Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbassi

Numero di risultati: 9 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Fisiologia del piacere

170318
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
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In questo modo può darsi che un uomo non si abbassi mai ad una viltà senza avere palpitato al sentimento della propria dignità. Egli ha ubbidito ad un codice che ha trovato già scritto nascendo, egli ha adorato un dio che non aveva mai conosciuto. Le leggi che regolano i piaceri della propria dignità e dell'onore sono le stesse, perchè sono determinate da un'identica natura. Essi sono quasi sempre negativi, cioè derivano, dalla riparazione di un'offesa. La dignità e l'onore non possono mai transigere senza portare se stessi alla perdizione; per cui, rimanendo immacolati, producono una gioia calma, che il più delle volte non si fa sentire. Quando invece sono messi in pericolo di vita, essi sorgono animosi alla riscossa e si riposano gioiosi sui loro altari. La nostra dignità non si compiace che delle grandi battaglie, mentre l'onore è fatto per le scaramucce. Nei grandi fatti d'arme esso fa da bersagliere. L'influenza di questi piaceri si esercita su tutti i sentimenti anche i più nobili e generosi, e la virtù è sempre il primo convitato alle loro feste. Leggendo la storia, si trovano molte azioni eroiche che si devono alla sodisfazione di questi sentimenti, e scorrendo negli archivi della memoria, ognuno può ricordarsi di aver provato queste gioie. Fortunatamente l'onore non è lettera morta che per pochissimi. L'uomo e la donna sentono ugualmente la propria dignità e l'onore; ma l'espressione di questi sentimenti riesce più seducente nella donna, perchè il coraggio morale, compagno della debolezza fisica, ispira maggior simpatia e ammirazione.

Pagina 117

L'angelo in famiglia

182168
Albini Crosta Maddalena 2 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Pagina 10

Pagina 643

Saper vivere. Norme di buona creanza

192880
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Inutile il soggiungere che, più tardi diventando un giovanotto, facendoti uomo, tu, hai aggiunto a questa educazione qualche cosa di più, un certo affinamento: tu, sedendoti innanzi a un superiore, non metti una gamba a cavalcioni dell'altra: tu, parlando a una signora, non tieni il sigaro fra le labbra: e se ti trovi in qualche ritrovo pubblico, abbassi la voce, naturalmente, nel conversare. Dunque, tu sei un uomo educato. E, se ti fermi alle apparenze, questo mio modesto piccolo libro può sembrarti inutile! Invece, amico lettore, vi è una seconda educazione che tu, probabilmente, non possiedi; e ciò senza nessuna tua colpa, senza colpa di nessuno che ti consigliò e ti guidò, nella prima età, ma per tante circostanze di famiglia, di posizione, di ambiente. Questa seconda educazione, questo saper vivere, è, anche, una cosa tanto fantastica, tanto bizzarra, cambia di colore, di