Non mi abbindolate con delle invenzioni, con delle fantasticherie puerili. Uno di voi due, mente...... Guai a lui... Io riuscirò a scoprirlo, a smascherarlo, e lo fustigherò col mio odio, col disprezzo più ignominioso; lo svergognerò in pubblico, innanzi a tutti, se queste parole non bastano. Chi è il bugiardo? Chi m'inganna?...... Chi mi trastulla con delle fanfaluche? Di', sei tu..... sei tu? Inanzi a questa furia veemente, a quello straripar di parole, io non trovai subito una risposta; pensavo che quanto avevo temuto, avveniva ora: la crisi scoppiava impreveduta, con la violenza d'un turbine. Non aveva continuato l'opera mia; per fuggir le tentazioni della donna, l'aveva abbandonato a se medesima, e i dubbii ch'ella era andata volgendo in quelle ore di solitudine, adesso, grazie alla abilità satanica del barone Lorenzo, la prendevano alla testa, la gettavano in un abisso, le facevan perdere la nozione della realtà, la turbavano, l'annientavano, la rendevano neutrale, in quella battaglia formidabile; nè per lui, nè per me. - Sei tu, dunque? - ella insistette, - Sei tu, che m'inganni? sei tu, che accetti le mie follìe per rendermi impossibile qualunque avvenire? Sei tu che inventi i romanzi e mi laceri il cuore, per il gusto di strapparmi all'affezione e alla stima di un uomo onesto?..... Rispondi, in nome di Dio, o divento pazza!.... Rispondi, per carità! - Ascoltami - dissi. - Mettetevi a sedere in una poltrona, e ascoltatemi. Non vi posso rispondere, se non so prima che cosa vi abbia detto cotesto fidanzato elastico. Che vi ha raccontato, quel pipistrello, quel pendaglio da forca, quel barone degli agguati? Che cosa vi ha messo in testa?... Vuoi lottare con me, a viso aperto, cotesto mandante di bricconi? O ha intenzione di atteggiarsi a rivale cavalleresco e di sfidarmi per davvero? Non so quel che vi abbia detto, per eccitarvi a questa maniera; ma se vi scivola ancora per casa, annunziategli che il suo calunniatore lo attende, mandatelo da me, costui; mandatelo da un galantuomo il quale non desidera che un colloquio di pochi secondi, a quattr'occhi; e poi, non dubitate, ve lo rimanderò, dopo la cura.... Ditegli che varchi quella soglia, l'innocente, l'innamorato, il calunniato..... Venga a domandarmi conto degli affari miei, venga ad accusarmi di avergli rapito la sua donna!.... Egli vi ama non è vero? Ha detto che vi ama, senza dubbio, e quasi tutti i giorni vi segue a rispettosa distanza, credendo che voi veniate qui, per me. E non muta nulla, e si atteggia sempre a fidanzato, ed è sempre pronto a sposarvi! Dove ha il sentimento dell'orgoglio, dove ha l'amor proprio, dove sono i medesimi sensi più volgari, in cotesta costruzione rudimentale di uomo e di maschio?..... Vi porta quasi in casa mia, e poi si rotola ai vostri piedi, sul vostro tappeto, scongiurandovi di sposarlo?.... Buffone?, vigliacco, svaligiatore di femmine! Sentendo un groppo alla gola, di repente mi asciugai le labbra, e vidi che una leggera bava era venuta a bagnarmi la bocca. - Perdonatemi - dissi lentamente - perdonatemi, Clara! Non so quello che mi dica: parlo senza misurar le frasi.... Ma voi mi avete colto alla sprovvista, e non mi son potuto frenare! Ah! creatura diabolica, se io riesco a scovarti dal buco ove ti rintani, non troverai una donna! Sono un minerale che ancora manca alla tua raccolta, o caricatura losca di pedante!.... E stendevo il braccio nel vuoto, come per afferrare il nemico e girare il pugno, soffocandolo. - Silenzio, per carità! - mi disse Clara. - Hai la bava, alla bocca! Bevi, calmati, riposa un poco; ti racconterò poi tutto! Come soffri, mio Dio! Che cosa posso fare per te? Ella diceva queste cose recandomi un bicchiere alle labbra, e asciugandomi colla pezzuola la fronte madida, e susurrando, e accarezzandomi, e sforzandosi