prodigi d'equilibrio, ci riuscivano; altri, messo un piede in fallo, cadevano col muso nella gamella, spandendo brodo e paste da tutte le parti, in mezzo a uno scatenamento di maledizioni.
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La stessa "domatrice" che da vari giorni viveva in una specie d'effervescenza d'amor materno per tutti, se ne stava in disparte, abbattuta come se le girasse sul cuore tutta la Chartreuse della sua dispensa segreta. Il genovese mi venne incontro con una faccia truce, e fissandomi in viso il suo occhio unico, mi disse di mala grazia: - Sa lei che c'è di nuovo questa mattina?... Niente ghiaccio! S'è rotta la macchina, e il marinaio s'è sciupato una mano. È la seconda volta. Un'infamia! - Era nero. E fece per allontanarsi, ma tornò indietro, e mi domandò, guardandomi di sbieco: - E quel fritto misto d'ieri sera? - E fatta una risata ironica, tirò via. Anche il mio vicino di camerino, appoggiato all'albero di mezzana, era più stravolto del solito, e nel viso e nel vestito mostrava tutti i segni d'aver passato la notte sul cassero per non esser torturato sotto dalla sua aguzzina. Perfino gli sposi, seduti l'uno accanto all'altro sur un sofà di ferro, avevan l'aria acciucchita, e stavan muti come se per la prima volta fossero stanchi e irritati di quel letto di Procuste, in cui erano costretti a studiar lo spagnuolo da tre settimane. Che sorridessero non c'era che la signora argentine, vestita d'un bellissimo vestito verde carico, il cui colore si rifletteva come in uno specchio sul viso della madre della pianista; e la signorina di Mestre, che andava in giro con quel suo viso dolce e malinconico, e con un foglio tra le mani, a cercar oblatori a benefizio del contadino febbricitante, e di sua moglie, perchè non arrivassero in America senza panni e senza scarpe. Ed era una cosa che metteva pietà per lei e faceva sdegno il vedere con che facce fredde e quasi arcigne era ricevuta, e con che stento scortese, dopo molte parole, scrivevano la maggior parte il loro nome. Pochi parlavano, e questi pochi, si capiva dalle loro guardatacce oblique che dicevano corna di qualche cosa o di qualcheduno, con l'acrimonia della gente che ha i nervi sossopra. Intesi fra gli altri il mugnaio, il quale si lamentava che a bordo d'un piroscafo come quello si permettesse ai passeggieri di salire sopra coperta in pantofole; e accennava con gli occhi il prete napoletano, che strascicava coi piedi due vere gondole di Venezia, con cui giungeva alle spalle della gente inaspettato, come uno spettro: ciò che indispettiva più d'uno. L'impudenza di quel rinnegato mangiafarina mi fece voltar le spalle a tutta quell'uggiosa compagnia. E me n'andai a prua.
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A una buona e umile figliola rimasta orfana potrete dare una scossa benefica facendole capire che sua madre soffrirebbe di vederla così abbattuta; un'altra, più ribelle, prenderebbe forse quest'adattamento per una forma d'egoismo. Meglio è dunque astenersi per non sbagliare. Anche le congratulazioni e gli auguri, per fortuna, non devono oltrepassare la pagina. La gioia rende un po'egoisti, e si corrererebbe il rischio, diffondendo troppo i nostri rallegramenti, di non essere neppur letti; quanto agli auguri, sono così esosi, che la spontaneità difficilmente s'accompagna con essi. Si finisce sempre col cadere nelle solite frasi fritte e rifritte e con l'immaginare, co'nostri"cento di questi giorni", una vita di poco men che dugent'anni. Per non essere ridicole, scrivete poche parole e buone; anzi è l'unico caso, questo, in cui sarei tentata di consigliarvi quelle comode cartoline illustrate che, però, vorrei escluse in altre occasioni. Quanti soldi sprecati ha sulla coscienza il loro inventore! La stessa parsimonia di frasi vi raccomando negl'inviti, e non troppa insistenza:chi vuol accettare non ha bisogno d'esser forzato. Siate anche brevi nell'accompagnare un dono, della cui pochezza vi scuserete, mostrando la vostra riconoscenza per il piacere che si fa con l'accettarlo. Ma abbandonatevi pure alla foga del cuore commosso, ringraziando chi v'ha fatto cosa grata, o v'ha dimostrato tenerezza e premura cortese. Dovrete sempre mantene l'umiltà, figliole mie:questa bella virtù v'aiuterà a trovar bellezza e bontà in ciò che vi si dona, in ciò che si fa per voi. Così, rivolgendovi per una domanda o un piacere a un vostro superiore, fatevi perdonare l'arditezza con una forma umile e cortese:"Permetta ch'io Le chieda un favore. . . ; Voglia scusare la libertà ch'io mi prendo. . . "Questa gentilezza non sarà soverchia neppure trattando con vostre pari:si deve pregare d'un piacere, non esigerlo, neppure fra intimi. E, soprattutto, scrivendo qualunque lettera, o familiare, o di raccomandazione, o di ringraziamento, o di cortesia, usate semplicità, chiarezza, spontaneità; scrivete come parlate, quando parlate bene, come se aveste lì davanti la persona, intima o di rispetto, a cui scrivete. Non frasi affettate, non ricercatezza di modi, non tentativi d'originalità o inutile sfoggio di cultura: urtereste la persona che deve rassegnarsi a leggere. Dimenticate voi stesse, nello scrivere, come nel parlare. E questo momentaneo sacrifizio tornerà a vostro vantaggio; perchè in esso è il segreto per ispirar simpatia e benevolenza. Come nel vestire la ricercatezza è contraria all'eleganza e al buon gusto, così nello scrivere i fronzoli vani sono nemici della finezza. I caratteri esterni devono corrispondere al contenuto della lettera:semplicità e chiarezza. Non vi consiglio, dunque, di sforzarvi d'alterare la vostra scrittura per seguire la falsariga della moda, e nemmeno di posare a superdonne, trascurando l'esteriorità dello scrivere, come se una bella calligrafia fosse soltanto la caratteristica dei cretini. C'è qualcuno che, dopo aver empito la pagina con cinque parole, la ricopre di righe trasversali, che formano una rete indecifrabile:pietà degli occhi e della pazienza umana! Tal sistema, secondo me, è non solo mancanza d'educazione, ma anche sciattezza. Marginatura in alto e di fianco, poca; non s'usa più neppure nelle lettere di rispetto. La carta sia, come il contenuto e la scrittura, semplice, senza esagerazione ne'colori e nel formato, senza fiorellini o piccole vedute nell'angolo; una sfumatura crema o grigio o viola pallido non nocerà, e per guarnizione basterà, tutt'al più il monogramma.
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. ✓ Gli applausi a scena aperta vanno centellinati: il teatro non è cabaret, esiste una quarta parete invisibile, quella tra gli attori e gli spettatori, che non deve essere abbattuta se non a conclusione del lavoro. Gli applausi tolgono concentrazione, interrompono il fluire del dialogo e impediscono agli altri di sentire. ✓ A parte qualche rara occasione, come la prima della stagione operistica e qualche concerto particolarmente importante, andare a teatro non è un evento mondano, ma un piacere personale. Evitate di sfoggiare mise da sera eccessive. ✓ Purtroppo può capitare che ci siano errori nella distribuzione dei biglietti e trovare qualcuno seduto sulla vostra poltroncina. Non perdete la calma, fate notare l'incidente alla maschera e aspettate che il personale del teatro vi offra una soluzione soddisfacente. ✓ Se siete voi seduti, almeno per cortesia, se si tratta soprattutto di persone anziane, proponete loro di sedersi. Sarete voi a spostarvi da un'altra parte. ✓ Lasciate sempre una buona mancia al personale che vi accompagna a sedere. Spesso il loro vero guadagno, oltre che dal godersi gli spettacoli, viene da lì. ✓ Non ci si alza fino a che la rappresentazione non è conclusa, né all'intervallo anticipando tutti per evitare la calca al bar o in bagno, né alla fine, disturbando gli altri e rovinando il finale mentre ci si infila il cappotto e si ostruisce la vista lungo il corridoio. ✓ Se si tratta di un concerto di musica classica, la consegna del silenzio è, per ovvi motivi, ancora più rigorosa.
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scrisse un fante, a grandi lettere, sul muro a mezzo rovinato di una casa abbattuta dal cannone. Gli Austriaci furono ricacciati al di là del
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Uscito di casa con la ferma intenzione di non recarsi dal sarto, Cuddu aveva errato un po' per vicoli e vicoletti, fermandosi davanti a una bottega di fabbro ferraio, dove allestivano vomeri facendo schizzare scintille sotto i colpi dei martelli battuti in cadenza; fermandosi, più in là, a osservare lo scavo delle fondamenta di una casa di cui era stata abbattuta la facciata pericolante, da lui, giorni addietro, vista puntellata con grossi legni che pareva la sostenessero a stento. Un manovale, riconosciutolo, gli aveva detto, ammiccando al vestito: - Oggi sembri uno sposino! E Cuddu si era allontanato aggrottando le sopracciglia, senza risponder nulla, quasi temendo che qualcuno potesse soggiungere: - Perché non vai dal tuo principale? Come si fosse trovato in piena campagna per quella viottola che scendeva rapida tra due siepi di roveti, con quelle rocce che apparivano là in fondo minacciose, non avrebbe saputo dirlo nemmeno lui. Era un po' spaurito del gran silenzio attorno, e di quel posto selvaggio dove non aveva incontrato anima viva; eppure scendeva in fretta per la viottola scoscesa, ansioso di vedere dove lo avrebbe condotto. Di tratto in tratto si arrestava ripensando la minaccia di sua madre: - Più tardi verrò a vedere! - e scrollava la testa e faceva spallucciate, quasi rispondesse a qualcuno che gli veniva parlando, invisibile, a lato. Ma riprendeva sùbito a scendere, impaziente di arrivare laggiù, dove la vallata già si mostrava circondata da rocce, lieto che colà nessuno avrebbe potuto rimproverargli: - Perché non sei andato dal tuo principale? La viottola si perdeva tra i cespugli che coprivano il terreno. Qua e là grossi alberi di ulivi si rizzavano solitari sui ciglioni; e il terreno si avvallava sempre più, e le rocce apparivano più minacciose, con buche di dove scappavano palombi selvatici, mulacchie e falchetti che squittivano librandosi su le ali, roteando e tornando a librarsi da sembrar fermi per aria.
Sta per essere abbattuta, quand'ecco Milena nella stanza. Milena appartiene alla Società protettrice degli animali; non sopporta che si maltrattino le bestie. - Nemmeno quelle brutte e inutili come il pipistrello? - domanda Nino. - Nemmeno quelle brutte e inutili, ma il pipistrello non è inutile. Distrugge gli insetti nocivi all'agricoltura. La femmina poi è una madre amorosa; porta sempre con sè i suoi piccolini e mentre vola in cerca di cibo, li allatta. Inutile dire che il pipistrello è messo fuori dolcemente dalla stanza e lasciato al suo destino.
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Rossella la fissò nel buio, troppo stanca per insultarla, troppo abbattuta per rimproverarla, per numerare i torti di Prissy: l'essersi vantata di un'esperienza che non aveva, e poi i suoi terrori, la sua goffaggine, la sua inutilità nel momento piú grave, il suo perder le forbici proprio quando servivano, l'aver versato un catino d'acqua sul letto, l'aver lasciato cadere il bimbo appena nato. E ora veniva anche a dire che erano state brave! E gli yankees che volevano liberare i negri! Si appoggiò alla colonna senza parlare e Prissy, accorgendosi del suo umore, tornò in punta di piedi nell'oscurità del porticato. Dopo un lungo intervallo durante il quale il suo respiro finalmente si tranquillizzò, Rossella udí un rumore confuso di voci nella strada e lo scalpiccio di molti piedi. Soldati! Si drizzò lentamente, riabbassò le gonne, benché sapesse che nel buio nessuno poteva vederla. Quando giunsero dinanzi alla casa, ombre indistinte, di cui non si comprendeva il numero, ella chiamò. Una figura uscí dalla massa e si avvicinò al cancello. - Andate via? Ci lasciate? Le parve che l'ombra si togliesse il cappello; quindi una voce tranquilla rispose. - Sí, signora. Siamo gli ultimi uomini che erano nelle fortificazioni, a un miglio da qui. - Siete... Si ritira davvero l'esercito? - Sí, signora. Gli yankees stanno per arrivare. Gli yankees arrivavano! Se n'era dimenticata. La sua gola si contrasse ed ella non poté dire altro. L'ombra si mosse, si mescolò alle altre, lo scalpiccio si allontanò nell'oscurità. «Arrivano gli yankees! Arrivano gli yankees!» Era il ritmo che il suo cuore accompagnava con ogni battito. - Yankees arrivare! - schiamazzò Prissy balzandole accanto. - Oh, miss Rossella, ci ammazzeranno! Infilare loro baionette nella nostra pancia! - Taci! - Era già abbastanza terrorizzante pensare a queste cose, senza che vi fosse bisogno di esprimerle in parole. Lo spavento la invase di nuovo. Che fare? Dove fuggire? Chi potrebbe aiutarla? A un tratto le risovvenne Rhett Butler. Perché non aveva pensato a lui stamattina? Lo odiava, ma era un uomo forte e non aveva paura degli yankees. Ed era ancora in città. Certo, il loro ultimo colloquio era stato violento... Ma in questo momento, si poteva dimenticare ogni cosa. Ed egli aveva anche un cavallo e una carrozza. Potrebbe portarla via da quel luogo, lontana dagli yankees, in un luogo qualsiasi. Si volse a Prissy e le parlò febbrilmente. - Tu 'sai dove abita il capitano Butler... all'Albergo Atlanta? - Sí, badrona, ma... - Corri subito da lui e digli che ho bisogno che venga qui immediatamente, con la carrozza o un'ambulanza, se è possibile averla. Digli del bambino. Digli che voglio che ci porti via da qui. Corri, presto! - Dio benedetto, miss Rossella! Io aver paura di andare sola, al buio! Se gli yankees mi prendono...? - Se corri in fretta, raggiungi quei soldati che sono passati adesso, e loro non ti lasceranno prendere dagli yankees. Presto! - Io paura. E se capitano non essere in albergo? - Domanderai dov'è. Non sei capace? Se non è all'albergo, vai allo spaccio di via Decatur e domanda di lui. Vai a casa di Bella Watling. Cercalo. Ma non capisci, scema, che se non corri a cercarlo, gli yankees ci prenderanno davvero tutte quante? - Mamma mi picchierebbe se sapere che io andare in uno spaccio o in casa di quelle donne. Rossella le diede uno spintone. - Se non vai, te la faccio pagare. Non puoi metterti fuori a chiamarlo? O chiedere a qualcuno se c'è? Avanti, via! Vedendo che Prissy esitava ancora agitando i piedi e borbottando, Rossella le diede un altro spintone che la mandò quasi a cadere lunga distesa sui gradini. - Se non vai, ti venderò e non vedrai mai piú tua madre e nessuno di quelli che conosci. E ti venderò per lavorare nei campi, per di piú! Corri! - Dio mio, miss Rossella... Ma sotto la spinta decisa della mano della sua padrona, discese i gradini della breve scalinata. Il cancello si aperse e Rossella gridò: - Corri, oca! Udí il calpestio dei piedi di Prissy mutarsi in un passo di corsa che si allontanò sul terreno soffice.
