L'intelligenza a questo riguardo non ha alcuna influenza sulla perfezione dei piaceri, perchè noi vediamo ogni giorno il merlo accompagnare allegramente col suo canto il suono dell'organetto, mentre il cane più intelligente abbaia indispettito ad un delizioso concerto. Fra tutti gli animali gli uccelli sono forse i soli che possano godere della musica, di cui essi stessi sono partecipi. I filosofi, che vogliono abbassare la dignità umana, come se noi non fossimo già molto in basso, pretendono che abbiamo imparato i primi elementi di musica dagli uccelli. Per quanto la fisonomia degli animali sia difforme dalla nostra, noi possiamo leggere la gioia e il dolore anche nei lineamenti di un uccello; e se abbiamo potuto solo una volta spiare da vicino l'usignuolo nelle sue esercitazioni musicali, dobbiamo aver veduto che esso gode assai, quando colla sua testolina intenta, cogli occhi lucidi e fissi ascolta il suo canto, col quale pare scherzare, ripetendo le note che lo dilettano, o studiando variazioni semplicissime. Quasi tutti gli uomini godono della musica; pochissimi vi sono indifferenti. Ma fra Cuvier, che doveva fare uno sforzo su se stesso per sentir suonare mirabilmente il cembalo dalla figlia prediletta, e Rossini che da quando nacque fino alla morte visse in un'atmosfera di armonia, della quale aveva bisogno come dell'aria, esistono infinite varietà di orecchi più o meno sensibili alle delizie della musica. A questo proposito gli individui si possono dividere in tre categorie: quelli che non sanno godere che della musica eseguita dagli altri; coloro che la possono ripetere; e gli ultimi che la sanno creare. È inutile dire che nel mondo dei suoni queste tre specie di persone sono diversamente privilegiate, e come soltanto i maestri possano pretendere ai piaceri più sublimi dell'udito. Nessuno ha il diritto di accusare di ottusità di mente chi rimane indifferente davanti ad un torrente impetuoso di armonia. La storia ci porge molti esempi di alti intelletti che non sapevano distinguere un accordo musicale da uno strillo; e l'osservazione ci mostra ogni giorno esecutori distinti di musica e dilettanti appassionati fra le persone di cervello più che mediocre. I piaceri dell'udito hanno invece un certo rapporto col sentimento, e spesso gli uomini egoisti e brutali sorridono di compassione a chi si commuove alle delizie di una melodia. La donna può godere più dell'uomo della musica, ma essa rimane assai al disotto nel godimento dei tesori intellettuali che spettano a questi piaceri, e che ne formano anche la parte più preziosa. Ben di rado poi essa può pretendere alla sublime voluttà della creazione, come lo prova abbastanza la statistica dei compositori di musica. L'uomo-bambino comincia a sentire i piaceri della musica, ma questi si riducono alla pura sensazione uditiva, che è anche incompleta e confusa. Divenuto fanciullo gode più assai di questi piaceri, ma la sua continua distrazione e l'imperfezione delle facoltà intellettuali gli impediscono di gustarli in tutta la loro pienezza. È nell'età della fantasia e del genio che la musica apre tutti i suoi tesori di armonia, portando al massimo grado di esaltazione tutte le facoltà cerebrali. Nell'età adulta l'esperienza supplisce, come nelle altre sensazioni, alla raffinatezza del piacere, per cui questo è più calmo, ma può essere ancora intenso e delizioso. Quando l'uomo scende per la curva della parabola, ritornando d'onde venne, allora l'udito si fa ottuso, la fantasia si fa opaca e i piaceri dell'udito impallidiscono.