espressione, di tipo, così facilmente! Questo saper vivere è così differente, secondo ogni paese, secondo ogni clima, secondo ogni tradizione! Saper vivere, veramente, in società, nel mondo, diventa un'arte talmente difficile! Ed è, intanto, necessario saper vivere, anche per una creatura umile e oscura, anche per una esistenza solitaria, e modesta, anche per un uomo dall'avvenire circoscritto, anche per una donna dall'orizzonte limitato: è necessario saper vivere, se si vuol vivere, se si vuole svolgere tutta la propria vita, in armonia con le cose e con le persone, in armonia coi nostri pensieri e coi nostri sentimenti! Ed è molto bene per te, amico lettore, che tu, per tuo istinto di equilibrio, per natural gusto eletto, conosca questo saper vivere, e che, in qualunque ora della tua vita, tu non commetta mai uno di quegli errori di condotta, di misura, di scelta, che sembrano piccoli e lievi, ma che, talvolta, portano delle conseguenze meno lievi, e, forse, gravi. Più se questa scienza così umana ti manca, se non hai avuto né il tempo, né la voglia, né la facoltà d'impararla, se tu non sai, per esempio, quale sia il tuo dovere di promessa, il giorno in cui tu dai promessa di nozze, se tu non sai come regolarti avendo una udienza dalla Regina, se non sai come vestirti, andando a un pranzo di mezza cerimonia, in estate, il modestissimo mio libro te lo dirà, non come un sermone, non come un ammonimento, amico lettore, ma nella forma più amabile e cordiale della conversazione con un amico. E, forse, un maligno - vi è sempre un maligno, un pò dappertutto - potrebbe osservare che io, amico lettore, metto cattedra di saper vivere, mentre nessuno me ne ha elargito il diploma. Chi sa! Io lo ho, forse, questo malinconico diploma. Malinconico, dico, poiché esso mi viene dall'età che, amico lettore è molto maggiore della tua: poiché mi viene dai costanti e lunghi viaggi, in paesi ove si sa vivere perfettamente: poiché mi viene dai costanti e lunghi contatti con una società cosmopolita che, non avesse altro merito, sa vivere: e tutto ciò significa esperienza, ed esperienza, talvolta, quasi sempre, vuol dire malinconia. Un ignorante è sempre un ingenuo: e un ingenuo è sempre una persona gaia. Ma non proseguiamo più oltre quest'analisi psicologica: essa condurrebbe ad osservazioni anche più amare. Che il maligno si rassicuri e sia contento: tutti i diplomi hanno un fondo di tristezza e contro il legno delle cattedre, palpita quasi sempre un cuore deluso. Così non sia di te, amico Iettore, quando tu sia giunto alla fine delle mie pagine: possa tu ritrovarvi, ogni volta che tu voglia consultarlo, la parola giusta e sincera che ti guidi in una piccola difficoltà della tua vita, possa tu leggere, nelle sue righe; il motto schietto e preciso, a cui si leghi un tuo pensiero e un tuo atto: e che, almeno, il malinconico maestro di saper vivere, a cui la piccola scienza costò degli anni e delle fatiche, senta che le sue parole abbiano efficacia di bene!