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Rossella sedette sulla colonna, troppo abbattuta per proseguire. Questa desolazione la colpiva piú di tutto il resto. Era l'orgoglio dei Wilkes polverizzato, la fine della casa ospitale ove era sempre stata la benvenuta, la casa di cui nei suoi futili sogni aveva aspirato ad essere la padrona. Qui ella aveva ballato, pranzato e civettato; e qui, col cuore geloso e ferito, aveva osservato Melania che sorrideva ad Ashley; qui, nelle fresche ombre delle querce, Carlo Hamilton le aveva stretto la mano con gioia quando ella aveva accettato di sposarlo. «Oh, Ashley!» pensò. «Spero che siate morto. Non potrei sopportare che voi doveste vedere questo.» Ashley si era sposato qui; ma suo figlio e il figlio di suo figlio non porterebbero mai la loro sposa in questa casa. Non vi sarebbero piú unioni e nascite sotto il tetto che lei pure aveva amato e che aveva sognato di dirigere. La casa era morta e, per Rossella, era come se anche tutti i Wilkes fossero morti nelle sue ceneri. - Non voglio pensarvi adesso. Non posso sopportarla; vi penserò piú tardi, - disse ad alta voce volgendo gli occhi altrove. Per giungere all'orto, zoppicò attorno alle rovine, passando vicino all'aiuola di rose che le ragazze Wilkes avevano tanto curato; attraversò il cortile posteriore e calpestò le ceneri della dispensa, delle tettoie e dei pollai. La palizzata intorno all'orto era stata divelta e le file, un tempo cosí ordinate, delle piante avevano subíto lo stesso trattamento di quelle di Tara. La terra morbida era piena di impronte di zoccoli, di solchi di ruote pesanti; e i legumi erano stati distrutti e calpestati. Non vi era nulla da raccogliere. Riattraversò il cortile e si incamminò per il sentiero verso la fila silenziosa di baracche imbiancate a calce: il quartiere degli schiavi; emise un - Hello! - ma nessuna voce le rispose. Neanche l'abbaiare di un cane. Evidentemente i negri di Wilkes avevano preso la fuga o avevano seguito gli yankees. Sapeva che ogni schiavo aveva il proprio minuscolo orto e sperò che almeno questi fossero stati risparmiati. La sua ricerca fu ricompensata; ma ella era troppo stanca per rallegrarsi alla vista delle rape e dei cavoli, un po' afflosciati per la mancanza d'acqua ma non ancora disseccati, e dei fagioli ingialliti ma ancora mangiabili. Sedette in un solco e cominciò a scavare la terra riempiendo lentamente il suo cesto. Stasera si mangerà bene a Tara, malgrado la mancanza di un po' di carne da far bollire coi legumi. Forse si potrà adoperare come condimento un po' del grasso che Dilcey usa per l'illuminazione. Bisognerà ricordarsi di dire a Dilcey che adoperi per quest'uso la resina dei pini e risparmi il grasso per cucinare. Accanto alla soglia di una capanna trovò una fila di ramolacci; subitamente provò lo stimolo della fame. Senza neanche nettarla dal terriccio, addentò avidamente una radice dal gusto asprigno, e la inghiottí in fretta. Era cosí forte che le fece venir le lagrime. Ma il suo stomaco vuoto si ribellò a quel cibo; coricata nel terreno molle, ella rigettò faticosamente. Il fetore di negro che proveniva dalla capanna aumentava la sua nausea; senza forza per combatterla, ella continuò a recere, mentre le capanne e gli alberi pareva danzassero una sarabanda attorno a lei. Rimase a lungo coricata sul suolo, come se fosse in un soffice letto; la sua mente vagolava qua e là debolmente. Era proprio lei, Rossella O'Hara, sdraiata a terra dietro alla capanna di un negro, in mezzo alle rovine, senza forza per muoversi; e nessuno al mondo lo sapeva o se ne curava. Lei che non si era mai chinata a raccogliere un fazzoletto o a togliersi le calze... lei, che per un piccolo mal di capo si era sempre fatta accarezzare e consolare... Era lí prostrata; troppo debole per scacciare i ricordi e le preoccupazioni che ora l'assalivano in folla. Non aveva piú la forza di dire: - Penserò alla mamma, al babbo, ad Ashley piú tardi... quando potrò sopportarlo. - Non poteva sopportarlo, adesso; eppure era costretta a pensarvi. E rimase a lungo sotto il sole scottante, ricordando cose e persone morte, ricordando un modo di vivere finito per sempre... e guardando verso il triste e cupo avvenire. Quando si rialzò e vide nuovamente le rovine delle Dodici Querce, le parve che gioventú e bellezza l'avessero abbandonata per sempre. Il passato era passato. I morti erano morti. La beata indolenza di altri tempi era sparita e non tornerebbe piú. Impossibile indietreggiare: bisognava andare avanti. Per cinquant'anni negli Stati del Sud vi sarebbero donne desolate che guarderebbero indietro; che rievocherebbero i loro morti e i ricordi della vita trascorsa, sopportando orgogliosamente la povertà, perché ricche di memorie. Ma Rossella non guarderebbe mai piú indietro. Fissò le pietre annerite e per l'ultima volta rivide le Dodici Querce com'erano una volta, simbolo di una razza e di un sistema di vita. Poi riprese la strada verso Tara, col cestino pesante che le affaticava il braccio. La fame le torturava nuovamente lo stomaco vuoto, ed ella disse ad alta voce: - Dio mi è testimone che gli yankees non mi abbatteranno. Supererò questo; e quando sarà passato, non soffrirò mai piú la fame. Né io né i miei. Dovessi rubare o uccidere... Dio mi è testimone che non soffrirò la fame mai piú.
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Il rumore delle sciabole e degli zoccoli le diede scarso sollievo ed ella si sentí improvvisamente stanca ed abbattuta, mentre la pattuglia percorreva il viale, tutti gli uomini carichi di oggetti di vestiario, coperte, quadri, galline ed anatre; e la scrofa. Alle sue narici giunse un odore di fumo ed ella si volse, troppo stanca per preoccuparsi del cotone. Attraverso le finestre aperte della sala da pranzo vide il fumo alzarsi pigramente dalle capanne dei negri. Era il cotone che ardeva. Il denaro delle tasse e parte del denaro che doveva aiutarli a trascorrere quel terribile inverno. Non vi era nulla da fare: solo guardare. Aveva visto altre volte ardere del cotone, e sapeva com'era difficile spegnerlo, anche con l'aiuto di parecchi uomini. Grazie a Dio, il quartiere degli schiavi era abbastanza lontano dalla casa! E non vi era vento che portasse le scintille sul tetto di Tara! A un tratto balzò in piedi irrigidita, fissando con orrore l'estremità del vestibolo, dove sboccava il passaggio coperto che conduceva alla cucina. Da quella parte veniva del fumo! Posò un attimo il bambino. Si liberò dalla stretta di Wade, balzò nella cucina piena di fumo, indietreggiò tossendo, con gli occhi pieni di lagrime. Entrò di nuovo, tenendosi la gonna contro il naso: la stanza, illuminata solo da una finestrella, era quasi buia; il fumo era talmente denso che non si vedeva nulla attraverso. Però udiva il crepitio delle fiamme, e cercando di ripararsi gli occhi con la mano, scorse sottili lingue di fiamme che dal pavimento correvano verso le pareti. Qualcuno aveva sparso per la stanza i pezzi di legno che ardevano nel focolare, e il pavimento di legno di pino si stava bruciando rapidamente. Tornò di corsa nella sala da pranzo e afferrò un grosso tappeto, facendo cadere con fracasso due sedie. - Non riuscirò a spegnerlo... Dio, Dio se ci fosse qualcuno per aiutarmi! Tara è finita... finita! Dio, Dio! - Ecco che cos'era il ricordo che le aveva lasciato quel farabutto... - Avrei fatto meglio a lasciargli la spada! Riattraversando il vestibolo vide suo figlio giacente nell'angolo con la sua spada: aveva gli occhi chiusi e il suo visino aveva un'espressione di pace indicibile. «Dio mio! È morto! Morto di paura!» pensò con angoscia. Ma balzò al secchio d'acqua che era sempre nel corridoio. Immerse nell'acqua l'estremità del tappeto e trattenendo il respiro penetrò nuovamente nella stanza piena di fumo, sbattendo la porta dietro di sé. Due volte le sue lunghe gonnelle presero fuoco, ed ella spense le fiamme stringendole tra le mani. Sentiva l'odore dei suoi capelli che ardevano, perché le forcine erano cadute e le trecce le ondeggiavano sulle spalle. Le fiamme correvano intorno a lei, verso i muri del passaggio coperto, serpenti rossi che si contorcevano e balzavano; vinta dall'esaurimento, comprese che non vi era piú speranza. L'uscio si spalancò e il soffio d'aria fece balzare le fiamme piú in alto. Mezza accecata, Rossella vide Melania che calpestava le fiamme, le batteva con qualche cosa di oscuro e di pesante. La vide vacillare, la sentí tossire, vide il suo corpicino agitarsi. Per un'altra eternità lottarono, fianco a fianco; e Rossella vide che le strisce di fiamma diventavano piú brevi. A un tratto Melania si volse verso di lei e con un grido la percosse violentemente tra le spalle. Poi Rossella cadde in un vortice di fumo e di oscurità. Quando riaperse gli occhi, era coricata nel porticato posteriore, col capo posato sulle ginocchia di Melania; sul suo volto brillava il sole pomeridiano. Le capanne degli schiavi erano avvolte in dense nuvole di fumo e l'odore del cotone che bruciava era intollerabile. Rossella vide nuvolette di fumo levarsi anche dalla cucina e fece per alzarsi freneticamente. Ma fu respinta dalla voce tranquilla di Melania. - Resta coricata, cara. Il fuoco è spento. Rimase quieta per un momento, sospirando di sollievo, con gli occhi chiusi, e udí accanto a sé il gemito sottile del piccino e il rassicurante singulto di Wade. Non era morto, grazie a Dio! Aperse gli occhi e guardò Melania. Aveva i riccioli abbruciacchiati e il viso nero di fuliggine, ma i suoi occhi brillavano di eccitazione e la bocca sorrideva. - Sembri una negra - mormorò Rossella riappoggiando il capo sul morbido guanciale. - E tu, uno spazzacamino. - Perché mi hai battuta? - Perché avevi il dorso in fiamme. Non pensavo che saresti svenuta, benché oggi tu ne abbia sopportate abbastanza da far morire chiunque... Sono tornata indietro appena ho messo tutto in salvo nel bosco. Mi sentivo morire, sapendoti sola qui col piccolo... Ti... ti hanno fatto male? - Se intendi che mi abbiano violentata, posso assicurarti di no. - Ed emise un gemito mentre tentava di sollevarsi a sedere. Il grembo di Melania era morbido, ma il pavimento del porticato era tutt'altro che comodo. - Ma hanno rubato tutto, tutto. Abbiamo perduto tutto... Ma perché hai quell'aria contenta? - Perché ci siamo ancora noi, una per l'altra, e abbiamo i nostri bimbi... e un tetto. E nessuno al giorno d'oggi può sperare di aver di piú... Dio mio, Beau è bagnato! Immagino che avranno rubato anche i suoi pannolini di ricambio... Ma... che diamine c'è nelle sue fasce, Rossella? Spaventata, ficcò la mano tra le fasce del piccolo e trasse il portafogli. Per un attimo lo guardò come se non lo avesse mai visto; poi cominciò a ridere, a ridere di un riso isterico. - Nessun altro sarebbe stato capace di pensarlo! - esclamò; e gettando le braccia al collo di Rossella la baciò. - Sei un vero tesoro! Rossella si lasciò abbracciare perché era troppo stanca per lottare; perché le parole di lode erano un balsamo per il suo cuore e perché, nella cucina piena di fumo, aveva provato un immenso rispetto per sua cognata, e uno stretto senso di cameratismo. «Bisogna ammettere» disse fra sé rimuginando «che è sempre presente quando c'è bisogno di lei.»
