Il maleficio occulto
MCMXXIII Modernissima Milano
A Domenico Oliva questo lavoro è fraternamente dedicato L.Z.
L.Z.Dopo Roberta, romanzo pubblicato nel 1897 a Milano ed
oggi esaurito, io mi son taciuto circa quattr'anni, quando
appunto lo sforzo ostinato del lavoro e la tranquilla costanza
eran per darmi qualche ricompensa. Chiamato da Firenze a
Modena per fondare e dirigere un giornale politico
quotidiano, vi rimasi dal 1898 al 1900, non senza peripezie, che
quei di Modena conoscon bene ed ancor oggi rammentano.
Solo a Roma, nell'autunno del 1900 potei riprendere e
condurre a termine il presente lavoro e pubblicarlo dapprima in
appendice della Tribuna, dal 18 Agosto al 10 Settembre 1901.
So che, ritornando alla letteratura, ho fatto male. Un
autore che tace, è uno scrigno chiuso, e nulla vieta, anzi
tutto concorre a far credere che i più inestimabili tesori vi sian
gelosamente custoditi. Un autore che pubblica, è uno scrigno
aperto: e vi si avventan tutti gli sguardi, e tutte le
aspettazioni rimangon deluse.
So, dunque, d'aver fatto male riprendendo la serie dei
miei lavori letterarii, e la critica giungerà presto a
confortare questa mia spontanea e sincera dichiarazione. Roberta
aveva lasciato uno strascico di discussioni e di speranze, le
quali avrebbero potuto essere guanciale sufficiente ai miei
sonni quieti: forse, ripubblicandola e ritoccandola a mano
a mano che se ne esaurivan le edizioni, mi sarebbe stato
comodo e facile acquistarmi con quello e cogli altri romanzi che
lo precedettero, una fama discreta di autore sdegnoso e
superbo, capace e nolente.
Ma perché?
A dispetto dei molti disinganni dei quali l'Arte e
l'Italia son larghe dispensiere, m'è rimasto il "vizio" di
scrivere, e poiché non sempre l'articolo pel giornale e la novella
giovano a estrinsecare interamente un pensiero, ho lavorato
con fiducia, forse con l'incoscienza di tutti gli artisti, a
questo romanzo, e temo che presto mi metterò a un altro.
Nè so, veramente, ciò che io ne attenda, se non forse
una nuova conferma dell'adagio che comunque sia un libro
e qualunque il merito dell'autore, si troveranno sempre nel
mondo dieci persone per lodarlo e dieci per condannarlo,
tutti in buona fede.
L. Z.
I
Z.Quando mi trovai la prima volta innanzi all'uomo del quale avevo udito
parlare con insistenza dalla persona che più amavo in quei giorni, il mio
viso non espresse alcuna curiosità.
Avvenne ciò che avviene sovente nelle presentazioni. Donna Clara
pronunziò il nome di lui con tono così fievole, ch'io m'inchinai e strinsi la
mano che mi tendeva senza nemmeno sospettare d'essere di fronte a
colui che da tanto desideravo conoscere. Non osai farmi ripetere il nome e
perciò quella sera mi adattai a conversare col gentiluomo incognito, che mi
riusciva leggermente antipatico. Egli era alto e snello; ma la sua testa era
lunga e stretta, dagli occhi piccoli; il naso aveva una curva violenta: pareva
il rostro d'un uccello notturno.
Lo sconosciuto portava la barba bionda; evidentemente egli pensava che
la natura non gli aveva foggiato una testa abbastanza lunga e se l'era
allungata per conto proprio con la barbetta a punta, rada sulle guancie e
minacciosamente ricurva al vertice. Naso ricurvo; barba ricurva; mani dalle
unghie ricurve; egli era un uomo che lanciato nello spazio, avrebbe trovato
sempre maniera di aggrapparsi a qualche cosa, e ciò, non saprei per qual
ragione, mi dispiaceva profondamente.
Donna Clara, durante la nostra conversazione, si sarebbe detta una
condannata a morir di fuoco lento; era nervosissima e giocherellava con un
tagliacarte d'avorio; al mio orecchio giungeva anche il fruscio della sua gonna,
segno certo ch'ella batteva il piccolo piede, discretamente, segretamente, ma
con violenza e con rabbia.
Di che parlammo, io e il gentiluomo del quale non avevo capito il nome?
Non saprei dirlo ora. Mi studiavo d'essere assai prudente, senza mai
affermar nulla, perché il mio interlocutore poteva essere clericale o socialista o
avvocato o banchiere o professore e qualche mia opinione troppo recisa
avrebbe potuto ferirlo.
D'altra parte, rideva dentro di me del caso singolare; e la nervosità
insolita di donna Clara mi distraeva sovente. Le lanciavo delle occhiate per
capirne qualche cosa, ma ogni volta incontravo il suo sguardo prorompente
diritto dai grandi occhi grigi, e vedevo la piccola bocca tumida, e udivo il
fruscio ritmico della gonna, cose tutte che a poco a poco mi comunicavano
una nervosità, sebben diversa, certo non meno opprimente di quella che
affliggeva la giovane signora.
- Se lei favorirà qualche volta da me - disse incidentalmente il
gentiluomo - potrò mostrarle la mia collezione mineralogica.
- Grazie, - risposi sorridendo. - Lei si occupa di mineralogia?
- Sì, un poco. i
- Io invece, in fatto di mineralogia non ho che un ricordo: il ricordo
del mio professore di liceo, al quale ero vivamente antipatico. All'esame non
ha avuto il coraggio di chiedermi se sapevo di quale ordine cavalleresco
fosse insignito il commendatore del Don Giovanni
Giovanni- Andiamo via, - osservò donna Clara. - Volete scherzare.
- Niente affatto. E avendo io osservato umilmente che la domanda
non mi pareva avesse alcun rapporto con la mia tesi di mineralogia,
rispose che si trattava sempre di mineralogia, perché il Commendatore era
di pietra.
Donna Clara sorrise, ma l'incognito che avevo di fronte non ebbe la
forza di nascondere una smorfia subitanea. I dilettanti, in generale, son
gelosissimi dell'arte o della scienza che allieta il loro ozio, forse perché non se
ne occupano abbastanza da uscirne ogni giorno col cuore pien di tedio e
di odio; il dilettante di mineralogia parve offeso per un attimo e
preoccupato, come se il mio spirito beffardo avesse potuto intaccargli e sgretolargli
le pietruzze inestimabili sulle quali posava forse quotidianamente il naso
ricurvo.
- Del resto - aggiunsi con una bonarietà che non sapevo dissimulare
- vedrò assai volentieri la raccolta, ed ella potrà istruirmi con i suoi
schiarimenti.
Il gentiluomo sconosciuto non rispose; capii che quella raccolta di
minerali mi sfuggiva per sempre, ed il cuore mi si allargò. Gli occhi grigi di
donna Clara, di sotto le lunghe ciglia sfavillarono, gettandomi uno sguardo,
che bruciava come una saetta; poi ella, quasi a vincere l'uggia che
cominciava a pesare su tutti e tre, si levò e premette il bottone del campanello
elettrico.
Qualche istante appresso, nel mentre, in silenzio, tutti e tre si beveva a
lenti sorsi un tè dorato, guardando con attenzione il fondo delle tazze, io
pensai che quell'uomo intendeva forse rimanere a lungo, guastandomi intera
la serata, impedendomi di parlare a donna Clara con la intimità che ella
mi aveva concessa, atteggiandosi infine, a mio nemico; e la tazza mi tremò
nella mano.
Fortunatamente io commisi un'altra storditaggine. Donna Clara, che
sentiva una inimicizia spontanea e reciproca nascere tra i due uomini che ella
andava scrutando, riprese la conversazione e mi domandò se avessi assistito
all'ultima udienza di un processo indiziario che appassionava in quei giorni
tutta Firenze.
- No - risposi. - Da molto tempo non frequento i tribunali. L'ultimo
processo al quale mi sono vivamente interessato, tre anni or sono, a Como,
me ne disse abbastanza sull'intelligenza e il carattere dei giurati; e da allora
non ho voluto perdere altro tempo a studiare come funzioni la giustizia.
- Tre anni or sono, a Como? - ripetè il dilettante di mineralogia.
- Sì, signore. In quei tempi mi divertivo a studiare i delitti e i
delinquenti celebri; uno studio innocuo, non tema. Andavo ad assistere alle
udienze e vedevo da vicino la belva, l'uomo primitivo, certe facce patibolari
che avevano espressioni indicibili. Ascoltavo le perizie, ammiravo la
profonda dottrina dei periti non disgiunta dall'inutilità assoluta della loro
scienza; mi divertivo alle grullerie dei giurati, alle furberie degli avvocati,
al cinismo degli imputati. I miei studii non sono mai stati spinti più oltre...
M'interruppi, sentendo che il fruscio della gonna ricominciava: e con
un certo spavento mi chiesi se il mio interlocutore non fosse anche uno
psichiatra; il dilettantismo non ha limiti e un medesimo uomo è ben capace
di studiare minerali e assassini, pietruzze e ladri, il quarzo e l'abigeato a
vicenda.
- Ma a Como, tre anni or sono... - mormorò il gentiluomo incognito
rivolgendosi a donna Clara.
- Sicuro - disse quella misteriosamente, non degnando nemmeno di
aggiungere una parola che potesse rischiararmi.
Io afferrai la teiera che mi stava innnanzi. e quantunque mi scottassi le
dita, versai un'altra tazza di tè, la inzuccherai e mi occupai a scioglier lo
zucchero col cucchiaino, a testa bassa, sentendo che cominciavo ad irritarmi
e che per uscire da quella noiosa condizione bisognava chiedere un'altra volta
il nome di colui che mi sedeva in faccia e che credeva in buona fede di
essermi ormai noto. Decisi di continuare il mio discorso; forse in tal modo
sarei giunto a spiegare l'enigma di quel disagio che aveva afferrato donna
Clara e il mio interlocutore.
Alzando gli occhi, vidi che quest'ultimo doveva soffrire; era impallidito,
e il suo volto contratto, quella testa lunga in preda ad una dolorosa
sensazione, mi commossero e mi esilararono insieme.
- Fu un processo molto strano - aggiunsi d'un tratto. - L'assassinio
di una baronessa.....
- Scusate - disse donna Clara rapidamente. - Volete favorirmi l'albo
che è sulla tavola, costà nel salotto attiguo?
Io mi levai ripetendo:
- Nel salotto?
- Sì, nel salotto, sulla tavola di mezzo. Vi mostrerò alcune fotografie.
Com'era facile immaginare, sulla tavola del salotto non c'era nulla, ed
io girai in lungo e in largo, rovistando sugli scaffaletti., sui tavolini, in libreria bonariamente, quietamente e mi affacciai anche alla finestra per
guardare il movimento nella strada.
Quando rientrai alfine nella sala grande, vidi donna Clara che
passeggiava innanzi e indietro, come sanno passeggiar le signore anche in una
camera. Il mio dilettante di minerali era scomparso.
- Che avete fatto? - esclamò donna Clara.
- Ho cercato e non ho trovato nulla - risposi con umiltà,
fermandomi sulla soglia.
- Via, non fingete di non aver compreso... Vi domando che cosa avete
fatto con quel disgraziato....
E ciò dicendo, la giovane appuntò il dito verso la poltrona ove un
minuto prima sedeva il gentiluomo sconosciuto; e il gesto di lei aveva tale
energia, che mi parve di rivedere quella malinconica testa lunga dal naso
rostrato.