Pagina 15

Come presentarmi in società

200127
Erminia Vescovi 1 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
  • paraletteratura-galateo
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In America, si usa solo toccare il cappello: noi non ammettiamo questa forma frettolosa se non in gran confidenza tra eguali, e vogliamo che il saluto maschile sia fatto secondo le regole: si alzi il cappello e si abbassi più o meno profondamente davanti alla persona cui si vuole rendere omaggio: non si riponga in capo sinché la persona non è passata, e fermandosi eventualmente con essa, si attenda il suo cenno per ricoprirsi. E si badi di togliersi il cappello colla destra e non mai colla sinistra; se la destra fosse impedita con bastone, ombrello o altro, si passi rapidamente all'altra mano per averla libera. E chi avesse il sigaro in bocca, se lo tolga colla sinistra, e si scopra colla destra. Ma ora che gli uomini vanno quasi sempre a capo scoperto per le strade, queste norme sono buone solo per l'inverno. E allora? anche gli uomini saluteranno come le donne, cioè con un lieve chinar di capo. Se però il saluto è di molto rispetto, bisognerà che si fermino e che facciano l'inchino di società. Chi accompagna per via una signora è obbligato a salutare tutti quelli che la salutano anche se non li conosce. E se essa si arresta un momento a parlar con qualcuno, l'uomo bene educato si tiene in disparte. La strada non è il luogo delle espansioni esagerate: abbracci e baci in pubblico sono sconvenienti e qualche volta un po' ridicoli. Incontrando un amico che da molto tempo non si rivedeva, e la cui presenza improvvisa ci reca una gran gioia, si cerchi tuttavia di non dare spettacolo al pubblico: basta una viva esclamazione, una calorosa stretta della mano o anche di ambedue le mani, e si serbi il resto (lo dico specialmente alle donne che sentono assai più il bisogno di baciarsi e di stringersi) a luogo più opportuno. E non si facciano lunghe fermate per via: talvolta ciò disturba il conoscente, a cui pretendiamo invece, in tal modo, di mostrar affetto e premura, e disturbano gli altri passanti, specialmente se queste fermate si fanno lungo i marciapiedi e sulle cantonate. Camminando in più persone, bisogna aver riguardo alla reciproca dignità. Se sono in due, il posto d'onore è a destra o lungo il marciapiede. Se sono in tre, il più degno starà nel mezzo; a destra verrà chi gli viene appresso per grado o età, a sinistra l'altro. Se la brigata fosse di quattro o più favoriranno dividersi per non ingombrare tutto il marciapiede. Dovendo attraversare un passaggio stretto, è ovvio che si lasci prima passare il superiore; ma se fosse un passo un po' pericoloso o difficile, come può accadere in campagna, il più giovane preceda l'altro per esser pronto a porgergli la mano. Discorrendo coi nostri compagni di passaggio, si abbia cura di non alzar soverchiamente la voce, di non rider troppo, di non far cenno che sembri offesa o scherno a chi si trova sul nostro cammino. E' poi molto scortese, come già si è detto, fermarsi, nell'enfasi del discorso, sul marciapiede e costringer così anche gli altri a fermarsi. E' un perditempo e poi un intoppo alla circolazione. La persona bene educata tiene, o sola o accompagnata che sia, un contegno serio e riservato; una donna poi peccherebbe troppo gravemente d'imprudenza se si allontanasse dalle norme più severe. Essa in tal modo incoraggerebbe i bellimbusti e gli avventurieri, i quali non mancano mai, specialmente nelle grandi citta. Ma può capitare anche alla fanciulla più riservata, alla signora più rispettabile d'aver a fare qualche volta con un mascalzone (altro titolo non merita) che si ponga a darle molestia. Se il contegno più austero, se il silenzio più sprezzante non bastano a scoraggiare colui, la donna seria e prudente non si abbassi a rimproveri nè a minacce; faccia cenno al primo vigile che le capita, e gli affidi l'incarico di dare al malcreato la debita lezione. E' il mezzo più semplice e il più conveniente. Davanti agli avvisi, alle vetrine, alle curiosità d'altro genere, non si facciano lunghe fermate, il che è indizio di curiosità eccessiva e di poco riguardo agli altri. Se poi è uno spettacolo sconcio, come una lite, un ubriaco, o altro, si ricordi il severo rimprovero che si buscò Dante dal suo maestro Virgilio e Maestro Adamo. E il povero Dante ne rimase così umiliato, così vergognoso, che non sapeva nemmeno trovar parole per scusarsi: tanto che il buon maestro ebbe compassione di lui e, concedendogli tosto il suo perdono, gli aggiunse un prezioso consiglio che fa anche per noi e per tutti:

