A coloro che, trascorso più di un anno dal giorno dell'acquisizione della residenza in Italia, guidano con patente o altro prescritto documento abilitativo, rilasciati da uno Stato estero, non più in corso di validità si applicano le sanzioni previste per chi guida senza essere munito della patente di guida o del certificato di abilitazione professionale.
Nel caso di ripetute inadempienze, tenuto conto anche della loro entità e frequenza, l'impresa che effettua il trasporto di persone in servizio non di linea o di cose incorre nella sospensione, per un periodo da uno a tre mesi, del titolo abilitativo al trasporto riguardante il veicolo cui le infrazioni si riferiscono, se, a seguito di diffida rivoltale dall'autorità competente a regolarizzare in un congruo termine la sua posizione, non vi abbia provveduto.
A coloro che, avendo acquisito la residenza in Italia da non oltre un anno, guidano con patente o altro necessario documento abilitativo, rilasciati da uno Stato estero, scaduti di validità, ovvero a coloro che, trascorso più di un anno dal giorno dell'acquisizione della residenza in Italia, guidano con i documenti di cui sopra in corso di validità, si applicano le sanzioni previste per chi guida con patente italiana scaduta di validità.
Le stesse disposizioni si applicano per il certificato di abilitazione professionale, senza peraltro provvedere al ritiro dell'eventuale documento abilitativo a se stante.
Qualora gli interventi autorizzati ai sensi dell'articolo 21 necessitino anche di titolo abilitativo in materia edilizia, è possibile il ricorso alla denuncia di inizio attività, nei casi previsti dalla legge. A tal fine l'interessato, all'atto della denuncia, trasmette al comune l'autorizzazione conseguita, corredata dal relativo progetto.
In assenza del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100 o del fascicolo di cui all'articolo 91, comma 1, lettera b), quando previsti, oppure in assenza di notifica di cui all'articolo 99, quando prevista, è sospesa l'efficacia del titolo abilitativo. L'organo di vigilanza comunica l'inadempienza all'amministrazione concedente.
In assenza del documento unico di regolarità contributiva, anche in caso di variazione dell'impresa esecutrice dei lavori, l'efficacia del titolo abilitativo è sospesa.
Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione.
Salvo più restrittive disposizioni previste dalla disciplina regionale e dagli strumenti urbanistici, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, i seguenti interventi possono essere eseguiti senza titolo abilitativo: a) interventi di manutenzione ordinaria; b) interventi [...] volti all'eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio; c) opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico o siano eseguite in aree esterne al centro edificato.
L'iscrizione all'albo per gli stranieri privi della cittadinanza italiana o della cittadinanza di altro Stato appartenente all'Unione europea è consentita esclusivamente nelle seguenti ipotesi: a) allo straniero che ha conseguito il diploma di laurea in giurisprudenza presso un'università italiana e ha superato l'esame di Stato, o che ha conseguito il titolo di avvocato in uno Stato membro dell'Unione europea ai sensi della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, previa documentazione al consiglio dell'ordine degli specifici visti di ingresso e permessi di soggiorno di cui all'articolo 47 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394; b) allo straniero regolarmente soggiornante in possesso di un titolo abilitante conseguito in uno Stato non appartenente all'Unione europea, nei limiti delle quote definite a norma dell'articolo 3, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, previa documentazione del riconoscimento del titolo abilitativo rilasciato dal Ministero della giustizia e del certificato del CNF di attestazione di superamento della prova attitudinale.