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E Carolene era troppo abbattuta dal dolore e dall'offesa per quel tradimento di Ashley per intervenire. Alla fine, Ashley aperse i suoi malinconici occhi grigi e guardò la folla. Dopo una pausa incontrò lo sguardo di Will e disse: - Qualcuno dei presenti desidera dire poche parole? La signora Tarleton si agitò nervosamente; ma prima che avesse potuto aprir bocca, Will fece un passo avanti e cominciò a parlare. - Amici - cominciò con la sua voce incolore - forse vi sembrerà una pretensione la mia di voler parlare del signor O'Hara... parlarne io che lo conoscevo soltanto da un anno, mentre tutti voi eravate suoi amici da oltre vent'anni. Ma ecco la mia giustificazione: se egli avesse vissuto un altro mese, avrei avuto il diritto di chiamarlo «babbo». Un fremito di stupore serpeggiò tra la folla. Tutti erano troppo bene educati per mormorare; ma si drizzarono in punta di piedi per guardare il capo chino di Carolene. Tutti sapevano la cieca devozione di Will per lei. Vedendo la direzione di tutti gli sguardi, Will riprese, come se non si fosse accorto di nulla. - Avendo l'intenzione di sposare la signorina Súsele O'Hara appena giungerà il sacerdote che abbiamo chiamato da Atlanta, ho ritenuto che questo mi desse il diritto di parlare per primo. Le sue ultime parole andarono perdute fra il mormorio che venne dalla folla, simile al ronzare di un alveare disturbato. Tutti erano indignati e delusi perché volevano bene a Will e lo rispettavano per quello che aveva fatto per Tara; e tutti sapevano che egli amava Carolene; sicché la notizia che egli sposava quella perfida e antipatica Súsele fu come un fulmine per il vicinato. Fu un momento di tremenda tensione. Gli occhi della signora Tarleton fiammeggiarono e le sue labbra si agitarono in parole inespresse. Nel silenzio si udí la voce del vecchio McRae che supplicava suo nipote di dirgli che cosa era stato annunciato. Will li guardò tutti; il suo viso era dolce ma nei suoi occhi azzurri era qualche cosa che li ammoní a non pronunciar parola contro la sua fidanzata. Per un attimo la bilancia oscillò tra la simpatia che tutti nutrivano per Will e il disprezzo per Súsele. Ma Will vinse. E continuò come se la sua interruzione fosse stata una pausa naturale del discorso. - Non ho conosciuto il signor O'Hara nella sua giovinezza come tutti voialtri. Personalmente l'ho conosciuto come un brav'uomo un po' svanito; ma voi tutti mi avete detto com'era prima. E desidero affermare questo: egli era un irlandese bellicoso e in pari tempo un gentiluomo del Sud; e il piú leale confederato che sia mai esistito. E non vedremo mai piú uomini come lui, perché i tempi sono mutati. Egli era nato in paese straniero; ma l'uomo cui oggi diamo sepoltura era piú georgiano di tutti noi. Amava la nostra vita e la nostra terra; e se ci pensate bene, riconoscerete che è morto per la nostra Causa come i soldati. Era uno di noi; aveva le nostre qualità e i nostri difetti, la nostra forza e le nostre debolezze. Fra le nostre qualità aveva queste: nulla poteva fermarlo quando si metteva in mente di fare una cosa; e non aveva paura di nessun nato di donna. Nulla di ciò che veniva dall'esterno poteva abbatterlo. Non ebbe paura degli inglesi quando il loro governo voleva impiccarlo. Si limitò ad andarsene di casa. E quando giunse in questo paese era povero, ma la povertà non lo sgomentò. Lavorò e guadagnò. E venne in questa regione senza timore, quando essa era ancora selvaggia; e in questo luogo inospite creò una grande piantagione. Né ebbe paura quando venne la guerra e il suo denaro cominciò a dileguare; né quando vennero gli yankees e minacciarono di incendiare Tara e di ucciderlo. Rimase dritto in piedi a guardarli in faccia. Perciò vi dico che ciò che veniva dall'esterno non poteva abbatterlo. E questa è una nostra qualità. Ma egli aveva anche una nostra debolezza: la possibilità di essere abbattuto da qualche cosa che proveniva dall'interno. Quando morí la signora O'Hara, anche il cuore di suo marito morí; ed egli non si rialzò piú. E colui che vedevamo camminare non era lui. Will si interruppe; i suoi occhi girarono a guardare gli ascoltatori. La folla sembrava incantata; ogni rancore verso Súsele era dimenticato. Lo sguardo di Will si posò un istante su Rossella come per darle coraggio. E Rossella provò veramente un senso di conforto perché Will parlava con buon senso, invece di ripetere i soliti luoghi comuni sul mondo migliore e sulla rassegnazione alla volontà di Dio. - Noi tutti siamo come lui. Nulla può sopraffarci, come nulla ha potuto sopraffare lui: né yankees né «Carpetbaggers» né i tempi difficili né la miseria. Ma la debolezza che è nei nostri cuori può sopraffarci in un batter d'occhi. Non è soltanto la perdita di un essere caro, com'è stato nel caso del signor O'Hara. Ciascuno ha una molla diversa; ma voglio dirvi questo: per coloro la cui molla non funziona, è meglio esser morti; nel mondo d'oggi non vi è posto per loro. E vi dico ancora una cosa: che oggi non dovete affliggervi per il signor O'Hara. Ora il suo corpo è andato a raggiungere il suo cuore; quindi non vi è ragione di piangerlo, a meno di non essere egoisti... Ve lo dico io, che gli volevo bene come se fosse mio padre... Credo che non vi sia altro da dire. La famiglia è troppo depressa per ascoltare altre parole che non darebbero loro alcun conforto. Quindi si volse alla signora Tarleton e le disse sommessamente: - Vi dispiacerebbe, signora, accompagnare in casa Rossella? Non le fa bene rimanere tanto tempo in piedi e per di piú al sole. E, salvo il dovuto rispetto, consiglierei lo stesso alla nonna Fontaine. Rossella arrossí e tutti gli sguardi si volsero a lei. Ma perché Will faceva quella specie di pubblicità alla sua gravidanza? Gli lanciò un'occhiata piena di vergogna e d'indignazione; ma lo sguardo di Will sembrò risponderle senza turbarsi: «Vi prego, ubbidite... Io so quello che faccio». Era già il capo della famiglia; e volendo evitare scenate, Rossella si volse alla signora Tarleton. Questa, immediatamente distolta dal pensiero di Súsele - come Will aveva preveduto - dal fatto di una nuova nascita, sempre affascinante per lei, fosse umana o animale, prese il braccio di Rossella. - Vieni in casa, cara. Aveva un'espressione di affettuoso interessamento e Rossella si lasciò condurre atttraverso la folla che si aperse per lasciarla passare. Vi fu un mormorio di simpatia e parecchie mani si tesero ad accarezzarla. Quando giunse dinanzi alla nonna Fontaine, questa avanzò il mento e disse: - Dammi il braccio, bambina - e poi soggiunse guardando fieramente la nuora e Sally: - No, voialtre non venite. Non ho bisogno di voi. - Ma perché Will ha fatto questo?! - gridò Rossella appena furono fuori portata d'udito. - È come se avesse detto a tutti: «Guardatela! Aspetta un bambino!» - E non è forse vero? - ribatté la signora Tarleton. - Will ha fatto benissimo. Era una pazzia per te rimanere lí al sole a rischio di cadere svenuta e magari provocare un aborto. - Will non ha affatto pensato a questo - interloquí la nonna, un po' ansimante mentre si avviava verso i gradini. Sul suo volto era un sorriso arcigno. - Soltanto non voleva che rimanessimo accanto alla tomba né io né voi, Beatrice. Temeva ciò che avremmo potuto dire; e sapeva che questo era il solo mezzo per liberarsi di noi... E poi non voleva che Rossella udisse le palate di terra sulla bara. Ha fatto bene. Ricorda, Rossella, che finché non senti quel rumore tremendo, le persone non sono veramente morte... È il rumore piú terribile del mondo... Aiutami a salire i gradini, bambina; e voi, Beatrice, datemi una mano. Rossella non ha bisogno del vostro braccio... Will sa che tu eri la beniamina di tuo padre e non ha voluto rendere anche peggiore la tua sofferenza. Per le tue sorelle è piú facile. Súsele ha la sua onta per sostenerla, e Carolene il suo Dio. Ma tu non hai nulla, non è vero, bambina? - No - rispose Rossella aiutandola a salire i gradini, un po' sorpresa della verità che la vecchia voce aveva pronunciata. - Non ho mai avuto nulla che mi sostenesse... eccetto la mamma. - Ma quando l'hai perduta, hai trovato che potevi anche vivere sola, non è vero? Ebbene, alcune persone non possono. Tuo padre era uno di questi. Will ha avuto ragione. Non addolorarti. Egli non poteva esistere senza Elena; ed ora, dove si trova, è piú felice. Come io sarò felice quando raggiungerò il vecchio dottore. Parlava naturalmente come se suo marito fosse vivo e si fosse recato a Jonesboro, dove una breve corsa in carrozza le avrebbe permesso di ritrovarlo. La nonna era troppo vecchia e aveva visto troppe cose per temere la morte. - Ma... anche voi potete vivere sola - replicò Rossella. - Sí; ma a volte si prova non poca difficoltà. - Non dovreste parlare cosí a Rossella, nonna - interruppe la signora Tarleton. - È già abbastanza sconvolta. Col viaggio da Atlanta, quell'abito stretto, il caldo e il dispiacere, ce n'è abbastanza per abortire senza che anche voi aggiungiate alla misura venendo a discorrere di dolori e di guai. - Per la camicia di Giove! - esclamò Rossella irritata. - Non sono affatto sconvolta! E non sono una di quelle stupidine che abortiscono per nulla! - Non si può mai dire - ribatté la signora Tarleton onnisciente. - Io abortii del mio primo vedendo un toro che inseguiva uno dei nostri negri; e... ti ricordi la mia giumenta Nellie? Era la piú sana e robusta che si potesse vedere; ma era nervosissima; e se io non fossi stata attenta... - Smettetela, Beatrice - interruppe la nonna. - Rossella non è tipo da abortire. Sediamoci qui nel vestibolo dove fa fresco; c'è un po' di corrente. E voi, Beatrice, andate in cucina a vedere se c'è un bicchiere di siero. Oppure guardate in dispensa se vi fosse un po' di vino. Staremo qui ad aspettare che tutti vengano ad accommiatarsi. - Rossella dovrebbe andare a letto - insisté la signora Tarleton. - Suvvia, sbrigatevi. - E la nonna le diede un colpetto col suo bastone. La signora Tarleton si avviò verso la cucina gettando il suo cappello sulla credenza e lisciandosi i capelli con le mani. Rossella si appoggiò alla spalliera della sedia e sbottonò i due primi bottoni del corpetto. Si stava bene, nell'alto vestibolo; il soffio d'aria fresca e fragrante che penetrava dalla porta posteriore era piacevole dopo il sole ardente. Guardò attraverso il vestibolo nel salotto dov'era stata la salma di Geraldo e distogliendo il pensiero da lui alzò gli occhi al ritratto della nonna Robillard che, con la sua pettinatura alta, il seno largamente esposto e la sua fredda insolenza, aveva sempre sopra di lei un effetto tonico. - Non so che cosa ha colpito di piú Beatrice, se la perdita dei suoi figli o quella dei suoi cavalli - cominciò la nonna Fontaine. Come sai, non si è mai occupata molto di Giacomo né delle ragazze. È una di quelle persone di cui parlava dianzi Will: la sua molla non funziona. A volte penso che finirà ad essere com'era tuo padre... La sola cosa che le ha dato gioia è stata la venuta al mondo di esseri umani o di animali; e nessuna delle sue figlie si è sposata né ha probabilità di farlo; quindi ella non ha nulla che occupi la sua mente. Se non fosse una vera signora, si lascerebbe andare... Will ti ha detto la verità sul suo fidanzamento con Súsele? Sí - rispose Rossella fissando la vecchia signora negli occhi. Era passato il tempo in cui la nonna Fontaine le faceva paura! E ora si sentiva anche disposta a dirle che andasse al diavolo, se quella voleva immischiarsi negli affari di Tara. - Poteva trovare di meglio - riprese la vecchia candidamente. - Davvero? - fece Rossella con alterigia. - Non darti tante arie, madamigella - ammoní aspramente la nonna Fontaine. - Non ho nessuna intenzione di attaccare la tua preziosa sorella; cosa che avrei fatto se fossi rimasta alla sepoltura. Voglio dire soltanto che con la scarsità di uomini nel nostro paese, Will avrebbe potuto sposare chiunque. Vi erano le quattro Tarleton, le Munroe, le McRae.... - Invece sposerà Súsele; e questo è quanto. - È una fortuna per lei! - È una fortuna per Tara. - Tu ami questo luogo, non è vero? - Sí. - E perciò non t'importa che tua sorella sposi uno che non è della sua classe, purché vi sia un uomo che si occupi di Tara? - La sua classe? E che importa la classe al giorno d'oggi, quando una ragazza trova un marito che può aver cura di lei? - Questo è discutibile. Alcuni direbbero che tu parli con buon senso. Altri direbbero che tu distruggi delle barriere che non avrebbero mai dovuto essere abbassate di un centimetro... Certamente Will non è dell'aristocrazia, mentre alcune persone della tua famiglia vi hanno appartenuto. I suoi occhi penetranti corsero al ritratto della nonna Robillard. Rossella pensò a Will, scarno, incolore, dolce, con la sua eterna pagliuzza in bocca, il suo aspetto completamente privo di energia, come la maggior parte dei «crackers». Certo non aveva dietro di sé una lunga fila di antenati dotati di ricchezza, di autorità, di aristocrazia. Il primo della sua famiglia che aveva messo piede sul suolo di Georgia era stato probabilmente un bancarottiere o un servo. Will non era stato in collegio; come istruzione non aveva avuto che quattro anni di scuola rurale. Però era onesto e leale, paziente e lavoratore. Ma non era un signore; e secondo le idee dei Robillard, Súsele faceva un matrimonio al disotto della sua condizione. - Dunque tu approvi l'entrata di Will nella tua famiglia? - Sí - rispose Rossella brutalmente, pronta a rispondere male alla vecchia signora alla prima parola di biasimo. - Dammi un bacio - disse invece con suo stupore la nonna, sorridendo con approvazione. - Non ti ho mai voluto bene come adesso, Rossella. Sei sempre stata aspra, anche da bambina, e a me non piacciono le donne aspre; dato che sono abbastanza dura anch'io. Ma mi piace il tuo modo di affrontare le cose. Non perdi il tempo in lamentele quando una cosa non si può evitare, anche se è sgradevole. Salti gli ostacoli coraggiosamente come un buon cavallerizzo. Rossella sorrise incerta e baciò ubbidiente la guancia grinzosa che le si presentava. Era piacevole udire delle parole di approvazione, anche se il loro significato era un po' oscuro. - Molta gente troverà da