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C'era infine un barbiere veneto che brillava per la sua abilità d'imitare la voce del can da pagliaio che abbaia alla luna: un ululato lamentevole che straziava i nervi, ma che avrebbe ingannato tutti i cani d'Italia. Ma già tutti gli "specialisti" eran stati scovati e costretti a dar saggio di sè: un vecchio giardiniere, fra gli altri, s'accoccolava dietro una stia e imitava l'anelito rabbioso d'uno per cui volere non è potere, con una perfezione insuperabile: un vero artista, dicevano, ed era tenuto in gran conto. Lì poi giocavano a tarocchi, a pila e croce e alla tombola, e cantavano per ore intere; giocavano perfino a mosca cieca, dei lanternoni coi capelli grigi, e a guancialin d'oro, come rimbambiti. Il grande spettacolo, poi, era quando ci veniva da prua, preso da un estro di mattoide, il saltimbanco tatuato, e camminava con le gambe per aria, faceva il serpente o la ruota, in mezzo a un subisso di applausi, sempre torvo nel viso, come se facesse quello per castigo; dopo di che se n'andava senza far parola, com'era venuto. Ma quell'allegria pareva spesso più voluta che spontanea, e quasi una specie di ubriachezza a digiuno che si procurassero per scacciare i ricordi tristi e i presentimenti cattivi; poichè era veramente un furore come coglievano a volo ogni minimo pretesto per stordirsi col baccano. Si gittavano alle volte in cento contro it parapetto o s'affollavano in cerchio precipitatamente, levando un rumor di grida, di fischi, di miagolli, di chicchiricchi, che si spandeva per tutto il piroscafo e faceva voltare il viso inquieto agli ufficiali: ed era per un cappello caduto in mare, o perchè un di loro s'era tinto il naso di nero, cadendo sopra la boccaporta d'una carboniera. E quando passava in mezzo a loro una ragazza o una donna che non appartenesse a nessuno, era un coro di schiocchi di lingua, di trilli d'uccelli, di voci onomatopeiche d'ogni intonazione e significato, che obbligava la disgraziata a darsela a gambe. La serva negra dei brasiliani, sopra tutto, quando passava di là per andar a mangiare o a dormire nelle terze, mostrando il bianco degli occhi e dei denti come per mordere, suscitava una tal musica di versi d'amore animaleschi, che pareva di sentire l'urlo d'un serraglio in calore. E avevamo il fatto nostro noi pure. E di fatti, tolta la vernice, a chi l'aveva, della buona educazione e della cultura, c'era poi una gran differenza tra il castello centrale e il cassero di poppa? Come si sarebbero trovati facilmente i tipi gemelli e le analogie delle conversazioni! E incredibile come ci conoscevano, e con quanto fondamento di vero spettegolavano alle nostre spalle scoprendo il lato ridicolo di tutt i noi. Per via indiretta lo venivamo tutti a risapere. Conoscevano qualche cosa dell'indole e delle abitudini di ciascuno, per mezzo dei camerieri di bordo e dei servitori privati dei passeggieri, ed erano al corrente della nostra piccola cronaca quotidiana, come segue nelle botteghe e nelle soffitte riguardo ai casigliani dei piani signorili, e quel che non sapevano indovinavano, e commentavano ogni cosa. Ad alcuni avevano messo dei soprannomi, di altri contraffacevano l'andatura e la voce. Voltandoci indietro all'improvviso quando si passava di là, sorprendevamo sempre tre o quattro che si ammiccavano, o ricomponevano in fretta il viso da una smorfia di canzonatura. Quelle eran le nostre Forche caudine.
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o come abbaia il cane?
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Sia per esempio scelto in un piccolo gruppo di famiglia il detto « Can che abbaia non morde! » il primo partecipante deve citare nella sua risposta a qualsiasi domanda dell'indovino la parola « cane ». Ad esempio: Cosa farai questa sera? - Risposta: Ma mi prendi per una cane? Che debba render conto di quanto farò » e così via ognuno deve ripetere la propria parola assegnatagli nella risposta in modo che tenendo conto dei vocaboli meno usati delle singole risposte e del numero dei partecipanti, l'indovino a poco a poco comprende di qual proverbio o detto od anche verso si tratti.