- Ma prima di tutto, donna Clara - osservai, puntando io pure il
dito contro la poltrona - prima di tutto, mi direte chi era quell'illustre
incognito?
- Come! - esclamò la giovane, guardandomi corrucciata. - Volete
continuare nel vostro scherzo di pessimo gusto! Siete stato così cattivo,
stasera, che di tanto in tanto eravate sciocco. Sì, sciocco, scusatemi la
parola....
Io m'inchinai con rispetto.
- Se non foste stato sciocco, non avrei potuto farvi perdonare una tale
indelicatezza, una simile mancanza di tatto. E ora vi basta? Lo avete fatto
andar via; non vi basta? Volete seguitar con me?
- Donna Clara......
- Fate finta di non sapere chi fosse! Non ve l'ho presentato? A che
servono le presentazioni?
- Donna Clara, è quello che andavo chiedendomi: a che servono le
presentazioni quando non si capisce il nome della persona presentata, e
sotto pena di ridicolo non si può tornar daccapo a farsela presentare? A
che servono?
- Ma davvero? - interruppe la giovane. - Davvero non avete
compreso? Non sapete chi è?
- Perfettamente sconosciuto - assicurai levando la mano in segno di
protesta solenne. - Come non fosse mai esistito!....
- Oh, ma è curiosa, sapete? Siete diventato sordo? E facevate
conversazione con lui..... A raccontarla, nessuno lo crederebbe.
- Non bisogna raccontarla, amica mia.
Vedevo che a poco a poco donna Clara si lasciava vincere dalla sua
naturale festosità; e rassicurato, mi inoltrai, andando a riprendere il mio
posto di poco prima, innanzi alla poltrona del dilettante. Donna Clara mi
raggiunse e sedette sul largo divano, al mio fianco.
- Dunque - seguitai - volete dirmi con chi aveva l'onore?...
La giovane rideva con la pezzuola alla bocca; e la testa rovesciata
all'indietro, la testa bionda, tutta d'oro, luccicava stupendamente ai riflessi
delle lampadine elettriche; ma quasi avesse sentito il mio sguardo, donna
Clara si ricompose prestamente e mi fissò con gli occhi severi.
- In ogni modo - ella osservò - . voi sapevate ch'egli si occupa di
mineralogia, poiché ve lo ha detto egli medesimo, invitandovi a veder la sua
collezione. E voi avete risposto a questa cortesia con quel vostro scipito
aneddoto del commendatore di pietra.
- Ho colpa io se il mio professore opinava che un commendatore di
pietra era un minerale degno di studio?
- Non torniamo daccapo. E la storia del processo di Como?
- Ma se non ho neanche potuto dire una parola, che già mi avevate
spedito a cercare un albo irreperibile.....
- Vi ho salvato, ho salvato voi e lui. Vedo che bisogna proprio
ripetervi il suo nome: egli è il barone Lorenzo Scavolino.
Io stavo versandomi un piccolo bicchiere di cognac; e all'udire quel
nome, lasciai cadere la fiala sulla tavola, che fu rapidamente cosparsa del
mordace liquore; ma senza curarmene, guardai fisso donna Clara; poi,
alzandomi, cominciai a passeggiare per la camera.
- E' lui - dicevo a me stesso, poco importandomi che la giovane udisse
il monologo a voce alta. - E' lui quello che me la vuol rapire; codesto
uomo nullo, cotesto raccoglitore di ciottoli variopinti, cotesta figura ad uncini impreveduti..... Lui, lui, lui, la rovina del mio amore, della mia felicità, del mio orgoglio, l'agognatore a tutto quanto mi è più caro e più dolce al mondo....! Ah, l'ho visto: ah, è un bell'esemplare, con quel naso, con quegli occhi, con quella testa equina....!
- Amico mio - interruppe donna Clara - calmatevi.... Ho suonato
perché vengano a ripulire qui.... C'è un puzzo di cognac...
Andai a sedermi innanzi al pianoforte, volgendo le spalle a donna Clara
e vi rimasi finche non udii richiudersi la porta dietro il servo, che aveva
portato fuori il tavolino gocciolante. Ma quando feci per riprendere la
passeggiata e il monologo, sentii sulle spalle premere dolcemente le piccole mani
di donna Clara.
- Ve l'avevo detto, che un giorno avrei dovuto farvelo conoscere......
- Oh Clara! - esclamai, rivolgendomi e avvinghiando la donna con
le braccia attorno al busto. - Clara, dammi ancora la tua bocca per farmi
passar questo male.
- No, no, no! - disse Clara guardandosi attorno e svincolandosi.
Siete pazzo?
-Ah, è una cosa terribile, amica mia - continuai, seduto sullo
sgabello del pianoforte, mentre la donna stava a qualche passo da me, in
piedi, addossata all'uscio che conduceva nel salotto, pronta a sfuggirmi.
E' una cosa terribile questa idea di perdervi; m'imponete una tortura
spaventosa; e siete lì, a guardarmi, senza un sorriso, immobile come una
sfinge, a godervi la mia sofferenza; e con una parola potete ridarmi la
vita e la gioia..... Non la sapete, questa parola? Non possono pronunciarla
le vostre labbra?.....
D'un tratto sentii che mia voce si era fatta piagnucolosa, ed ebbi
l'intuizione che seduto così, o meglio rannicchiato sopra uno sgabello
piccolino, e con quel viso scorato che dovevo avere, e con gli cchi lucidi di
lagrime rattenute, ero insuperabilmente ridicolo. E subito dal cuore mi
salì un'onda di sarcasmo amaro, che mi bruciò le lagrime.
- Mi congratulo - dissi con voce naturale. - Non conoscevo ancora
codesto prezioso modello di geologo innamorato; ma ora che l'ho visto,
comprendo che sarebbe difficile trovarne uno simile. Avete fatto bene a non
lasciarlo andar perduto: io lo metterei nella vetrina dei suoi minerali. Che
bella testa, che barba, che naso!
- Non cercavo un Apollo - interruppe donna Clara seccata.
- Ah lo si vede, non dubitate; si vede benissimo che l'idea di un
Apollo non vi è mai passata per la testa. Ma tra l'Apollo ed il barone
Lorenzo Scavolino c'era posto per una figura umana. Quello non è un
uomo; è un fanale da piazza, una cariatide grottesca, un portamantelli,
il manico di un ombrellino.
- Vi avverto - interruppe ancora la giovane - che più ne ridete
e più me lo rendete caro. E' buono; si è piegato a sopportare la vostra
presenza, quantunque egli sappia che io vi ho amato e che voi mi amate
tuttora, almeno a quanto dite....
- Ma non tocca a lui sopportare o non sopportare la mia presenza:
voi siete in casa vostra.
- Non dite sciocchezze; egli pure ha qualche diritto; e avete visto;
se n'è andato, ci ha lasciati soli, per un ordine mio. E' stato gentilissimo
con voi.....
- Sarà un ipocrita.....
- Insomma, non vi permetto di insultare un assente, di giudicare
un uomo che avete visto oggi per la prima volta!... Che cosa siete diventato?
Donna Clara inoltrò, lanciandomi uno sguardo severo. Io le presi una
mano, la baciai e la abbandonai, senza tentar più d'attirar la donna a me.
- Avete ragione - dissi poi, sono in un periodo anormale e
commetto delle vigliaccherie senz'avvedermene. Ho un dovere da compiere: il
barone Lorenzo non sa nulla del malinteso che è avvenuto stasera;
crederà ch'io abbia voluto prendermi gioco di lui; devo presentargli le mie
scuse e dirgli che non sapevo d'avere innanzi a me il barone Scavolino.
Andrò da lui domani: a quale albergo è disceso?
Mentre parlavo, la giovane signora pareva mi scrutasse attentamente.
- Siete sincero? - domandò.
- Sì, mi sembra. Sì sono sincero.
- Non andrete a provocarlo!
- Amica mia, che cosa pensate di me ora? Ch'io vada in casa altrui
a provocare un uomo che non mi ha fatto alcun male? Ch'io trascini il
vostro nome in uno scandalo?
- Scusatemi, ho torto.... E' all'albergo Savoia
Savoia- A due passi di qui. Aveva paura di perdersi per Firenze? Egli può
anche spiare quando vengo da voi e quando me ne vado: siete vigilata,
amica mia.
- Torniamo daccapo? Siete incapace di frenarvi? - interruppe Clara,
bruscamente. Quando vi piglia il delirio della gelosia, non avete più
limiti.
- Sarà perché non vi amo.
La giovane non rispose e sedette di nuovo sul divano.
- Ascoltatemi - le dissi bruscamente, piantandomi innanzi a lei.
Dobbiamo parlar di cose molto gravi. Quell'uomo non vi conviene.
Sposatene un altro!
- To' - rispose Clara, con l'accento toscano che dava alla sua
voce un'intonazione anche più beffarda. - Sposarne un altro? E' una idea?
- Clara, non è il momento di scherzare. Il barone è vedovo.
- Son vedova anch'io.
- Bella ragione! Se tutti i vedovi si sposan tra di loro, dove andrà
a finire la volontà di Dio?
- Vedete che scherzate anche voi?
E' un ricordo del nostro amore.... Non fate gesti minacciosi! noi
ci siamo amati scherzando. Voi ne usciste; io scherzando ci son rimasto,
e vi amo ancora, più di prima. E' inutile ogni gesto solenne, anima mia,
ve l'ho detto! Se voi non aveste saputo prender le cose del mondo dal
loro lato comico, forse non vi avrei tanto amata; la vostra gioia, la vostra
giocondità son l'indice della vostra esuberanza di vita. Il mio sarcasmo e
l'ironia sono il risultato delle mie sofferenze. Questa diversità di sostanze
nell'identità della forma ci ha attratti. Non è vero? Non è così?
La donna tacque.
- Non crediate che questo preambolo ci conduca a una scena
sentimentale - continuai. - Voglio chiedervi semplicemente: avete mai
pensato che avverrà di voi quando sarete moglie d'un uomo tragico?
- Chi? Lorenzo? - esclamò Clara ridendo.
- Quello è un uomo tragico; quell'innamorato delle pietre è degno di
calzare il coturno; tutto è tragico in lui; il gesto, la voce, le sue
predilezioni mineralogiche, la sua vedovanza.... E' vedovo perché gli hanno
assassinata la moglie. Quale principio, mio Dio, per un uomo che vuole
sposarne una seconda!... Quali visioni devono popolar le sue notti!... Che
memorie, che dubbi, che rimpianti!
- State attento, che ora il coturno me lo calzate voi! - osservò
CLara ironicamente.
- Lo so; deve averlo dimenticato il barone, poco fa, e me ne servo.
E' una calzatura che non dà fastidio. Avete pensato, dunque, al giorno in
cui questa creatura di Eschilo sarà vostro marito? Avete studiato il gesto
largo e maestoso per dirgli: "Andiamo a spasso" e la muta eloquenza per
significargli che avete bisogno dell'ombrellino?
- Quanto siete noioso, amico mio. E' vedovo, sta bene: gli hanno
assassinata la moglie. E poi?
- Ma ciò non conta. Quel processo di Como fu molto misterioso, lo
sapete.
- Non ne so nulla...
- Ve l'ho detto mille volte: vi ho assistito, e ne ho ritratta
un'impressione duratura. Io sono certo che il vero colpevole è rimasto impunito.
- Ma se l'accusato era confesso?
- Ciò non prova nulla; era confesso per far piacere alla Parte Civile;
io ne ho viste di peggio.... Fatto è che, ad essere proprio molto larghi, si
può concedere ch'egli fu l'esecutore materiale del misfatto; ma dietro lui
c'era qualcuno, c'era la mente, c'era chi aveva interesse a sopprimere la
baronessa assai più vivo di quel che potesse animare il miserabile che
uccideva per rubare....