a sorridere. - Che cosa posso fare per te? - ella andava ripetendo. - Mio amore, mio amico, non soffrire tanto.... E' colpa mia; ti ho aggredito all'improvviso, poveretto!.... Ma ho sofferto, soffrirò io pure!... Dio, com'è pallido! Ha chiuso gli occhi.... - No, no - dissi, allontanandola un poco. - Non ti spaventare: è passato..... Ora sto bene!...... - Stai meglio davvero? - incalzava Clara. Non parlar più di lui, non ci pensare, non nominarlo.... Ti senti bene?...Che cosa posso fare per te?... Ella era scivolata ai miei piedi senza avvedersene e stava, accoccolata per terra, e alzava gli occhi a cercare i miei occhi, e fremeva di spavento e d'inquietudine. Io tremava ancora di rabbia. M'era balenato un pensiero e volevo effettuarlo subito. - Senti, - dissi. - Ho bisogno di riposare. E' una scossa di nervi, tu mi conosci, sai che i miei nervi sono d'una sensibilità spasmodica..... Lasciami solo: ho bisogno di dormire..... Tornerai domani; stasera verrò da te, se mi sarà possibile. Non ti offendi, cara, se ti mando via? Sono così stanco!..... - Ma no, ma no; hai ragione, - interruppe la donna. - Ripòsati; non venire da me questa sera; mandami un biglietto, perché io sappia come stai. Non sarà nulla, è vero? - Nulla; solo un po' di stanchezza, Ma se colui ritorna? - Non ritornerà, - disse Clara levandosi in piedi. - Che cosa gli hai detto per finirla? La giovane mise l'indice destro verticalmente sulle labbra, sorridendo. - Zitto, - susurrò; - devi riposare oggi. Ti dirò tutto domani, purché tu oggi non ci ripensi. Non appena ella si fu allontanata, io indossai il soprabito, presi il cappello, i guanti, la canna, e in carrozza mi feci condurre all'Albergo Savoia. - Il barone Lorenzo Scavolino? - disse il portiere, ripetendo il nome che gli chiedevo. - Da una settimana non è più all'Albergo. - Avrà lasciato un indirizzo, - insistetti. - Devo comunicargli cose di molta importanza. Vogliate informarvi. Il portiere entrò a parlare col proprietario, e un istante appresso tornava. - Il signor barone ha preso in affitto la villa Capriccio, in via Dante da Castiglione, - egli disse. - Grazie!... Alla villa Capriccio! - gridai al cocchiere. Capriccio! Egli si rintanava in una villa Capriccio, come una cocotte cocottepresa dai rimorsi; e in qualche giardino delizioso trascinava l'ira, il sospetto, i timori molteplici di quei giorni; e io andava a coglierlo nel suo romantico asilo, a gridargli che non v'era più speranza per lui, che tra la sua concupiscenza e Clara m'ero posto io, e che di me si doveva prima sbarazzare per giungere alla donna agognata..... La carrozza che mi trasportava non correva lesta abbastanza per il mio desiderio: la via Romana ingombra di carri e di vetture, parve interminabile; il cavallo scivolava ad ogni poco; vi fu un diverbio tra il mio cocchiere e il conduttore d'un carro: ambedue volevan passare nel medesimo tempo e pel medesimo spazio; i veicoli urtarono, i mozzi delle ruote batterono, cadde una grandine di bestemmie e d'invettive: sempre bestemmiando e insultandosi, i due uomini scesero e s'aiutarono a trarsi d'impaccio, osservarono i danni recatisi, appuntando l'indice sugli sfregi e le ammaccature: poi, tra una nuova tempesta di contumelie, il vetturale e il carrettiere risalirono al loro posto, frustarono e ripresero la via. Il cocchiere ebbe la bontà di volgersi per ispiegarmi l'accaduto e farsi dar ragione. - Va al diavolo! - gli dissi. - Non capisci che ho fretta? - Non la stia ad indugiare per così poco, - egli rispose, - che si arriverà lo stesso. Ci si arrivò, infatti. La villa Capriccio, giallognola con le persiane cineree, s'ergeva in fondo ad un bel giardino, e dapprima mi sembrò ch'ella rassomigliasse alla villa del barone, sul lago di Como: egli aveva un gusto speciale per le case un