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Cane che abbaia, non morde. Le roi est mort, vive le roi! Il re è morto, viva il re. Les enfants et les fous disent la vérité. I fanciulli ed i pazzi dicono la verità. Les extrèmes se touchent. Gli estremi si toccano. Le silence vaut une réponse. Il silenzio vale una risposta. L'Etat c'est moi. Lo stato sono io! L'habitude est unt seconde nature. L'abitudine è una seconda natura. L'occasion fait le larron. L'occasione fa l'uomo ladro. Ne jugez pas sur l'étiquette. Non giudicate secondo l'etichetta (l'apparenza inganna). Noblesse oblige. La nobiltà obbliga. Nous dansons sur un volcan. Noi danziamo su un vulcano. Nul n'est prophète dans son pays. Nessun è profeta nel suo paese. On ne prête qu'aux riches. Non si presta che ai ricchi. On ne peut sonner la cloche et aller à la procession. Non si può suonare la campana ed andare alla processione. On n'est jamais trop vieux pour apprendre. Mai si è troppo vecchi per imparare. On s'instruit à ses dépenses. S'impara a proprie spese. Pas à pas, on va bien loin. Passo a passa, si va ben lontano (chi va piano, va sano e lontano). Pauvréte n'est pas un vice. Povertà non è vergogna. Qui a bu, boira. Chi ha bevuto, beverà. Qui paye ses dettes, s'enrichit. Chi paga i suoi debiti, s'arricchisce. Qui s'excuse s'accuse. Chi si scusa s'accusa. Qui trop embrasse, mal étreint. Chi troppo abbraccia nulla stringe Revéiller le chat, qui dort. Risvegliare il gatto che dorme. Sa femme porte culotte. Sua moglie porta i calzoni. Tel maître tel valet. Quale il padrone tale il servo. Tout homme peut faillir. Ognuno può errare. Une fois n'est pas coutume. Una volta non è ancora uso. Un malheur n'arrive jamais seul. Le disgrazie non arrivano mai sole. Un tiens vaut mieux que deux to l'auras. Un « tieni » vale più che due « avrai » Vouloir c'est pouvoir. Volere è potere.
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Can che abbaia di rado morde. Better late, than never. Meglio tardi che mai. Birds of one feather flock together. Uccelli d'una piuma volano insieme. Bread is the staff of life. Pane è la base della vita. Brevity is the soul of wit. Brevità è l'anima d'ogni scherzo. Caviare to the general. Caviaro al popolo. Coming events cast their shadows before. Avvenimenti venturi proiettano la loro ombra in avanti. Dead dogs don't bite. Cani morti non mordono. Diamond cut diamond. Diamante taglia diamante. Early to bed and early to rise, makes a man healthy, wealthy and wise. Coricarsi di buonora ed alzarsi di buonora, fan l'uomo sano, ricco e saggio. Every beginning is difficult. Ogni principio è difficile. Every bullet has its billet. Ogni proiettile ha la sua destinazione. Everything comes to him who waits. Ogni cosa arriva a chi l'aspetta. Forbearance is no quittance. Condiscendenza non è accettazione. Frailty, thy name is woman. Fragilità il tuo nome è donna. He jests at scars, that never felt a wound. Deride le cicatrici colui che mai ha avuto una ferita. He thinks too much; such men are dangerous. Egli pensa troppo; tali persone sono pericolose. Hell is paved with good intensions. L'inferno è pavimentato di buone intenzioni. Honesty is the best policy. L'onestà è la migliore polizza. I must be cruel only to be kind. Io devo esser crudele, soltanto per esser buono. Last, not least. L'ultimo motivo, ma non il meno importante. Hunger is the best sauce. La fame è la migliore salsa. Men's vows are women's traitors. I giuramenti degli uomini sono i tranelli delle donne. Man proposes and God disposes. L'uomo propone, Dio dispone. Much ado about nothing. Molto rumore per nulla. My house is my castle. La mia casa è la mia fortezza. Necessity has no law. Il bisogno non conosce legge. Of nothing comes nothing. Dal nulla nulla viene. Once does not count. Una volta non conta. Poverty is no vice. Povertà non è vizio, (vergogna). Promise is debt. Promessa è debito. Silence is golden. Il silenzio è d'oro. Strike, while the iron is hot. Batti, finchè il ferro è caldo. Success has spoiled him. Il successo lo ha guastato. Tastes differ. I gusti sono diversi. The beggar may sing before the thief. Ben può cantare il mendicante innanzi al ladro. That that is, is. Ciò che è, è. The rest is silence. Il resto è silenzio. These violent delights have violent ends. Queste violenti gioie hanno violenta fine. Thought is free. I pensieri sono liberi. Time heals all things. Il tempo guarisce ogni cosa. Time is money. Tempo è denaro. To be or not to be, that is the question. Essere e non essere, quest'è la questione. Too many cooks spoil the broth. Troppi cuochi guastano il brodo. Tooth of time. Il dente del tempo. Well begun is half done. Ben cominciato è mezzo fatto (chi ben comincia è la metà dell'opra). Well roared, Lion. Bene hai ruggito, leone. Who loves raves. Chi ama è forsennato. Wine has no secrets. Il vino non ha segreti.
