Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbaglio

Numero di risultati: 7 in 1 pagine

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Sull'Oceano

171605
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Pagina 338

L'angelo in famiglia

182947
Albini Crosta Maddalena 2 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Difficilmente tu potresti studiare da sola una scienza cotanto elevata, senza correre rischio di prendere abbaglio, e di ber giù a larghi sorsi l'errore invece della verità. Ma e dunque, tu mi dimandi: che debbo fare, che vuoi da me? Oh! io non voglio da te l'impossibile, voglio il tuo bene, e lo voglio in modo che non ti sia di troppo grave incomodo e fatica. Credi, amabile giovinetta, io ti amo, e ti amo di un amore superiore ad ogni altro, perchè ti amo di un amor soprannaturale in Dio, e tutto quanto ti dico, lo succhio io prima dal Cuore amabilissimo della nostra cara Madre Maria, che mi pone nell'animo una stragrande tenerezza per te. Vi hanno due mezzi opportunissimi per ornare la tua intelligenza ed il tuo cuore delle cognizioni utili e principali di nostra santa religione, per stabilire così un giusto equilibrio tra la tua fede e la tua ragione, tra le cognizioni profane e le tue cognizioni religiose. Dei due mezzi accennati, uno è la lettura spirituale e l'altro l'ascoltare la divina parola. Ho detto la lettura spirituale, ed intendo fornirti con essa un metodo facile e dolce per imparare la scienza di Dio. Gli è vero, dal momento che leggi questo libro è ben segno che ti piace questo esercizio, e parrebbe inutile io te ne parlassi; ma siccome noi abbiamo bisogno d'essere guidati sempre 8 da forti convinzioni anche nelle cose di minor rilievo, così non credo tempo e fatica sprecata l'insistere su questo punto. Il libro di pietà è un ambasciatore di Dio che ci si pone al fianco a parlarci di Lui, dei suoi diritti e dei nostri doveri; come il libro cattivo è un ambasciatore del demonio che solletica le nostre passioni e ci mette in orribile guerra con Dio e con noi stessi. Il libro spirituale è sempre al tuo fianco quando lo vuoi; e come l'altro tien sempre pronto il suo veleno che ti appresta senza arrossire nè inquietarsi, questo ti versa in seno la dolcezza del bene, ed insegnandoti la carità, il disinteresse, l'eroismo, innalza il tuo essere insino a Dio del quale ti dice figlia ed amica. Amalo adunque molto il libro di pietà, e non lasciar passar giorno senz'averne letto poco o molto. Talvolta questo esercizio sarà per te senza gusto e faticoso; ma per tacere ancora che altre fiate ti verserà in seno le più pure gioje celesti, il tuo animo ne sarà tanto rafforzato e purificato da farti riuscir poi facile la pratica delle più ardue virtù cristiane. È tanto vero che lo scrivere e il leggere di Dio, benchè senza compenso presso gli uomini, è un desiderio ed un bisogno del cuore, che quasi innumerevoli sono i libri ed i buoni libri che parlano di Lui; e Dio buono, sempre buono in tutte le sue attribuzioni, non ci fa nessuna prescrizione speciale, ma ci permette di scegliere quello che più ci va a genio ed è più conforme al nostro gusto ed al nostro bisogno. Oh! dunque ricordatelo bene, mia cara, un buon libro è il miglior amico che puoi avere; un amico che ti dice francamente la verità, che non ti adula, ma t'incoraggia al ben fare, mentre con tutta carità ti ammonisce; un amico che non tradirà mai le tue confidenze, che non disdirà domani quello che ha detto oggi; un amico insomma che non ha altro scopo, altro desiderio che di farti diventar migliore, accetta a Dio ed agli uomini, amabile con tutti e contenta. Ama questo amico sincero, amalo e tientelo sempre vicino; non passerà molto e ti accorgerai dell'immenso vantaggio di una buona e soda lettura spirituale. L'altro mezzo del quale mi resta a parlarti, è la divina parola, ed io vorrei che la mia penna scrivesse a caratteri indelebili sul tuo cuore, quanto questa sia importante e necessaria e dolce. Salvatore amabilissimo, infiammate voi i miei affetti, date Voi eloquenza al mio dire e rendetelo insinuante così, che coloro i quali leggeranno queste pagine ne riportino il cuore divampante d'amore per Voi e per la vostra santa e soave parola, e divengano poi degni di essere chiamati un