ridire perché tu permetti a Súsele di sposare un «cracker», benché tutti vogliano bene a Will. Ma tu non te ne curare. - Non mi sono mai curata di quello che dice la gente. - Lo so. - Nella voce della vecchia era una sfumatura di acidità. - Dunque, lascia dire. Probabilmente sarà un matrimonio felice. Certamente, Will non muterà mai aspetto e anche se guadagnerà molto denaro non renderà mai Tara un luogo com'era ai tempi di tuo padre. Ma in fondo è un signore; per lo meno ne ha l'istinto. Solo un signore di nascita avrebbe potuto dire le cose che egli ha detto dianzi... È vero; nessuno ci può sopraffare; ma noi possiamo essere prostrati dalla nostalgia di cose che non abbiamo piú... e dal ricordo. Sí, Will farà del bene a Súsele e a Tara. - Allora mi approvate perché permetto questo matrimonio? - Dio mio, no! Come potrei approvare l'entrata di un «cracker» in una vecchia famiglia? Ma Súsele ha bisogno di un marito; e dove lo troverebbe? E tu dove troveresti un buon intendente per Tara? Questo però non vuol dire che la cosa mi piaccia piú di quanto piaccia a te. «A me piace» pensò Rossella cercando di comprendere il significato di quanto la vecchia signora stava dicendo. «E sono contenta che Will la sposi. Perché dovrebbe dispiacermi?» Era perplessa e un po' vergognosa come sempre quando le venivano attribuite emozioni e sentimenti che gli altri provavano e che lei non condivideva. La nonna si sventagliò con un ventaglio di palma e continuò: - Non approvo il matrimonio; ma sono anch'io pratica come te. So anch'io che è inutile protestare e lamentarsi. Nella mia famiglia c'è un detto: «Sorridi e sopporta». E noi abbiamo sopportato sorridendo tante di quelle cose, perché era necessario. Siamo scappati dalla Francia con gli Ugonotti, dall'Inghilterra coi Cavalieri, dalla Scozia col principe Carlo, da Haiti davanti ai negri e ora siamo stati battuti dagli yankees. E sai perché? Drizzò la testa e Rossella pensò che somigliava a un vecchio pappagallo. - Non lo so - rispose cortesemente ma profondamente annoiata. - Te lo dico io. Perché noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile. Noi non siamo come l'avena che quando è matura si irrigidisce e non si piega secondo il vento; siamo come il grano saraceno che ondeggia, e quando il vento è passato si rialza dritto e forte quasi come prima. Quando vengono le disgrazie, noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile e sopportiamo sorridendo. E quando siamo nuovamente forti, diamo un calcio alle persone dinanzi alle quali ci siamo piegati. Questo è il segreto per sopravvivere. Fece una pausa come se attendesse un commento di Rossella; ma questa non sapeva che cosa dire e tacque. La vecchia riprese: - Sí, i nostri rialzano la testa; mentre qui vi sono tante persone che ne sono incapaci. Guarda per esempio che cos'è diventata la povera Catina Calvert. Piú abietta di suo marito! Guarda la famiglia McRae. Schiacciata, smarrita, senza saper che fare se non piagnucolare sui tempi passati. Guarda... sí, quasi tutti nella Contea, eccetto il mio Alex e la mia Sally, tu, Giacomo Tarleton, le sue figlie e pochi altri. Il resto è andato a fondo perché mancava di linfa, perché non è riuscito a risollevarsi. Gente che non ha capito mai altro che denaro e schiavi; e senza questi due elementi, fra un'altra generazione saranno diventati dei «proletari bianchi». - Dimenticate i Wilkes. - No, non li dimentico. Ho avuto la cortesia di non nominarli, perché Ashley è ospite di questa casa. Ma giacché sei stata tu a fare il loro nome... guardali! C'è Lydia che, da quanto mi hanno detto, è una zitellona rinsecchita con degli atteggiamenti di vedova perché Stuart Tarleton è stato ucciso; non fa nulla per dimenticarlo e cercare un altro uomo. Certo non è giovine; ma forse, se si desse un po' di pena, potrebbe trovare un vedovo magari con figli. La povera Gioia ha sempre avuto il cervello di un passerotto. E quanto ad Ashley... guardalo un po'! - Ashley è un bravissim'uomo! - lo difese Rossella con fervore. - Non ho mai detto il contrario; ma è bisognoso di aiuto come una tartaruga coricata sul dorso. Se la famiglia Wilkes riesce a superare questo periodo difficile, è perché c'è Melania che vince le difficoltà; non Ashley. - Melly? Dio mio, nonna! Che dite? Io ho vissuto abbastanza con Melly per sapere che è timida e malaticcia e non ha il coraggio di fare «sciò» a una gallina! - E a che serve fare «sciò» a una gallina? Mi è sempre sembrata una vera perdita di tempo... Sarà incapace di fare «sciò» a una gallina, ma è capacissima di farlo a tutto il mondo, al governo yankee, o a chiunque minacci il suo Ashley o il suo bimbo o le sue nozioni di distinzione. Lei ha un modo di fare che non è il tuo, Rossella, né il mio. È la maniera che avrebbe usato tua madre. Sí, Melly mi ricorda la tua mamma quando era giovine... E forse riuscirà a rimettere in piedi la famiglia Wilkes. - Oh, Melly è piena di buon senso. Ma fate torto ad Ashley... - Smettila, via! Ashley era nato per leggere dei libri e nient'altro. Questo non aiuta un uomo a togliersi dagli impicci. Ho sentito dire che è il peggior aratore della Contea. Confrontalo al mio Alex! Prima della guerra, Alex era il giovinotto piú inutile del mondo; non aveva mai pensato ad altro che ad aver delle belle cravatte, a ubriacarsi, a litigare e a stuzzicare le ragazze. Guardalo adesso! Ha imparato a fare il coltivatore perché altrimenti sarebbe morto di fame, e con lui tutti noi. Adesso coltiva il miglior cotone della Contea... sicuro! È meglio del cotone di Tara! E s'intende di porci e di pollame. E vedrai che quando tutto questo tremendo periodo della ricostruzione sarà finito, il mio Alex sarà ricco come suo padre e come suo nonno. Ma Ashley... Rossella si strinse nelle spalle. - Tutto questo non mi fa né caldo né freddo. - Hai torto - disse la nonna fissandola con lo sguardo penetrante. - Questa è la via che hai seguito da quando sei andata ad Atlanta. Non credere che pure essendo seppelliti in provincia, non si sappiano le cose. Anche tu sei mutata col mutar dei tempi. Sappiamo che hai relazione con gli yankees e con tutti i nuovi ricchi per cercare di guadagnar denaro con loro. Fai pure. Ma quando avrai guadagnato tutto quello che potrai, prendili a calci perché non ti serviranno piú. Sono sicura che lo farai come va fatto, altrimenti correrai il rischio di rovinarti. Rossella la guardò cercando di comprendere queste parole. Le sembravano arabo; inoltre ella era ancora irritata per aver sentito Ashley paragonato a una tartaruga rovesciata. - Credo che abbiate torto a proposito di Ashley - disse bruscamente. - Non sei abbastanza scaltra, Rossella. - Questa è la vostra opinione - ribatté Rossella seccamente, col desiderio di darle uno schiaffo. - Oh, sei scaltra per quel che riguarda dollari e centesimi. Questa è una scaltrezza maschile. Ma non hai la furberia delle donne. Non hai abilità nel giudicare le persone. Gli occhi di Rossella cominciarono a lanciare fiamme mentre le sue mani si aprivano e si chiudevano con movimento convulso. - Ti ho fatto arrabbiare, vero? - chiese la vecchia signora sorridendo. - È proprio quello che volevo. - Davvero? E perché, se è lecito? - Avevo le mie buone ragioni. La nonna si appoggiò alla spalliera della poltrona e Rossella ebbe improvvisamente l'impressione che fosse stanca e incredibilmente vecchia. Le piccole mani che stringevano il ventaglio, erano gialle e ceree come quelle di un morto. La collera svaní dal cuore della giovane, la quale si curvò in avanti e prese fra le sue una di quelle mani. - Siete una cara, vecchia bugiarda - disse. - Tutte queste storie le avete dette unicamente per, distogliermi dal pensiero del babbo, non è vero? - Non fare la sciocca! - esclamò burberamente la vecchia signora ritraendo la mano. - In parte è stato per questo, in parte perché ti ho detto la verità; e tu sei troppo stupida per capirlo. Ma sorrise un poco, sicché il cuore di Rossella si vuotò di ogni pensiero di collera. - Grazie lo stesso. Siete stata molto buona a parlare con me... e sono contenta che siate d'accordo meco per il matrimonio di Will con Súsele, anche se... molta altra gente lo disapprova. La signora Tarleton rientrò nel vestibolo portando due bicchieri di siero. Non era molto abile nelle faccende domestiche, quindi i bicchieri traboccavano. - Sono andata fino alla capanna del burro per prenderlo - disse. - Bevetelo subito, perché stanno tornando dalla sepoltura. Ma davvero, Rossella, permetti che Súsele sposi Will? Magari è anche troppo buono per lei; ma è un campagnolo e... Gli occhi di Rossella incontrarono quelli della nonna. In questi era una scintilla di malizia in risposta al suo sguardo.
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Rossella, abbattuta ed esaurita, ringraziò Dio in cuor suo che Ashley avesse troppo buon senso per appartenere al Klan e che Franco fosse troppo vecchio e timido. Sarebbe stato spaventoso vivere sotto l'incubo che gli yankees potessero da un momento all'altro venire ad arrestarli. Non potevano rimaner tranquilli quei cervelli esaltati che formavano il Klan? Forse la ragazza non era neanche stata violata. Si era limitata ad avere un grande spavento; ed ecco che per colpa sua, molti uomini correvano rischio di perdere la vita. In quell'atmosfera, coi nervi tesi come una miccia verso un bariletto di esplosivo, Rossella riprese forza rapidamente. Il vigore che l'aveva soccorsa durante l'aspro periodo di Tara le giovò enormemente; e due settimane dopo la nascita di Ella Lorena ella era già in grado di alzarsi a sedere e di crucciarsi per la propria inattività. Una settimana dopo era in piedi e dichiarava che voleva andare alle segherie. Il lavoro dei due stabilimenti era sospeso perché Ugo e Ashley avevano paura di lasciar sole le loro famiglie tutto il giorno. E allora avvenne la catastrofe. Franco, fiero della sua paternità, trovò il coraggio di proibire a Rossella di uscir di casa. Quest'ordine non avrebbe avuto nessun effetto, se egli non avesse fatto chiudere cavallo e carrozzino nella stalla, con l'ordine che non fosse consegnato ad altri che a lui. Per di piú, mentre ella era a letto, Franco e Mammy avevano pazientemente frugato tutta la casa e avevano scoperto nei vari nascondigli il denaro; Franco lo aveva depositato in banca a proprio nome, sicché Rossella non poteva disporre di nulla. Rossella montò su tutte le furie contro il marito e contro Mammy; quindi pregò e finalmente pianse tutta una mattinata come una bimba indispettita. Ma non ebbe altro risultato che di udire: - Smettila, tesoro! Sei proprio una bambina ammalata! - e: - Miss Rossella, se tu continuare a piangere, far diventare cattivo tuo latte e bambina avere colica. Irritatissima, Rossella attraversò il cortile posteriore per andare da Melania a sfogarsi, dichiarando che sarebbe andata a piedi agli stabilimenti e che direbbe a tutta Atlanta che aveva sposato un mascalzone e che non voleva essere trattata come una ragazzina stupida e cattiva. Porterebbe una pistola e ucciderebbe chiunque la minacciasse. Aveva già ucciso un uomo e le piacerebbe, sí, le piacerebbe molto ucciderne un altro! E... Melania che non osava avventurarsi neanche sotto al proprio porticato fu terrorizzata da queste minacce. - Non devi arrischiarti! Morirei se ti succedesse qualche cosa! - Voglio andare! Andrò a piedi! Melania la guardò e vide che non si trattava dell'isterismo di una donna indebolita dal parto recente. Sul volto di Rossella era la stessa caparbietà e risolutezza che Melania aveva visto tante volte sul viso di Geraldo O'Hara quando si era fitto in mente di fare una cosa. Abbracciò Rossella e la strinse a sé. - È colpa mia, perché non sono coraggiosa come te e trattengo Ashley in casa invece di farlo andare allo stabilimento! Dio mio! Sono cosí paurosa! Tesoro, dirò ad Ashley che non ho piú paura e verrò a stare con te e zia Pitty; cosí egli potrà tornare al lavoro e... Nemmeno con se stessa Rossella volle ammettere che Ashley sarebbe incapace di risolvere la situazione da solo; e gridò: - Neanche per sogno! Come vuoi che possa lavorare Ashley essendo continuamente preoccupato per te? Dio, come sono odiosi tutti! Perfino zio Pietro rifiuta di venire con me! Ma non importa! Andrò sola! A piedi; e troverò una squadra di negri per lavorare... - No, no! Chi sa che cosa ti succederebbe! Ho sentito dire che la zona di Shantytown, sulla strada di Decatur, è piena di negri della peggior risma; e tu devi passare proprio di là. Lasciami pensare... Promettimi di non far nulla per oggi, tesoro; vai a casa e mettiti a letto. Io penserò qualche cosa. Prometti. Troppo esausta dalla collera per fare altrimenti, Rossella promise e tornò in casa, rifiutando alteramente ogni tentativo di pace da parte dei suoi. Nel pomeriggio una strana figura attraversò goffamente la siepe che divideva i due cortili. Evidentemente era uno di quegli uomini dei quali Mammy e Dilcey parlavano definendoli «quelle immondizie che miss Melly raccogliere nelle strade e far dormire nella sua cantina». Nelle fondamenta della casa di Melania vi erano tre stanze che un tempo erano servite come camere per la servitú e deposito di vino. Dilcey ne occupava una; le altre due erano costantemente ingombrate da una ciurma di miserabili di passaggio. Solo Melania sapeva da dove venivano e dove andavano; e nessuno sapeva dove li raccoglieva. Forse quello che dicevano le due negre era vero. Ma nello stesso modo come le persone eminenti erano accolte nel suo salotto, i miseri trovavano alloggio nella sua cantina dove erano nutriti e dove trovavano un letto; ripartivano poi con un fardelletto di viveri. Di solito erano ex-soldati confederati, gente senza famiglia, che girava per il paese in cerca di lavoro. Sovente, contadine brune e sfiorite accompagnate da una torma di bimbi taciturni, passavano quivi la notte: erano donne che la guerra aveva reso vedove e private delle loro piccole proprietà, ed ora andavano in cerca di parenti dispersi e perduti. A volte il vicinato era scandalizzato dalla presenza di stranieri che non parlavano, o quasi, l'inglese; gente attratta verso il Sud dal miraggio di una fortuna che si credeva poter facilmente raggiungere. E perfino a un repubblicano si diceva che Melania