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Ma allora - si potrebbe osservare - non si deve parlare che della pioggia o del bel tempo, del circo equestre, d'un cane che abbaia di notte, della prossima cometa... Non ho detto questo: ho soltanto raccomandato d'esser sobri, sensati, cauti. - « cauti » sopra tutto!- nel parlare; evitando sia il cicaleccio, sia il mutismo sistematico, giacché anche questo si presterebbe a non lusinghiere interpretazioni; potendo, per esempio, esser creduto un segno d'imbecillità, o di protesta, e, nel miglior dei casi, di noia. Se è un'arte quella del conversare, è un'arte altresí quella dell'ascoltare! Io oserei affermare che saper apprezzare la virtú del silenzio significa avviarsi verso la perfezione. I Greci fecero una divinità del Silenzio; e le donne son troppo intuitive per non comprendere il valore di questa virtú, per non capire quanto ciò che non si dice abbia piú profondità, piú risonanza di quel che non esprimano le parole con i loro contorni limitati e precisi. Quale che sia il nostro sentimento, il silenzio è un gran mezzo di espressione: in ogni caso, è meglio tacere che parlare, come si suol dire, a vanvera. Saper restare muti è anche una delle piú sicure e piú belle prove d'intelligenza. Ma « sapere »; ossia servirsi del silenzio come di una dote superiore: la dote di chi ha ben compreso quanto di vero e quanto di falso, secondo le circostanze, ci sia nei famosi proverbi: Chi tace acconsente - Il silenzio è d'oro. - Un bel tacer non fu mai scritto. - Ex abundantia cordis os loquitur. Purtroppo, se questa virtú fosse apprezzata al suo giusto valore, la maggior parte delle nostre donne - e perché non degli uomini? - se ne starebbero permanentemente in casa, o permanentemente sole! La suddetta raccomandazione fa evitare parecchie altre gravi sconvenienze: 1) Di parlar troppo di sé o delle proprie cose. Vi sono alcuni i quali, nei loro discorsi, fanno affiorare mille volte il pronome di prima persona, e quasi calcandovi su la voce, come se averse la i maiuscola. Ignorano costoro che non c'è di peggio, per riuscire antipatici e insopportabili, che parlar troppo di sé; e che, viceversa, se si vuol riuscire amabili e simpatici, bisogna far di tutto per interessarsi agli altri. Si badi che non dico « fingere », ma « far di tutto » per interessarsi. Parimenti, il nostro prossimo, anche il meno geloso ed invidioso, non sopporta volentieri l'esposizione dei nostri pingui mezzi finanziari, delle cose preziose possedute o or ora acquistate e, in genere, di tutte le nostre « fortune »; tanto piú che, purtroppo, sono ben pochi quelli che potrebbero fare altrettanto. E anche meno è disposto a tollerare l'esposizione delle nostre sventure; essa diffonde nell'aria un senso di tristezza che, per carità e per solidarietà umana, oltre che per dovere, bisogna risparmiare agli altri. Non è certo di buon gusto, e né pur generoso, portarsi dietro, ovunque si vada, il fardello delle proprie disgrazie, preoccupazioni, miserie. È un po' difficile trovare qualcuno che non abbia ansie per la salute, o imbarazzi economici, o altre piccole e grandi pene e miserie personali o di famiglia. Intanto, starebbero freschi i nostri simili se, oltre che per le proprie, dovessero rammaricarsi anche per quelle degli amici e dei conoscenti : allora sí che il mondo sarebbe veramente una valle di lagrime, e dalla vita esulerebbe ogni sorriso! Le prèfiche, dunque, della vita se ne stieno in casa a brontolare, a meditare e piangere sul male dell'esistenza; ad invecchiare e a morire prima del tempo: e vengano a contatto con le altre creature umane soltanto quelle che, con la luce dello sguardo, con la parola calda, col sorriso cordiale, sanno diffondere intorno a loro la fede nella vita, la gioia dell'esistenza. Quindi, parlare per destare invidia, no; meno che mai per suscitare compassione. Le persone che piú volentieri si avvicinano, e con le quali si sta volentieri, sono appunto quelle che non fanno pesare la loro superiorità - in qualsiasi campo e quelle che non tormentano con la enumerazione interminabile di sciagure. Si tenga presente che, a queste ultime, l'esperienza dei secoli attribui il nefasto privilegio di « portar male » e affibbiò l'appellativo di iettatori. 