dì alla vostra destra nella schiera felice degli eletti. Cara amica mia, il Signore vuole che tu lo ami sopra ogni cosa, e tu senti di doverlo amare in tal guisa; ma come potrai tu amare, d'un amore che tutti gli altri sovrasta, un Ente che non conosci, o conosci troppo poco? A te pare che io abbia proferito una bestemmia, ed è vero, poichè se Dio ci ha comandato: Amerai Dio sopra ogni cosa, ci avrà poi dato anche i mezzi per obbedirlo. Oh! questo sì, è verissimo, anzi ben lungi dal negarlo, sono io la prima a sostenerlo; ma quanto io sostengo altresì si è che siamo noi i tristi che trascuriamo i mezzi fornitici da Dio, e che quindi ci stringe più severo obbligo di fare quanto Egli c'impone. Se non vogliamo adunque diventar rei di trasgressione del primo comandamento del Decalogo, dobbiamo essere premurosi di arricchirci di tutte quelle cognizioni, le quali riguardando il nostro Creatore e Padrone e Padre, ci riscalderanno di amore per Lui. Corriamo, sì corriamo ad ascoltare la parola di Dio che ci viene amministrata dal pergamo, ma più specialmente corriamo... dove?... alla Dottrina. Sì, alla Dottrina ci verranno insegnate tutte le verità di fede, spezzate e adattate alla nostra capacità ed ai nostri bisogni in guisa tale da farcene trarre un vantaggio d'assai superiore a quanto noi possiamo immaginare. Non dico che, essendo adulti, dobbiamo scegliere a bella posta di sentirci spiegare la Dottrina come si fa coi bambini; questo se talvolta è utile per richiamarci le nozioni elementari, è ben lungi dal procurarci quell' utile e quel diletto che ci viene da una spiegazione un po' larga e minuta del Catechismo, come suol farsi a quelli che bambini non sono. So bene che non dappertutto e neppure in tutta Italia si usa fare l'istruzione della Dottrina Cristiana in modo così costante, e diciamolo pure, in modo così sminuzzato ed elevato da soddisfare anche le persone di una somma coltura, come si usa fare in Lombardia, e segnatamente in questa nostra Milano, dove S. Carlo Borromeo l'ha istituita, e dove è caldeggiata dal suo successore non solo, ma da tutti quanti hanno a cuore la cara nostra religione. So per altro che molti la trascurano col futile pretesto che essi la sanno già bene la dottrina e che non hanno bisogno di sentir ripetere dal Prete e dalle Suore quel ch'essi già conoscono a menadito; quasi la Dottrina Cristiana fosse una scienza così leggiera e superficiale da approfondirsi perfettamente in poco tempo, mentre non basta la vita di un uomo a oltrepassarne neppure la scorza senza un aiuto specialissimo di Dio. In confidenza, fanciulla cara, qual'è la tua impressione allorquando senti un idiota leggere e scrivere con fatica, e in modo che ad indovinarlo bisogna fare i massimi sforzi; che senso ti fa quand'ei ti dice d'aver studiato anche troppo, di non aver più bisogno d'altra scuola, e si crede in buona fede di saperla lunga? Press'a poco l'idiota fa a te quel senso che tu faresti ad una persona ammodo, se le dicessi di non aver bisogno di altra istruzione di Dottrina, chè già la sai bene. Per carità, guardiamoci da questo ridicolo, e pensiamo sempre che in questa scienza, come nelle altre tutte, il credersi qualche cosa è segno grande di massiccia ignoranza. Molte volte trovandoti in società avrai tu stessa verificato e constatato, che quello più trincia a destra ed a sinistra, che meno ne sa; mentre l'altro che tu vedi guardingo a pronunciare un suo giudizio, può darsi sia preso da taluno per ignorante; ma tu col tuo spirito osservatore capisci a perfezione che è molto profondo in materia, e ognuno se n'avvede quando, messo alle strette di dire la sua opinione, gli casca fuori quasi a sua insaputa e contro voglia tanto di scienza da insaccare colui che prima la faceva da talentone. Non mi dire adunque più che tu la sai tutta la Dottrina; confessa piuttosto che ti pesa lo studiarla! Io ti vorreimettere alla prova, per farti sentire che ben a ragione essa ti procurerà non solo utili cognizioni, ma vero diletto. Lo studio della Dottrina Cristiana è inanellato con tutti gli altri, in modo che chi è erudito in essa, non so come possa serbarsi ignorante nel resto. Quando tu senti spiegare, per esempio, le giornate della creazione, raro è che non senta parlare di cosmologia, della