Pagina 179

Eva Regina

203461
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 1 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
  • paraletteratura-galateo
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LA MOGLIE DELL' UOMO D' INGEGNO « Non bisognerebbe mai fare la sciocchezza di sposare un uomo d' ingegno — scrive Ida Baccini — ma quando si è sposato conviene elevarci fino a lui e non pretendere ch' egli si abbassi fino a noi. » Giustissime parole : giacchè sebbene l' uomo d' ingegno vada dichiarando, e talora con ostentazione che l' ignoranza accanto a sè lo riposa, dimostra poi di non sopportare con troppa filosofia le conseguenze dirette di questa ignoranza che sono la petulanza, il pettegolezzo, la piccineria. Una donna che non rispetti il raccoglimento del pensatore e l' ispirazione dell' artista : che non sappia essere indulgente per certe sue negligenze, per certe sue disattenzioni ed anche per qualche disuguaglianza d' umore o scatto di nervi, tributo che i signori della vita intellettuale pagano spesso alla fragile natura umana — questa donna non potrà mai far buone le ore di riposo nell' intimità domestica, non seconderà, ma renderà più malagevole gli sforzi dell'uomo d' ingegno verso il suo ideale. Se è giovine avrà voglia di divertirsi e costringerà il marito a frequentare luoghi mondani ove si sentirà a disagio, dove forse uno stupido vagheggino per cui l' eleganza è tutto, oserà mettere in ridicolo il suo colletto che non è sull' ultimo modello, qualche inesperienza sociale in cui può incorrere, egli che vive in una sfera così diversa e superiore. Se la moglie non è giovine, gli rimprovererà forse i denari che spende nei libri, negli esperimenti scientifici, nei congressi, nelle esposizioni, e l'umilierà stupidamente osservandogli che le sue fatiche sono senza frutto, che la sua arte non serve se non a far perdere il tempo. Od anche gli empirà la casa di oggetti di cattivo gusto e lo farà arrossire per gli strafalcioni che snocciolerà imperturbabile in presenza degli invitati e degli amici. « Si sposa qualche cosa di più d'un uomo quando si sposa il suo ideale » scrisse Emilio de Marchi con la nobiltà che gli era consueta. Infatti una donna che si accinga ad unire il suo destino al destino d'un essere superiore, deve prima di tutto sentire l' orgoglio di essere stata eletta, e quindi proporsi di non riuscir mai inferiore al concetto che chi l'ha scelta si è fatto di lei. Chiamata a dividere una vita che può svolgersi in spirali fulgide ascendenti fino all' apoteosi, o smarrirsi in un labirinto fra tenebre cupe senza speranza di uscirne, ella dovrà serbarsi alta e forte, senza inebriarsi della ventura, senza disanimarsi nella cattiva sorte. Raddoppierà di previdenza, d' intuizione, di tolleranza, di spirito di sacrificio, annienterà sè stessa nella personalità del suo compagno, paga di essere l' ombra refrigerante, il sostegno segreto, la benefica fata nascosta: di essere una delle cause principali, forse, di una magnifica fioritura ideale che stupisce il mondo. Per una donna d'intelligenza e di cuore nessuna missione più eletta, più invidiabile di questa, d'essere la degna compagna del genio, od anche solamente dell' uomo d' ingegno; di vivere con lui e per lui la doppia vita del cuore e dell'idea.