2) Di spettegolare. Le signore specialmente se ne guardino: esse lo fanno spesso e piuttosto volentieri. Tante hanno questo non simpatico difetto; le quali, poi, ignorano che, fra loro medesime, si qualificano per « lingue d'inferno ». Dell'uomo pettegolo è meglio non parlare: lo si è definito, quando si è detto che egli ha rinunziato agli attributi piú nobili e piú fieri del suo sesso: la serietà, la dignità, la virilità. Giacché il pettegolezzo riveste non di rado i caratteri della maldicenza e, talora, della vera e propria calunnia. Si guarisce di questa peste imponendo a se stessi un costante contegno grave e rispettoso nei riguardi degli altri; evitando di « raccogliere le voci che corrono... »; di trasmettere, con piú o meno velata compiacenza, e con maggiore o minore arricchimento di frange, le voci raccolte; di parlare degli altri - specie, ripeto, se assenti - a base di « ma... », di « se... » e di punti sospensivi, pieni di significati misteriosi. La pietà di alcune lingue è peggiore della peggiore maldicenza! In alcuni Paesi d'Europa è stata bandita, contro il pettegolezzo, una vera e propria crociata, con comitati, assemblee, giuramento nelle scuole, circolari. In una di queste, era detto: « Non, si può avere un'idea delle grandi ripercussioni che la nostra iniziativa ha avuto in tutto il Paese. Le migliaia di lettere di plauso e di richiesta di moduli per l'adesione, pervenuteci in questi giorni, stanno a indicare che il pettegolezzo è diventato un vero flagello nazionale. Ed eccellente è stata trovata l'idea di estendere alla scuola la nostra campagna, e spiegare alle nuove generazioni quante tragedie potranno essere evitate se si riuscirà a estirpare la mala pianta! ». Si continuava invocando l'adesione e l'appoggio della stampa; ma, forse, i giornalisti si saranno rifiutati di prestar anche il giuramento... 3) Di far dello spirito non a proposito o di non buona lega. Son convintissimo che uno dei grandi benefizi - e dei meno dispendiosi - che si possano fare al nostro prossimo è quello di strappargli un sorriso o, addirittura, una bella risata: a condizione, beninteso, che quest'ultima non sia sguaiata; cioè, o troppo rumorosa o accompagnata da sussulti del corpo o da dimenamenti sulla sedia. Si dice che il sorriso aggiunge un filo alla trama della vita, e che il riso fa buon sangue: io non concepisco che una umanità sorridente. Ma quanto ci vuole per farla sorridere! Si capisce che qui si parla non del volgare cachinno, ma del sorriso e del riso sano e cordiale, suscitato non da lazzi piú o meno scurrili, né da buffonate e da istrionerie, ma da signorile umorismo. Quanto è difficile questo! Mentre, poi, è facile cadere nel ridicolo; e - si tenga bene in mente! - nulla, nella vita, si deve maggiormente temere del ridicolo. 4) Di fare dei discorsi arrischiati, di usare parole a doppio senso, di strizzare l'occhio... Cose sconvenientissime sempre e dovunque, anche mentre si trinca in una bettola; e da evitarsi in modo assoluto nelle riunioni di gente a modo, specialmente poi in presenza di signore o di ministri del culto. Se qualche imprudente - o maleducato - si arrischiasse a farne, cercare di cambiar discorso; in nessun caso, compiacersene, dimostrando col silenzio e con un atteggiamento anche piú serio del solito la propria riprovazione. 5) Di parlar «troppo» di cose tecniche. Queste non possono interessare tutti i presenti; per lo meno, non possono interessarli a lungo. Né è, certo, segno di generosa comprensione l'insistere presso un tecnico perché si indugi a parlare della sua scienza o industria: comincerebbe con l'essere lusingato; finirebbe col seccarsi. Chi lo crederebbe? ci sono alcuni i quali, prima di recarsi a una riunione, si leggono qualche voce dell'Enciclopedia, e poi girano e rigirano il discorso fino a che non hanno squadernato loro rara - recentissima - dottrina... 6) Di fare il « bene informato». Altra categoria, antipaticissima, questa dei « bene informati ». Gente, per lo piú, che passa da un ritrovo all'altro per raccogliere notizie, modificarle a gusto proprio e rimetterle in circolazione come se circostanze eccezionali le avessero portate a sua conoscenza; o che si vuol dar delle arie, facendo supporre vaste ed alte conoscenze. Malcelata millanteria, stupidità e, nella piú benevola delle ipotesi, mancanza di serietà e di prudenza.
