Saranno poi necessarie delle specificazioni, caso per caso, o per gruppo di casi, atte ad evitare le possibili forme di "accanimento terapeutico", laddove si sostituisca un "vitalismo biologico", il più delle volte artificiale e attuato con mezzi sproporzionati, alla vita propriamente intesa.
"accanimento terapeutico" vietato dall'art. 14 del vigente Codice deontologico italiano e dall'art. 37 del Codice deontologico francese (che usa il termine "obstination dèraissonable"). Intanto sono state emanate la legge olandese (28 novembre 2000) e la legge belga (16 maggio 2002) sull'eutanasia ma gli altri Paesi dell'Unione europea non sembrano orientati a seguire questa strada. Vi è invece accordo sulle "Dichiarazioni anticipate" (Living Will) ed in merito si è pronunciato favorevolmente, ma con cautela, il Comitato Nazionale per la Bioetica (18 dicembre 2003). Più decisa è la posizione della Francia la cui Assemblea nazionale ha approvato quasi all'unanimità (26 ottobre 2004) il progetto di legge che consente al malato di opporsi alla "obstination dèraissonable" nel trattamento medico; il progetto è stato trasmesso al Senato ed è probabile che diventi legge entro il 2005. Sotto il profilo tecnico-medico esistono ancora opinioni divergenti su diagnosi-prognosi in tema di Stato Vegetativo permanente che è (sarebbe) la condizione clinica che esclude la possibilità di ritorno ad una vita con un minimo di capacità relazionale e di autosufficienza.
Discutono, quindi, la loro collocazione, tra qualità della vita, accanimento terapeutico ed eutanasia, in un dibattito bioetico che pone al centro il malato terminale ed i problemi di fine vita.
Occorre, infatti, stabilire, da un lato, se i trattamenti di sostegno in vita siano o meno una forma di accanimento terapeutico e, dall'altro, quale sia la posizione del sanitario che si trovi di fronte ad una persona che, in quanto incosciente, non sia in grado di esprimere il proprio volere.
Il complesso dei provvedimenti su cui si è articolata la Manovra finanziaria per il 2007 evidenzia un "accanimento terapeutico" sui paradisi fiscali che getta più ombre che luci e che soprattutto lascia trasparire un atteggiamento ancora difensivo dell'ordinamento tributario italiano rispetto a quelle realtà internazionali verso le quali sarebbe più saggio attendersi un confronto ispirato ad una logica di tipo concorrenziale.
Anzitutto svolge, con esito positivo, due indagini preliminari sul carattere irreversibile dello stato vegetativo e sui profili di legittimità costituzionale del principio di diritto enunciato dalla Cassazione, laddove accorda al rappresentante legale il potere di richiedere la sospensione delle cure, nell'interesse del paziente, ove il medesimo versi in stato vegetativo permanente e tale scelta risponda alla sua volontà presunta, tratta da precedenti dichiarazioni e/o dalla sua personalità e dai suoi convincimenti; peraltro afferma, in ciò discostandosi dal principio di diritto, che la richiesta sarebbe sempre legittima in presenza di accanimento terapeutico, anche nel caso di mancata ricostruzione di tale volontà. Quindi, da un riesame delle testimonianze rese nella precedente istruttoria e da un nuovo interrogatorio del tutore, ritiene raggiunta, in modo chiaro, univoco e convincente, la prova della presumibile volontà del paziente alla sospensione delle cure.
Ciò pone molteplici problematiche dai difficilissimi risvolti deontologici a cui è difficile dare una soluzione unitaria: come ci si comporta nei confronti del paziente morente, qual è il confine tra eutanasia ed accanimento terapeutico, dov'è il limite accettabile per una morte dignitosa.
L'A. esamina il problema dello stato vegetativo permanente in ambito bioetico-giurisprudenziale, suggerendo una metodologia di approccio che parte dall'aspetto strettamente medico-diagnostico, sulla base del quale inquadrare la prognosi che, così, diviene il terreno di discussione delle misure assistenziali da attuare, tenendo in debito conto le volontà eventualmente espresse in precedenza dal paziente, ovvero il suo consenso/dissenso, come desunto dagli elementi a disposizione per valutare la sussistenza della fattispecie di accanimento terapeutico.
Attraverso l'analisi di alcuni documenti ufficiali (parere del CNB, Linee guida della Siaarti) vengono poi affrontati i nodi teorici su cui si centra il dibattito cercando di chiarire se si tratti o no di una terapia, la possibilità che si presenti come un accanimento terapeutico e quali siano i criteri utilizzati per definirlo. Il testo argomenta, inoltre, come la rinuncia all'identificazione di criteri oggettivi per identificare quando si diano situazioni di accanimento terapeutico porti a gravi discriminazioni tra gli esseri umani. In particolare, ci si sofferma sulla condizione di coloro che si trovano in stato vegetativo; sempre attraverso l'analisi dei documenti si mostra come, a partire dallo SV, si stia eliminando proprio il parametro oggettivo della proporzionalità a favore di criteri soggettivi che, progressivamente, aprono ad un abbandono terapeutico ed assistenziale anche di molte persone con patologie neurodegenerative o psicologiche. L'articolo si conclude mostrando come, dietro l'apparente privatezza di alcune decisioni, si celi invece una profonda questione di giustizia messa alla prova proprio dalle situazioni di disabilità più estrema.
Responsabilità colposa e "accanimento terapeutico consentito"
In particolare, da un lato si evidenziano i rischi connessi all'adozione di una lettura esclusivamente oggettiva della nozione di 'accanimento terapeutico' e dall'altro si dubita della possibilità di riconoscere natura cautelare (e su di essa fondare una responsabilità a titolo di colpa specifica) alla norma del codice deontologico asseritamente violata dai medici (art. 16), che impone di "astenersi dall'ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita". Il contributo soggettivo del paziente viene infine esaminato anche allo scopo di precisare meglio i contenuti della posizione di garanzia da attribuire al medico, che va arricchita di momenti di doverosità legati all'esigenza di tenere nel debito conto la volontà del paziente stesso.
Riguardo alla nutrizione ed alimentazione artificiale, l'A. ritiene che esse vadano sempre offerte garantite e praticate, soprattutto ai gravi disabili, fino a che risultino efficaci ed utili e non si configurino come accanimento terapeutico. Dal punto di vista bioetico, si accetta da parte di tutti che la nutrizione ed alimentazione hanno un alto valore umano e simbolico e nella valutazione dell'opportunità di praticarle o sospenderle si rivendica un forte potere decisionale del medico, il quale valuta su parametri scientifici e mai su un giudizio etico personale o condizionato da una valutazione di altri sulla qualità della vita del paziente.
Le tematiche affrontate possono essere in tal modo classificate: morte in generale; eutanasia; morte celebrale; (diagnosi ed accertamento); accanimento terapeutico; cure palliative e assistenza al morente; rifiuto attuale delle cure; stati vegetativi; dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT); testamento biologico. Diverso sono i profili di riflessione e l'integrazione tra i diversi saperi rintracciabili dalla lettura dei numerosi contributi presenti sulla rivista. Le questioni di "fine vita" sono state affrontate da un punto di vista etico, ma anche clinico e medico legale, biogiuridico, deontologico, antropologico-filosofico, con uno sguardo sempre attento alle vicende che hanno sollevato il dibattito pubblico nel corso degli anni.
L'indeducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori di società in assenza di previa delibera dell'assemblea dei soci: un lampante caso di accanimento terapeutico generatore di nuovi "estrogeni tributari"