misura del tempo, della forza dei corpi. Nel sentirti spiegare le diverse interpretazioni date dai Santi Padri ai diversi passi scritturali, arricchisci la tua mente di una coltura molto vasta: mentre nell'ascoltare le prove del Cristianesimo dai una volata alla storia antica che lo ha prenunciato, ed alla storia del medio evo ed alla storia moderna che ha dapprima tentato di affogarlo nel sangue e poscia lo ha sempre perseguitato con ogni arte. In questa rivista tu vedi passare, insieme alla Dottrina, tutti gli uomini e tutti gl'imperi che l'hanno sostenuta o contrastata, e col solo ascoltare costantemente e attentamente la spiegazione di essa tu arricchisci la tua mente di vaste cognizioni e la rendi capace di un giudizio giusto ed imparziale. Se tu poi mi dicessi che assolutamente non puoi recarti alla chiesa per sentire il Catechismo, ti ripeterei quanto ti ho detto parlandoti della Messa quotidiana: se sarai tanto obbediente ed operosa da compiacere e da servire appuntino la tua buona mamma, o quegli altri superiori che ti reggono in vece sua, se hai avuto la sventura di perderla, o se hai quella di vivere lontana da lei, per fermo non ti sarà difficile ottenere questa concessione. Credi tu rari i casi che una buona figliuola riesca a forzare in certa guisa la madre o chi ne fa le veci, ad ascoltare con essa la predica e la Dottrina, ed avendo avuto volontà e forza di superare la ripugnanza e un senso (lasciamelo dire) di sciocca vergogna le prime volte, è poi riuscita a formarne una delle più care e delle più invariabili consuetudini per entrambe? Se tu poi avessi la sfortuna di trovarti in paese dove la Dottrina non si spiega, o si spiega soltanto ai fanciulli, o per circostanze insuperabili di famiglia non ti potessi recare alla chiesa ad udirla; dopo d'aver bene studiato ed approfondito il Catechismo diocesano, al quale vanno unite le benedizioni celesti e molte indulgenze, prenditi una buona Dottrina, come quella, per esempio, del milanese Raineri. Oh! vedrai a prima vista che ad ogni pagina, vorrei quasi dire ad ogni periodo, ci si trova qualche cosa che tu non sapevi, od a cui non avevi mai pensato. Il nostro Raineri non le ha stampate lui le sue Istruzioni catechistiche, le hanno stampate i suoi successori, che giustamente deploravano di abbandonare all'oblìo quelle istruzioni, le quali fatte dal pio sacerdote sul pergamo della nostra Cattedrale, trascinavano e miglioravano la folla colta che correva a sentirlo. Oh! sì, prenditi il Raineri; leggilo, studialo, meditalo, poi torna da capo, e te ne troverai contenta. Compatisci i poveretti i quali credono di saper tutto, e sanno nulla; ma tu dal canto tuo fa di non trascurare lo studio della Dottrina Cristiana, procura anzi d'invogliarne quante più persone puoi; allorchè ne avrai fatto la prova, troverai atto di vergognosa debolezza l'astenertene per paura di quello che ne dirà il mondo. Il mondo se sa che tu frequenti una scuola di letteratura, o di fisica, o di geografia, o non ti deride, o tu te ne ridi delle sue beffe; e sarà solo se frequenti la cattedra più difficile, importante e necessaria, che ti lasci prendere dalla paura? Forte delle tue convinzioni, procedi sicura nell'impreso cammino; arricchisci quanto più puoi la tua mente di cognizioni religiose, e ne avrai riscaldato il cuore di santi affetti per quel Gesù, il quale nella Dottrina che ti amministra come pane che mantiene e fortitica, ti assicura che per un giorno solo, anzi per un solo istante Egli sarà Dio giudice, ma che per tutta una eternità Egli, Dio rimuneratore, premierà la tua fede e le tue buone azioni con una felicità che non avrà mai fine, e che genio nè fantasia umana valgono ad immaginare. Animosa e costante segui fedelmente, coraggiosamente ed allegramente i miei consigli, i quali infine non sono altro se non i dettami della nostra santa religione, da Dio buono posti sulla mia bocca e nel mio e nel tuo cuore. Sì, seguili giocondamente, e nelle spinosità della vita avrai sempre un pensiero consolante, il quale addolcirà ogni tua pena, tergerà ogni tua lacrima. Quel pensiero ti dirà che ogni cosa passa, che l'anima nostra dura sola con Dio eternamente, con quel Dio che l'ha creata per farla per tutta l'eternità felice con sè in Paradiso.