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Bello è vedere, tra il verde dei pascoli, le gregge custodite dal cane che al minimo pericolo abbaia per richiamare l'attenzione del pastore, e, a misura che il tramvai sale la collina, l'orizzonte allargarsi e città e paesi apparire in lontananza. Ed ecco la prima fermata; i ragazzi ancora non scendono, ma dai finestrini vedono il paesetto grigio, in mezzo alle vigne, e a fianco della piccola stazione tutta lieta di fiori, una scuola all'aperto.
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- abbaia Ed-mastica- gomma. - Che cosa ci fa qui questo intruso? Verrà a fare la spia! Buttiamolo fuori! Vorrà vedere come è possibile fracassare il nostro Airone. Fuori! Fuori immediatamente! Ed-mastica-gomma, col viso contratto da una smorfia, balza addosso al cappellano, lo afferra per un braccio e fa per trascinarlo fuori. Ma l'ha appena toccato, che viene scaraventato a gambe all'aria contro la parete della cantina... - Ed ora è lì che urla come se lo scorticassero. - Ecco, piccioncino mio! - dice il cappellano con un sorriso. - Da un pezzo avevi bisogno di una lezione coi fiocchi: ti farà bene certamente! - E intanto pensa: «Guarda come vien buono il corso di lotta giapponese che ho seguito da studente!» - Sei poi ti venisse il ticchio di toccare ancora con le tue mani sporche la mia tonaca consunta, tanto bisognosa di riguardi, bada che uso le brusche. E un braccio slogato è una faccenda piuttosto antipatica! Ede, masticando, cerca di radunare le sue lunghe membra sparse... Ha perso completamente la bussola. Si era aspettato tutto, ma non che un prete da niente si difendesse come un campione di lotta libera imbottito di muscoli. Mogio mogio si rannicchia in un angolo, tastandosi circospetto le braccia e le gambe. I ragazzi della banda non si stupiscono che Ede ci sia cascato in pieno. Anche loro si immaginavano ben diversi i preti! Questo cappellano non è affatto un moralista barbogio: è più giovane di tutti loro messi insieme. E com'è franco e ardito! Al suo confronto Ede, con i suoi quindici anni, è un vecchio decrepito con i piedi nella fossa! - Non vengo qui né a far la spia, né a fracassare qualcosa, - dice il cappellano - ma a farvi una proposta. Ormai è certo che siete stati voi a dar l'assalto per ben due volte al capannone dei crociati. Io però non ve ne faccio una gran colpa. Quello che non mi garba affatto è che l'abbiate compiuto a tradimento, senza un cartello di sfida, senza preavviso. Di notte, di soppiatto, è lo stile dei delinquenti. Ora che conosciamo il vostro nascondiglio, ci sarebbe facile informarne la polizia. Ma noi non ricorriamo a questi mezzucci. Piuttosto vi propongo qualcosa di meglio: che i crociati e la banda del Nord facciano un armistizio. Fino al derby devono cessare tutte le ostilità, gli spionaggi, le rappresaglie. Dopo la corsa, per purificare quest'aria infetta, si farà all'aperto una bella partita a «guardie e ladri», su una vasta estensione di terreno, secondo tutte le regole e con l'arbitro. Siete d'accordo? - Sì, sìii! - risponde quasi all'unanimità la banda del Nord. - Un momento! Un momento! Devo pur dire anch'io la mia parola! - si fa coraggio a un tratto quel fagotto di cenci a cui è ridotto Ed-mastica-gomma. - Che cos'hai ancora da borbottare, Ede? - chiede la voce argentina di Jörg. - Dopo quel che è avvenuto, la proposta è ben generosa! Pensa un po': non avremo da temere rappresaglie! - Jörg ha ragione! - Facciamo una tregua con i crociati! - Lotta leale da ambo le parti! - Su, Ede, accetta! Jörg ha dalla sua tutti i ragazzi della banda, ed Ed-mastica- gomma, là nel suo angolo, ci fa una figura assai meschina. Lo scacco subìto gli brucia ancora: il suo prestigio nella banda sembra definitivamente tramontato. Egli però non vuole ancora darsi per