L'altra conseguenza, o signori, che portarono questi falsi tracciati nelle ferrovie siciliane, fu quella accennata dall'onorevole Morana; le ferrovie siciliane per lo più abbandonarono le grandi valli onde gettarsi attraverso a contrafforti, fra terreni cretacei, in modo che il costo delle nostre ferrovie salì ad una cifra che preoccupò i sostenitori delle finanze dello Stato, e le spese di riparazioni straordinarie si accrebbero e si accrescono ogni giorno di più.
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Non lo abbandonarono mai gli elettori, dei quali invece ebbe a sostenere la emulazione nel dargli il mandato. Eletto nelle legislature XV e XVI dal collegio di Ravenna a scrutinio di lista, nella XVII lo fu anche da quello di Bologna secondo, che comprendeva la sua Imola, e optò per questo; nella XVIII fu eletto dal collegio di Budrio che gli riconfermò il mandato nelle tre successive, nella prima delle quali essendo stato eletto anche ad Imola, optò per Budrio, mentre nella terza, essendosi ripetuta la duplice elezione, optò per Imola, che gli riconfermò il mandato nelle ultime due legislature.
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Essi abbandonarono impieghi, negozi, professioni nel 1848 per farsi soldati della patria. Ristorato il Borbone, essi perdettero la nuova carriera, e per l'esilio, le carcerazioni, le sevizie d'ogni genere di quel Governo, rovinarono intieramente sè stessi e le proprie famiglie. È quindi atto di dovuta riparazione quello che oggi da voi invoco, atto che, ove venisse negato, imprimerebbe un marchio d'ingiustizia sulla nazione. La gratitudine, disse una volta l'onorevole presidente del Consiglio, la gratitudine è dovere delle nazioni, non meno che degl'individui. Termino il mio dire col richiamare ben a proposito la solenne sentenza dell'onorevole presidente del Consiglio, onde questa si ponga oggi in atto dal Parlamento italiano.
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Sono operai che abbandonarono il focolare domestico, che costretti dalla condizione della nostra agricoltura, dalla scarsa produzione che è presso di noi, dalla deficienza del lavoro nel proprio paese, cercano altrove il modo di guadagnarsi la vita e sovvenire le lontane famiglie, a costo anche di soggiacere ai più duri lavori. Sono operai forti, coraggiosi, arditissimi, qualche volta troppo vivaci, quando troppo li ecciti qualche infida libazione, ma di consueto disciplinati, sobrii, assidui. Essi sono come gli iloti del lavoro presso gli altri popoli; essi fanno coi maggiori stenti e nei pericoli ciò che gli operai svizzeri, francesi e d'altri paesi non vogliono fare. Incapaci di far valere le proprie ragioni, senza difesa, questi operai italiani sono oppressi da chi specula sui loro muscoli, sulla loro ignoranza e sulla loro miseria. Oh! signori, questi operai nostri all'estero meritano la più grande tutela, fino a quel giorno in cui le condizioni della produzione o del lavoro nel nostro paese non li affranchino da così crudeli necessità, da così lamentevole servaggio.
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Pensate, egregi colleghi, che nell'anno testè spirato a circa 800,000 sommarono i nostri emigranti, senza contare l'emigrazione clandestina, che si calcola annualmente in altre 60 o 70 mila persone, e che di essi circa 500 mila abbandonarono definitivamente la patria. Onde a ragione il collega Turco faceva osservare che l'emigrazione dal Mezzogiorno ha preso una forma di contagio, e rappresenta una vera corrente di moda alla quale nessuno sa sottrarsi, sopratutto dopo che l'esperienza ha provato che coloro i quali si recano negli Stati Uniti, dove pur troppo si dirige la massa degli emigranti meridionali, v'incontrano fortuna e possono accumulare in breve tempo un capitale che sarebbe follia pre-r sumere possa dare l'eguale lavoro in Italia.
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