Pagina 106

L'economia adunque è nemica della prodigalità come dell'avarizia, ed a chi a bella posta non voglia ingannarsi confondendo l'una coll'altra, non avviene sicuramente un simile abbaglio. La prodigalità benchè diametralmente opposta all'avarizia, si trova bene spesso a lei vicina, a provare la verità di quel detto che gli eccessi si toccano, ed anche, pare impossibile, ma è pur vero, perchè quella a questa conduce. La prodigalità porta l'uomo a spendere più di quanto sta nelle sue forze, e spesso senza discernimento nè misura: un tale, per esempio, ha a mala pena di che sostenere la famiglia, e col pretesto di non 35 farle mancare il bisognevole l'abitua al superfluo, l'avvezza a tutte le leccorníe, non le sa rifiutare comodi e divertimenti. Accade naturalmente che spendendo dieci, laddove non ha che cinque, che sei, che otto, è costretto a non pagare dove ha fatto dei debiti, a promettere ed a mancare, a restringere le spese anche necessarie alla famiglia, a diventare avaro con essa. La famiglia è rovesciata, rovinata; i figli cresciuti con abitudini di agiatezza non sanno adattarsi ad una vita di lavoro, quindi si ribellano, e la loro ribellione attira su di essi tutti quanti i gastighi del Signore. Poveretti, mi riempiono il cuore di vera compassione! Gesù misericordioso, abbiate pietà di essi! L'avarizia poi propriamente detta è un vizio nefando noverato tra i sette peccati capitali, che attira le vendette di Dio, e pur accumulando tesori terreni, rovina fino dal germe le famiglie che ne diventano eredi: Oh! evitiamo con ogni cura quest'orribile peccato, e per meglio evitarlo cerchiamo di conoscerlo mirandolo ben bene in faccia; quando ne avremo visto la bruttezza avremo maggior cura di schivarlo, di sfuggirlo, di odiarlo. L'avaro è crudele; egli ama soprattutto il suo denaro del quale è geloso: egli lascerebbe morire un uomo di fame anzichè privarsi di una sola moneta; ma anche staccandoci dal peggior tipo di avaro, e cercando l'avaro, per così dire, domestico, lo avaro pratico, l'avaro d'ogni giorno, noi vediamo in esso una vera durezza pei mali e pei bisogni del suo prossimo. Egli misura il pane ai servi, ai figli, a sè stesso; egli teme sempre gli venga meno quel denaro che adora, che cerca d'impiegare e che impiega realmente ad un frutto esagerato, sotto pretesto che la legge oggidì più non condanna l'usura: egli, il misero, non pensa che se l'usura è tollerata dalla legge umana, non è già tollerata dalla legge divina, da quella legge che tutela i diritti d'ognuno ed in ispecie quelli del bisognoso, dell'orfano, del pupillo... Egli trova inutile e superflua ogni spesa anche strettamente necessaria, e siccome sente ei pure il bisogno di giustificarsi dinanzi a sè stesso, e di persuadersi di non essere avaro, per una di quelle stranezze che mostrano la coincidenza dell'avarizia colla prodigalità, ma non la spiegano, profonde il suo denaro in un'opera spesso inutile o stolta, e così il risparmio accumulato con tanti sudori e con tante lacrime di povere vedove e di deserti orfanelli, serve al suo capriccio, e prova una volta di più che il peccato è irragionevole ed obbrobrioso, e che il frutto del peccato lo è del pari. Un ricco avaro che per una lunga vita aveva fatto usure e durezze d'ogni specie per accrescere il suo tesoro, privando sè medesimo dell'indispensabile alla vita, nella sua vecchiezza sciupava il suo denaro erigendo una fabbrica, senza disegno, senza architettura, senza scopo, se suo scopo non era quello d'incidervi una lapide sulla quale io stessa lessi scolpito:non adoro il denaro, ma generosamente lo calpesto. Io penso che egli si credesse in buona coscienza saggiamente economo, non avaro, e Iddio gli perdoni la sua ignoranza, gli tenga conto della buona intenzione; oh! si, Dio gli perdoni. L'economia invece è prudente ed oculata; misura con giustezza i bisogni della famiglia e li provvede. Impiega i proprj capitali ad un fruttato onesto ed in luogo sicuro, e calcolando giustamente le