- State inventando un romanzo? - interruppe Clara.
- Il delitto è avvenuto così - seguitai tranquillamente. - Nella
villa si rubava e tutti sapevano: si rubava così bene, con tal destrezza
e con tal pratica di tempi e di luoghi, che era facile comprendere trattarsi
di qualche famiglio, o di un servo, di persona della casa. Il barone,
avvertito, non se ne diede mai per inteso. Era tanto ricco, non è vero? E
poi, i suoi minerali nessuno glieli toccava: ah no, per le pietruzze i ladri
hanno la stessa inclinazione che ho io! Il barone non si occupava di tali
miserie: sapeva d'aver un ladro in casa, e taceva, non faceva ricerche,
lasciava correre; mentr'egli rapiva alla terra i suoi tesori geologici, l'altro
rapiva alla guardaroba la biancheria; i due dilettanti si tolleravano a
vicenda.
- E' risultato questo, al processo? - domandò la giovane, che
sembrava annoiarsi un po' meno di prima.
- Tutto ciò che vi racconto è il risultato delle testimonianze.
- Ma non rimanete lì in piedi, come uno spettro.
- E v'ha di più - continuai, sedendomi a fianco di Clara. - La
povera baronessa aveva paura: il ladro misterioso era diventato d'una
tale audacia, che un giorno erano spariti dei gioielli dalla camera da letto
della signora. La baronessa voleva denunziare; e il barone assicurava che
avrebbe denunziato non appena dalla villa si fosse recato a Como. Notate
che non ve n'era bisogno: bastava una perquisizione; bastava anche meno,
un po' di vigilanza alle abitudini dei servi. Il barone seguitava a
raccoglier ciottoli colorati, e l'altro svaligiava metodicamente la guardaroba.
- E' inverosimile - esclamò Clara, passandosi una mano sulla fronte.
- La colpa non è mia, se è inverosimile. E' forse inverosimile che voi
sposiate il barone? Eppure voi ci credete notte e giorno. Ma per tornare
al fatto, è utile sapere che tra i coniugi Scavolino non è mai esistito
l'accordo. Fossero i ciottoli, fosse il coturno, fosse il naso del barone, in casa
c'era l'inferno. I maligni dicono che la raccolta dei minerali di cui si
vanta il vostro amico, serviva spesso alle discussioni coniugali e di tanto
in tanto le piriti, il quarzo, il feldspato volavano per le camere in tutte
le direzioni.....
- Badate, - osservò Clara, voi state commettendo una viltà....
- Sono le risultanze del processo. Del resto, se avete osservato il volto
del barone Lorenzo, e non dubito che lo conosciate per benino, avrete
visto una cicatrice presso l'occhio destro. E' un colpo di pirite: la pirite
lanciata con mano energica produce quasi sempre questo effetto sul volto di
chi la riceve.
- Basta! - esclamò Clara alzandosi. - Non si dicono queste cose
quando non se ne hanno le prove irrefutabili. Siete peggio d'una femmina
invidiosa, questa sera. Il barone è caduto da cavallo.
- Ah, vi ha spiegato!... Eppure è spiacevole che tre anni or sono voi
non abbiate assistito a quel processo. A quest'ora certo, voi egualmente
non mi amereste più, ma non amereste nemmeno il barone.... Devo
andarmene? - aggiunsi, vedendo che la donna rimaneva in piedi.
- Se credete. E' tardi. E domani passerete all'albergo per iscusarvi?
- Ci penserò,.- dissi alzandomi alla mia volta. - Del resto, lo
saprete da lui.....
- Per qualche sera vi dispenso dal venirmi a trovare, - soggiunse
Clara.
M'inchinai.
- Non mi date nemmeno la mano? - chiesi.
Ella concesse la mano, mollemente, quasi distratta. Nell'esprimere la
indifferenza sdegnosa, le donne sono insuperabili.
II
La rievocazione involontaria di quel maledetto processo di Como aveva
servito a mettermi la febbre nelle vene. Allora, tre anni addietro,
assistendo alla causa come un semplice curioso, ero rimasto colpito veramente
da alcuni dati di fatto quasi inverosimili. Il barone non era comparso,
trovandosi a letto malato gravemente: del resto la sua testimonianza non
ridiceva che i particolari dell'assassinio; ma i numerosi testi uditi erano
stati concordi nell'accusare lui di imprevidenza, di leggerezza, di temerità.
Egli aveva lasciato la baronessa in villa, di pieno inverno, in un
paesucolo sul lago di Como ed era partito per Milano; il ladro, introdottosi
nella camera da letto della baronessa, quella notte medesima, credendo che
ella pure fosse partita, sorpreso nel mentre tentava forzare uno stipo,
smarrito, accecato dalla paura e dall'ira, aveva dato un colpo di coltello
alla misera donna e l'aveva stesa morta. Fu arrestato, confessò e gli toccò
l'ergastolo.
Io avevo dimenticato questi particolari, o meglio li avevo lasciati in
un angolo della mia memoria, dal quale mi tornavano ora limpidamente,
a mano a mano, e riandavo meditandoli e collegandoli per ricostruire la figura
del barone.
Lasciata appena donna Clara, presi per via Tornabuoni, mi fermai a
lungo sul ponte Santa Trinità dal quale l'Arno sonnacchioso appariva tutto
punteggiato dei riflessi dei fanali; un bella sera d'autunno, così tenero,
così voluttuoso a Firenze, m'era guasta e intorbidata da quei ricordi, dal
presentimento che ormai tutto era finito per davvero, dal bisogno di
combattere come potevo la follìa onde Clara sembrava presa per quello sciocco
matrimonio.
E procedendo giù per via Maggio, per la deserta Via Romana, fino a
Poggio Imperiale,severo e misterioso nella ricchezza dei vecchi alberi, a
poco a poco mi si formò nella mente un disegno, che la notte e l'amore mi
facevano sembrare semplicissimo, naturale e pieno di nobiltà.
III
L'indomani, seduto comodamente in una poltrona a dondolo sul
terrazzo della villa Scavolino, disabitata da tre anni, interrogavo la moglie del
massaio. Era una mia conoscenza; al tempo del processo avevo seguito
sul lago i giurati che studiavano la topografia del luogo del delitto; e la
moglie del massaio, la svelta e bruna Anastasia, aveva gustato molto alcuni
scherzi che mi ero permesso con lei, mentre i giurati giravano per la villa
con aria d'importanza.
Al rivedermi dopo tanto tempo, Anastasia mi accolse con una cortesia
da signora. La villa, ormai, era cosa sua, il barone non vi metteva piede,
e cercava invano di disfarsene; Anastasia e il marito vi ricevevano gli
amici, tutti robusti villici, che a poco a poco avevan ridotto in pessimo stato
le seggiole del giardino; la poltrona sulla quale io andavo dondolandomi era
la migliore della raccolta.
- Sicuro - mi diceva Anastasia, che stava innanzi a me, appoggiata
alle ringhiere del terrazzo contro cui l'acqua del lago batteva fievolmente.
Sicuro; Tonio Boldrella è entrato quella notte nella camera della baronessa,
le ha dato un colpo di coltello e ha rubato tutte le gioie; che sarebbe come
dire che l'ha assassinata.
- Sì, questo sapevamcelo - osservai. - E' storia vecchia. Ma doveva
essere un bel tipo, quel Tonio Boldrella?
- Bello? - ripetè Anastasia spaventata. - Un bel tipo,
quell'assassino?
- Non fraintendiamo. Generalmente si chiamano bei tipi tutti i
mascalzoni che ci capitano tra i piedi: quel Tonio doveva essere un capolavoro....
- Che sarebbe come dire che era un ladro? Ma lo era da un pezzo:
lo abbiamo saputo dopo; dopo si è capito da che parte passava per rubare:
aveva fatto un buco, e passava per di lì....
- Un buco dove, un buco come?
- Su, nel granaio, spostando delle tavole... E' difficile spiegarle... Se
vuol vedere lo conduco io....
- Siete matta, sposa. A quest'ora, con questa luce, vedere il buco per
dove passava il Boldrella? Non dormirei tutta la notte.
Anastasia diede in una risata, come Clara, con la testa all'indietro, e
il seno balzante del corsetto.
- Ci si abitua. Anch'io avevo paura, i primi giorni dopo il delitto;
poi mi ci sono fatta, ed ora dormiamo io ed il mio uomo nella camera della
baronessa.
- Ma non s'era accorto nessuno che si rubava in casa? - domandai.
- La povera baronessa se n'era accorta, e aveva avvertito il signor
barone. Ma sa che uomo è il barone Lorenzo. Lei lo conosce?
- Di vista.
- Sia detto in confidenza - mormorò Anastasia sotto voce - è un
uomo balzano; basta dire rosso, ch'egli dice bianco. Noi abbiamo qui una
razza di maiali che gli assomiglia: quando vogliamo farli andare a destra,
li tiriamo a sinistra, per la coda; ed allora vanno, che nemmeno il diavolo
li ferma più.....
- E il barone sarebbe di codesta razza?
- Lei m'intende - seguitò la massaia. - Ho fatto un paragone, con
tutto il rispetto, che sarebbe come dire che il barone pensava ad altro.
- A che cosa pensava? - domandai, arrestando il dondolio della
poltrona, anche perché cominciava a scricchiolare.
- Lo sa lei? Io non so niente.
- Pensava alle donne, ho capito.
- No, alle donne proprio no. Ma era sempre tra i libri.
- E la baronessa?
- E la baronessa piangeva, perché le faceva dispetto.
- Chi le faceva dispetto? Che cosa? I libri?
- Si facevano i dispetti, il barone alla baronessa e la baronessa al
barone. E allora, quando la baronessa diceva che mancava la roba, il
barone diceva di stare attenti, che non sarebbe mancato più nulla...
- E intanto il Boldrella seguitava a passare per il buco.
- Lei m'intende: e una sera andò perfino in camera della signora e le
portò via un anello. Lo si è saputo dopo.
- Ma che cosa faceva di tutta questa roba?
- La metteva da parte per andare in America a far fortuna.
- E non gli bastava la fortuna di aver trovato il buco in casa?
- Sa bene - disse Anastasia filosoficamente. - Più ne hanno e più
ne vogliono.
- Ma la baronessa non aveva dei sospetti sul ladro?
- Che vuole? Sapeva far così bene, era così attento al servizio,
lavorava tanto di gusto. Anche il mio avrebbe giurato che non era lui. Non
spendeva mai un soldo, non era mai all'osteria...
Anastasia s'interruppe, s'allontanò un istante, per tornare trascinando
una seggiola rustica.
- Mi permette? - disse. - Sono stanca.
- Ma siete in casa vostra. E dov'è il vostro uomo?
- Stanotte non torna -. rispose la donna sedendosi. - E' andato a
Como con la barca.
- E voi non avete paura a rimaner sola?
- Io? - esclamò Anastasia, crollando le spalle. - Non c'è pericolo
che mi ammazzino per rubare; e poi la gente del paese è buona. Il Boldrella
non era di qui. Io dormo con le porte aperte.
Sembrava veramente che il paese fosse fatto per dormire a porte aperte,
tanto era dolce la espressione di quei monti inargentati dalla luna, e del lago
onduleggiante a una brezza profumata. Pensai a Clara, alla voluttà di
sentirmela al fianco in quell'ora di così vana e pur così profonda tenerezza. Ma
la donna era a Firenze e prestava forse docile orecchio ai madrigali stentati
del barone.