Pagina 232

Il giovinetto campagnuolo II - Agricoltura

205888
Garelli, Felice 1 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Pagina 89

Angiola Maria

207231
Carcano, Giulio 1 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Sono sei o sette fanciulle vispe, sollazzevoli, accorte una più dell'altra, che, tra l'agucchiare e il ricamare, lasciano scappar certe loro rapide e loquaci occhiate verso l'entrata; poi sorridendo e guardandosi di nascosto, danno di gomito alla vicina, quando alcuna, arrossendo d'improvviso, abbassi il capo sul lavoro; sia che con la coda dell' occhio abbia veduto passare lungo la via il suo giovine innamorato, o sentito il picchiar del suo bastone su lo scalino della bottega, o distinto, fra il continuo strepito del di fuori, il noto zufolare della sua arietta. Una sola di quelle fanciulle se ne stava modesta e silenziosa, tutta intenta al collaretto già mezzo ricamato che teneva fra le dita; e mentre le testoline irrequiete delle gaie compagne si volgevano di qua, di là, a ogni momento, ne' più leggiadri e furbetti modi, quell'una s' inchinava in atto tranquillo e pensoso, quasi fosse straniera al sommesso cicaleccio dell' altre, a quel sì frequente scoppiar di risa mal trattenute. Se non che gli occhi talvolta riposava, come incantati, sul suo gentile ricamo; allora essa non cuciva più, e la mano che teneva l' ago, posava oziosa su le ginocchia. Bensì, di tanto in tanto, le compagne le dicevano qualche lieta parola, o le facevano qualche malignuzza domanda; ma essa non rispondeva che sollevando i suoi begli occhi, aprendo appena le labbra a un leggero sorriso. E certo le amiche non le avrebbero perdonato questa sua maliconica ritrosia; ma sapevano tutte, che alla poverina non restava più né padre, né madre; e che non aveva saputo ancora trovarsi un innamorato: però la compativano, e la chiamavano Maria la novizia. « Senti, Ghita! » diceva alla sua vicina con segreto susurrio la più tristarella di quel gruppo, una piccola brunetta, con un par d' occhi di fuoco, e le guance paffutelle e colorite come lo spicchio di una melagrana; « senti, ma non dirlo nemmeno all' aria, per carità! è un pezzo che volevo parlarti di una cosa.... perché, devi sapere che sono stufa di non aver nessuno che guardi a me. Tu, Ghita, e Rosina e Stella, l'avete pure il vostro amoroso; e me, non c' è anima che mi cerchi.... » Rideva la Ghita a questa sincera, confessione, e : « Cosa vuoi che ti faccia io? » rispondeva pur sotto voce.... E l'altra: « St! st! ché la maestra ne fa gli occhiacci, ché par quasi ci voglia mangiare. » Pure, di a poco, si chinò ancora all' orecchio della compagna, e ripigliò « Dunque.... tu sei felice, Ghita! tu che la sera; appena fuori di qui, trovi l' Eugenio, lì su' due piedi, che t'aspetta; subito gli dai di braccio, e ve n'andate in santa pace; ma io.... » « Tu sei ancora una ragazzina, Luisa, » rispondeva l'amica: « hai quindici anni appena, e non è più di tre mesi che sei qui con noi. » « Cos' importa mai? se son giovine, tanto meglio! Credo poi di non esser così brutta che m'abbiano a metter in un canto come un cencio; e non sono poi nè smorta come la Maria, nè losca come quella superba di Carlotta.... » « Abbi un po' di pazienza, che la capiterà presto anche per te la fortuna; se non è venuta, vuol dire che non è la tua ora. » « E io sento in vece che l' ora è questa.... Ma ascolta una buona volta, che piacere tu m' hai a fare.... » « Gran segreti fra la Luisa e la Ghita! » disse allora battendo sul tombolo la spoletta del suo ricamo, la Carlotta, che sedeva in faccia a loro. « Niente del tutto! E poi, che ne vuole saper lei, signora pretendente?... » rispose la prima, indispettita. « Oh! oh! come la ti fuma subito! non si può dirti nulla! » soggiunse Stella, la sua vicina. « Lasciatemi un po' stare, » replicò Luisa più corrucciata; e in quella piccola ira, alzava con isgarbo le sue tonde spallucce: le compagne le guardavano di sottecchi, sogghignavan fra loro. « E voglio dire e fare quel che