proprie entrate spende sempre qualche cosa di meno, poichè pensa che un dì o l'altro potrebbero diminuire o in qualche modo subire qualche avarìa, e trova quindi indispensabile aversi un qualche avanzo per riparare ai danni di un'eventuale malattia o di una qualunque disgrazia. La donna economa abitua sè ed i suoi di casa ad un vitto frugale, ad un vestiario modesto, talchè se la sventura li colpisse e la ruota girando mutasse la loro condizione, essi più facilmente potrebbero adattarsi ad una vita più ristretta e limitata, di quello che altri allevati nella grandezza o nella spensieratezza. Ma fin qui ho parlato degli obblighi, che ti ponno riguardare nell'avvenire, obblighi che tu sei tenuta a seriamente ponderare, ai quali tu devi prepararti, perchè nel loro adempimento sta una gran parte della saggezza muliebre. Ma a te pure posso e debbo parlare direttamente dell'economia, e perchè tu pure fin d'ora sei tenuta ad avertela famigliare, e per predisporti ai rovesci di fortuna, e per farteli evitare il più possibilmente. Molte volte, per un amore fosse eccessivo, i tuoi genitori hanno condisceso a circondarti di comodi, più che a te non erano dovuti, a dispendiarsi soverchiamente; ora tu devi saper far senza quelle ricercatezze che non sei certa di poter conservare. Ora sei agiata o ricca, ma un dì puoi diventar povera; con questo pensiero sempre fisso in mente devi abituarti ad una vita laboriosa e frugale, senza ricercare e tanto meno esigere quei comodi i quali aumentando la spesa, aumentano i tuoi bisogni, e quindi la tua infelicità. Io vorrei che anche le damigelle situate nella classe più alta, si abituassero á coprirsi di biancherie piuttosto grossolane ed ordinarie, non cercassero nel proprio vestiario che la decenza e la modestia, stando sempre nel vitto, nel vestire, nell'abitare ed in tutto una linea più sotto di quello porterebbe la loro condizione sociale e finanziaria. Questo servirà a mantenere una saggia economia, quindi ad ovviare un dissesto finanziario; nello stesso tempo dinoterà in esse un animo umile e gentile che ben lungi dal soverchiare gli altri, è contento di stare al disotto, memore che parola evangelica dice:gli ultimi saranno i primi. Sì, te lo raccomando ancora: abbi a cuore l'economia domestica, un'economia che più specialmente si riversi sulla tua persona, un'economia che non ti serri la mano al soccorso, ma ti presti anzi i mezzi per correre in ajuto dei bisognosi; un'economia che ti faccia amica e cara al Signore; a quel Signore che vestendo una carne come la nostra ha voluto cibarsi di povero pane, vestire povere vesti. Quand'io, aprendo il Vangelo, leggo il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, un senso d'indefinibile tenerezza m'inonda il cuore, e mi torna alla mente questa riflessione, che non posso a meno di comunicarti. Non poteva il Salvatore operando il miracolo offrire alle turbe cibi più squisiti e prelibati di quanto nol fossero pane e pesci? Non poteva almeno dare a quel pane ed a quei pesci un sapore nuovo, differente, superiore ad ogni altro sapore? Il Vangelo non dice affatto parola di ciò; resta adunque sottinteso che nostro Signore moltiplicò i pani ed i pesci nella stessa qualità dei pochi pani e dei pochi pesci che gli Apostoli tenevano in serbo; siccome ogni cosa fatta da Dio è feconda di utili ammaestramenti, così questa pure è utilissima, insegnandoci che allorchè ci limitiamo a desiderare ed a chiedere il necessario, Iddio è pronto a fare anche dei miracoli per soddisfarci. Non cercare adunque, o amica tenerissima, che il necessario; fa di contentarti di poco, di restringere quanto più puoi i tuoi bisogni, e sarai più facilmente esaudita, ed il Signore vedendoti staccata dai beni della terra, non sarà indotto a privartene; ma ajuterà anzi l'opera saggia e prudente di un'economia guidata dall'amore della giustizia e dai dettami della carità, col benedirti non solo nell' anima, ma altresì nel corpo e negli averi! Oh! ti benedica, ti benedica Iddio!