- Non si mette il soprabito? - disse Anastasia, rompendo il silenzio
che non aveva nessuna attrattiva per lei. - Fa fresco.
- Sto bene, vi ringrazio.
- Dove va a dormire stanotte? - seguitò la giovane.
- All'albergo, qui vicino.
- Se vuol dormire qui, le preparo una camera.
- No.
Le diedi un'occhiata fuggevole, per comprendere la natura di
quell'invito, il quale poteva essere, nella mente di lei, il corollario agli scherzetti di tre anni innanzi; ma mi parve ingenua e bonaria.
- Ha proprio paura della casa, - ella mormorò con piacevole sorriso.
- No, ma in paese potrebbero pensar male, e voi avreste delle noie,
dissi, stupito ch'ella non arrivasse a così peregrino concetto.
- Il mio uomo sa chi sono, - affermò Anastasia fieramente.
Io mi levai il cappello, nell'ombra.
- Vuole che faccia luce? - ella riprese. - Abbiamo delle lanterne a
vento, per giardino, che sarebbe come a dire che non si spengono con l'aria.
- Grazie. Conosco il genere. Ditemi piuttosto: come mai il Boldrella
si lasciò sorprendere dalla baronessa?
-Nevvero? Pare impossibile, a pensarlo. Ma un giorno il barone
Lorenzo partì per Milano.
- Perché? interruppi.
- Vada adagio, cara Madonna.- disse Anastasia. - Vuol sapere
tutto in una volta? Partì per fare un dispetto alla signora, che si lamentava
sempre. Non andavano bene insieme, quelle due anime. Lui così serio, lei
piena d'argento vivo; lei voleva stare a Milano, e lui la teneva qui anche
d'inverno, e se ne andava solo in città.
- Faceva benissimo, - osservai riprendendo a dondolarmi con
prudenza.
- Benissimo? Faceva benissimo, dice lei? - esclamò la giovine in
preda ad una indignazione violenta e subitanea. - Ma sicuro: faceva
benissimo. E intanto, l'hanno ammazzata, povera e cara anima! Oh faceva
benissimo, a lasciarla qui sola d'inverno, lei che era giovane e voleva
vivere? Ma sa che d'inverno qui non ci son che i cani e noi? Che cosa dico?
Posso starci io, che non ho arlìe per la testa, ma una signora, una
baronessa, una bella donna....
Anastasia s'era alzata e si sbracciava a dimostrare il suo sdegno contro
la mia esclamazione maligna. Le diedi un'occhiata, così, tra l'ombra e la
luce lunare: mi parve molto graziosa, molto pallida per quella luce, e tutta
accesa per la giovine signora, ch'ella aveva amata umilmente e in silenzio.
- Ma non bisogna esagerare - dissi, quando appena trovai modo di
ficcare una parola tra quel torrente di proteste. - Alla fin fine, anch'egli
viveva qui e le faceva compagnia...
- Bella compagnia!... Vede la villa?
Io mi voltai a guardar la villa taciturna, in fondo al giardino, ombra
cupa tra le cupe ombre della sera, non ancor vinte dal raggio lunare che
cominciava a coprir noi.
- Vede la villa? - diceva Anastasia con un gesto quasi solenne.
Lei stava su, a destra, giorno e notte; e lui stava giù a sinistra notte e
giorno. Ecco la compagnia che faceva alla signora baronessa. Io, per me,
dico che quando la si pensa a questo modo, è meglio lasciar le donne e il
matrimonio.
Nel mentre Anastasia parlava, notai ch'ella aveva una bocca deliziosa,
la sola bellezza indiscutibile di quel viso cupreo: una bocca viva, sana, con
le labbra carnose e piccoli denti bianchissimi.
- Sta bene, - mormorai, quasi a conferma di quella scoperta.
- Sta bene, di certo, - ripetè ingenuamente la giovane. - E ho
piacere ch'ella pensi a modo mio.
- Oh, io penso sempre come le belle ragazze.... Dunque, - ripresi
d'un tratto, - il Boldrella si trovò in trappola?
- Sicuro: è stata una fatalità - seguì Anastasia, ripigliando posto.
Quando seppe che il barone era partito s'immaginò che fosse partita anche
la signora baronessa. Egli era stato fuori tutto il giorno, coi cavalli. Torna,
e sa che il barone è andato a Milano. Allora domanda al mio uomo: ma
il mio uomo ha buon naso, e il Boldrella gli era antipatico: e dice: " La
signora baronessa ha fatto il comodo suo; che volete saper voi?" E il
Boldrella non ha coraggio di domandar più niente, e comincia a pensare
che anche la baronessa è a Milano, e la villa è vuota, ed è venuto il
momento di far l'ultimo colpo.... Perché deve sapere che dopo il furto
dell'anello, la signora era proprio decisa a far venire il maresciallo dei
carabinieri, e noi le dicevamo: "Lo chiami, lo chiami, eccellenza, che così
vivremo tranquilli, e l'innocenza porterà il suo trionfo, e la colpa sarà
punita.... "
- State fresca - dissi, quasi involontariamente.
- Come? domandò Anastasia.
Dico che state fresca, se pensate al trionfo dell'innocenza e alla
condanna del colpevole. Sono cose che si scrivono nei libri....
- Ma il Boldrella non è in galera?
- E la baronessa non è morta? E il barone non è vivo?
- Che c'entra il barone?
- Andate avanti, sposa. Queste non sono cose per voi.
- Bene - continuò Anastasia. Il Boldrella lo sapeva che doveva
venire il maresciallo, e si sentiva mancare la terra sotto i piedi, che
sarebbe come dire ch'era finita per lui, se non se ne andava prima. E pensa
di fare il colpo. C'è stata la disgrazia che proprio in tutto il giorno la
baronessa non si lasciò vedere: restò nella sua camera a piangere per il
dispetto di essere sola; e quell'assassino, non trovandola, prima di notte era
convinto che era andata via.
Anastasia tacque: il suo cuore si gonfiava di ricordi e di lagrime. Vidi,
alla sfuggita, che si asciugava gli occhi, e sentii poscia la sua voce
tremare.
- E allora, dunque, fece il colpo? - domandai.
- Ah, la canaglia! Ah, il brigante senza vergogna! Io non ho che
una consolazione a questo mondo: la consolazione di saper ch'è sotterrato
vivo, perché il tribunale di Como gliele ha suonate secche: si ricorda? La
galera a vita, per tutta la vita! Si, signore, muori lì, come un cane, a
poco a poco, assassino della tua benefattrice, muori solo, muori senza luce,
muori senza madre, muori senza moglie, muori senza figli, muori venti
volte, cento volte, tu che hai piantato il coltello nel seno della mia signora!
Anastasia s'era levata, improvvisamente, con gli occhi vivi di luce e
d'odio; dal busto in su, era livida per un raggio di luna, e il resto del suo
corpo spariva come inabissato nell'oscurità d'un gorgo da cui ella emanasse.
-Sapete che siete stupenda? - le dissi, colpito dalla bellezza che la
passione metteva in quella rozza creatura. - Mi sembrate una furia.
- Ma quando ci penso; non posso trattenermi, che vuole? E' una cosa
che ho qui, e che mi resterà fin che campo... Ah, se ce lo lasciavano a noi
le assicuro che non ne rimaneva salvo nemmeno tanto da coprire un
tamburo.... Già, han dovuto strapparcelo di mano, a me, al mio uomo, a tutto
il paese.... E quella canaglia aveva paura: era bianco come una camicia
e aveva i capelli incollati sulla fronte per il sudor freddo, quando l'han
portato via. Ma io ci sono arrivata, a guardarlo negli occhi: e gli ho
sputato in faccia, proprio con questa bocca.
- Avete fatto malissimo - osservai. - La vostra bocca non è per
tali cose.
- Già me l'hanno detto, che ormai era un uomo finito e bisognava
rispettarlo. Me l'ha detto il maresciallo dandomi uno spintone. Ma al
momento io l'avrei fatto a brani, e bisognava pure che mi sfogassi. Quella
canaglia, quando è stato sorpreso dalla baronessa non poteva gettarsi ai
suoi piedi, non sapeva ch'era tanto buona, che gli avrebbe perdonato? Lui
ha tirato fuori il coltello, e perché la baronessa lo teneva per il petto (che
coraggio, cara Madonna!) le ha dato un colpo nello stomaco, giù, fin dove
è potuto arrivare, le ha aperto il seno, a quella martire!
Anastasia, abbandonata sulla seggiola, piangeva ormai senza tentar di
nascondere le umili ed inutili lagrime, e s'asciugava gli occhi con l'angolo
del grembiale: io udivo il singhiozzo profondo venir su dall'imo di
quell'anima così nobile nel suo sentire, così pronta al riso e alla disperazione.
Diedi uno sguardo involontario alla villa, circondata dal fitto alberarne,
tragica e muta nel silenzio di tutto il paese; pareva, in quell'ora, veramente
una tomba o un luogo d'agguati.
- E il barone? - domandai d'un tratto. - Come rimase, quando
tornò da Milano?
La donna tacque ancora qualche istante, con la testa reclinata sul
petto; poi con voce velata:
- Non ne so niente, io. Dicono che si sia ammalato pel rimorso: fu
malato davvero e dovettero interrogarlo in casa, senza farlo venire al
processo. Ma è un tale uomo, che io non ne so niente: sarà stato rimorso?
- Sarà stata un'infreddatura - mormorai. - E che cosa diceva
con voi?
- Si sa bene: diceva che era una gran disgrazia, e che non se la
meritava: e fece funerali, qui e a Milano; a Milano, un funerale che non
finiva più. Io ci sono stata; sa che a Milano è una città ben brutta? Pioveva
a rovescio e c'erano i lumi accesi già alle quattro del pomeriggio.
- Ma il nome del Boldrella non gli suggerì nessuna idea, non lo
sorprese, non gli giunse insospettato?
- Anzi: appena lo seppe, esclamò: " Già, me l'imaginavo! "
- Lo imaginava e lo teneva in casa, e lo lasciava qui anche quando
la baronessa era sola? Che cosa è, questo barone: un matto o un imbecille?
Anastasia si guardò intorno, e abbassandosi improvvisamente al mio
lato quasi fino a sfiorarmi la guancia coi riccioli o con la bocca, susurrò:
- Sa che cosa dicevano in paese, del barone? Dicevano: " Pare che
l'abbia fatto apposta!" Non ne poteva più della signora; in sei anni di
matrimonio, avevan finito per odiarsi. Dicono che voleva sposare un'altra,
più ricca, e che la cercava fin d'allora.....
Io sentii un brivido prendermi alla nuca e scorrermi per tutto il corpo.
L'imagine di Clara mi venne innanzi alla mente: doveva esser lei, dunque?...
-... e in sei anni - continuò Anastasia, sempre in quella positura e
sempre a bassa voce - divorò il patrimonio della signora. Ogni volta che
andava a Milano, era una disperazione.
- Giocava?
Perdeva! - mormorò la giovane.
- E per ciò abbandonava qui sua moglie, senza curarsene, in un
paese isolato, con un ladro in casa? Ma aveva preveduto, aveva osato
sperare?....
Anastasia capì e storse la bocca.
- Chi sa? - disse. - Certo, se si fosse ammazzata da sé, a lui poco
ne sarebbe importato: avrebbe pianto un po' e riso un pezzo, come si dice.
- E veramente - seguitai, a bassa voce io pure con gli occhi fissi
negli occhi della giovane, che ora vedevo bene - e veramente quella morte
gli è stata utile?