In particolare, la sentenza del TAR Abruzzo accoglie una nozione di DIA come atto abilitativo tacito che si forma a seguito della dichiarazione del privato e della successiva inerzia della p.a.; la sentenza Cons. Stato, sez. IV, 220 luglio 2005, n. 3909 fa il punto sulla possibilità, per il terzo danneggiato, di attivare il silenzio rifiuto a seguito di un'istanza volta a sollecitare l'esercizio, da parte della p.a., dei poteri di autotutela, al fine di rimettere in discussione delle concessioni edilizie divenute inoppugnabili. La decisione del TAR Calabria si sofferma sulle novità apportate allo speciale rito del silenzio, previsto dall'art. 21-bis, l. n. 1034/1971, dal d.l. n. 35/2005, come convertito dalla l. n. 15/2005, novità ignorate, invece, dal Consiglio di Stato con la pronuncia 28 luglio 2005, n. 4004 in quanto non applicabili, ratione temporis, alla fattispecie sottoposta al suo esame
In particolare, la Suprema Corte di cassazione, nell'affermare, in contrasto con un precedente orientamento delle Sezioni unite, che la prosecuzione dell'attività di coltivazione di cave legittimamente esistenti al momento dell'apposizione di un vincolo paesaggistico è condizionata all'ottenimento di un autonomo titolo abilitativo, da rilasciarsi in forma espressa da parte degli organi regionali competenti, ha coniato un principio di diritto che, come evidenziato in sede di commento, implicitamente esclude che norme di rango regionale possano prevedere nuove fattispecie che, per il tramite dell'art. 51 c.p., giustifichino condotte sanzionate da disposizioni incriminatrici di provenienza statuale.
Lombardia n. 12/2005 nella parte in cui assoggettava l'installazione degli impianti di telefonia cellulare al rilascio anche del permesso di costruire (oltre al titolo abilitativo di cui all'art. 87 D. lgs. n. 259/03) e dall'altro lato riconoscendo invece la legittimità costituzionale della L.R. Abruzzo n. 11/2005, la quale ha subordinato al rispetto di "criteri di funzionalità delle reti e dei servizi" i poteri comunali di disciplina della localizzazione dei predetti impianti.
Da una parte, la DIA è intesa come atto privato, di per sé idoneo a consentire l'intrapresa dell'attività, in forza di una legittimazione conferita dalla stessa legge; dall'altra, essa è concepita invece quale semplice istanza rivolta dal privato all'amministrazione, finalizzata all'ottenimento di un'autorizzazione amministrativa tacita, che rappresenta l'unico titolo abilitativo all'esercizio dell'attività. L'A. ripercorre le linee di sviluppo di questo dibattito, ma anche le ragioni pratiche del progressivo affermarsi, sul piano legislativo e giurisprudenziale, della seconda impostazione a discapito della prima, insieme ai limiti teorici e applicativi di questa trasformazione in atto.
La decisione in chiosa recepisce l'orientamento della più recente giurisprudenza amministrativa, formatosi in seguito all'introduzione degli artt. 21-quinques e 21-nonies della l. n. 241/1990 operata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, circa i poteri attribuiti all'amministrazione successivamente al venire in essere del titolo abilitativo in materia edilizia dopo la presentazione della dichiarazione di inizio attività, ritenendo possibile l'intervento repressivo purché nelle forme del potere di autotutela, analiticamente disciplinato dalla legge.
La Cassazione afferma, comunque, che non è necessaria la integrazione del reato di falso, perché sussista la contravvenzione di costruzione senza permesso in presenza di un titolo abilitativo.
Tra le differenziate ricostruzioni teoriche operate da dottrina e giurisprudenza, il Tar Liguria opta per la soluzione che configura la d.i.a. come strumento di semplificazione (e non di liberalizzazione) che consente al privato di ottenere un titolo abilitativo, sub specie di autorizzazione implicita di valore provvedimentale, a seguito del decorso dei termini prescritti per l'esercizio dei poteri inibitori da parte della P.A. Quanto al problema delle forme di tutela sperimentabili dal terzo, la riconosciuta natura pubblicistica della d.i.a. conduce il Collegio a concludere per l'ammissibilità del ricorso giurisdizionale direttamente avverso il provvedimento di assenso tacito dell'amministrazione.
Le opere realizzate in base a titolo abilitativo annullato
La Dia è un provvedimento abilitativo a formazione tacita
La sentenza conferma il più recente orientamento del giudice amministrativo sulla natura giuridica della Dia definendola un provvedimento abilitativo a formazione tacita. Nelle motivazioni il Consiglio di Stato afferma che deve essere riconosciuta al terzo la possibilità di contestare l'assenso tacito dell'amministrazione alla dichiarazione del privato. Con ciò attribuendo all'istituto in parola un contenuto pubblicistico.