vinto e dice: - E va bene! Facciamo pure la tregua! - Senza azioni ostili, né sabotaggi, né spionaggi reciproci? - indaga il cappellano categorico. - Parola d'onore! - risponde Ede con voce nasale. - Be', allora siamo a posto! - E la sua parola d'onore? - chiede Ed-mastica-gomma. - Sono un sacerdote, e ciò ti deve bastare! - replica il cappellano. - Arrivederci, ragazzi! Ma non prima della gara!... - Arrivederla, signor cappellano! - Gente! - esclama uno della banda, dopo che il cappellano se n'è andato. - È una cannonata, quel prete! Sbatterebbe giù dalla slitta l'esquimese più forzuto! - Non sarebbe meglio buttar prima all'aria in quattro e quattr'otto la Freccia d'argento?... - sibila Ede velenoso. - Ede, ascoltami: se tradisci la parola tua e la nostra, ti concio io per le feste! E poi ti assesto un pugno sul muso, da cambiarti completamente i connotati. Finora ho tenuto dalla tua... Ma mancar di parola? Ah, no! Allora qui sei liquidato! Chi parlava era Bulle, l'aiutante in prima di Ed-mastica-gomma. È forte come un bue, ed Ede fa bene a non inimicarselo. Quando Bulle vede rosso, si salvi chi può! Con un sorriso da ipocrita, Ede batte svelto in ritirata: - Ma io scherzavo! - Spero bene! - ringhia Bulle. La ribellione di Bulle nessuno se l'aspettava. Ma la parola d'onore è per lui cosa sacra... Così, quella sera memorabile, nella banda del Nord si erano avute grandi sorprese. * * *
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Viene fuori un cane e abbaia. Poi s'affaccia il mulinaro tutto impolverato dí bianco. - Compare Festo, buon giorno! Il maestro vi
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. — È il mio stomaco che abbaia, io non ne ho colpa, — rispose il povero Piuma. Per consolarsi, tutti e due ripensarono al pranzo che avevano fatto due giorni prima. Avevano mangiato spaghetti e prosciutto, e insalata! Poi si fermarono vicino al mulino a vento, che stava alla fine del ponte. Passarono quattro oche grasse, un frate col suo sacco e tutti annusavano l'aria che odorava di pane fresco, di brodo e di prezzemolo. A questo punto Massimo disperato fece: — Aaaaah! — e Piuma: Uuuuuh! — e di nuovo stettero zitti, finché Piuma tirò a Massimo la manica della giacca. — Ehi, vuoi star fermo? — borbottò Massimo. — Non vedi che sto pensando? Il buon Piuma aspettò che l'amico finisse di pensare, con la faccia piena di speranza. E infatti, dopo tre minuti, Massimo gli strappò il berretto con entusiasmo e strillò: — Pensato! Pensato! Saremo ricchi, oggi! Saremo milionari. Ehi, Pic! Un ornino che passava di là si avvicinò. Era vestito da « gangster », col ciuffo e un tatuaggio sul naso. Era tanto piccolo, che arrivava appena al gomito di Piuma, ma il suo aspetto era spaventoso: — Che cosa desideri? — domandò. — Ti va di guadagnare otto soldi? — E perché no? — Allora mi dovrai fare da compare. — Bene. — Si tratta di questo. Io e il mio amico daremo uno spettacolo di pugilato, qui sulla piazza. Si radunerà una gran folla, e tutti saranno sicuri che vinco io, che sono un peso massimo. E invece vincerà Piuma. Tu devi strillare: — Forza, Piuma! — e devi cercare di scommettere cento lire con qualche ricco signore presente. Poi tu mi darai le cento lire, e io ti darò gli otto soldi. — Eh, che razza di spilorcio senza coscienza! Otto soldi a me? Non ti vergogni? — Dodici soldi! Nemmeno un centesimo di piú! E tu, Piuma, perché piangi? — Io non so fare il pugilato! — balbettò Piuma. — Eh, stupido! Non capisci che io mi lascerò buttar giú con un soffio? Non farai nessuna fatica! E sai che cosa significa questo per te? — No. — Significa la gloria! — La gloria? — Certo. Sarai campione, ragazzo mio, — e Massimo batté la spalla di Piuma, che faceva un sorriso felice. Poi chiamò Anchise, che passava sul ponte, per nominarlo arbitro: — Avrai sei soldi di