Pagina 542

Nuovo galateo

190366
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Siccome il magistrato non lascia d'essere uomo, quindi non di rado soggetto all'orgoglio in ragione del potere, perciò si dee riguadare come azione inurbana l'opporsi alle sue idee allorchè non recano d'inno al pubblico, e nel tempo stesso imprudente, se l'opposizione porta danno all'oppositore; quindi si può lodare il filosofo Favorino, e condannare l'architetto Apollodoro il primo, accusato perchè avea lasciato senza censura alcune idee d'Adriano in una contesa di grammatica, rispose scherzando: Può forse prendere abbaglio colui che ha trenta legioni a'suoi comandi? Il secondo, indispettito nel sentire l'imperatore a parlare di belle arti senza cognizione di causa, lo mandò a pingere le zucche. Più un magistrato è un imbecille, più si debbe avere riguardo all'irritabilità del suo amor proprio; giacché lo sforzo ad attribuire agli altri i nostri sbagli cresce in ragione della nostra imbecillità. Quindi fa d'uopo che in questi casi annunziate la cosa nudamente ed in modo che sembriate causa dell'errore, senza che vi si possa a buon diritto attribuire. Allorché il famoso generale Laudon fu battuto dal re di Prussia per avere cambiato posizione, giusta gli ordini del feld-maresciallo Daun, egli scrisse a questo come segue: Ho l'onore d'annunziare a V. E. che sono stato battuto nella posizione ch'ella mi ha ordinato di prendere. Sono con rispetto, ecc. Uno spartano non avrebbe renduto conto più nobilmente della sua disfatta, nè con maggior precisione. Mentre questa confessione allontanava dall'amor proprio di Daun l'idea d'essere autore della rotta, non diceva doversene incolpare Laudon, costretto ad obbedire, non padrone di ordinare. Il rispetto e la civiltà verso il magistrato non tolgono ai cittadini il diritto di predicargli quelle massime che possono spiacergli, e la violazione delle quali frutta pubblico danno; perciò quando Luigi XIV pretendeva di convertire i Protestanti del suo regno non colla persuasione, ma colla forza, Bossuet e Fénélon gli dissero che nissuna potenza umana ha diritto » sulla libertà del cuore; che la violenza, invece di » persuadere, fa degli ipocriti; che dare tali proseliti » alla religione, non è proteggerla, ma avvilirla ». Può essere qui ricordata una pratica che certamente non é troppo pulita per sè stessa, ma che mirava ad ottimo scopo, e che nella barbarie de tempi in cui fu usata , forse può meritare compatimento. Nel secolo XII per ricordare al nuovo pontefice che l'elevazione della carica non doveva fargli dimenticare d'essere uomo, egli veniva posto a sedere sopra una sedia di pietra bucata e vuota al di sotto, detta stercoraria, situata avanti il portico di S. Giovanni in Laterano; in quella posizione il pontefice gettava del denaro al popolo. La verità che si predicava al papa era certamente sacrosanta, ma il modo era tutt'altro che gentile.