- Ma! - disse Anastasia. - Di roba d'avvocati io non m'intendo;
ma quando era viva la baronessa, egli non poteva mettere la mano su tutto:
e subito dopo si mise a vendere, case, mobili, quadri, terre qui, terre in
Valtellina, come capitava, all'uno per cento. Io non volevo più rimanere al
suo servizio: è stato il mio uomo che con la miseria d'oggi, ha dovuto cedere
e continuare. Il barone vorrebbe vendere anche la villa, ma grazie a Dio,
non gli riesce; non gli riuscirà mai.... Lì dentro c'è l'ombra della signora,
e l'ombra non si vende......
Io mi volsi a guardar di nuovo la villa, che di nuovo Anastasia mi
accennava.
- Noi ci dormiamo tutte le notti - ella continuò - perché abbiamo
l'anima tranquilla; e se la baronessa torna, non ci fa male. Ma c'è
qualcuno che non ci potrebbe stare un minuto senza sentire la terra scottargli
sotto i piedi.....
Già: e voi dite che l'innocenza trionfa e il colpevole è punito,
mormorai avvedendomi che quell'ingenua creatura aveva l'intelligenza pronta
e lucida di chi ama.
Anastasia chinò il capo, quasi colta in fallo.
In fondo - susurrò - noi non sappiamo niente, e forse è tutta
fantasia.....
Forse - ripetei alzandomi, e appoggiandomi alla ringhiera del terrazzo.
- Però si dice che l'abbia trovata, la donna ricca che cercava, e la
sposerà fra poco.
- Dev'essere una donna piena di coraggio - osservò Anastasia,
facendo dell'ironia senza volerlo. Poi aggiunse quasi trasognata: -
Pover'anima! Le auguro bene, speriamo!
- Diamine! - esclamai, preso a un tratto dall'amara ebbrezza del
sarcasmo. - Pensate che non debba esser felice neppur questa? Non sapete
quanto è piacevole il barone, come sa innamorar le donne, come le circonda,
le accarezza, le rapisce? Io non la conosco, questa signora che lo sposa; ma
scommetterei che ne è innamorata pazza e che unendosi a lui farà la sua
fortuna. E' giuocatore: perderà il vizio di giuocare. Ha lasciato ammazzare
la prima moglie.....
- Io non ho mai detto questo, cara Madonna! - obiettò Anastasia
sbigottita.
- Lo dico io: ha lasciato ammazzar la prima moglie; e che cosa
importa? E' forse un Barba-bleu, un Orco, un antropofago? Non vorrà mica
ingoiarsele tutte, coteste donne!....
M'interruppi, avvedendomi che Anastasia, venuta presso di me, mi
guardava di sottecchi, trepidante e sollecita come innanzi a un mentecatto.
- Scherzavo, - dissi. - Dopo tutto, che cosa può rappresentare per
me e per voi questo imbroglio? Ci pensino quelli che ci si trovan dentro,
non è vero?.... Guardate la luna com'è bella!
Si udì il gorgogliar dell'acqua agitata dai pesci che salivano a
inargentar di raggi pallidi le squame; e Anastasia guardò il lago attonita,
indifferente allo spettacolo noto e famigliare.
- Non vorrei - mormorò timidamente - ch'ella pensasse male di
me. Mi ha parlato della mia povera signora e io avrò forse detto delle
cattiverie; ma del barone io non so proprio nulla. Qualche voce, raccolta
qua e là, qualche pettegolezzo del paese.... Poi, già c'è stato il tribunale,
ed il tribunale ha giudicato, che sarebbe come dire che l'affare è finito
e sepolto, e del barone nessuno ha mai detto niente.... Non è vero?
- Parole d'oro, Anastasia - confermai sorridendo; e aggiunsi:
che sarebbe come dire che io non ho udito nulla, che non vi ho mai vista, e
che il barone è il primo barone del mondo. Va bene così?
Allora, consolata, ella pure sorrise con un certo sorriso arguto da
contadina furba e intelligente; e rimanemmo ambedue a guardarci, in silenzio
appoggiati al medesimo ferro fragile, a viso a viso.
- Devo andarmene, - dissi scuotendomi. - Domattina mi alzo
presto.
- Ha già finito tutto in paese? - domandò la giovane.
- Sì; dovevo visitare una famiglia e portarle un'ambasciata: due
parole.....
Non insistetti più oltre, sentendo che l'invenzione era goffa, e vedendo
le labbra di Anastasia schiudersi al medesimo sorriso di poco prima.
- Addio, dunque. Salutatemi vostro marito, se gli dite che io sono
stato qui....
Feci alcuni passi verso la scala di marmo, che dal giardino menava
alla strada comunale; ma udendo sulla ghiaia il passo della giovane che
m'accompagnava, mi rivolsi improvvisamente.
La malinconia di lasciare quell'anima ignara, che aveva almeno la
fedeltà per una morta, e il bei viso cupreo con la bella bocca corallina; e
forse l'acredine del sangue per quell'altra donna che avevo perduta; queste
cose lontane e vicine, sottili e volgari mi turbarono.
Afferrai con le mani il volto di Anastasia e le diedi un bacio lungo
sulla bocca sensuale.
- Addio - ripetei, scendendo gli scalini. - Se ti avessi incontrata
prima, forse ti avrei sposata.
E aggiunsi tosto, ridendo:
- Ma è meglio che t'abbia incontrata dopo!...
Anastasia rientrò in giardino senza ridere e senza rispondere.
IV
A me pareva in quel tempo di essere diventato il più sagace poliziotto
che la mente di un romanziere avesse potuto creare per sollazzo dei lettori
d'appendice. Avevo fatto cantare Anastasia e m'ero formato una così
ferma opinione della odiosa complicità morale del barone Lorenzo che se
non lo feci arrestare appena giunto a Firenze, fu perché realmente non
contava nulla nel mondo giudiziario. Ma il vero scopo della mia inchiesta era
ormai raggiunto: io avevo bisogno di essere sicuro delle accuse che
formulavo contro lo Scavolino, e la certezza acquistata m'infondeva un coraggio,
una passione, un entusiasmo non mai sentiti prima.
Donna Clara non avrebbe resistito alla mia eloquenza; dopo un lungo
dibattito, dopo la naturale ripulsione per l'uomo che le avrei dipinto coi
più tetri colori, sarebbe venuta la gratitudine verso chi le salvava, se non
la vita, certo l'avvenire; e dalla gratitudine all'amore, dall'amore al
ritorno di quel passato onde l'anima mia era ancor tutta pregna, il trapasso
doveva essere rapido e fatale.
Io pensavo così, un mattino in via Tornabuoni, a due passi dalla casa
di Clara. Ero addossato alla porta d'una liquoreria elegante e aveva intorno
a me alcuni amici, che ogni mattina, in abito chiaro, si piantavan su
quel marciapiede, innanzi a quella porta, senza mai bere una goccia di un
qualunque liquido, pur facendo la caricatura agli uomini semplici che
entravan nel negozio, bevevano, pagavano e non si vantavano d'aver
conquistato tutte le passanti.
E fu allora che udii questo piccolo dialogo:
- Sei guarito? diceva un giovane biondo a un giovane bruno.
- Non c'è male - rispose l'altro. - Ce la siam cavata con poco.
- Ma come avvenne? - domandò il giovane biondo.
- Avvenne che Pippo voleva domare una cavalla saura, e uscimmo
per la campagna ambedue con la bestia attaccata a una domatrice. La
cavalla ci fece qualche brutto scherzo; e giunti dove la strada diventava erta
per una salita faticosissima, Pippo mi disse: " Ora sta attento, che le dò
un sacco di frustate per punirla. La cavalla si precipita alla fuga, trova
la salita, e capisce che con noi c'è poco da fare. " Come vedi, era tutto
un programma. Pippo frustò la bestia infatti, dirigendola alla salita; la
bestia si diede, infatti, alla corsa più vertiginosa; ma giunta alla salita.
invece di lanciarvisi e di spossarvisi, fece uno scarto a destra, e senza
nemmen percorrere un metro dell'erta, ci lanciò ambedue, lunghi
quant'eravamo in un fossato, dove Pippo si ruppe una gamba, io mi ruppi un
braccio, e la cavalla si ruppe la testa, rimanendo stecchita.
- Ah! ah! ah! - esclamò il biondo con una risata. - Che bel
programma! Gettandovi da una finestra, risparmiavate almeno la cavalla!
- Sarà per un'altra volta - disse il bruno tranquillamente.
Questo piccolo dialogo mi parve sinistro e simbolico: e per tutto il
giorno la cavalla saura e Clara bionda, il sacco di frustate e la mia
futura eloquenza,- lo scarto a destra e l'incertezza dell'avvenire mi si
confusero in mente, vi si accavallarono, vi danzarono una ridda, vi fecero un
tal putiferio, che mi coricai con la febbre e l'emicrania.
Il medico dichiarò che m'ero preso una febbre reumatica, probabilmente
in riva al lago; cosa, la quale mi pareva incredibile se ripensavo alla luna,
alla brezza profumata, alla bocca della bella Anastasia, che m'avevan reso
tanto piacevoli quelle ore. Ma ogni volta che io ho avuto in mente qualche
grande impresa, la febbre reumatica è sopraggiunta a togliermela o a
farmela ritardare; ho perduto così più occasioni di diventare celebre, ma non
ho mai perduto un'occasione di azzeccarmi una febbre.
Tutto è armonia ed equilibrio a questo mondo. Non osai scriver nulla
a Clara; nella sua ironica posizione di fidanzata, ella non poteva accorrere
a prestarmi quelle cure, che sono un delizioso pretesto a mille
fanciullaggini; dovetti guarir da solo, senza lusso di convalescenze prolungate a
bella posta, in qualche villa sui colli toscani.
E un giorno che, ancor debole e intontito, passeggiavo alle Cascine,
una carrozza rasentò la mia, e vi scorsi Clara, che aveva a sinistra il
barone Lorenzo e di fronte la dama di compagnia. Clara era vestita di nero;
non vidi che quel nero, quasi procace, e l'oro rutilante della sua prodigiosa
capigliatura.
V
Nell'anticamera, quella sera medesima, mi imbattei nella dama di
compagnia, miss Lucy Wilkye; donna peritissima delle lingue straniere e
ignorantissima della nostra. Certo, mi aspettava; ma ciò non le impedi
di manifestare una candida meraviglia per la mia presenza; alzò le scarne
mani al cielo, e disse:
- Oh!
Poi ingoiò la saliva, e mentre consegnavo il soprabito alla cameriera,
ella ripetè:
~ Oh!
E credendo con ciò d'aver compiuto la sua missione e d'avermi
arrestato sulla soglia, ingoiò ancora della saliva. Ma io ho, per le vocali isolate,
un certo qual disdegno, e tirai dritto verso il limitare della sala grande.
Allora miss Lucy mi passò innanzi e disse:
- Oh, signora! Donna Clara è impossibilitato a ricevere voi. Voi
sarete così gentile da ritornar domani.
La nobil donna aveva l'abitudine di mutare il genere ai vocaboli; nella
sua lingua, donna Clara figurava come un maschio ed io come una
femmina.
- Non può ricevermi? - ripetei sentendomi serrare il cuore. - Ha
visite? E' fuori di casa? La cameriera mi ha detto....
- Oh, certo. Donna Clara non è uscito, ma sta preparando sé alla
teatra.
teatra.- Sta vestendosi? Allora aspetterò. Non le farò perder tempo.....
- Oh, bene! Non fate perder tempo; tornate domani. Siate gentila.
gentila.Io non avevo alcuna intenzione di esser "gentila " quella sera, nè con
miss nè con Clara.