avesse dato ospitalità; ma la maggioranza si rifiutava a crederlo perché - dicevano - anche la carità della signora Wilkes doveva avere un limite! «Sicuro» pensò Rossella seduta sotto al porticato nel pallido sole di novembre, con la bimba in grembo «dev'essere uno dei poveracci di Melania.» L'uomo che stava attraversando il cortile aveva una gamba di legno, come Will Benteen. Era alto e magro, con la testa calva e la barba grigia cosí lunga che la ficcava nella cintura. Doveva avere piú di sessant'anni, a giudicare dal volto grinzoso; ma il suo corpo non mostrava i segni dell'età. Sparuto e senza grazia, si muoveva peraltro, nonostante la sua gamba di legno, con la sveltezza di un serpente. Salí i gradini e le si avvicinò; e anche prima che egli parlasse, Rossella si rese conto che era un montanaro. Malgrado gli abiti sporchi e laceri, era in lui, come in molti montanari, un aspetto di fiera dignità che non permetteva confidenza né tollerava scherzi. Aveva la barba macchiata di succo di tabacco; il naso sottile e ruvido, le sopracciglia cespugliose; anche dalle orecchie uscivano ciuffetti di peli che gli davano l'aspetto di orecchie di lince. Al posto di un occhio aveva un'infossatura da cui partiva una cicatrice che gli attraversava diagonalmente la guancia; l'altro occhio era piccolo, chiaro e freddo; un occhio immobile e spietato. Nella cintura portava infilata una pesante pistola e dal suo stivalone sporgeva il manico di un pugnale. Rispose freddamente allo sguardo di Rossella e si appoggiò alla balaustra prima di aprir bocca. Nel suo unico occhio era un'espressione di disprezzo, non per lei ma per tutto il suo sesso. - Miss Wilkes mi ha mandato da voi per lavorare - disse brevemente. Parlava rozzamente, come persona abituata a parlar poco, a cui le parole vengono in bocca con difficoltà. - Mi chiamo Baldo. - Mi dispiace, ma non ho lavoro per voi, signor Baldo. - Baldo è il mio nome di battesimo. - Scusate. Qual è il cognome? Egli esitò un attimo. Poi: - Reputo che questo sia affar mio. Basta chiamarmi Baldo. - Non tengo affatto a sapere come vi chiamate. Non ho lavoro per voi. - Ritengo che ne abbiate. Miss Wilkes era sconvolta al pensiero che voleste andare in giro sola come una pazza; mi ha mandato qui per accompagnarvi. - Davvero? - E Rossella era indignata tanto della sgarbatezza dell'uomo quando dell'intromissione di Melania. Egli la guardò con animosità impersonale. - Sí. Una donna non deve creare preoccupazioni ai suoi uomini. Se non potete fare a meno di andare in giro, vi accompagnerò. Odio i negri... e anche gli yankees. Passò nell'altra guancia la cicca che stava masticando e, senza attendere di essere invitato, sedette sui gradini. - Non dirò che mi piaccia accompagnare le donne; ma miss Wilkes è stata buona con me, facendomi dormire nella sua cantina; e mi ha mandato perché io vi accompagni. - Ma... - cominciò Rossella incerta; ma si interruppe e lo guardò. Dopo un momento cominciò a sorridere. Non le piaceva quell'individuo; ma la sua presenza semplificherebbe le cose. Accompagnata da lui, potrebbe andare agli stabilimenti, recarsi in città, visitare i clienti. Nessuno poteva crederla in pericolo; e l'apparenza dell'uomo era tale da non dar luogo a pettegolezzi. - D'accordo - disse. - Purché mio marito acconsenta. Dopo una conversazione privata con Baldo, Franco diede con riluttanza la sua approvazione e mandò un biglietto alla stalla per autorizzare la consegna del cavallo e del calessino. Era offeso e deluso che la maternità non avesse mutato Rossella com'egli aveva sperato; ma se sua moglie era decisa a tornare a quei maledetti stabilimenti, Baldo era il benvenuto. Cosí ebbe inizio una specie di associazione che da principio sbalordí Atlanta. Baldo e Rossella erano una coppia stranamente assortita: il vecchio sporco e truculento con la sua gamba di legno, e la graziosa ed elegante donnina con la fronte aggrottata. Si vedevano a tutte le ore e dovunque; in città e fuori, scambiando raramente una parola, evidentemente non avendo alcuna simpatia reciproca ma legati da una reciproca necessità: lui di denaro, lei di protezione. Almeno - dissero le signore - è meglio che andare sfacciatamente in giro con quel tale Butler. Erano curiose di sapere dove fosse andato a finire Rhett, partito da tre mesi senza che nessuno, neanche Rossella, sapesse dove si era recato. Baldo era un tipo taciturno; non parlava se non gli veniva rivolta la parola; e anche in questo caso, rispondeva generalmente con dei grugniti. Ogni mattina usciva dalla cantina di Melania e veniva a sedere sui gradini di Rossella dove rimaneva ciccando e sputando finché Pietro portava il calessino attaccato, e Rossella usciva di casa. Zio Pietro temeva quell'uomo poco meno del demonio o del Ku Klux Klan; e perfino Mammy gli passava accanto silenziosa e intimorita. Egli odiava i negri ed essi lo sapevano e lo temevano. Aveva aggiunto alle sue armi un'altra pistola e la sua fama era corsa fra la popolazione negra. Non ebbe mai bisogno di trarre un'arma e neanche di portare la mano alla cintura. L'effetto morale era stato sufficiente. I negri non osavano neanche ridere quando egli era nelle vicinanze. Una volta Rossella gli chiese curiosamente perché odiava i negri e fu sorpresa di avere da lui una risposta, perché di solito egli si limitava a dire: «Ritengo che questo sia affar mio». Li odio come fanno tutti i montanari. Non abbiamo mai avuto simpatia per loro e non ne abbiamo mai posseduti. Sono stati loro che hanno cominciato la guerra. Li odio anche per questo. - Ma voi avete combattuto. - Ritengo che questo sia il privilegio di ogni uomo. Odio anche gli yankees, piú di quanto odio i negri. Quasi quanto odio le donne chiacchierone. Queste villanie irritavano Rossella oltre ogni dire. Ma come avrebbe fatto senza di lui? Come le sarebbe stato possibile girare liberamente? Egli era sgarbato e sudicio, e a volte poco profumato; ma le serviva. La conduceva agli stabilimenti e a visitare i clienti, sputando e guardando nel vuoto mentre lei parlava e dava ordini. Se ella scendeva dal calessino, scendeva dietro di lei e la seguiva a passo a passo. Quando Rossella si trovava fra braccianti negri o soldati yankee, raramente rimaneva a piú di un passo dal suo gomito. Atlanta si abituò ben presto a vedere Rossella con la sua guardia del corpo; e in breve le signore cominciarono a invidiare la sua libertà di movimenti. Da quando il Ku Klux aveva cominciato i linciaggi, esse vivevano praticamente murate; non si recavano neanche a fare spese in città, se non erano almeno in gruppo di mezza dozzina. Socievoli di natura, la reclusione forzata le rendeva inquiete; quindi esse cominciarono a chiedere Baldo in prestito a Rossella. E questa, quando non ne aveva bisogno, era tanto gentile da concederlo alle sue conoscenti. Cosí Baldo diventò un'istituzione ad Atlanta; e le signore si disputavano il suo tempo libero. Raramente passava una mattina senza che un bimbo o un servo negro giungesse con un biglietto che diceva: «Se nel pomeriggio non avete bisogno di Baldo, vi prego di mandarmelo. Vorrei andare a portare dei fiori al Camposanto». «Devo andare dalla modista.» «Sarei lieta se Baldo potesse accompagnare zia Nelly a prendere un po' d'aria.» «Debbo andare a fare una visita e il nonno non mi può accompagnare perché sta poco bene. Se Baldo potesse...» Le accompagnava tutte, ragazze, maritate e vedove, avendo per tutte lo stesso inflessibile disprezzo. Era evidente che, ad eccezione di Melania, detestava le donne come detestava i negri e gli yankees. Da principio esse furono urtate dalla sua scortesia, ma finirono con l'abituarsi a lui e a considerarlo come i cavalli che guidava. Infatti, la signora Merriwether raccontò alla signora Meade tutti i particolari del puerperio di sua nipote, senza neanche ricordarsi che Baldo poteva udire ogni parola. In nessun altro momento una simile situazione sarebbe stata possibile. Prima della guerra, egli non sarebbe stato ammesso neanche nelle cucine. Ma ora era il benvenuto. Rude, illetterato, sudicio, rappresentava un baluardo fra le signore e i terrori della Ricostruzione. Non era né un amico né un servo. Era una guardia del corpo che proteggeva le donne quando i loro mariti lavoravano di giorno, o erano assenti di notte. Rossella ebbe l'impressione che da quando c'era Baldo, Franco si assentasse spesso la sera. Diceva che bisognava mettere in ordine la contabilità del negozio e che di giorno vi era abbastanza da fare e quindi non aveva la possibilità di occuparsene. E vi erano degli amici ammalati che bisognava andare a visitare. Si era anche costituita un'associazione di democratici che si riunivano tutti i mercoledí per discutere sulla maniera di riacquistare i diritti politici, e Franco non mancava a nessuna riunione. Anche Ashley andava a visitare gli ammalati e frequentava le sedute dei democratici, era quindi assente le stesse sere in cui mancava Franco. In quelle occasioni Baldo scortava zia Pitty, Rossella e i bambini attraverso il cortile fino alla casa di Melania e le due famiglie passavano la serata insieme. Le signore cucivano mentre Baldo sdraiato sul divano del salotto russava sonoramente. Nessuno lo aveva invitato ad occupare il divano che era il miglior mobile della casa e le signore gemevano nascostamente ogni volta che egli vi si adagiava, posando lo stivalone sul grazioso arazzo. Ma nessuna di loro osava protestare. Specialmente dopo che egli ebbe osservato che, grazie al cielo, si addormentava con facilità, altrimenti le chiacchiere delle donne, che sembravano un branco di galline, lo avrebbero fatto impazzire. A volte Rossella si domandava da dove poteva esser venuto Baldo e quale era stata la sua vita prima di venire ad abitare nella cantina di Melly; ma non gli rivolse mai alcuna domanda. Vi era qualche cosa nel suo viso monocolo che disarmava ogni curiosità. Tutto ciò che sapeva era che il suo accento lo rivelava proveniente dalle montagne del nord; che aveva fatto la guerra ed aveva perduto l'occhio e la gamba poco tempo prima della resa. Furono certe parole pronunciate in uno scoppio di collera contro Ugo Elsing che portarono la luce sul passato di Baldo. Una mattina in cui il vecchio monco l'aveva accompagnata alla segheria di Ugo, Rossella aveva trovato lo stabilimento silenzioso; i negri se n'erano andati e Ugo sedeva sconsolato sotto un albero. Nessuno si era presentato quella mattina al lavoro ed egli non sapeva che fare. Rossella andò su tutte le furie e non si fece scrupolo di rovesciare la sua ira su Ugo: ella aveva per l'appunto ricevuto una forte ordinazione per strappare la quale le erano occorsi tutta la sua energia e tutto il suo fascino. Ed ora ecco che lo stabilimento era fermo. - Conducetemi all'altro stabilimento - disse a Baldo. - So che è lontano e che non riusciremo a pranzare; ma perché vi pago? Debbo dire al signor Wilkes che interrompa quello che sta facendo e prepari quest'altro legname. Purché i suoi operai non abbiano fatto lo stesso! Massa di fannulloni! Non ho mai visto un buono a nulla come Ugo Elsing! Me lo leverò di torno appena Johnnie Gallegher sarà libero. Che m'importa se ha servito nell'esercito yankee? Lavorerà. Non ho mai visto un irlandese pigro. E sono stufa di negri emancipati. Non ci si può fidare di loro. Dirò a Johnnie Gallegher che prenda dei galeotti. Sono sicura che li farà lavorare. Baldo volse verso di lei il suo occhio malevolo e parlò con una collera fredda nella voce aspra. - Il giorno in cui prenderete dei galeotti sarà il giorno in cui vi lascerò. Rossella fu sbalordita. - Dio mio! E perché? - So che cos'è far lavorare i galeotti. Significa ucciderli. Trattarli come muli; anzi peggio. Batterli, farli morire di fame, ammazzarli. Che importa? Lo Stato se ne infischia. Prende i soldi delle paghe. E a chi li assume, non importa nulla. Tutto quello che si cerca, è di nutrirli spendendo poco e ottenere il massimo di lavoro possibile. Accidenti, signora! Non ho mai pensato molto bene delle donne; ma ora penserò anche peggio! - E che c'entrate voi? - C'entro - rispose laconicamente Baldo. E dopo una pausa soggiunse: - Sono stato galeotto per quarant'anni. Rossella sussultò e per un attimo si appoggiò indietro sui cuscini. Questa era dunque la soluzione dell'enigma rappresentato da Baldo, la ragione per cui non aveva voluto dire il suo cognome, il suo luogo di nascita o altro che riguardasse la sua vita passata; questo il motivo per cui parlava con difficoltà e per cui odiava tutto il mondo. Quarant'anni! Doveva essere andato in prigione molto giovine. Quarant'anni! Perché... Doveva essere stato condannato a vita; e i condannati a vita erano... - È stato per... omicidio? - Sí - fu la breve risposta mentre Baldo percuoteva con le redini il dorso del cavallo. - Mia moglie. Le palpebre di Rossella batterono rapidamente. Parve che la bocca di lui nascosta tra la barba si muovesse, come se egli sorridesse del suo terrore. - Non ho l'intenzione di uccidervi, signora, se è di questo che avete paura. Non vi è che una ragione per uccidere una donna. - Avete ammazzato vostra moglie! - Andava a letto con mio fratello. Lui si salvò. Non sono affatto pentito di averla ammazzata. Le donnacce dovrebbero essere uccise. La legge non ha il diritto di mettere un uomo in prigione per questo; ma io fui condannato. - Ma... come siete uscito? Siete scappato? Avete avuto la grazia? - Chiamatela pure grazia! - Le folte sopracciglia si unirono come se il mettere assieme le parole fosse una difficoltà. - Nel '64, quando venne Sherman, ero nel carcere di Milledgeville, dove sono stato per quarant'anni. Il governatore ci chiamò tutti e ci disse che stavano venendo gli yankees, i quali incendiavano e uccidevano. Ora, se vi è una cosa che odio piú dei negri e delle donne, sono gli yankees. - Perché? Avevate... avete conosciuto degli yankees? - No, signora. Ma ho sentito parlare di loro. So che sono incapaci di pensare ai fatti loro. E io detesto le persone che non si occupano dei loro affari. Che cosa venivano a fare in Georgia, a liberare i negri, e bruciare le nostre case, a uccidere la nostra gente? Dunque, il governatore disse che l'esercito aveva molto bisogno di soldati e che chi di noi voleva andare, sarebbe libero alla