Pagina 263

Nuovo galateo. Tomo II

194239
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Acciocché i giovani non prendano abbaglio, farò osservare che il vantarsi d'essere l'amico di qualche persona virtuosa od altrimenti stimabile, quando lo si é veramente, non è un vanto irragionevole come gli antecedenti; giacché le persone virtuose e stimabili non concedono la loro amicizia se non a persone ch'elle stimano. 5.° I pregiudizi comuni. Questa sorgente di ridicolo non ti puó mancare, se ti trovi in compagnia di donnicciuole; giacché se per es. farai oggetto del discorso un male o l'altro, esse ti spacceranno tosto de' rimedi simili a quelli del medico Quinto Sereno, il quale, per guarire la quartana, poneva sotto il capo del febbricitante il quarto libro dell'Iliade. Continua tu la storia delle malattie, ed esse continueranno a spacciarti dei recipe che ti farebbero ridere, fossi anche moribondo. Mi é stato dimandato se è come si può intrattenersi e ridere colle pinzochere. Veramente il problema è un po' difficile, ma se il lettore promette di non tradirmi, gli affiderò il mio segreto. Le pinzochere chiamano chiunque al loro confessionale; e il loro contento cresce in ragione delle persone che condannano. Quando adunque mi trovo in compagnia d'una di queste signore, le caccio avanti una ventina di peccatori per lo meno, e tutti colle loro colpe sulla fronte: qui si legge mode, là teatro, più lungi passeggi, suoni, canti, ecc. La vista di questi piaceri, a cui per motivi rispettabili madama ha rinunziato, riscalda la sua bile; quindi eccola assisa pro tribunali, e scrivendo sentenze da Radamante, colle mani e coi piedi caccia all'orco questi poveri profani. Appunto perché so che la pinzochera é inesorabile, io m'interpongo e chieggo pietà ora per l'uno ora per l'altro: tento l'apologia della moda, dimando qualché tolleranza pel teatro, il concerto delle sfere mi serve a difendere i suoni, gli augelli vengono in soccorso de' canti, ecc.; succede dunque una contesa tra il giudice e l'oratore, e così la sessione criminale continua, giacché le obbiezioni ragionevoli ed a proposito sono uno stimolante della conversazione. E siccome lo zelo di madama è scevro di malizia, quindi riscaldandosi ella facilmente, mi permette di leggere nel fondo del suo animo; io ravviso allora sotto tinte superstiziose quelle false idee che leggo in alcuni libri sotto tinte poetiche, ed imparo a stimarne profondamente gli autori! Crescendo il calore di madama, io diminuisco l'opposizione, e lascio assaporare il piacere d'avermi persuaso e vinto: in questo modo usciamo della conversazione soddisfattissimi entrambi, ella di me ed io di lei. 6.° Gli sforzi per comparire ricchi; del che vedi un cenno alla pag. 85, § 4 del tomo I. Basterà qui, il dire che il ridicolo in questi casi cresce in ragione della dilferenza che passa tra l'apparenza e la realtà, sicché il massimo ridicolo ci verrebbe offerto da coloro che imitassero i comici di campagna, i quali dopo d'avere rappresentato Cesare e Pompeo, muoiono di fame. 7.° La saccenteria, la quale si é di due specie: appartengono alla prima quelle persone che, non facendo mai uso del loro giudizio, spacciano le idee altrui senza discernimento e come proprie.

Pagina 44

Eva Regina

203547
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 1 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Pagina 269