- Vi prego di farmi annunziare - dissi bruscamente. - Se la signora
si veste, aspetto. Mi è impossibile tornare domani, perché parto. Vogliate
dir questo a donna Clara. aggiungendo che desidero e debbo salutarla.
- Ma signoro, questo è ordine per tutte. Donna Clara non riceve,
quando va alla teatra
teatraIo non sono tutte miss - ribattei. - E voi lo sapevate benissimo
una volta - aggiunsi piantandole gli occhi in viso.
Temetti d'essere stato insolente e d'avere scatenato lo sdegno
anglosassone della stantia fanciulla. Una rampogna in quel momenti", in quel
linguaggio che non rispettava nemmeno il mio sesso, m'avrebbe esacerbato
troppo. Ma miss Lucy disse:
- Oh! - e mentre se ne andava ad annunziarmi, soggiunse: - Non
siete graziosa.
graziosa.Questo m'importava poco. Rimasi in anticamera pensando alla
straordinaria quantità di cose che l'interiezione: Oh! eve esprimere in inglese;
della qual lingua era il solo vocabolo che io conoscessi discretamente.
Ma uno sbatacchiar di porte mi fece rivolgere il capo; e vidi donna
Clara sul limitare della sala, ed ella esclamò giocondamente;
- Siete voi? Siete proprio voi? Vi han lasciato costà in anticamera?
Venite, venite: a miss Lucy molto deve essere perdonato.....
VI
Appena in sala, mi lasciai cadere sul divano, guardando la giovane che
mi stava ritta innanzi.
- Perché - domandai - molto dev'essere perdonato a miss Lucy?
Credete che molto abbia amato, anche costei?.... Voi mettete le sentinelle
alle porte, ora, e poi esigete il perdono da quelli che fate respingere?
Che cosa dite? - esclamò Clara attonita. - Subito, dalla vostra
bocca escono offese?
Ella stava veramente preparandosi pel teatro: me lo dicevano
quell'abito scollato e l'acconciatura della testa, e i gioielli e le scarpette, e i fiori
alla cintola; cose, abitudini note, che io aveva vissuto con lei, delle quali
avevo gustato il piacere con lei, tante volte.
- Vi ha detto miss Lucy che io parto domani?
- Non m'ha detto nulla - rispose Clara, divenuta freddissima.
- Ha fatto bene, perché non è vero.
- Vi trovo dimagrito - ella disse, quasi involontariamente.
- Sono stato ammalato quindici giorni.
- Ah! - mormorò Clara, sedendosi.
Ma non aggiunse verbo.
- Potete chiedermi anche di che male - osservai. - Non avete a
temere ch'io mi finga moribondo pel vostro abbandono, o che vi chieda
l'elemosina del vostro amore per stare in piedi.
- Sempre ironico! - ella disse, stringendo le labbra con espressione
di dispetto.
- Ho pescato una febbre reumatica. Dico "pescato" perché sono
andato sul lago di Como.
Clara, che giuocherellava con la frangia della poltroncina, alzò la
testa.
- Voi? - esclamò. Sul lago di Como, in autunno?
E come colpita da un pensiero nel quale si svelava tutta la donna,
aggiunse quasi con ansia:
- Solo?.....
- Credete che io sia venuto a raccontarvi una avventura? Se non ci
fossi andato solo, non vi avrei detto nulla.
- Ma allora?.... In qual paese del lago.... E a far che cosa?
- Con chi andate a teatro stasera? - interruppi, non resistendo più.
- E non potreste sacrificarmi queste poche ore? Debbo parlarvi... E poi
si sta così bene, da voi!
Clara, senza rispondere, suonò il campanello due volte. Che bella
visione quella giovane scollata, dritta, flessibile, con la piccola testa altera
coronata di rose e le braccia bianchissime nude!
Comparve miss Lucy come rovescio della medaglia.
- Miss - disse Clara. - Favorite dire al barone, quando si
presenterà, che lo dispenso dall'accompagnarci a teatro, stasera. Torni domani;
ora non ricevo.
- Niente teatra - ripetè miss Lucy aggrottando le sopracciglia....
- Se volete andarvi, aggiungerete al barone che lo prego di
condurre voi....
- Oh! - esclamò miss, lasciandoci in dubbio sul significato
dell'interiezione.
- Dite anche, ve ne prego, a Geltrude, che mi porti la mantiglia.
Ho freddo.
Miss Lucy scomparve, e un istante appresso venne la cameriera con
La sortie de bal tutta azzurra foderata di bianco; intorno al collo era
guarnita di piume bianche fittissime, che tante volte avevo sentito sotto le
mie labbra.
- Potete discorrere - disse Clara freddamente quando fummo soli.
- Rinunzio al teatro per non dispiacervi: siete molto pallido e debole,
non è vero?
- Non ne so nulla: mi par di bruciare - risposi. - Venite a sedervi
al mio fianco sul divano.
- Ascolto benissimo anche qui - mormorò Clara, adagiandosi in
una poltrona. - Vi farò fare un punch, con molto rhum: o volete del tè,
o del cognac....?
- Ciò che vi piace: rhum, punch, cognac, tè - risposi, impaziente.
- Purché codesti seccatori finiscan presto di girar per la camera.
Bisognò attendere ancora che un servo portasse cinque o sei piccole
bottiglie; poi sopravvenne col punch quindi con un vassoio carico di
biscottini, che in altri tempi Clara ed io mangiavamo ad uno ad uno, insieme,
io per un capo, ella per un altro, con le bocche quasi congiunte.
Da ultimo si udì il campanello in anticamera; risonò la voce del
barone Lorenzo, potei distinguere alcuni Oh! di miss Lucy; infine questa
riapparve.
- Donna Clara - ella disse con una certa solennità. - Il barone
desidera presentare sua omaggia a voi e al signoro..
signoro..Poi soggiunse, quasi gaiamente:
- Io vado alla teatra
teatraStavo per ridere, quando sull'uscio vidi il barone Lorenzo Scavolino,
in abito nero. Sorrideva, inoltrandosi. Andò presso Clara, le baciò la mano,
rivolgendosi a me disse:
- Miss Lucy mi annunziava ch'ella parte. Mi permetta di augurarle
buon viaggio e di esprimere la speranza ch'io possa rivederla presto.
Miss Lucy ha frainteso - dissi rispondendo al saluto. - Non parto
demani.
- Sono contento in ogni modo, d'averla vista. Mi si diceva ch'ella
fosse un po' sofferente.....
E i piccoli occhi del barone si fissarono un attimo sulle bottigliette, i
bicchieri e i biscottini che popolavano la tavola.
- Sì! ebbi una lieve indisposizione. Ora vado rimettendomi, -
aggiunsi, guardando io pure quella raccolta di liquidi e di commestibili.
- Donna Clara - disse il barone avvicinandosi alla giovane e
ribaciandole la punta delle dita - a domani!
Capii che la esagerata gentilezza dell'uomo voleva significarmi che del
malinteso di alcune sere addietro nulla era rimasto; e voleva anche
affermare la sua tranquilla sicurezza nel possesso di Clara. Ebbi come una
nube dinnanzi agli occhi quando vidi il naso ricurvo del barone piegarsi verso
la mano della giovane, e mi trattenni a stento dall'urlargli un'insolenza.
Egli si ritirò sorridente com'era venuto con alle calcagna miss Lucy,
che correva a mettersi il cappello.
- Perché non la sposa? - dissi ad alta voce. - Non vedete come
s'appaiono? Mistress Lucy Scavolino; pare un verso; dev'essere un
ottonario. E come si osservan le consegne in casa vostra, amica mia; voi
respingete tutti, e tutti vengono a presentarvi quietamente le omaggia
omaggia- Su prendete il punch - disse Clara nervosa. - Volete dei biscotti....?
- Se me li date con la bocca, - mormorai,
- Non diciamo sciocchezze.
- Quanti liquori! - osservai, guardando le bottigliette ad una ad
uni - Cognac, Kummel, Arak, Benedectine Cherry-Brandy, Chartreuse,
Maraschino, Val d'Elsa. Vi propongo di ubbriacarci.
- Ma siete venuto per dire delle bambinerie o per parlarmi? Mi fate
perdere il teatro per questo?
- No: è proibito scherzare? Immaginatevi miss Lucy se rientrando
dalla teatra ci trovasse ambedue sotto la tavola. Oh!.....
- Badate: ancora una parola ed io raggiungo il barone in una
carrozza.
Io cominciai a prendere il punch docilmente senza aggiungere verbo.
Donna Clara pareva aspettare; s'era avvolta nella sua mantiglia e sdraiata
nella poltrona: poi, ricordando le rose, andò allo specchio, le tolse di tra i
capelli e le lasciò sulla tavola innanzi alla specchiera.
- Vi sembra onesto ciò che fa il barone? - domandai ad un tratto.
- Che cosa? - disse Clara rivolgendosi.
- Egli viene qui per condurvi al teatro, e alla porta gli dicono che siete
con me e che non potete riceverlo. Entra e vi vede in abito da serata; collo
nudo, braccia nude, spalle nude: trova un tavolino colmo di ghiottonerie,
e innanzi al tavolino me, vostro antico amante.
Clara ebbe un movimento che arrestai col gesto.
- Scusatemi la parola: non si usa. Ma è così dolce... e così vera!......
Ebbene: il barone Lorenzo sorride, fa dei complimenti a voi, dei
complimenti a me, e ci lascia indisturbati tutta la notte, e conduce seco anche la
dama di compagnia.... Voi che odiate le cose inverosimili, ditemi: è
verosimile, questo?..... Avere stima di una donna è una bella virtù, ma non si
deve abusarne..... C'è una gelosia, che è stima ella pure: la gelosia delle
grazie, dello spirito, della compagnia, del tempo, delle ore che la donna
amata dedica o è forzata a dedicare ad altri... Ci son poi dei casi come
questo, nei quali la stima è un'impertinenza; una impertinenza per voi e
per me. Il barone non è un imbecille quantunque si sforzi di parerlo con un
risultato assai lusinghiero. Egli sa che dopo un amore come il mio,
l'amicizia è impossibile; dunque sa che io cerco di riavervi; e per non temermi,
bisogna pensare che egli consideri me inetto all'impresa, o consideri voi
così volgare, così fredda, così spenta di sensi e d'anima,, da non aver mai
un lampo di oblio e d'abbandono.
Clara non rispose. Era tornata a sedere nella poltrona e sfogliava
lentamente una rosa, portandone alle labbra ogni foglia, per morderla.
Il suo contegno non poteva essere nè più indifferente, nè più falso. Mi
levai di scatto, esclamando:
- Che cosa pensate? Vi giuro per quanto è più sacro al mondo che
non sono venuto con l'intenzione di parlarvi d'amore... Vedo, vedo, che
tutto è finito; vedo che siete lontana da me: vedo che io devo scomparire
dalla vostra esistenza: ma fatemi la grazia di dirmi che comprendete le mie
intenzioni e che mi sapete animato dal desiderio del vostro bene....
- Non ne dubito - rispose Clara; - eccovi la mia mano.
Stese la piccola mano, che teneva sul palmo ancora una foglia di rosa;
ma in quel momento ricordai che il barone pure l'aveva baciata.
- Ebbene? - ella disse, con la mano sempre tesa verso di me.
- L'atto mi basta, - risposi. - Vi ringrazio.