fine della guerra... se ne usciva vivo. Ma il governatore disse che noialtri condannati a vita... noi omicidi, non eravamo desiderati. Dovevamo essere mandati altrove, in un altro carcere. Ma io dissi al governatore che io non ero come tutti gli altri galeotti. Ero dentro perché avevo ucciso mia moglie, e questo era ben fatto. E volevo combattere contro gli yankees. Il governatore comprese e mi fece uscire con gli altri detenuti. Fece una pausa e grugní. - Hum... Una cosa buffa. Mi avevano messo in prigione perché avevo ucciso e mi liberavano dandomi un fucile perché andassi ad uccidere. Tutti noi di Milledgeville siamo stati buoni soldati e abbiamo ucciso una quantità di yankees; e molti di noi furono uccisi. Non ne ho mai conosciuto nessuno che abbia disertato. Dopo la resa, siamo rimasti liberi. Io ho perduto questa gamba e quest'occhio. Ma non li rimpiango. - Oh - fece Rossella debolmente. Cercò di ricordarsi quello che aveva sentito dire a proposito della liberazione dei detenuti di Milledgeville nell'ultimo disperato sforzo di arginare l'invasione di Sherman. Ne aveva parlato Franco nel Natale del 1864. Che aveva detto? Ma i suoi ricordi di quel periodo erano troppo confusi. Sentí nuovamente lo spavento di quei giorni, udí il rombo dei cannoni, vide le file di carri che si lasciavano dietro una scia di sangue, la partenza della Guardia Nazionale, i cadetti e i ragazzi come Phil Meade e i vecchi come zio Enrico e il nonno Merriwether. E anche i galeotti avevano marciato, per morire nel tramonto della Confederazione, per basire dal freddo nella neve e nel gelo di quell'ultima campagna nel Tennessee. Per un momento pensò che quell'uomo era stato un imbecille, recandosi a combattere per uno Stato che gli aveva preso quarant'anni di vita. La Georgia lo aveva privato della giovinezza e della maturità a cagion di un delitto che per lui non era tale; eppure egli aveva liberamente dato una gamba e un occhio alla Georgia. Le tornarono in mente le amare parole di Rhett nei primi giorni della guerra, quando egli aveva detto che non combatterebbe mai per una società che lo aveva bandito. Ma poi che era stato necessario, anche lui era andato a combattere, come Baldo. E pensò che tutti i meridionali erano dei pazzi sentimentali che davano meno importanza alla loro pelle che a parole senza significato. Guardò le mani nocchiute di Baldo, le sue pistole e il suo pugnale e si sentí nuovamente presa dallo spavento. Dov'erano gli altri galeotti liberati, assassini, ladri, furfanti graziati per i loro delitti in nome della Confederazione? Chiunque si incontrava poteva essere un delinquente! Se Franco venisse a sapere la verità su Baldo, sarebbe l'inferno. E se zia Pitty... no; il colpo la ucciderebbe. Quanto a Melania... Rossella ebbe voglia di informarla. Vedrebbe cosí che cosa voleva dire raccogliere degli straccioni e poi introdurli presso i propri amici e parenti. - Sono... sono contenta che mi abbiate raccontato questo, Baldo. Non... non lo dirò a nessuno. Alla signora Wilkes e alle altre signore farebbe impressione se lo sapessero. - Hum... Miss Wilkes lo sa. Glielo dissi la notte in cui mi diede da dormire nella sua cantina. Non penserete mica che avrei permesso che una signora come lei mi accogliesse in casa senza sapere? - Madonna Santissima! - esclamò Rossella atterrita. Melania sapeva che quell'uomo era un omicida e non lo aveva messo alla porta! Gli aveva affidato suo figlio e poi sua zia, sua cognata e tutte le sue amiche. E lei, la piú timida delle donne, non aveva paura di stare sola in casa con lui! - Miss Wilkes è molto ragionevole, per essere una donna. Ha ammesso che avevo ragione. Ha capito che un ladro continua a rubare e che un bugiardo continua a mentire tutta la vita; ma non si commette piú di un omicidio nella vita. E ritiene che chi ha combattuto per la Confederazione ha spazzato con questo tutto il male che ha commesso prima. Benché io non creda di aver fatto male uccidendo mia moglie... Sí, miss Wilkes è molto ragionevole, per essere una donna... E vi ripeto che il giorno in cui assumerete dei galeotti, vi lascerò. Rossella non rispose, ma pensò: «Piú presto mi lascerete e piú sarò contenta. Un omicida!» Come aveva potuto Melania essere cosí... cosí... No, non vi era parola per definire il modo di agire di Melania nell'accogliere quel vecchio delinquente e nel non dire ai suoi amici che era un ex-galeotto! Dunque, il servizio nell'esercito lavava le antiche colpe! Era troppo sciocca Melania per tutto ciò che concerneva la Confederazione e i suoi veterani. Silenziosamente Rossella maledisse gli yankees e aggiunse un nuovo motivo al suo rancore verso di loro. Erano essi i responsabili della situazione che costringeva una donna a tenersi accanto, per proteggerla, un assassino.
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Non sapeva perché questo pensiero la torturasse tanto; era troppo spaurita e abbattuta per cercare di comprendere. Ma scoppiò in lagrime pensando agli occhi di Melania nel momento in cui Lydia le direbbe che aveva sorpreso Ashley che abbracciava Rossella. E che farebbe Melania? Lascerebbe Ashley? Che altro potrebbe fare, per salvare la propria dignità? E che farebbero allora Ashley e lei? Le lagrime le inondavano il volto mentre questi pensieri si agitavano freneticamente nel suo cervello. «Ashley morrà di vergogna e mi odierà perché l'ho trascinato in questo impiccio.» A un tratto le sue lagrime cessarono perché un terrore mortale le aveva invaso il cuore al ricordo di Rhett. Che farebbe suo marito? Forse non saprebbe nulla. Com'era quel vecchio cinico proverbio? «Il marito è sempre l'ultimo a sapere.» Forse nessuno andrebbe a dirglielo. Bisognava avere un bel coraggio per andare a narrare una cosa simile a Rhett, dato che Rhett aveva la reputazione di ammazzare prima, e poi interrogare. Dio, Dio, fate che nessuno abbia il coraggio di dirglielo! Ma rivide il volto di Baldo sulla soglia dell'ufficio; il suo occhio freddo, chiaro, senza rimorso, pieno di odio per lei e per tutte le altre donne. Baldo non temeva né Dio né gli uomini e detestava le donne abbiette. Le aveva odiate tanto da ucciderne una. E certo parlerebbe con Rhett, malgrado tutto ciò che potrebbe fare Ashley per dissuaderlo. A meno che Ashley non lo uccidesse, Baldo parlerebbe con Rhett, ritenendo che questo fosse il suo dovere di cristiano. Si spogliò e si gettò sul letto; nel suo cervello era un turbine che mulinava vorticosamente. Se almeno potesse chiudersi a chiave e rimanere per sempre in quella stanza tranquilla senza vedere mai piú nessuno, forse Rhett non verrebbe a saper nulla stasera. Lei direbbe di avere mal di capo e di non potere perciò andare al ricevimento. E l'indomani mattina avrebbe certamente trovato il modo di difendersi. - Non voglio pensarci adesso - disse disperatamente nascondendosi il volto fra i guanciali. - Ci penserò piú tardi, quando potrò sopportare quest'idea. Udí rientrare la servitú al cader della notte e le sembrò che i preparativi della cena fossero molto silenziosi. O forse era la sua coscienza colpevole? Mammy venne a bussare all'uscio, ma Rossella la mandò via dicendole che non voleva cenare. Passò ancora del tempo e finalmente udí Rhett che saliva le scale. Lo udí passare dinanzi alla sua stanza senza fermarsi. Emise un profondo respiro. Evidentemente non sapeva nulla e, grazie a Dio, continuava a rispettare la sua gelida preghiera di non mettere piede nella sua camera; altrimenti, se egli l'avesse veduta in questo momento, avrebbe letto nel suo volto che qualche cosa di grave era accaduto. Bisognava soltanto che ella raccogliesse le sue forze per potergli dire che si sentiva troppo male per andare al ricevimento. Ma vi era tempo per calmarsi. Da quel terribile momento le era sembrato che il tempo non esistesse piú. Udí Rhett che si muoveva nella sua camera e rivolgeva ogni tanto la parola a Pork. Non ebbe il coraggio di chiamare. Rimase sul letto, tremante nell'oscurità. Dopo parecchio tempo egli bussò alla porta. - Avanti - disse Rossella cercando di dominare il tremito della sua voce. - Sono invitato ad entrare nel santuario? - chiese Rhett aprendo l'uscio. Entrò e richiuse. - Sei pronta? - Era buio e non lo vedeva; la voce le sembrò incolore. - Mi dispiace, ma ho l'emicrania. - Strano che la sua voce fosse cosí naturale! - Credo che non potrò venire. Vai tu, Rhett, e scusami con Melania. Vi fu una lunga pausa; quindi egli parlò con voce mordente. - Sei una piccola strega, vigliacca e pusillanime. Egli dunque sapeva! Rossella riprese a tremare, incapace di aprir bocca. Lo udí frugare nel buio, accendere un fiammifero, e la camera fu illuminata. Egli si avvicinò al letto e la guardò. Era in abito da sera. - Alzati. - La sua voce era sempre senza colore. - Andiamo al ricevimento. Sbrígati. - Non posso, Rhett. Devi capire... - Capisco. Alzati. - Rhett! Baldo ha osato...? - Baldo ha osato. È un uomo coraggioso, Baldo. - Avresti dovuto ucciderlo, perché ha mentito. - Non uccido le persone che dicono la verità. Ora non c'è tempo di discutere. Alzati. Ella si sollevò a sedere, stringendosi attorno le coperte, scrutandolo in viso. Era cupo e impassibile. - Non voglio venire, Rhett. Non posso finché... non si chiarisca questo malinteso. - Se non ti fai veder stasera, non potrai piú mostrarti in giro in questa città finché vivi. E se io posso sopportare di avere per moglie una sgualdrina, non sopporto di avere una codarda. Verrai stasera, anche se tutti da Alex Stephen in giú, ti negheranno il saluto, e la signora Wilkes ti metterà alla porta. - Rhett, lascia che ti spieghi. - Non ti voglio ascoltare. Non c'è tempo. Vèstiti. - È un malinteso... Lydia, Baldo e la signora Elsing. Mi odiano. Lydia mi odia talmente, che è capace anche di dir male di suo fratello pur di farmi apparire in cattiva luce. Se mi lasci spiegare... («Madre di Dio» pensò angosciata. «Se egli mi dice: "Spiègati!" che posso dirgli? Come spiegare...?») - Avranno raccontato le loro invenzioni a tutti quanti. Non posso venire. - Verrai; dovessi trascinarti per il collo e spingerti a calci per tutta la strada. Vi era una luce fredda nei suoi occhi, quando egli l'afferrò costringendola ad alzarsi. Raccolse il busto e glie lo gettò. - Mettilo. Te lo allaccerò io. Sono praticissimo. No, non chiamerò Mammy ad aiutarti; saresti capace di richiudere la porta, rintanandoti qui dentro da quella vigliacca che sei. - Non sono vile! - esclamò Rossella, punta sul vivo. - Io... - Oh, risparmiami la solita fiaba sull'uccisione del soldato yankee e sull'arrivo dell'esercito di Sherman. Oltre a tutto, sei anche vile. Se non per te, devi venire stasera per amore di Diletta. Vuoi rendere la sua posizione anche peggiore? Svelta, méttiti il busto. Ella si tolse in fretta lo scialle e rimase rigida dinanzi a lui. Forse, se egli la guardasse e la vedesse cosí bella, quell'espressione spaventosa scomparirebbe dal suo volto. Era tanto tempo che non la vedeva in camicia! Ma non la guardò. Era dinanzi all'armadio, esaminando rapidamente le vesti. Ne trasse fuori una nuova, di seta verde giada. Era molto scollata davanti e la gonna era drappeggiata dietro su un enorme sellino; su questo posava un gran ciuffo di vivide rose di velluto. - Metti questo - disse gettando l'abito sul letto e avvicinandosi a lei. - Stasera niente colori smorti: grigio tortora o viola pallido. La tua bandiera deve sventolare all'albero maestro. E metti molto belletto. Sono sicuro che la moglie del fariseo accusata di adulterio non era cosí pallida. Vòltati. Afferrò le stringhe del busto e le tirò talmente da strapparle un gemito. Era spaventata, umiliata e confusa. - Ti fa male, eh? Rise brevemente ed ella non lo vide in volto. - Peccato che questo cordone non sia attorno al tuo collo. La casa di Melania brillava di luce in tutte le stanze; ed essi udirono la musica fin dalla strada. Man mano che si avvicinavano all'ingresso, giungeva il suono eccitante e piacevole delle voci degli invitati. La casa rigurgitava. Gli ospiti sciamavano sulla veranda e molti erano seduti sui banchi alla luce fioca delle lampade sospese agli alberi dello spiazzo. «Non posso entrare, non posso» pensò Rossella seduta in carrozza, stringendo convulsamente il fazzoletto appallottolato. «Non posso. Non voglio. Salterò a terra e fuggirò, ritornerò a Tara. Perché Rhett mi ha costretta a venir qui? Che farà la gente? Che farà Melania? Non posso apparire dinanzi a lei. Voglio fuggire!» Come se le avesse letto nel pensiero, Rhett le strinse il braccio come in una morsa. - Non ho mai saputo che un'irlandese fosse vile. Dov'è il tuo coraggio tanto vantato? - Ti prego, Rhett, torniamo a casa e ti spiegherò. - Hai un'eternità per spiegarti e soltanto una sera per mostrarti come una martire nell'anfiteatro. Scendi, cara, e fammi vedere come i leoni ti divoreranno. Scendi. Percorse il viale d'accesso: il braccio a cui si appoggiava, rigido come il granito, le comunicava un certo coraggio. Sí, perdio, li affronterebbe. Che cos'erano se non un'orda di gatti malvagi urlanti e striscianti, gelosi di lei? Glie la farebbe vedere. Non le importava ciò che pensavano. Solo Melania... solo di Melania le importava. Erano giunti sotto al porticato e Rhett si inchinava a destra e a sinistra col cappello in mano. La sua voce era fredda e gentile. La musica s'interruppe quando essi entrarono. Le sembrò che dalla moltitudine sorgesse un rumore come il muggito del mare che andò diminuendo fino a spegnersi completamente. Qualcuno eviterebbe di salutarla? Ebbene, per la camicia di Giove, facessero pure! Alzò il mento e sorrise. Prima che si fosse voltata a parlare con coloro che erano piú vicini, qualcuno si fece largo fra gli invitati. Uno strano mormorio fece arrestare i battiti del suo cuore. Quindi ella vide che era Melania la quale accorreva frettolosamente per andarle incontro e salutarla prima di tutti. Le sue piccole spalle erano spinte indietro; a fronte alta ella si avvicinò a Rossella, come se questa fosse stata l'invitata piú importante, e le passò un braccio attorno alla vita dicendole con la sua voce chiara: - Che bel vestito, tesoro! Vuoi farmi un favore? Lydia non è potuta venire stasera ad aiutarmi. Vuoi avere la bontà di ricevere gli invitati insieme con me?