La nozione di ambiente e la illegittimità del titolo abilitativo
L'orientamento esegetico che, ai fini del reato di illecita edificazione, equipara il titolo abilitativo illegittimo all'assenza dello stesso è ormai, come desumibile dalla sentenza n. 3872 del 2011, costantemente enunciato dalla Corte, definitivamente distaccatasi, secondo uno schema affermato anche dalle Sezioni Unite, dall'interpretazione legata al dato letterale della norma; vi è però da chiedersi se recenti enunciati della Corte, seppur maturati in tutt'altri settori, non rendano necessaria una riflessioni propedeutica ad un'eventuale rivisitazione dell'assunto. Nel segno di un'interpretazione estensiva, la sentenza definisce poi in termini ampi il bene ambientale, in esso comprendendovi anche gli atti a contenuto edilizio, così riproponendo un tema di confronto giurisprudenziale già sorto in passato e tuttavia sopito, a suo tempo, dall'abrogazione dell'art. 60 della L. 24 novembre 1981, n. 689.
La pronuncia in esame rappresenta l'ennesimo intervento del Giudice amministrativo volto a precisare quali siano i soggetti legittimati ad ottenere il rilascio di un titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di una determinata opera sulle parti comuni di un edificio condominiale e, pur essendo stato chiarito che appare opportuna una valutazione caso per caso, il TAR Umbria ha preso l'occasione per ribadire un orientamento sicuramente consolidato, circa l'impossibilità, per un singolo condomino, di agire da solo, a fronte del formale dissenso di almeno uno degli altri comproprietari dello stabile. L'altro aspetto di rilievo che è stato esaminato dal Collegio giudicante riguarda, invece, la portata dei poteri di verifica spettanti all'amministrazione comunale, nell'ambito della fase istruttoria per il rilascio o meno di un titolo edificatorio, con particolare riguardo ai diritti soggettivi dei terzi controinteressati.
Nella sentenza che si annota il Tar enuncia due regole (la scadenza del termine per l'inizio e la conclusione dei lavori edili non comporta l'inefficacia automatica del titolo abilitativo rilasciato dall'ente locale; la decadenza del permesso di costruire deve essere dichiarata da quest'ultimo); riconosce implicitamente che su di esse la giurisprudenza del giudice amministrativo è tutt'altro che univoca; richiama a supporto della decisione assunta precedenti in larga misura di antica data, ma non offre argomenti che induca il lettore a disattendere le tesi contrarie, nemmeno enunciate. All'esposizione delle diverse posizioni assunte dalla giurisprudenza su questioni di particolare interesse giuridico e di indubbio rilievo pratico è dedicato questo studio.
Inoltre, si profila davvero un'esigenza di tutela penale nel caso di atti non esclusivi, per il compimento dei quali il legislatore ha ritenuto non indispensabile il possesso di un titolo abilitativo?
Stavolta il tema affrontato dalla Corte è quello della possibile configurabilità dell'illecito lottizzatorio nel caso, invero assai diffuso, della trasformazione di locali sottotetto di un appartamento in locali abitabili, in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo. La giurisprudenza tradizionale, com'è noto, ritiene che tale attività di trasformazione costituisca un mutamento di destinazione d'uso per il quale è necessario il rilascio preventivo del permesso di costruire, atteso che la variazione avviene tra categorie non omogenee. Parte della giurisprudenza di legittimità, invece, con un'interpretazione più rigorosa, sostiene che in presenza di un'attività non consentita di trasformazione urbanistica o edilizia del territorio, realizzata anche mediante una forma di suddivisione fattuale dell'immobile, sia configurabile l'illecito lottizzatorio. Da qui, dunque, il quesito: la trasformazione di un sottotetto in locale abitabile, realizzando una diversa suddivisione in fatto dell'immobile, può astrattamente integrare la fattispecie di lottizzazione abusiva, o è necessario un ''quid pluris'' affinché ciò si verifichi?
Il termine decadenziale per l'impugnazione di un titolo abilitativo edilizio rilasciato a terzi comincia a decorrere solo in presenza di elementi univoci, da cui si possa evincere l'effettiva conoscenza delle essenziali caratteristiche dell'opera, rilevanti per la verifica di conformità della disciplina urbanistica; in assenza di elementi da cui si possa evincere la piena conoscenza dell'atto lesivo, il ''dies a quo'', per la decorrenza del termine di impugnazione, va individuato, non tanto nell'inizio dei lavori, quanto nel loro completamento, salvo che, nel ricorso, non venga dedotta proprio l'inedificabilità dell'area.