po' tristi, monotone. Si sarebbe detto che fra sé e la luce vivida, egli cercasse di porre sempre qualche ostacolo, il grigio di un'ombra, il riparo degli alberi, qualche cosa infine che facesse della casa un asilo di mistero e di silenzio. Anche il servo, comparso alla mia scampanellata, era curioso. Mi squadrò attento, aguzzando gli occhi e piantandomeli in faccia con insistenza quasi sconveniente. - Cerca? egli disse. - Cerco del barone. - Quale barone? - Voi dovete conoscerlo meglio di me: suvvia, annunziatemi. - Il signor barone è fuori, - disse il servo con un lievissimo accento di trionfo. - Non posso quindi annunziarla. Io pensai che i servi, come gli animali domestici, sanno fiutar da lungi il nemico del padrone. - E torna? - domandai celando a pena la mia impazienza. - Generalmente verso le sette, per mutarsi d'abito e recarsi a pranzo. - Dove pranza? - Cambia, sa? Ora in un posto, ora in un altro. - Ma alle sette c'è sempre? - Generalmente. Guardai l'orologio;eran le quattro; impossibile aspettarlo tre ore. - - Se viene alle sette, ditegli che abbia la cortesia di attendermi: non tarderò di certo. - Il signore vuoi favorirmi la sua carta da visita? - E' inutile, - dissi, comprendendo che la mia carta da visita riavrebbe fatto trovare il nemico sempre assente. E aggiunsi, per un'idea venutami d'improvviso, la quale mi pareva ottima a coglierlo in trappola: Il barone non mi conosce, ma potete dirgli che ero venuto a trattar la compera della sua villa sul lago di Como e che tornerò alle sette, perché devo sbrigarmi non essendo a Firenze che per questo scopo. Il servo, ammansato, s'inchinò e mi riaccompagnò fino alla carrozza. Comprargli la villa di Como, la villa nella quale, secondo la fantasia della buona Anastasia, vagava l'ombra della uccisa signora! Ma era un sogno per il barone; egli mi avrebbe aspettato fino a notte, senza dubbio, pur di concludere. Rassicurato così, risalii in carrozza, tornai in citta e mi feci condurre a casa. Passai alcune ore trepidando; m'imaginavo la scena, parlavo ad alta voce con un barone fantastico, divertendomi ad insultarlo con le più sanguinose espressioni del vocabolario italiano...... Ah, lo tenevo in pugno, finalmente! A quattr'occhi, con voce sorda, guardandolo in viso, avrei potuto finalmente dirgli ch'era un mandante di assassini; l'occulto maleficio che egli credeva non avesse avuto testimoni all'infuori della sua coscienza, m'era noto, e glielo avrei fatto rivivere episodio per episodio, giorno per giorno, con la minuta indagine la quale m'era riuscita così efficace innanzi a Clara, scettica e incredula..... Poi, quando avessi visto l'uomo annientato dallo spavento, gli avrei imposto le condizioni: rinunziare al suo nuovo matrimonio, partire entro ventiquattr'ore, non farsi mai più vivo nè presso Clara nè presso di me. Io avrei taciuto e dimenticato, felice solo di avere strappato ai suoi artigli la donna ignara e buona sulla quale il malfattore aveva osato alzare gli occhi. Questa era la scena che andavo imaginando; l'odio, lo sdegno, la passione, m'avrebbero suggerito le parole; tremende parole, come quelle d'un giudice. Tornato poco prima delle sette alla villa Capriccio, non trovai che il servo. - Il signor barone è ancora, assente, - egli mi disse. - Ma non può tardare oltre. S'ella desidera accomodarsi in salotto.... Il servo sfoggiava ora tutta l'urbanità di modi e di frasi ch'egli riservava evidentemente agli uomini i quali comprano le ville; forse subodorava un regalo, a contratto concluso; non per nulla a quel contratto aveva egli pure modestamente collaborato, agevolandomi il ritrovo col barone. Il buon uomo intuiva, con soverchia rapidità mentale, come io recassi nel portafoglio i quaranta o cinquanta biglietti da mille che la casa poteva valere. Mi accomodai nel salotto; un