Lo stralisco

208581
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
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Il caldo, avvertibile anche nella navata, il quieto abbaglio luminoso, e il lento canto ritmato a cui partecipava, le davano uno stordimento leggero. Sentiva le mani, unite davanti al seno, leggermente sudate. Desiderò asciugarle: ma non voleva, separandole, interrompere il gesto della preghiera. Le aprì solo di poco, avvicinate al viso, e una pausa del responsorio vi soffiò in mezzo, delicatamente, come cantando una nota segreta. Poi le abbassò, unite, godendosi l'asciuttezza delle palme come un piccolissimo dono segreto. Vagò con gli occhi sulla bassa volta colorata dell'abside, poi scese sulla croce dell'altare. Da un mese, ormai, aveva rinunciato al raccoglimento: si accontentava di compiere ogni gesto, di pronunciare ogni parola, di cantare ogni strofa, secondo quanto le avevano insegnato e la regola prevedeva. Più che pensare ad altro, seguire strade ed immagini della mente, sperimentava e si perdeva in un distacco torpido, piacevole al fondo: si riposava dal lavoro silenzioso di copista che, insieme a suor Anna, durante il giorno compiva. Piú ancora che le angolari passeggiate lungo il chiostro, o quelle appena piú ariose nel giardino del monastero, i ritmici e pacati momenti della preghiera la calmavano, la riavvolgevano nello spessore paziente e silenzioso in cui, fin dall'inizio di quella vita, si era rifugiata. Giunta al chiostro per vie e pressioni non dissimili, se pur meno bizantine e crudeli, a quelle che assai piú tardi avrebbero costretto la sventurata di Monza, e meno di quella covando passioni e ribellioni, Lucrezia Buti, sorella di quell'arrogante che stava per travolger frati sulla via di Firenze, riusciva talvolta persino ad essere e mostrarsi allegra. Il suo non era certo, tuttavia, uno stato di piena e forte tranquillità. Mescolando disciplina, obbedienza, fede e volontà a una discreta pigrizia, e all'istintivo orrore per le discordie che anche in lei stessa sarebbero sorte a voler discutere il suo stato, la giovane donna aveva accettato e accettava il destino, e lo viveva in condizione di remissiva e quotidiana, quasi elaborata pazienza. Forse, al passare del tempo, qualcosa sarebbe avvenuto, in una o altra direzione: o verso una stravolta e folle sofferenza, o verso un piú totale e stolido torpore. All'epoca di cui narriamo, stava ancora sospesa, come gonfia di un pianto, o un grido, che avrebbe potuto esplodere, o chiudersi in lei per sempre, rendendola, come molte altre infelici, grottesca e immobile, allocchita figura dolente. Un movimento leggero di stoffa, a sinistra dell'altare, attirò il disponibile sguardo della monaca: sembrava che qualcuno si preparasse ad uscire da dietro: ma nessuno apparve. I due lembi di tela grossa e bruna si scostarono appena, e qualcosa si travide di là, chissà cosa. Poi la stoffa rimase ferma, in quell'apertura innaturale, con solo ogni tanto piccolissimi spostamenti. Suor Marta corrugò la fronte, ma non volse il capo. Sapeva che la maggioranza delle consorelle cantavano e pregavano ad occhi chiusi, e altre fissavano il pavimento: nessuna, davanti a lei o al suo fianco, sembrava accorgersi di qualcosa. Pensò si trattasse di un ragazzino entrato nel giardino del monastero, passando un muro non invalicabile che lo chiudeva a Oriente, dalla parte del frutteto. Forse, incuriosito al canto delle monache... Lucrezia ricordava bene il gusto che, lei e le sorelle, avevano da piccole di quei nascondimenti: quando tutto si fa complicità, brivido d'attesa, eccitato e struggente complotto verso il mondo... Le accadde, come talvolta, sebbene piú spesso quando giaceva prima del sonno, di sentirsi sdoppiata. Rimase al suo posto, ma intanto si mosse verso l'altare, con un suo corpo pensato, leggero eppure reale: e si avvicinò alla tenda grezza, e con un movimento veloce la spostò. Nel capogiro della veggenza vide di là non un ragazzino del borgo, spaventato e malsicuro, ma un uomo di alta statura, vestito da frate, col volto fosco nell'opaco alone dell'abside. Suor Marta, esperta di simili visioni, che ormai da anni avevano cessato di spaventarla, e che a nessuno, nemmeno in confessione, aveva rivelato, chiuse gli occhi per meglio distinguere, in quel sogno di veglia, il volto dell'uomo: e immobile, come dipinto, le parve quello del frate incontrato due giorni prima, e brevemente guardato, sotto la tettoia dove s'era riparata con suor Anna e suor Maria da quel furioso temporale: il frate che aveva detto, burlescamente, qualcosa dell'Inferno, voce calda e strana, assai ridente, e l'aveva guardata... Suor Marta spalancò gli occhi, accorgendosi di aver mancato l'attacco della strofa. Sforzò fiato e voce, tornando con lo sguardo sulla tela a sinistra dell'altare. Niente si vedeva: la fessura era ferma, come cucita. Ma dallo stretto passaggio la monaca sentiva venirle addosso uno sguardo, un'attenzione densa, cocciuta, che le troncava di nuovo il fiato e il canto. Nella pausa seguente, respirò a fondo più volte. Si disse che doveva stare serena, contrastare anzi quelle strane visioni che, non occorreva un confessore per farglielo sospettare, eran certo meno estranee al Demonio che all'opera del Creatore: e nulla di buono può venire dal padre delle tenebre.

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