Permesso di costruire: la proroga non può essere negata per vizi del titolo abilitativo
Essa erode in parte l'ambito di applicazione del permesso di costruire, sottraendogli le ristrutturazioni edilizie e le varianti ai permessi che determinino una modifica della sagoma, a favore del più snello ed economico titolo abilitativo della segnalazione certificata di inizio attività (c.d. s.c.i.a.). Ciò ha delle ricadute, in senso restrittivo, sul piano penale, in quanto gli interventi edilizi subordinati a permesso di costruire, se realizzati in assenza o in difformità totale dal titolo, costituiscono illeciti penali, mentre gli interventi edilizi soggetti a s.c.i.a. realizzati in assenza o in difformità totale da questa costituiscono illeciti amministrativi. Dato che l'entrata in vigore dell'art. 30 era subordinata alla conversione in legge del decreto, qui si commenta la disposizione contenuta nella legge di conversione n. 98/2013.
Esclusa la possibilità di configurare una fattispecie fondata sull'omesso impedimento dell'evento in tutti i casi in cui sia stato adottato un provvedimento abilitativo, a prescindere dalla sua eventuale illegittimità, l'indagine si è concentrata sui presupposti e sui limiti del concorso criminoso. Al riguardo le maggiori perplessità si registrano in relazione al concorso colposo, per quanto secondo l'orientamento maggioritario il generico richiamo dell'art. 110 c.p. al "medesimo reato" ricomprenderebbe senza dubbio anche le fattispecie contravvenzionali. Una volta affrontata la non agevole questione della rilevanza causale delle condotte di partecipazione atipiche, occorre altresì accertare in concreto la sussistenza dell'elemento soggettivo, per cui si è ritenuto opportuno accennare alle peculiari caratteristiche che contraddistinguono l'indagine colposa in riferimento al settore in esame.
Questo articolo esamina le problematiche collegate alla contestazione di un abuso edilizio o paesaggistico in presenza di un intervento realizzato conformemente ad un titolo abilitativo ritenuto illegittimo. All'esito dell'analisi delle diverse ipotesi di reato edilizio e paesaggistico alla luce dell'interpretazione giurisprudenziale, fatta eccezione per il caso di titolo giuridicamente inesistente (nullo o perché frutto di attività illecita), non si ritiene condivisibile la tesi che equipara l'ipotesi di costruzione effettuata in assenza di titolo all'ipotesi di costruzione effettuata sulla base di un titolo illegittimo. Sotto altro profilo, in tutti i casi in cui appaia contestabile un reato che pone a proprio fondamento l'illegittimità del titolo stesso, la presenza di un titolo abilitativo dovrebbe escludere di per sé la consapevolezza dell'agente in ordine all'antigiuridicità del comportamento, sempre fatta eccezione per il caso di atto amministrativo giuridicamente inesistente.
Invero, sebbene sia ormai pacificamente riconosciuto che il procedimento autorizzatorio recato dalle normative di settore consegue allo svolgimento di un procedimento unico orientato al rispetto dei principi ed alle modalità di cui alla citata legge 7 agosto 1990 n. 241, il giudice amministrativo, chiamato sempre più spesso in funzione giurisdizionale di cognizione nelle controversie tra gli Enti titolari della funzione amministrativa e le ditte richiedenti provvedimenti di rilascio del titolo abilitativo alla costruzione ed all'esercizio di impianti da fonti rinnovabili, è intervenuto di volta in volta a chiarificazione della portata giuridica degli atti endoprocedimentali, prodromici e/o istruttori del provvedimento conclusivo. La sentenza citata è esemplificativa del contributo giurisprudenziale offerto in una materia, partecipando a questo significativo processo di sistematizzazione della legislazione di settore ed alla formazione di un "corpus" normativo delineato (ed altresì, ben allineato) ai principi cardine che regolano la disciplina di carattere generale.
La pronuncia in commento si pone in forte discontinuità con la giurisprudenza consolidata in materia di opposizione di una parte dei condomini all'intervento di recupero del sottotetto, soffermandosi in particolare sulle conseguenze di tale dissenso sul procedimento per il rilascio del titolo abilitativo.