piccolo salotto illuminato a luce elettrica, disposto bizzarramente, con bei tappeti ai muri e per terra; sul tavolino, in un angolo della finestra laterale, era un vaso di maiolica azzurra, snello, riboccante di fiori. La stufa accesa spandeva un piacevole tepore. - Ha ordini? - mi chiese il valletto rimanendo inappuntabilmente diritto, a pochi passi dalla poltrona sulla quale m'ero adagiato. - Niente; grazie. E' da molto tempo che il barone si trova in questa villa? Da una settimana circa. - E' una villetta deliziosa, un po' triste. Il servo non trovò opportuno esprimere la sua opinione. - Il barone finirà per annoiarsi, - continuai. - Ci sta poco, - disse il servo. - Di giorno fa molte visite. - M'imagino: un uomo come lui, così noto e stimato, deve conoscere la migliore società fiorentina...... Avevo deciso, rapidamente, di far cantare anche colui, e mi assumevo di buon grado la parte di ricco ingenuo, di rozzo possidente, di villano rifatto. - Il signor barone, - disse il servo intuendo, ancora con soverchia rapidità mentale, a quale classe appartenevo, - il signor barone frequenta molto la colonia stranieri, specialmente americana e inglese. - Tutti ricconi? - domandai, spalancando la bocca. - Si capisce, - confermò il mio interlocutore. - Bisogna vedere quando giuocano....... Io frenai a stento un moto subitaneo di gioia..... Il barone giuocava! S'era rintanato alla villa Capriccio per giuocare; si allontanava da Clara per giuocare!.... - Ah, giuocano!- osservai. - A che cosa? A tresette, ai tarocchi? Il servo non riuscì a dissimulare un gesto di orrore. - Eh, no! A macao, a faraone, a bèzigue, a poker..... - Che nomi! - esclamai ridendo come un idiota. - Mai sentiti! Saranno giuochi americani! Da noi, in campagna non si usa. Io giuoco molto ai tarocchi. Il valletto sorrise bonariamente e restò silenzioso, guardandomi dall'alto delle Piramidi. - Per certi giucchi bisogna esser ricchi, - seguitai, e aggiunsi con la più ingenua naturalezza: - Sono ricco anch'io, ma non mi piace, buttar via i quattrini, che costaron tanta fatica a papà.... Ora compro la villa sul lago di Como; è una pazzia, la sola che io mi faccia lecito.... Devo prender moglie e allora, poiché sono incamminato a commettere delle bestialità, compro anche la villa; ma poi, tornerò a fare economia. Il mio interlocutore, sempre dritto e rispettoso, ascoltava quelle confidenze con l'aria di non volerne abusare. - Come vi chiamate? - gli dissi improvvisamente, poiché il suo silenzio cominciava a seccarmi. - Giacomo. Quell'uomo, innanzi a un signore d'antico linguaggio o di maniere convenienti, si sarebbe chiamato Jack o James; ma per me era Giacomo, con la massima semplicità. - Bravo Giacomo! - gli dissi, battendogli sulla spalla. - Sapete quanto chiede il barone della sua casa di campagna?... Dieci, ventimila lire? - Non saprei - rispose Giacomo - forse di più, perché credo vi sian dei poderi intorno. Quaranta o cinquanta mila lire... - Questo sarebbe il prezzo di una volta; ma ora, dopo il delitto, anche il barone non potrà tener duro. Se non la compro io, tanto per fare una bestialità, chi volete osi metter piedi nella villa? Il valletto aggrottò le sopracciglia. - Dopo il delitto? - ripetè attonito. - Sì! hanno ammazzato una donna in quella casa, tre anni or sono, - aggiunsi con indifferenza. Giacomo non ne sapeva nulla; non era un vecchio servitore di famiglia. Temendo che le parti mutassero e che egli volesse ora far cantare me, cambiai discorso. Aspettiamo il barone, dunque - ripresi. - Sono le sette e un quarto. - Non può tardare - assicurò Giacomo di nuovo. S'inchinò, sollevò la portiera ed uscì. L'astuta faina d'anticamera non nutriva alcun dubbio di aver parlato con un ricco mercante di porci, che voleva darsi il lusso d'una villa, per far morire d'invidia