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Mi ritrovai giacente a terra, colle membra peste, abbattuta, oppressa, fiaccata più ancora nello spirito che nelle membra. Cento tristi pensieri, cento timori, a me ignoti fino a quel punto, presero a funestarmi lo spirito, a conturbarmi la coscienza. Avvistami l'evasione non essere che un riparo provvisorio, giacchè la Polizia m'avrebbe presto o tardi rintracciata, pensai che il trafugarmi sarebbe stato un partito tanto vano, quanto pure stolto e dannoso, e mi parve d'essermi ostinata troppo in un sistema di folle resistenza. - Dove andrò? Che farò? domandai a me stessa. Girerò il mondo fuggiasca e alla ventura? Non bastano gl'infausti voti, che da madre e da sorelle mi separano, ma debbo pur di propria mano scavar più profondo ancora l'abisso del mio isolamento? Fossi uomo! ben altrimenti saprei lottare allora coll'inesorabile destino! Ma donna.... e donna, agli occhi del mondo riprovevole per avere ripudiato con troppa prestezza l'umano consorzio: io povera, io malata, e senza consiglio, e priva d'una mano pietosa, che voglia trarmi dalla voragine, ove affondo e affogo; quale, quanta resistenza opporrò, Dio mio, alla combinata persecuzione di due poteri, che con accanimento crescente m'incalzano. Il sonno, di che la madre e le sorelline godevano, mentr'io desta e abbandonata alla mia vertigine, lottava fra contrari affetti; il cupo silenzio che m'avviluppava come per separarmi più presto dal commercio de' miei cari, non servirono che a rendermi maggiormente orrida e spaventosa l'immagine dell'esilio. - Piuttosto che camminar di porta in porta, e limosinare il pane amarissimo dell'esilio, non sarebbe meglio, ripresi a dirmi, cedere al destino, rassegnarmi alla dura necessità, placare colla simulazione l'ira de' superiori, colla compiacenza insinuarmi nella loro grazia; e, non potendo rompere le catene, ottenere almeno che mi siano alleggerite al piede....? Rapiti dal mio ravvedimento, assicurati della mia devozione, non solamente mi lasceranno in pace, ma mi colmeranno inoltre di favori, m'accorderanno gradi, potere, dignità.... Alla fin fine un badessato non è pascolo tanto meschino per l'ambizione d'una monaca! - Mi rialzai sollecita, accesi il lume, trassi dallo scrittoio un foglio bianco, e intinta la penna nel calamaio, presi, con dita tuttavia tremanti dalla convulsione, a segnarvi le seguenti parole, che non saranno mai cancellate dalla mia memoria: Eminenza! Tutti nel mondo siamo soggetti a deviare dal retto sentiero; il solo Nostro Signor Gesù Cristo nacque impeccabile. Sedotta pur io da rea tentazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Qui la penna si fermò ad un tratto, poi mi cadde dalla mano sulla carta: per lungo tempo io rimasi col capo appoggiato sulla tavola....... - Sciagurata! esclamai alfine, balzando in piedi furibonda, e mettendo in pezzi quel foglio. Sciagurata! Non ti bastano i ferri che trascini al piede, ma porgi anche il collo al capestro? Hai tu dunque aspirato alla libertà solamente per disertare il suo vessillo in tempo di battaglia? E l'onore? e le generose aspirazioni, e la fede, e il cuore? Che ne hai tu fatto, vile, del cuore? E la coscienza? Ancorchè tu possa rimanertene sorda ai gemiti della tua patria, credi peter soffocare la voce della coscienza? Perchè non prendi consiglio e conforto dalla storia di questa tua patria? Spinta da contrarie passioni, governata da fiacco volere, abbandonata alle seduzioni altrui dalla propria famiglia, adescata da ogni parte, cadde la misera Italia nel servaggio, come precisamente vi cadesti anche tu. Così pur essa languì per lungo tempo carcerata nel chiostro, che principi spirituali e temporali le fabbricarono; così pianse, implorò, protestò. Conformi sono le tue vicende alle peripezie di lei: comune l'espiazione, comuni i voti al rinnovamento, comuni perfino gli sforzi recenti a ricuperar l'esercizio della propria volontà.... Ed ora tu retrocedi....! E in qual momento? Alla vigilia della redenzione; mentre allo splendore della giovine Italia si dileguano le ombre della tirannide. - Spuntato il giorno, partii con mia madre alla volta di Capua. Il cardinale Capano mi accolse con rara gentilezza; era uomo di facile accesso, scevro di pregiudizi e superiore alle basse vendette. Ei mi promise la sua protezione, e nell'udire il racconto delle mie vicende, affermò di voler operare quanto poteva, per togliermi da quell'infelice stato. Il pomeriggio dello stesso dì venne a trovarmi il suo vicario, mandato da lui per mettersi d'accordo con me. Conobbi in quell'uomo un sacerdote rispettabile. Non contento di ricevere la mia confessione, che deposi ai suoi piedi bagnata di lacrime, ei volle inoltre che mi recassi l'indomani all'arcivescovado, per narrargli tutta intera la mia vita. Assicurato che io non operava per fini men che nobili e puri, mi chiese i Brevi pontificii ricevuti fino a quel giorno. Questi Brevi erano stati, nella fretta della partenza, dimenticati; perlochè convenne che mia madre ritornasse subito in Napoli; e siccome l'affare richiedeva tempo, il buon vicario consigliò che intanto io fossi entrata in un ritiro della città. libera di uscirne in tutte le ore del giorno, purchè vi pernottassi. Uno di quella specie di ritiri portava il nome dell'Annunziata. Il vicario, trovata ivi una stanza libera, mi pregò di non prendere in mala parte il nome del locale, poichè se quello era per consuetudine il deposito delle proiette, vi dimorava pure un picciol numero di religiose, che non appartenevano a quella classe di femmine. Parte della mobilia mi fu garbatamente favorita da lui stesso, e parte ne presi a nolo dall'albergo. Io e Maria Giuseppa, che non mi abbandonava, entrammo dunque nel ritiro, e mia madre due giorni dopo se ne partì. Molti riguardi mi furono usati dai superiori dello stabilimento; veniva ogni giorno il cameriere del vicario per sapere se avessi ordini da dargli, e il cardinale aveva commesso sì alle religiose, che alle ragazze, di usarmi il massimo rispetto. Ebbi per questa ragione da esse il titolo rancidissimo di Eccellenza. Intanto scorsero parecchi giorni prima che Riario avesse scoperto il mio rifugio. Saputolo alfine, si morse le dita, e scrisse a Capano una lettera piena d'impertinenti rimproveri per avermi dato asilo. Questi rispose trattarsi d'un'onorata religiosa non d'altri scontenta, che di lui, e non già, come dal suo foglio sarebbe sembrato, d'una fuggitiva dal carcere, rea di qualche enorme misfatto; del resto, essere l'arcivescovo di Napoli in dovere più di ringraziarlo per avermi accolta, che di censurarlo. Riario sopì la collera, per ridestarla in sè a miglior tempo. Veniamo ora all'ignobile ritiro, dove il destino mi aveva balestrata. Grandiosa è l'Annunziata di Capua: ha vasto fabbricato e chiesa bellissima. Le religiose vi occupano stanze separate, ma le proiette dormono stivate in lunghi ed oscuri corridoi, ove non si può penetrare senza disgusto. Vi alloggiavano in quel tempo trecento in circa di queste femmine. Rimasi spiacevolmente colpita dello squallore, dal sudiciume, dal misero aspetto di quelle vittime di malcauti amori. Prive delle domestiche virtù e de' requisiti che nobilitano il sesso debole, destitute d'ogni elementare istruzione, rozze, garrule, petulanti, infingarde, esse convivevano lì in uno stanzone comune incatenate: parevan piuttosto un branco di bruti, che una famiglia di creature ragionevoli viventi in terra cristiana, e lì riunite sotto gli auspicii della Chiesa per uno scopo di riforma morale. A questo prospetto stomachevole aggiungevasi una scostumatezza nauseante per famigliarità ch'esse trattenevano coi soldati della guarnigione. Nè l'abbadessa delle religiose, ch'era in pari tempo superiora delle proiette, riusciva a frenare la depravazione. Addivenuta burbera ed intrattabile sì per le infermità, sì per i continui travagli che la comunità le cagionava, essa aveva deposte per intero la prudenza e l'affabilità, ch'erano indispensabili al reggimento d'un istituto tanto male accozzato ed eteroclito. Era in quel mentre afflitta Capua da gravi trambusti. I carcerati eransi rivoltati, ed avevano fatto altrettanto i seminaristi colla mira di trucidare il proprio rettore; e già si accingevano a far lo stesso quelle disgraziate dell'Annunziata, a niente meno risolute, che ad immolare la povera badessa. Le trattenne un poco il rispetto che volevano dimostrare a me. Non sì però che una di esse non le tendesse una maligna trappola. Eravi al disopra della gradinata una stanza formata a guisa di tunnel, passaggio piuttosto pericoloso; quella briccona si pone in agguato ad una finestra superiore, e nel punto che la badessa passava di lì, rovescia a perpendicolo sul mal fermo terreno un vaso di fiori pesantissimo. La misera vecchia dovè la sua salvezza alla pura combinazione d'essersi soffermata un momento prima di porre il piede sul passo fatale. Una mattina le fecero trovare, dipinte alla sua perta, due grandi croci nere, sovrapposte ad un cranio: minaccia di morte. Quelle ribalde misero in opera tutti i mezzi di seduzione onde attirare a' loro conciliaboli la mia conversa; ma Maria Giuseppa, la quale per probità e saviezza faceva eccezione al proverbio, non solo assurdo ma falso, che il tuo più gran nemico, dopo il fratello, è il servitore, Maria Giuseppa, dico, lungi dal prestare orecchio alle loro parole, si fece rigida censora del loro contegno. E le biasimò altamente nell'occasione che, essendo stata la badessa confermata dai superiori nella sua carica, elle si diedero a suonare tutte le campane a lutto. Fecero anche di peggio in un'altra circostanza. La sera d'una festa popolare, avendo la superiora proibito a quelle sciagurate di salire sul belvedere, attesochè, sotto il pretesto di vedere i fuochi artificiali, questo indispensabile condimento dello spettacolo napoletano, esse non avrebbero mancato di fare delle pezzuole altrettanti telegrafi corrispondenti col quartiere militare, esse, fortemente per tale divieto indispettite, ammonticchiarono all'uscio della badessa una dozzina dei loro pagliericci, e vi appiccarono il fuoco; poscia, come la paglia ebbe divampato, presero a saltare sulle fiamme, a modo dei monelli di Napoli, quando, riuniti d'inverno alle cantonate, possono attaccar fuoco agli avanzi di paglia delle scuderie. Chi le avesse viste a qualche distanza lacere, scalze, coi capelli scarmigliati infuriare a quel modo; chi ne avesse udito l'orribile baccano, avrebbe creduto di assistere a un sabato misterioso di streghe e di versiere. Un giorno, avendo io incontrata quella di loro che faceva più rumore delle altre, una giovine magra e spilungona, cui non moriva in bocca mai la lingua, la pregai di volersene stare, se poteva, un po' più tranquilla. Ella, dopo avermi baciata la mano: "Eccellenza, fo l'impertinente e la chiassona apposta." "Tu mi canzoni!" "Gnoranò: fo l'impertinente per pigliar marito." "Non t'intendo." "Eccellenza sì: chi non fa la pazza, qui va a pericolo di restar sempre ragazza. In questa Annunziata qui, non si fa mica come in quella di Napoli, dove i giovanotti si scelgono la sposa, buttando il fazzoletto alla ragazza che vogliono. Qui gli uomini (belli o brutti, giovani o vecchi importa poco) vengono al parlatorio; la superiora chiama allora per nome ognuna di noi una dopo l'altra, finchè al compratore non piaccia la mercanzia. Ora dovete sapere, che quella furbacchiona, le prime che chiama al parlatorio son le più impertinenti, quelle che l'hanno fatta più disperare." "Perchè?" "Per liberarsene più presto." Non potei frenar le risa a siffatto ricambio di furberia, e quando m'imbattei nella superiora, la quale più volte erasi consigliata meco rispetto al modo di regolare quel pandemonio, le suggerii lo spediente di chiamar le ragazze, non ad arbitrio, ma per età; poichè così avrebbe tolto il caso che facessero le cattive per speculazione. Tutte le mattine veniva a salutarmi una giovine contegnosa, ma pallida e molto mesta, che celava un mistero difficile molto a indovinare. Le domamdai se soffriva di qualche indisposizione: esitò sulle prime a rispondere, ma poi, con parole interrotte e sospirando, consentì a rivelarmi ch'ell'era vittima d'una malìa. Io presi l'impegno di persuaderla che le stregherie sono mere imposture, e non bisogna crederci; ma mi avvidi che pestava l'acqua nel mortaio, poichè la poveretta erasi fissata in quell'idea. Avendola pregata a raccontarmi come credeva essere stata ammaliata, ella condiscese a manifestarmelo. Aveva ella, mi disse, amoreggiato per più anni con un tale, che era andato provvisoriamente a Napoli co' suoi padroni. Prima di separarsi, recandosi costui a qualche distanza della città, vollero vicendevolmente giurarsi fedeltà inviolabile. Ma se fedele si serbò il giovine nell'assenza, non ne fece altrettanto la Capuana, perchè, contratta amicizia con un sergente, violò il giuramento. Di quest'infrazione avvertito il primo amante, volò sollecito in Capua, ove, fingendo di trattare la perfida come prima, invitatala a pranzo, le regalò delle paste che aveva portato da Napoli. Il giorno appresso, assicuratosi che la sleale amante aveva già divorato il regalo, gittò la maschera e rinfacciandole con virulenza il tradimento: "Ora sono vendicato!" le disse: "già la malìa opera nelle tue viscere.... Addio!" Da quel giorno in poi fu turbata la ragione di quella infelice: un'estrema confusione di idee e di sentimenti la condusse a quello stato lagrimevole. "Ma perchè," le domandai io, "attribuite ostinatamente alla fattucchiería quello che potrebb'essere l'effetto d'una mera combinazione, o, seppur volete, di qualche veleno messo in quelle paste?" "No, no!" rispose: "io ho il demonio in corpo; non posso entrare in chiesa, nè accostarmi ai Sacramenti." "Vieni con me: ti condurrò nel coro io stessa; il tuo diavolo avrà paura di me!" "No, no, per carità.... non posso; morirei subito." L'afferrai per la mano, e quasi trascinandola, le feci scendere le scale: essa piangeva, tremava, imprecava, tentava continuamente di svincolarsi. Dopo lunga resistenza, raddoppiata presso alla porta, al fine vi entrò. La forzai ad inginocchiarsi a piè dell'altare; ella mandò un urlo spaventevole, e fuggì come un lampo. - Povera Napoli, ad estirpare la superstizione feroce che t'insozza non basterà la libertà di mezzo secolo!