Oggi la rimozione del limite della "sagoma" al contenuto della ristrutturazione edilizia assoggetta al provvedimento abilitativo soltanto gli interventi di nuova costruzione o che alterino il volume dell'edificio ovvero la superficie utile. L'iniziativa del Governo se da un lato è tesa a "semplificare" dall'altro contraddice però la sua stessa aspirazione non chiarendo il contenuto dell'altro limite, quello del mantenimento dei prospetti dell'edificio, che potrebbe vanificare il ricorso al nuovo strumento oltre che alimentare il contenzioso davanti al giudice amministrativo.
Oggetto del presente lavoro è l'analisi delle forme giudiziali di tutela invocabili, anche nella forma cautelare, in presenza di immissioni intollerabili provocate direttamente dal soggetto in possesso del titolo abilitativo rilasciato dalla P.A. [Pubblica Amministrazione]. La questione di maggior rilievo che verrà affrontata riguarda l'assetto di distribuzione delle competenze giurisdizionali che caratterizzano la materia "de qua", al fine della proposizione delle azioni di risarcimento dei danni generati da immissioni e delle azioni inibitorie. L'indagine condurrà a confermare la giurisdizione esclusiva del G.A. considerato il dettato normativo di cui all'art. 133, lett. o), d.lgs. n. 104//2010, che vi attribuisce le controversie, incluse quelle risarcitorie, attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione concernenti la procedura di energia e le centrali relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale. Il G.A. risulta, per espressa previsione normativa e conferma giurisprudenziale, l'unico giudice legittimato a conoscere delle situazioni di danno di un diritto soggettivo, comprese le lesioni ai diritti fondamentali, qualora la fonte di tale offesa sia un procedimento o un provvedimento amministrativo, ovvero un comportamento mediato dell'esercizio della potestà pubblica.
Il conseguimento della sanatoria di abusi edilizi non trova ostacolo nella esistenza di provvedimenti sanzionatori, anche se adottati in seguito a giudizio di ottemperanza; non può, quindi, essere considerato ostativo all'ottenimento della sanatoria un ordine di demolizione emanato per ottemperare al giudicato formatosi sulla decisione di annullamento del titolo abilitativo edilizio. Poiché, però, da un lato, si hanno i diritti dei terzi che costituiscono un ostacolo assoluto al titolo abilitativo in sanatoria, dall'altro, non necessariamente l'esistenza di un ordine di demolizione, anche successivo al giudicato, costituisce una preclusione assoluta si deve ritenere, per conciliare tali aspetti, che il giudicato non possa mai essere superato quando la sentenza costituisca proprio lo strumento di tutela con il quale i terzi, i cui diritti sono fatti salvi, abbiano fatto valere le loro posizioni.
Peraltro, proprio l'indagine sulla natura giuridica della fattispecie già nota come "cessione di cubatura" - in qualche modo da considerare quale "prodromo" della categoria generale dei negozi di diritti edificatori - mette subito in evidenza la ricaduta che sul piano fiscale hanno avuto ed hanno tuttora le diverse congetture elaborate da parte della Giurisprudenza di legittimità e dall'Amministrazione Finanziaria da un lato (che si è espressa in relazione alla cubatura in termini di diritto strutturalmente assimilabile alla categoria dei diritti reali immobiliari di godimento) e altra parte della medesima Giurisprudenza (sostenuta anche da quella amministrativa) che hanno al contrario individuato in essa efficacia e colorazione solo obbligatorie, esaltando il ruolo conclusivo e determinante del provvedimento abilitativo edilizio emesso dalla pubblica autorità, il solo che attribuisca consistenza alle situazioni giuridiche generate dall'attività negoziale delle parti del contratto. Anche in materia di negoziazione di diritti edificatori, in qualche modo "tipizzati" dalla norma di cui all'art. 2643 n. 2-bis c.c. (introdotto dal D.L. 70/2011), l'indagine sulla loro natura giuridica è pregiudiziale rispetto a qualsiasi individuazione del relativo regime fiscale; e segnatamente sul punto le opinioni espresse in dottrina (dalla natura di diritti reali tipici o atipici, a quella di "beni immateriali di origine immobiliare"; all'altra di meri interessi legittimi "pretensivi" o di mera "chance edificatoria'; ecc...) così come dalla Giurisprudenza amministrativa, pur dopo l'emanazione del D.L. 70/2011, sono tra esse alquanto differenziate con evidenti diverse ripercussioni sul consequenziale regime fiscale, rilevandosi