il segretario comunale del suo paese. Mi guardai in giro: v'erano due larghi divani, con molti guanciali soffici sulla tavola parecchi romanzi, intonsi; a una parete, dall'alto in basso si seguivano molti ritratti d'uomini, tutti d'uomini. Osservai meglio: il ritratto della defunta baronessa non c'era; sparita la donna, sparita ogni memoria, se non ogni rimorso. Il mio ospite non aveva alcuna voglia di rivederne le sembianze, ma io avrei desiderato farmene un'idea, poiché me l'ero imaginata così languida e stanca. Andai scrutando ovunque, sbirciando anche negli angoli; l'uomo era capace d'averne messo il ritratto in qualche angolo penombroso, dove si sarebbe e non si sarebbe veduto, come un omaggio alle tradizioni, una noia conveniente. Invano; la povera vittima non esisteva più, nemmeno in effige. Aveva seguìto, nel turbine delle cose umane, la sorte delle sue ricchezze. Non vidi nemmeno la famosa raccolta di minerali; forse era in un'altra camera; forse ripreso dalla mania del giucco, il barone aveva gettato le sue pietruzze in un canto. Certo si è, che il non vederle mi fu poco spiacevole: esse mi ricordavano quella serata in cui aveva avuto la noia di parlare la prima volta al mio nemico. Guardai sulla tavola i romanzi; quasi tutti francesi, le novità recenti; v'era anche qualche fascicolo delle riviste italiane più note, esso pure intonso. Che lettore assiduo, quel barone! Ma toccando uno dei volumi, l'ultimo sotto gli altri, m'accorsi che era un libro finto, sottile, elegantissimo, chiuso a chiave; senza dubbio un portaritratti. Avevo messo la mano sul tesoro nascosto ed intimo; il volto languido e stanco della povera baronessa mi sarebbe stato noto, finalmente, e avrei avuto l'imagine della donna le cui sofferenze m'ispiravano una tenera pietà. Nel mentre giravo il finto libro tra le mani, esso si aperse, e mi fece fare un balzo. Clara!... Aveva innanzi agli occhi non già la defunta baronessa, ma il ritratto di Clara, sorridente, dritta e superba in un abito scollato... Non le avevo mai visto in casa quel ritratto, nè le conoscevo quell'abito; con un pensiero delicatamente femminile, aveva serbato l'uno e l'altro per lui, pel fidanzato. E sotto la fotografia stava scritto Clara al suo amico Lorenzo con data di tre mesi prima. Nulla di più logico e naturale. Tre mesi addietro, ella ignorava di quali crimini fosse capace il barone: tre mesi addietro tutto si svolgeva lietamente, sicuramente, e il matrimonio era certo: il regalo d'una fotografia con una dedica affettuosa non aveva nulla di men che onesto. Pur tuttavia, per qualche istante rimasi a guardare il ritratto, tremando. Come s'era fatta bella, per lui! Come gli sorrideva, com'era contenta e fiduciosa! Se in. quell'attimo in cui ella offriva tutta la propria persona perché l'imagine rimanesse indelebile sulla lastra e innanzi alla mente del barone, se in quell'attimo qualcuno le avesse sussurrato il mio nome, si sarebbe ella ricordata di me, dei nostri giorni morti e dei baci ch'ella m'aveva dato? Forse avrebbe scosso il capo fastidiosamente... Ora viveva un'altra vita, ora pensava a un altro, si preparava a un altro festino; ed io ero solo. Rinchiusi tristemente il finto libro, e lo rimisi al posto. - E io m'aspettava di veder la baronessa! - pensai. - Si può ricordare una morta, quando c'è costei, viva, da conquistare? Tornai a prendere il ritratto e lo guardai di nuovo attentamente. - Il tuo amico Lorenzo!