mi piace, » riprese poi, cogliendo il buon punto, che la maestra dai suo banco stava mostrando ad una merciaia del vicinato certi fazzoletti di mussolino. « E se voi altre non mi lascerete stare, ve ne dirò tante da farvi diventar rosse di vergogna, dalla prima all'ultima, da da farvi scappare!... » Tutte ridevano; Maria soltanto, in aria di dolce compassione, levò gli occhi sopra di Luisa; ma costei, ostinata nel suo capriccio, si trasse con la seggioletta più vicino alla fedele Ghita, e continuò: « Ascoltami tu , che sei buona voglio proprio dirti tutto, a marcio dispetto di queste male grazie. Sappi dunque, che stamane ho veduto passare di qui, più di due e tre volte, il tuo Eugenio, in compagnia d'un altro: quest'altro non lo conosco, ma mi ricordo d'averlo veduto, dev' esser suo amico.... Bene, questo bel giovine, perchè è un bel giovine, sai?... mi pareva che mi guardasse ne.... oh anzi, ne son certa! E se tu fossi capace stasera di domandargli, all' Eugenio, chi sia quel suo amico.... Oh! ti vorrei far mille baci. Senti, mi dice il cuore che questo giovine passi di qui proprio per me. È di bella statura, ha una fisonomia così cara, ha certi baffetti biondi.... e poi, un bel fare.... Oh! è sicuro un signore, e muoio della voglia di sapere se è per me.... se è lui.... Oh cara Ghita, lo farai a me questo piacere, di', lo farai?... » « Sì, sì, ma se poi non fosse che uno scaldarti la testa!... » « Oh Ghita! tu non gli hai dato mente, perché guardi sempre il tuo Eugenio; ma io.... Sai? è perchè mia nonna, non contenta di recitare tutto il dì la corona, chè in fine non è lei che m' ha fatto, non vuole mai lasciarmi andar sola per le vie, e manda sempre ad accompagnarmi, innanzi e indietro, quello stupido del mio fratello minore, che fa il copista da un avvocato; se non fosse così, oh me la spasserei bene alle spalle di queste cattive, che adesso ridono di me! Quel bel giovine, che tu sai, m'avrebbe già parlato, e vorrei farne crepar molte dall' invidia.... Oh sì vedi, perchè non son degni di stargli a confronto nè il Colombo, quel malcreato che fa all' amore con la Carlotta, nè il signor Antonio che parla alla Rosalia, e che avrà i suoi buoni cinquant' anni.... No, no, io nol vorrei cambiare il mio amoroso, nè col Pietro della Clarina, proprio degno di lei, un giovine di bottega; nè col contino pitocco di cui si vanta tanto la Stella, nemmeno quasi col tuo Eugenio; sebbene, bisogna dirlo, Eugenio li valga tutti insieme. E io, credilo, io sarò sempre la tua vera amica.... » « Senti, Luisa; » rispondeva la Ghita a quell' inquieto cicaleccio: « di malizie n' hai da vendere, ma tant' è, io ti voglio bene, perchè sei sincera; e gli domanderò.... » « Oh! la è lunga stasera!... » diceva una; e le altre: « Già, lei è sempre la disturbatrice! » « Qualche gran mistero! » « Eh lo sapremo anche noi la Ghita, ne lo dirà. » « Sei pur buona tu, Ghita, a darle ascolto. » « Che si faccia sposa la Luisa? oh, oh!. » « E chi volete che la prenda?... » Queste amare baie ferivano il cuore della Luisa, che girò una lenta e torva occhiata su le compagne. E voleva rispondere, ribatter quelle parole nemiche con più acerbi rimbrotti; ma arrossiva, e le sue mani tremavano: allora, lasciando cadere il collaretto increspato, a cui avrebbe dovuto lavorare, appoggiò stizzita la sua piccola testa su la tavola, e ruppe in un improvviso scoppio di pianto. Maria, che sola era stata sempre silenziosa, sentì pietà della Luisa; e quando questa, non trovando più armi contro la sorda guerra delle pazzerelle amiche, finì a rispondere col pianto, ella s' alzò, le si fece accosto, le strinse con affetto una mano; indi, rivolta alle compagne: « Via, » disse « siate buone! non vedete che vi riuscì di farla piangere? sareste mo contente d' esser ne' suoi panni?... E poi, cosa v' ha fatto mai, poverina? Su dunque lasciatela in pace, e fate vedere che avete buon cuore. E tu, Luisa, non pian- gere! ti vogliamo bene tutte, vedi! è stata una burla; non abbilo per male, o pensa piuttosto