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"Non vi fate così abbattuta!" dissi alla conversa, carezzandole leggermente la guancia: "ricomponetevi, prima di uscire, che quella gente non ne provi soddisfazione!" "Dite bene, signora," rispose essa: e per compiacermi si sforzò di sorridere, mentre a stento ratteneva le lagrime. "Potete andare avanti," disse il commissario al prete; "la signora non ha fatto resistenza." Il vampiro, fatta la riverenza, disparve. Morbilli, voltosi a Maria Giuseppa, che carica di scialli e d'altri oggetti, stava pronta a seguirmi, "E tu chi sei?" le domandò. "Sono la conversa." "Tu non accompagnerai la signora al convento!" soggiunse il ciclope. "Perchè?" disse l'una di noi: "Perchè?" replicò l'altra. "La signora sarà condotta al ritiro: tu verrai meco al commissariato per esservi interrogata, e quindi rimandata al tuo paese." Gli urli, le strida, i lamenti che mandò la povera giovine, il suo avviticchiarsi alla mia persona, come per cercare rifugio e protezione, poi il pianto e i gemiti e la disperazione cui davasi in preda, stavano per farmi perdere il contegno. Se non che la commozione, repressa a forza dall'amor proprio, in tale spasimo mi metteva i muscoli della bocca, che pur volendo parlare non avrei potuto. La povera Giuseppa non cessava di abbrancare ora l'abito, ora la mano mia, e di gridare: "Oh, cara, adorata signora, se non volete staccarvi dalla vostra povera conversa, perchè non scacciate questi birboni?" Il commissario, chiamato un ispettore che attendeva all'uscio, gliela consegnò. Io non parlai punto, per tema di prorompere in pianto, ma diedi soltanto a Giuseppa un bacio d'ultimo addio, e pregai la vecchia fantesca di non abbandonarla finchè non fosse rimandata ai suoi parenti. Indi volta al commissario, "Spero," dissi, "che sapendo di chi io son figlia; non vorrete farmi fare il tragitto a piedi." "Nè impedirete che io e sua sorella l'accompagniamo," soggiunse mio cognato. Morbilli fece venire una carrozza, e permise che i congiunti mi accompagnassero. Intanto Maria Giuseppa non cessava di stringermi le mani e coprirle di baci; era tanto straziante la desolazione di quella infelice, che n'ebbe pietà perfino.... un Morbilli. "Coraggio!" le dissi finalmente; e, svincolandomi da lei, uscii la prima dalla porta. Le scale erano tutte gremite di birri, come se si fosse trattato di sorprendere nella macchia una banda di briganti, e più di cento persone eransi radunate fuori del portone per godere dello spettacolo. La chiesa e l'edifizio di Santa Maria delle Grazie di Mondragone posti presso San Carlo alle Mortelle formano il ricovero che Elena Aldobrandini, duchessa di Mondragone, preparava nel 1653 per le dame napoletane, che, venute in basso stato e rimaste vedove, volessero trarvi vita tranquilla e monastica. Oggi vi è pur ammessa qualche educanda, ma in sostanza lo stabilimento è destinato all'uso di ergastolo. Giuntavi poco innanzi alle 3, montai la scalinata, che dalla prima porta di strada conduce sopra; all'ingresso della seconda trovai postati due preti, e presso a loro la superiora che colà chiamasi priora. Uno dei preti era quello spettro di Banco, che condotto aveva Morbilli pel mio arresto; era l'altro il superiore ecclesiastico del locale, quel desso che per la sua furibonda reazione lasciò nel 1848 tristissima rinomanza del suo carattere, quel desso, che come regio revisore cancellava sempre da' manoscritti l'italiano vocabolo eziandio, forse perchè ricordava nella desinenza il nome d'un vindice supremo. Per l'immensa sua devozione alla dinastia Borbonica, e pel famigerato suo oscurantismo decorato coll'ordine di Francesco I, non voleva esser chiamato altrimenti che cavaliere. Dagl'inchini che fece costui al commissario, e dalle parole che si scambiarono fra loro, compresi ch'erano amici di vecchia data: cagnotti attaccati allo stesso guinzaglio. Mio cognato, che a stento aveva fino a quel punto rattenuto lo sdegno, proruppe in acerbe rimostranze contro la condotta del cardinale. "Se non tacete all'istante," gli disse il superiore ecclesiastico, "vi ricaccerò le parole in gola con due schiaffi." "Se non andate, e subito, pe' fatti vostri," soggiunse il commissario, "vi manderò in prigione." Afferrai il cognato per un braccio, e scossolo fortemente, "Perchè vi riscaldate voi," gli dissi; "mentre io che son la vittima taccio? Ora sono giunta al carcere: potete ricondurre la sorella." Tutti serbarono silenzio. Il commissario, avuto dal prete della curia la ricevuta della mia persona, se ne partì, ed io accennai alla sorella di alzarsi per non dare al marito l'occasione di compromettersi. "Scrivi tosto a Gaeta," le dissi nell'atto d'abbracciarla: "scrivi tutto alla mamma, e, per carità prendi per Maria Griuseppa le stesse cure che ti saresti presa per me!" Rimasta sola col birro e coi due carcerieri al fianco, mi fecero salire al terzo piano del fabbricato, quindi mi menarono in una vasta e tetra camera, che aveva l'aspetto d'una prigione da suppliziato: due soli pertugi vi davano luce, ma luce scarsa e cupa, per cagione dell'alto palazzo Villanova che vi era di faccia. Le pareti ignude e insudiciate, la soffitta a travatura, il pavimento a mattoni rotti, per mobilia due sole sedie apopletiche, e null'altro. La priora e il prete superiore dell'inquisizione letteraria uscirono fuori per discorrere a bassa voce; rimase meco il solo prete della curia. Chi crederebbe alla galanteria d'un vampiro? Vedutami sola, derelitta, sconsolata, e priva d'ogni difesa, quel prete, che non era vecchio, pensò di trarre profitto dall'opportunità, facendomi travedere il vantaggio della sua protezione; preso dunque un atteggiamento da cascamorto, che fece maggiormente spiccare la sua ributtante fisionomia, stendendo le scarne mani verso di me: "Se qualche cosa vi occorre," mi disse, "ditelo pur liberamente alla priora, colla quale avrete già simpatizzato; come, suppongo, vorrete simpatizzare anche col vostro devoto servitore." Accompagnarono l'ultima frase un profondo inchino ed un sorriso, che mise allo scoperto l'orrida sua dentatura. "Mostro esecrando!" gridai cogli occhi stralunati, e additandogli la porta coll'indice. "Vattene in malora, e riferisci a chi ti manda qui, che spero coll'aiuto del Cielo di vedere ben presto e lui e te e tutti quelli che vi somigliano mandati, in perdizione!" Non diede alcun indizio di rossore, ma ripreso il cappello, quatto quatto guadagnò l'uscio, che io richiusi con furia alle sue spalle. Allora, ritornata nel mezzo della stanza, m'inginocchiai, giunsi le mani, e, sollevati gli occhi al cielo, il cuore a Dio, pregai dal più profondo dell'anima per la calunniata innocenza. - Il Signore non ributta, ma esaudisce il cuore contrito ed umiliato! -
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A Milano, la rovina, benchè improvvisa, non mi aveva nè abbattuta nè scoraggita. E sì che imaginavo la miseria, te lo ricordi? La miseria non è venuta. Delle privazioni gravi, non mi pare che ne facciamo nessuno. Forse è questo. Non so, non so. Tutto l'insieme della nostra vita, mi ha un'aria sospetta! Mi pare che nessuno è al suo posto. Mi pare che il papà non comanda come dovrebbe.... Mammà.... lo vedi! Tu, tu che a Milano mi piacevi tanto....
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Altre volte invece era pallida, triste, abbattuta, e sulla sua faccia da bambina faceva un doloroso contrasto l'espressione della bocca che dimostrava una precoce maturità. Una mattina che uscii più presto del solito, non scorsi la Sara al suo posto; nell'avvicinarmi vidi venir da quello stesso vico un giovane alto e robusto, che si diresse, senza vedermi, dalla parte opposta a quella donde veniva io: portava un berretto di lana in testa ed una giacchetta buttata sulle larghe spalle. Poco dopo comparì la Sara: vedendomi si confuse e mi salutò con un certo imbarazzo. Le domandai, indicando l'uomo che erasi allontanato, se fosse quello suo marito. - Eccellenza no - mi rispose, con un certo tremito nella voce e abbassando gli occhi. Dopo un breve silenzio riprese a dire, guardando il giovane che ormai era a molta distanza da noi: - Quello là è un bravo picciottu che lavora e guadagna bene. È poco tempo che è tornato da fare il soldato. Prima di partire dal paese, io non era ancor maritata, mi disse: - Sara, quando torno ci sposeremo. E se la buon'anima di mia madre non fosse morta, certamente l'avrei aspettato. Tornando, la prima cosa che pensò fu di cercar di me, e quando gli dissero che era maritata, jettò nu santiuni (disse una bestemmia). Dopo queste parole abbassò nuovamente gli occhi mentre il suo visetto rotondo era divenuto scarlatto. Poi soggiunse: - Meschino, mi conserva un po' di affezione; sa che son bisognosa, e ogni tanto viene a portarmi qualche cosuccia. Disse quest'ultima frase a reticenze e guardandomi come se avesse paura che io interpretassi malamente le sue parole, o cercasse d'indovinare l'effetto che mi avevano fatto. Il bambino principiò a piangere, a strillare in modo, che non ci lasciò più sentire quello che dicevamo. Seguitai la mia passeggiata, triste e commossa. Avevo letto più a fondo in quella povera anima, e vi avevo scoperta la vera causa dei suoi dolori. Pensavo a questo eterno romanzo del cuore, che si ritrova per tutto, in ogni classe sociale, dalla più alta alla infima, nella misera catapecchia e nello splendido palazzo, a questo amore che è sempre lo stesso, per diverse che siano le evenienze e l'ambiente in cui si svolge e respira, ma è lui, sempre lui che conduce gli avvenimenti più grandi come i più piccoli. In quell'istante mi sentii agghiacciare da un doloroso presentimento; mi voltai per rivedere ancora quell'infelice: si teneva il bimbo stretto stretto al seno e lo cullava per farlo acquietare. Senza spiegarmene la ragione, mi sentii gli occhi pieni di lagrime, ed il cuore gonfio di tristezza. Fu quella l'ultima volta che vidi la povera Sara.
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