comunque che la mera collocazione del nuovo n. 2-bis nell'alveo dell'art. 2643 c.c. (sia pure dettato in materia di trascrizione) non pare costituire di per sé comprova e fondamento ineluttabili della realità di tali diritti, in quanto già l'ordinamento conosce ipotesi di trascrizione di contratti sicuramente con efficacia obbligatoria o dubbiosamente reale. Da quanto sopra detto si capisce bene che le inferenze sul piano fiscale - sia per quanto attiene alle imposte indirette che a quelle dirette - appaiono condizionate dalla linea di pensiero cui si reputa di poter accedere. Al riguardo è essenziale riflettere sulla circostanza per cui, con riferimento alle nuove politiche di pianificazione del territorio, la realità delle disparate situazioni giuridiche da esse ingenerate potrebbe non costituirne più un tratto identitario e costitutivo (per l'assoluta distanza che si può interporre tra il fondo "originante" il diritto edificatorio e quello "accipiente" destinato ad accoglierlo ma anche, in generale, per la probabile assenza di quella "immediatezza" che è tipica dei diritti reali, dovendosi al contrario tenere in debita considerazione tutto il procedimento amministrativo finalizzato a dare concreta esplicazione a quel diritto); sicché anche l'interprete sul piano fiscale deve trame coerenti e convergenti conclusioni, che possono essere anche diverse rispetto a quelle cui in tempi addietro si era pervenuti con riguardo alla "cessione di cubatura".
., con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148); la conclusione è nel senso dell'ammissibilità di tali impugnazioni, essendo, all'epoca, maggioritario, se non addirittura esclusivo, l'orientamento giurisprudenziale che qualificava la fattispecie in termini di provvedimento tacito abilitativo dell'intervento.
L'opinione assolutamente prevalente in dottrina ed in giurisprudenza è quella che tende a circoscrivere le irregolarità rilevanti ai fini della commerciabilità dei beni all'assenza del titolo edilizio abilitativo ed alla totale difformità. Se si è in presenza di una irregolarità edilizia meno grave (ossia di un c.d. "abuso minore"), il bene è comunque commerciabile; peraltro la presenza di un "abuso minore", se non impedisce il trasferimento dell'immobile, impone un'attenta regolamentazione contrattuale dei rapporti tra venditore e acquirente. Il contributo si conclude con una notazione in tema di preliminare: dopo aver rammentato che si è sempre esclusa la necessità, ai fini della validità del contratto preliminare, di menzionare gli estremi dei titoli edilizi abilitativi, si segnala come la Suprema Corte di Cassazione, con due recenti sentenze, giunge ad affermare che il contratto preliminare di vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico è nullo in quanto avente ad oggetto la stipulazione di un contratto definitivo nullo per contrarietà a norma imperativa.
La Corte di cassazione interviene con la sentenza in esame sulla disciplina urbanistica in tema di ristrutturazione edilizia, evidenziandone i caratteri differenziali rispetto agli interventi di risanamento conservativo, sottratti al regime del permesso di costruire e la cui realizzazione in assenza di tale titolo abilitativo, com'è noto, non configura illecito penale. Nel caso in esame i giudici di Piazza Cavour intervengono censurando l'ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva escluso la rilevanza penale di opere che, realizzate senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, erano consistite nella suddivisione di un edificio in distinte unità immobiliari previa demolizione dei solai per ottenere un ampliamento dei volumi, ed erano state ritenute qualificabili, anche dall'autorità comunale, in termini di "risanamento conservativo". La giurisprudenza tradizionale, com'è noto, ritiene che la ristrutturazione edilizia, poiché non vincolata al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio, differisce sia dalla manutenzione straordinaria, che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, o, ancora, modifica della sagoma o mutamento della destinazione d'uso, sia dal restauro e risanamento conservativo, che non può modificare in modo sostanziale l'assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d'uso "compatibili" con l'edificio conservato. L'occasione è utile per poter fare il punto della situazione circa il mutamento della disciplina in tema di ristrutturazione edilizia a seguito dei più recenti interventi normativi, tra cui quelli introdotti con il c.d. decreto "Sblocca Italia".