che non c'è rosa senza spine, e che tu sei ancora felice di non aver altri guai! No, tu non conosci che si ha a sopportare a questo mondo di ben più grandi travagli! » Ma la buona intenzione di Maria, e le sue miti parole fecero peggio; perchè le fanciulle, dispettose dal sentirsi ammonire da una che poco amavano: « Vedi! » bisbigliarono fra loro, « vedi un po' questa, che vuol far la dottoressa! « E perchè se n' impiccia lei adesso?» « Eh la santarella! sentitela, che fa la dottrina cristiana.... » « Taci, taci, Maria; si conta di belle cose anche di te, e non ci far parlare. » Così la tempesta, che prima minacciava la Luisa, scoppiò invece su la buona Maria; la quale mortificata essa pure, tornava mutola a sedere. Ed essendo in quel punto la crestaia scomparsa dietro l' uscio interno della bottega, per salir alle sue stanze di sopra, quelle mordaci cervelline non si tennero più, e si voltaron tutte contro di Maria. In quella, s' intese il battere delle otto. Allora fu un cinguettio, uno scoppiar di risa e di scherzi, un coro di vocine stridule e gaje, una furia di smettere i lavori alla rinfusa, di gettar su la tavola guancialetti, spole, cuffie disfatte, ricami su' disegni incartocciati, cesoje, ditali. E ciascuna delle fanciulle correva a pigliare il suo cappellino di seta e lo scialle a scacchi o a quadretti, e tutte in una volta assediavano la povera Maria, che sola fra tutte era rimasta al lavoro. Pareva quel confuso cicalio che fanno le passerette d'una colombaja, sul vespro d'un bel dì d'estate. Diceva una: « Senti, Maria! tu, in fondo, non sei una cattiva pasta di ragazza, ma vuoi far la gatta morta, e non ti sta bene. E l'altra: « Non le guardate, è marcia invidia che la fa parlare. » E una terza: « No, no; scommetto che sa fare anche lei il fatto suo, e voi la chiamate la novizia! andate là, povere sciocche!... » Chi diceva così era la Carlotta, la più sguajatella e la più brutta, alla quale tutte si strinsero intorno, pressandola con cento interrogazioni. « Ah sì, dici? anche lei, con quella faccia compunta? Ma contane dunque qualcosetta, se ne sai! » « Ah! ah! son proprio contenta: non l'avrei mai creduto; e come?... e dove?... » « Sì, dilla su, com'è stata? dunque l' ha avuto anche lei il suo bello, eh? altro che prediche, che amor del prossimo! » «Ah! l' ha avuto anche lei l'amoroso? lui l'avrà piantata, e per questo arrabbia che noi ce lo teniamo!... conta, conta su! » « Ma io non so altro.... ma non posso dire.... E poi, io nol fo per vendetta, perchè le voglio bene alla Maria.... » Così, ma inutilmente, rispondeva la maligna Carlotta, mentre tutte eranle dintorno, e chi per un braccio la pigliava, e chi le scoteva un lembo dello scialle, e chi le tirava i nastri del cappellino: pareva giocassero a gatta cieca. Maria rivolse alle compagne uno sguardo, in cui appariva più la preghiera che il compatimento; ma quelle continuavano a ridere, a chiacchierare con gran bisbiglio, nè vi fu che la Luisa, la quale, forse per gratitudine, fattasele vicina, le disse all' orecchio: « Buona Maria, scusami se tutto è per cagion mia! » E le diede un bacio di cuore. Certamente, il giuoco avrebbe preso mala piega, se in quel punto non ricompariva la crestaja. La quale, veduta quella confusione, e intesa quella strana armonia di risa e di voci, si fermò nel bel mezzo della bottega, e girando un' occhiata lunga e severa sul crocchietto delle inquieta alunne, che alla sua presenza s'erano ricomposte in silenzio, umili, quatte e stupite, fece loro tal solenne gridata, che da un pezzo non avevano toccata la compagna; e con questa le congedò una dopo l'altra, ch' esse non vedevano l'ora d'andarsene. La piccola Luisa fu l'ultima: le convenne aspettare caro suo fratello; e n' aveva tanto corruccio che dispettosa batteva i piedi. Ma appena lo vide mettere il capo dentro la porta invetriata della bottega, strisciò una goffa riverenza alla maestra crestaja, e subito scappò via, come un uccello. Chi avesse avuto il capriccio dì tener dietro a quelle