La donna aggrottò le sopraciglia, poi rise mitemente, d'un piccolo riso
sardonico. Era facile comprendere che se il dialogo fosse continuato su quel
tono, io avrei ben presto dimenticato e lo scopo della mia visita e le
preziose indagini che avevo fatto; ma, come una visione, mi ritornarono
innanzi agli occhi della mente la serata sul lago, il terrazzo della villa, la
buona Anastasia che augurava tristemente un felice avvenire alla donna
ignota, la quale confidava la vita, l'anima e il corpo al fosco uomo che ero
riuscito a comprendere..... Tutto questo mi diede forza: sperai d'essere seguito
e ascoltato da Clara com'ero stato subito inteso dalla giovane e
arguta femmina di campagna.
Mi misi a passeggiare in lungo e in largo per la sala, parlando e
guardando il disegno intricato del tappeto.
- Vi ho detto che fui sul lago, ultimamente. Avete supposto,
immagino, che vi andai per qualche serio motivo. Sono stato alla villa
Scavolino, ho interrogato diverse persone, ho rischiarato diversi dubbi che mi
tormentavano.... Vi ricordate la nostra conversazione d'alcune sere addietro?
Allora vi dicevo che quel processo di Como era stato oscuro per me e che
mi sembrava di aver visto dietro l'esecutore materiale del delitto qualcuno
che a tal delitto aveva interesse più assai dell'assassino... Durante la mia
inchiesta mi son potuto convincere che questa mia opinione è l'opinione del
paese, di quelli che, per così dire, han vissuto i fatti, hanno sentito e
pesato, anche inconsciamente, le persone.
Clara aveva drizzata la testa e ascoltava, con grandi occhi: nell'atto,
la mantiglia le scivolò lentamente giù per gli omeri, scoprendo le carni
roseodoiate del seno e delle braccia.
- Avete fatto questo, voi? Avete interrogato? - ella disse
ansiosamente. - E con quale costrutto?
- Ora sono certo, - risposi. - Il colpevole morale c'è: se ne fa il
nome; lo si addita....
- Ma chi è, in nome di Dio? - interruppe Clara fremendo.
Io mi piantai innanzi alla poltrona su cui ella sedeva, e dissi
freddamente:
- Il barone!
Clara mi guardò attentissima; poi diede in una risata così placida,
cosí argentina, che io mi sentii perduto; non credeva.
- Ah, che idee, amico mio! - ella esclamò, ridendo ancora. -
Abbiamo un assassino in casa, dunque: un assassino d'alto lignaggio, roba
da romanzo.... Suvvia, raccontatemi, perché, ciò mi diverte. Il barone ha
fatto assassinare sua moglie: e come? e con quale scopo?... Che fantasia
invidiabile, la vostra, povero amico!
- Oh Clara, - mormorai quasi piangendo. - Non lasciatevi
prendere da questa allegria che mi [fa] tanto male. Permettemi di spiegarvi
tutto.
Certo, vi ascolto - rispose la donna seriamente. - Ma dove sono
le prove di ciò che affermate?
Io mi lasciai sfuggire un gesto di impazienza.
- Le prove, sempre le prove! Non credete che alle prove voi, come
fesse la cosa più facile del mondo trovar le prove di certe azioni.... I
delitti calcolati, preparati, equilibrati bene, non lascian traccia; è un
malfattore volgare colui che si scopre per una dimenticanza o un indizio. Ma
in certi delitti v'è l'attore e lo sfruttatore: il primo agisce talora per proprio
cento senza nemmeno immaginare che l'altro lo vigila con occhio acuto,
lo protegge con la passività, gli agevola la via: e quando l'attore ha
eseguito e stupidamente s'è lasciato cogliere, subentra lo sfruttatore, che con
calma, con la sicurezza di chi non ha fatto nulla ma ha lasciato far tutto,
gode il beneficio del crimine... Molti di questi delinquenti vivono, amica
mia, forse intorno a noi, e ci toccan del gomito e ci dànno la mano: gli
uomini non li raggiungeranno mai con la loro giustizia imperfetta. Bisogna
lasciar questo compito a Dio, e qualche volta egli pure se ne dimentica.
- Dunque non avete prove - interruppe Clara vivamente. - E senza
prove, per un'antipatia personale, per una volgarissima rivalità, venite qui
ad accusar di complicità in omicidio l'uomo che domani mi darà il suo
nome?
Ed aggiunse con amarezza profonda:
- Bisogna che vi abbia amato come raramente si ama, per lasciarvi
ancora parlare.
- No - dissi. - Dei due, sono io che da oggi una più gran prova
d'amore.... Non sapevo forse che il mio tentativo è senza speranza? Mi
sarebbe costato poco tacere, lasciarvi fare, e godere intanto la vostra
presenza, quell'amicizia che ancora alcuni minuti or sono non mi negavate.
Ho voluto farvi partecipe delle mie ansie, dellla mia certezza spaventosa, e
non avendo nulla per trattenervi, debbo almeno gridarvi con tutta l'anima,
con tutta la passione di cui mi sento capace, che voi state per commettere
un orribile errore... Vi perdo per aver voluto salvarvi: e poiché sono
sincero, non ho alcun obbligo di reticenze e di sottintesi.
Seguì un breve silenzio; afferrai sulla specchiera le rose che Clara s'era
tolte dai capelli, e in quel viluppo, come nel seno turgido di una donna
viva, tuffai il volto che mi bruciava.
- Del resto - ripresi con impeto subitaneo - c'è qualche cosa più
alta che non la prova materiale: qualche cosa più sottile, quasi
inafferrabile, qualche cosa che è dovunque e in nessun luogo, e che tuttavia è
impossibile recare innanzi a una corte di giustizia o a un collegio di giurati.
Intendo ciò che volgarmente si chiama la convinzione morale. Perché voi,
ad esempio, se domani mi sapeste accusato di falso in scrittura o d'un
furto, e se anche tutte le prove, per una fatalità, testimoniassero contro
di me, perché voi non crederete all'accusa? Badate: a voi pure si
chiederebbero delle prove da contrapporre alle accusatrici: e voi pure non
potreste recarne una sola, non avreste che la vostra intima persuasione, la vostra
coscienza, la vostra fiducia, la vostra certezza. Mi si condannerebbe perché
c'eran le prove, mentre voi senza prove, m'assolvereste: precisamente come
io, senza prove, accuso il barone, che il tribunale non poteva nemmeno
sospettare! Avete qualche cosa da opporre a tutto ciò? Sapete voi che ogni
giorno, ogni ora si commettono delitti, dai minimi ai massimi, dei quali
non si avran mai le prove, e che rimangono quindi impuniti, o puniti solo
in parte, o affatto sconosciuti? Vi sono degli istigatori, i quali per anni
coltivano nell'animo altrui, abilmente, sagacemente, l'odio contro una
persona che non oserebbero mai affrontare: andate a cercar le prove di questa
delinquenza nell'ombra; dite, dunque, ai giudici che l'esecutore materiale
del crimine non è se non la creatura malefica foggiata dall'opera diuturna
di qualche misterioso consigliere! I giudici non giudicano che il fatto: le
parole sono imponderabili, e furono pronunziate in momenti nei quali
nessuno poteva udire, fuor di colui che era cercato, attorniato, istigato. L'uno
finisce all'ergastolo; e l'altro si sbarazza insieme di lui e della vittima che
a lui da lungo tempo andava additando. Avete nulla da opporre a tutto
questo?.... E le folle, come agiscono, se non per ordini subitanei di capi che
poi non si trovano più, sbucati da non si sa dove, fantasmi d'un'ora? Si
ode una voce più forte che suggerisce: e la folla si lancia, e gli imprudenti
si scoprono, si lascian pigliare; l'anima della folla è sconosciuta: chi la
comanda è anonimo e rimane tale. Qualche volta assiste al processo in cui
si condannano i bruti che l'obbedivano; e ride. Andate a cercar le prove
contro questo anonimo: dite ch'egli ha sapientemente approfittato del
tumulto, della bestiale esaltazione di tutti per un suo scopo segreto, per una
vendetta, per lo sfogo di una antipatia! Cose impossibili a provarsi; non si
condannano i fantasmi; si condannano gli imbecilli che non dicevano nulla
ma facevano qualche cosa. Ora: vi sembra giusto quanto dico? non
trovate niente di straordinario in queste osservazioni?
- No -rispose Clara agitata. Finora avete ragione: non dite nulla
di nuovo e di strano.
- Ah, se potessi persuadervi! - esclamai, quasi con un grido,
avvicinandomi alla donna e sedendomi ai suoi piedi sopra un piccolo sgabello
che le stava innanzi. Le presi una mano, la tenni fra le mie, e continuai
ansiosamente: - Ascoltami ancora, Clara, cerca di comprendermi; lasciami
parlarti come un fratello..... Non ti sembra che io sia buono, che il mio
amore si purifichi in questa lotta disperata in cui tutto è contro di me?
Senti che io soffro molto e che il tuo avvenire mi interessa più che la vita?
La donna che mi guardava col capo lievemente inclinato, non rispose,
ma la stretta della sua mano si fece più forte. Così vestita come per una
ricca festa, con quell'abbigliamento il quale svelava la sua civetteria e le
leggere occupazioni della sua vita, ella ascoltava le cose tristi e cupe che
la mia anima esacerbata sfrenava dal suo intimo; e quel discorso di
assassinii e di delitti in quella camera piena di luce, innanzi a quella donna
seminuda come per un ballo, era l'espressione d'una realtà ch'io viveva, e
pareva il sogno d'un ammalato.
- Dunque - ripresi - tu convieni che vi son dei delitti dei quali è
impossibile trovar la prova? Tu intuisci, se non sai per esperienza, che si
chiama delinquente abile solo colui il quale non agisce, ma sospinge altri
ad agire o sfrutta la passione altrui, qualunque ella sia.
" Non prevedere, lasciar fare, commettere qualche imprudenza, son
cose di tutti i giorni; chi può condannare anche solo moralmente l'uomo,
il quale non ha previsto una sciagura? Egli sarà troppo fiducioso, o
mancherà di acume psicologica, o avrà troppa buona fede: in ogni caso, la sua
innocenza è fuori di discussione; potremo compiangerlo per la ristrettezza
della sua mente, non mai additarlo come complice di un reato.... Ebbene,
amica mia, i delinquenti più scaltri trovano qui, in questo seguito di cose
candide, quasi stupide, trovano il loro metodo e la loro salvezza. Avvenuta
la catastrofe essi per i primi ne piangono, perché apparentemente ne furono
i più colpiti: hanno perduto il fratello, l'amico, la compagna della loro
esistenza; ben è vero che la loro cecità fu causa per la quale il reato si
potesse commettere; ma essi sono uomini puri, che si fidano, e nessuno
ha l'obbligo d'antivedere o di sospettare il prossimo. Il compianto generale
segue la vittima ed il superstite; la vittima non parla più e il superstite
parla per quattro, assicura che quella morte sarà fatale anche a lui, che
egli non meritava tale sorte orrenda; e intanto ordina funerali magnifici,
i quali attestino anche agli estrenei, anche ai passanti ignoti, l'affetto che
lo legava all'estinto. Il superstite non poteva prevedere, certo, che una
mano assassina si levasse sul capo dell'adorato; ma può spendere qualche
migliaio di lire in carrozze e fiori; e li spende, e guai se non li spendesse!