- dissi, quindi ad alta voce: - te l'ho strappato dal cuore, il tuo amico Lorenzo! Sono qui ad attenderlo, il tuo amico Lorenzo; sono qui per te, sono qui a difenderti. Ah, come hai fatto bene a balzarmi innanzi, perché dal tuo ricordo, io acquisti la fiducia e l'audacia! Il tuo amico Lorenzo! Mentre parlavo, andavo cercando di sottrarre il ritratto alla sua custodia; ma vi era ficcato così saldamente che m'indolenzii le dita senza ottenere il mio scopo. - Va! ti lascio dove sei - dissi, imitando la volpe sotto i grappoli ti lascio dove sei, che tanto non m'importa nulla nè di te, nè del tuo amico! Lo deposi ancora al suo posto; e guardai l'orologio. Erano le otto; aspettavo da più di un'ora; la villa era immersa in un silenzio sepolcrale, interrotto solo dal ticchetic esasperante d'un pendolo in anticamera. Comparve Giacomo, il quale veniva a dare una occhiata alla stufa e a me. - Sono desolato - egli disse elegantemente - sono desolato d'averla incoraggiata ad aspettare. Il signor barone non ha mai tardato tanto. - Peggio per lui - risposi, continuando nella mia commedia. - E' un buon affare che gli scappa. - Il signore non aspetta più oltre? - domandò il servo, vedendosi scappare alla sua volta la gratificazione sognata. - Via, dieci minuti; ancora dieci minuti poi, saran quaranta mila lire che risparmio. - Se sapessi dove acciuffarlo! - mormorava Giacomo, dimenticando la sua compostezza di valletto all'inglese. - Ma temo che sia andato a pranzo. E' la prima volta, dacché son qui, che non viene a casa a mutarsi d'abito. - Ma stasera, dopo pranzo, ritorna? - Certo, verso le undici... Soltanto - aggiunse il servo con prudenza - non mi sembra sia quello il momento di avvicinarlo. Ha un convegno qui con mister Alfred Brian, col colonnello Percy Gresham e con altri signori. Giacomo pronunziò questi nomi alteramente, come un direttore di circo equestre fa fischiare e schioccare la frusta invitta. - Giuocano a quei ridicoli giuochi americani, nevvero? - domandai. - Al cacao, al marrone, al diavolo che se li porti... Eh, è così? - Sì, signore; salvo i nomi dei giuochi... - E il vostro padrone perde e diventa una bestia; voglio dire, non pensa a vendere la villa... Eh, è cosi? - Ci penserebbe, anzi, allora più che mai - rispose Giacomo con una certa profondità di vedute psicologiche. - Ma davanti a quei signori, ella mi capisce.... In quel momento squillò il campanello elettrico al cancello del giardino. - Eccolo! - disse Giacomo. Io era innanzi a uno specchio, accomodandomi la cravatta: e mi vidi impallidire, vidi le mie labbra serrarsi spaimodicamente; la maschera dell'idiota arricchito scomparve, e mi lampeggiarono gli occhi. Era lui! Ancora un minuto e ci saremmo trovati a viso a viso!... Gettai un rapido sguardo sulla tavola, dove riposava il ritratto di Clara. - Ebbene? Che cosa fate lí? - domandai ruvidamente a Giacomo, il quale non si era mosso. - Non gli andate incontro? Il servo mi guardò stupito; egli pure, forse, trovava sul mio volto una espressione nuova e dura, fredda e ferma, che lo sbigottiva. - Non è lui! - disse poscia malinconicamente... - Come lo sapete? - Se fosse il signor barone, a quest'ora suonerebbero tutti i campanelli. E' ordine; e il portiere lo sa... Dev'essere il portalettere, invece. Irritato da quell'attesa, da quelle alternative continue, dalla noia, dal ricordo di Clara al suo amico Lorenzo non potei frenarmi. - Ah, per Dio! - esclamai. - Non ho mai fatto tanto in vita mia; un'ora e venti minuti d'anticamera! Dite al vostro padrone che quando si vogliono vendere le ville, si sta in casa! E mentre Giacomo m'aiutava a infilare il soprabito, continuai: - Io sono ricco, ve l'ho detto; ma per vendere una casa da quarantamila lire, m'inchioderei sulla poltrona! Potete figurarvelo, se per comprarla ci rimetto il pranzo e sto ad attendere un imbecille quasi due ore! Afferrai il cappello e me ne andai ridendo. - Signore, signore! - gridò Giacomo, il servo inappuntabile, correndo dietro pel giardino, - mi lasci il suo indirizzo. Ci penso io! Ma il mercante di porci si tirò appresso il cancello e spari nella via oscura.
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