paga, — gli disse. E incominciò a gridare. — Avanti, avanti, signori ! Grande partita di pugilato fra un peso massimo e un peso piuma! Non si paga niente! Non si paga niente! In pochi secondi, un'intera popolazione si era raccolta intorno a loro: bambini, oche, eccellenze e milionari. Fra gli altri, si fermò un signore che lasciava capire di essere un milionario, giacché portava l'abito a coda e il cilindro; e Pic gli corse vicino. Quel signore, insieme a tutti gli altri, guardava con aria di compassione il povero Piuma, come per dire: « Ecco uno che fra poco sarà una frittata ». Uno, due, tre! La partita cominciò. Il povero Piuma ballava senza capir niente, e finalmente, con aria modesta, si decise a buttar via qualche pugno. Ma tutti ridevano e gridavano: — Arrenditi, ornino. — Bene, grasso! — Bravo il grasso! — e facevano il tifo per Massimo. Il signore distinto e milionario diceva con tono di conoscitore: — Boh! Boh! Boh! Allora Pic cominciò a brontolare: — Sarà, ma quel piumino li dev'essere un furbo che si conserva il colpo per dopo. Secondo me vince lui. — Eh! Eh! — rise il milionario. — Si vede bene, ragazzo mio, che tu di pugilato non ne capisci niente! — Ah, sí? E io le dico che quell'omino vince! — Son disposto a scommettere cinquanta lire. — Anche cento. — Vada per cento. Proprio in quel minuto, si vide Piuma sferrare un sinistro, e Massimo traballò e cadde a terra. Anchise contò solennemente fino a dieci, ma l'infelice Massimo rimase fermo come un morto. Piuma era vincitore! Allora tutti gridarono: — Bene Piuma! Evviva Piuma! — Si vedevano tutto intorno sventolare i fazzoletti; Piuma fu sollevato in trionfo, e le ali del mulino cominciarono a girare in fretta. Piuma si accorse perfino che sulla fronte gli stava crescendo una stella. Era la gloria, amici! La Gloria! Intanto il milionario, a malincuore, prese cento lire dalla sua borsa d'oro e le porse a Pic. L'infelice Massimo non dava ancora segno di vita; Piuma provò a dargli un piccolo calcio, ma il suo buon amico non si mosse. Allora Piuma cominciò a pensare : « Che sia morto per davvero? Che sia morto d'appetito? » E si provò a fischiare sottovoce l'Inno dei sette vincitori, che era il loro fischio di famiglia. Niente. Il buon Piuma tremò dalla paura, e, chinandosi sul suo ottimo e unico amico, chiamò singhiozzando: — Massimo! Massimo! — Ehi, stupido! — rispose Massimo a bassa voce. — Non capisci che faccio per sembrare « K. O. » sul serio? — e aperse mezzo occhio. Proprio con quel mezzo occhio aperto vide una cosa terribile. Ascoltate! Vide il perfido Pic, il « gangster », che se ne scappava, e stava già dietro il mulino, con un foglio da cento in mano. Allora il disgraziato si alzò d'improvviso e, dando calci e pugni a tutti quanti, corse dietro a Pic, e Piuma gli correva dietro, e tutti gli altri, quantunque
Il cagnetto, per primo, fiuta i forestieri ed abbaia drizzando gli orecchi. - Zitto, zitto! È gente di casa. Nonno Andrea si illumina alla vista dei nipoti. Spalanca le braccia e non sa da chi incominciare con gli abbracci. - Dentro, dentro! - Li spinge in cucina e tira fuori i bicchieri dall'armadio. Il figlio e la nuora sono andati al villaggio per la funzione religiosa, ma per merenda saranno di ritorno. Intanto, fatti gli onori di casa, mostra le stanze, i magazzini, le stalle, il fienile, il pollaio, tutto nuovo, come ha voluto il Regime. - Ti ricordi, Caterina - domanda alla figlia - quando si viveva tutti insieme, uomini ed animali, trenta, vent'anni fa? Adesso lavorare è una benedizione. Riconoscente, egli ha voluto che sul portone della sua casa fosse scritto: «La mia casa è piccola, la mia fede è grande». Fede nel Signore e nei destini della Patria. Tutti i rurali italiani devono avere una casa vasta e sana. MUSSOLINI
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