Pagina 232

Saper vivere. Norme di buona creanza

248246
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
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Inutile il soggiungere che, più tardi diventando un giovanotto, facendoti uomo, tu, hai aggiunto, a questa educazione qualche cosa di più, un certo affinamento: tu, sedendoti innanzi a un superiore, non metti una gamba a cavalcioni dell'altra: tu, parlando a una signora, non tieni il sigaro fra le labbra: e se ti trovi in qualche ritrovo pubblico, abbassi la voce, naturalmente, nel conversare. Dunque, tu sei un uomo educato. E, se ti fermi alle apparenze, questo mio modesto piccolo libro può sembrarti inutile! Invece, amico lettore, vi è una seconda educazione che tu, probabilmente, non possiedi; e ciò senza nessuna tua colpa, senza colpa di nessuno che ti consigliò e ti guidò, nella prima età , ma per tante circostanze di famiglia, di posizione, di ambiente. Questa seconda educazione, questo saper vivere, è, anche, una cosa tanto fantastica, tanto bizzarra, cambia di colore, di espressione, di tipo, così facilmente! Questo saper vivere è così differente, secondo ogni paese, secondo ogni clima, secondo ogni tradizione! Saper vivere, veramente, in società, nel mondo, diventa un'arte talmente difficile! Ed è, intanto, necessario saper vivere, anche per nna creatura umile e oscura, anche per una esistenza solitaria, e modesta, anche per un uomo dall'avvenire circoscritto, anche per una donna dall'orizzonte limitato: è necessario saper vivere, se si vuol vivere, se si vuole svolgere tutta la propria vita, in armonia con le cose e con le persone, in armonia coi nostri pensieri e coi nostri sentimenti! Ed è molto bene per te, amico lettore, che tu, per tuo istinto di equilibrio, per natural gusto eletto, conosca questo saper vivere, e che, in qualunque ora della tua vita, tu non commetta mai uno di quegli errori di condotta, di misura, di scelta, che sembrano piccoli e lievi, ma che, talvolta, portano delle conseguenze meno lievi, e, forse, gravi. Più se questa scienza cosi umana ti manca, se non hai avuto nè il tempo, uè la voglia, nè la facoltà d'impararla, se tu non sai, per esempio, quale sia il tuo dovere di promessa, il giorno in cui tu dai promessa di nozze, se tu non sai come regolarti avendo una udienza dalla Regina, se non sai come vestirti, andando a un pranzo di mezza cerimonia, estate, il modestissimo mio libro te Io dirà, non come un sermone, non come un ammonimento, amico lettore, ma nella forma più amabile e più cordiale della conversazione con un amico. E, forse, un maligno - vi è sempre un maligno, un po' dapertutto - potrebbe osservare che io, amico lettore, metto cattedra di saper vivere, mentre nessuno me ne ha elargito il diploma. Chi sa! Io lo ho, forse, questo malinconico diploma. Malinconico, dico, poichè esso mi viene e dall'età che, amico lettore, è molto maggiore della tua: poichè mi viene dai costanti e lunghi viaggi, in paesi ove si sa vivere perfettamente: poichè mi viene dai costanti e lunghi contatti, con una società cosmopolita che, non avesse altro merito, sa vivere: e tutto ciò significa esperienza, ed esperienza, talvolta, quasi sempre, vuol dire malinconia. Un ignorante è sempre un ingenuo: e, un ingenuo sempre una persona gaia. Ma non proseguiamo più oltre quest'analisi psicologica: essa condurrebbe ad osservazioni anche più amare. Che il maligno si rassicuri e sia contento: tutti i diplomi hanno un fondo di tristezza e contro il legno delle cattedre, palpita quasi sempre, un cuore deluso. Così non sia di te, amico lettore, quando tu sia giunto alla fine delle mie pagine: possa tu ritrovarvi, ogni volta che tu voglia consultarlo, la parola giusta e sincera che ti guidi in una piccola difficoltà della tua vita, possa tu leggere, nelle sue righe, il motto schietto e preciso, a cui si leghi un tuo pensiero e un tuo atto: e che, almeno, il malinconico maestro di saper vivere, a cui la piccola scienza costò degli anni e delle fatiche, senta che le sue parole abbiano efficacia di bene! MATILDE SERAO