11 mondo comincerebbe a susurrare.... C'è forse tra la folla degli
spettatori, qualcuno che vede più oltre, qualcuno che, come me, risente ad un
tratto un'impressione sinistra e non se la spiega. Questo osservatore si
chiede: " Come mai un uomo, il quale ha sempre dato prova d'intelligenza,
di spirito fine, di prontezza, è divenuto ad un tratto uno sciocco, un gonzo,
lo zimbello di un criminale comune?". Ma se, tra la folla degli indifferenti,
c'è questo scettico, egli non paria..... Non ha nulla da dire, mancano le
prove; il mondo, la stampa, i giudici, tutti sono accontentati: sarò dunque
io, io solo ad accusare, sarò io solo a gridare: " Costui non ha visto perché
ha chiuso gli occhi?! " Ma che! La vittima tace per sempre; ella potrà
accusare più in alto: gli uomini vogliono le prove. Io non ho prove, e se
parlo, mi si condanna ad una pena, la quale mi rende anche ridicolo....
Dunque non parlo, e lascio che ciascuno viva tranquillo; se c'è un
tribunale con un Giudice supremo ed infallibile, viviamo felici: colui che ha
fatto uccidere, sarà punito ineffabilmente.... E se questo Giudice è una
finzione della nostra fantasia, è la creazione delle nostre povere anime inermi,
ebbene, tanto peggio per noi: chi ha fatto uccidere, è il vittorioso; egli
ha distrutto un'esistenza, di cui nessuno gli chiederà conto.... Dunque io
non parlo....
- Oh, ditemi, per carità - interruppe Clara, chinandosi ancor meglio
verso di me. - Ditemi che cosa sapete di lui.... Mi fate paura....
Ah, ti faccio paura Clara! - esclamai - Sì, devi aver paura di
te stessa, se le mie parole non ti convinceranno!..... Perché, anima mia, io
non ho che parole, io non ti reco innanzi che una storia d'impressioni; ed
essa è terribilmente difficile a narrarsi, terribilmente difficile a sentire.... Ti
ho detto che in tutt'altro caso io non parlerei; ma parlo per istrapparti a
quelle mani, all'orrore che ti aspetta; al risveglio spaventoso che non può
tardare... Io non so se tu ami colui. Che mi importa, quando non ami più
me? E se non fosse stato questo, un altr'uomo ti avrebbe presa e
conquistata e fatta sua e legata a sé per tutta la vita! Non è dunque l'odio per
colui che ti sposa, quel che mi fa parlare; ma il bisogno, la necessità sacra
di sottrarti a un pericolo orrendo. Poi me ne andrò, riprenderemo ambedue
la nostra corsa all'ignoto; ma ti saprò liberata da una minaccia, liberata per
opera mia, e questo mi sarà sufficiente.....
- Ti senti male? - domandò la giovane quasi sottovoce. - Hai le
mani fredde: sei molto pallido.
- No, no, no - risposi bruscamente. - Lasciami seguire il mio
pensiero. E' questo pensiero, che mi tale, e nulla può guarirlo. Devo
raccogliermi per ricordare..... Non interrompermi.
Liberandomi dalle mani di Clara che in quell'istante forse non vedevo
nemmeno, ripresi a passeggiar per la sala; e parlai senza guardare la donna,
lentamente, cercando d'esprimere a me stesso, con lucidità, quell'intricato
viluppo d'impressioni.
VII
- Egli, - dissi lentamente, - egli è di cotesta razza d'uomini che
paion vivere, come tutti, alla luce del sole e lavorano nell'ombra. La sua
anima percettibile è un'anima comune; la sua vera anima in cui si
dibattono i pensieri, le ansie, in cui si svolgono le idee intime e si maturano i
disegni, è un'anima fredda e cupa. Ha una passione, unica e divorante:
il giuoco; ma da quando ha conosciuto Clara non giuoca più; sa dominare
la fiamma che gli brucia le mani; si sottrae ogni giorno, ogni sera, all'istinto
che lo spinge, alla necessità quasi fisica di toccar le carte, di sentire il
tintinnìo dell'oro, di provar l'emozione spasmodica che produce la carta
ancora ignota, col suo tergo a rabeschi senza significato.... Perché questa
virtù faticosa? Si può supporre ch'egli sia ravveduto, oggi, per miracolo,
senza pressione di necessità grandi? Vi sono due necessità grandi, le quali
lo obbligano a vincersi: il suo atto finanziario e l'opportunità di non
svelare a Clara questa piaga insanabile. Si ripiega e attende... Cercava la
donna ricca, da tre anni, da quando ancora sua moglie era viva.... Me
l'hanno detto: è vero. Pensiamo a questo fatto curioso; con la moglie viva
al suo fianco, egli si mette alla caccia di un'altra donna, più ricca; per che
farne? O la moglie muore, ed egli passa a seconde nozze; o la moglie vive,
ed egli nella nuova conquista si fa l'uomo di fiducia, l'amministratore astuto,
lo speculatore. Abbiamo già, dunque, due note assai caratteristiche: la
passione del giuoco e la capacità ad approfittare della roba altrui.... E ce n'è
una terza, la quale sembra comica o almeno innocua: egli ha una
collezione di minerali, egli si cammuffa da pedante, vive gran tempo fra i libri,
così come taluni si mettono sul naso un paio d'occhiali scuri per
nascondere la luce inquieta e sinistra dello sguardo.... Ma frattanto la sua ricerca
non dà frutto: la donna ricca e libera non si trova: egli nasce invano dalla
solitudine della villa e rinunzia invano al giuoco per frequentare i ritrovi;
va, sempre solo, senza impacci, a Milano; vi resta a lungo,
apparentemente per la sua manìa di studii, in realtà per giuocare e conoscere gente
e stringere amicizie, che lo portino all'incontro sospirato. Nulla! Al giuoco
seguita a perdere, nei ritrovi non gli avviene di scorgere alcuna conquista
utile... Allora pensa ciò che è, senza più cercare quel che sarà o non sarà
forse mai: la moglie ha delle terre, in Valtellina e sul lago: bisogna
persuadere la moglie a vendere. Come persuaderla, come vincere la riluttanza
della povera donna, la quale non vuole spogliarsi di quelle ricchezze per
favorirne l'uomo che la neglige, che l'abbandona in una villa, estate e
inverno, che non ha occhi per le sue sofferenze, non ha orecchie pe' suoi
lamenti! E' impossibile ottener nulla; avvengono scene brutali; tutto il paese
ascolta e sa; una persona da me interrogata, attesta che i coniugi si
odiavano a morte, che la baronessa piangeva, che il barone cercava un'altra
donna...... Spossato da quella lotta infame, costui sembra perdere anche le
abitudini più inveterate: non corre più a Milano, si seppellisce egli pure
in quel paese del lago; è un periodo di cogitazione scura e quasi feroce.
Dal processo risulta che per sei mesi il barone stette in casa e passò
intere giornate in biblioteca; il pubblico ha avuto un fremito di ammirazione
per il dotto signore, che studiava tanto e non produceva mai nulla!
"E vivendo così, i suoi sguardi cadono sopra un famiglio, un mozzo
di stalla, che ruba. Il barone, prima d'ogni altro, se n'è accorto, perché
cotesto Boldrella ha la stupidaggine di rubare a lui, proprio al barone, tanto
per cominciare: e gli ruba il fieno e la paglia e la biada dei cavalli, e àltera
il prezzo delle ferrature, e inventa riparazioni da farsi alle carrozze, alla
scuderia, alla rimessa: quando le riparazioni son necessarie davvero, ci si
ingegna da solo, ma abusando della fiducia che tutti sembrano nutrire per
lui, mette in conto la spesa del fabbro, del legnaiuolo, del maniscalco, ai
quali dà appena un terzo dei lavori da farsi. Il barone, che ha sempre
posseduto cavalli e sa a memoria i prezzi delle biade e di tutti gli arredi, non
dice parola: sta ad osservare, e paga.... Perché?.... Gli è balenata subito
un'idea?... E' impossibile penetrare nella tenebra di quella coscienza; forse
aspetta che il ladro si tradisca in modo irreparabile, per consegnarlo ai
giudici.... Forse è distratto e preoccupato, perché nuove scene avvengano tra
lui e la baronessa: egli soffre in quella prigione volontaria: egli non gode
più l'inebriante sensazione tattile delle carte e dell'oro giallo, così giallo
sotto la luce serale!
" E perciò ritenta la prova, cerca di vincere la moglie e di spingerla a
vendere.... La baronessa rifiuta; il barone ricade nella vuotaggine della sua
odiosa vita di finto scienziato... Un giorno, innanzi al Boldrella che ha
tentato un colpo audace, egli non sa frenarsi: il Boldrella gli ha detto che la
biada è finita e bisogna comprarne; il barone lo guarda, gli ordina di
seguirlo, va diritto a un nascondiglio e gli mostra la biada, che il Boldrella
aveva celato là, per intascare i quattrini della nuova compera e introdurre
in casa dei sacchi colmi di sabbia, come ha fatto altre volte.... Il Boldrella
si sente perduto e grida al tradimento, e accusa un nemico, un nemico
introvabile, che gli avrebbe giuocato il brutto tiro. Egli fa finta di credere,
dà ordine di vigilare perché nessuno, all'infuori del Boldrella, possa entrare
ove si conserva la biada; e al Boldrella perdona, o meglio lo manda via
con un sorriso, che sembra una domanda di scusa. Quando, al processo
è risultato questo, il pubblico diede in una risata: che brav'uomo, quel
barone! come si fida! come si vede che ha la testa ad altro!..... Che cosa
avviene a questo punto? Quale voce ha parlato nel cuor del ladro? Ha
egli osato alzare gli occhi fino al suo padrone e l'ha giudicato
audacemente un'anima gemella? Non credo: non poteva arrivare a veder così
addentro e così lungi.... Egli, dal giorno in cui il barone l'ha atterrito e
perdonato, non ruba più; non ruba più al barone, intendiamoci; ruba alla
baronessa..... Perché egli pure, cotesto Boldrella, l'assassino di domani, egli
pure ha il suo miraggio, la sua idea ossessionante: l'America! Iddio solo
sa ciò ch'egli veda dietro questa parola, che cosa gli abbian narrato di quel
paese; ma egli è tutto per l'America; egli per l'America ruba, per
l'America uccide, per l'America muore in un ergastolo.... L'America è per lui ciò
che il giuoco è per il barone; così a tale distanza di condizioni sociali,
due uomini sotto il medesimo tetto vivono serrati in un medesimo bisogno
di tentar qualche cosa, di fare qualche cosa per soddisfare a due passioni
diversissime in apparenza e identiche nella cieca loro indomabilità....
VIII
Clara si levò d'improvviso.
- Taci, - disse. - Egli ritorna
Io mi arrestai ascoltando: si udiva una carrozza avvicinarsi velocemente.
- Verrà qui? - domandai.
- No. Riaccompagna miss Lucy.....
- E miss verrà qui? - domandai di nuovo.
- No, ripetè Clara.
Andò alle porte, le chiuse a chiave rapidamente, e tornò verso di me.
- Che fai? - dissi. - Tutti sanno che tu sei con me....
- Non importa, non importa, rispose Clara. - Non m'importa più
di nulla; pensino ciò che vogliono. Non uscirai se non quando avrai
narrato tutto.....
La guardai: era pallidissima; il seno le ansava, le tremavano le labbra.
Quello spavento indicava forse la mia vittoria prossima, la sua salvezza.
- Bevi, - dissi offrendole una coppa in cui avevo versato dell'acqua.
Bagna le labbra.
Ella accostò la tazza alla bocca; io bevvi ciò che rimase.
In anticamera risonarono delle voci, mentre in istrada la carrozza
riprendeva la sua corsa. Bussarono all'uscio, e s'udì miss Lucy.
- Sono tornato donna Clara, Avete ordini?
ordini?- Sì - rispose Clara, accostandosi alla porta senz'aprirla. - Vogliate
dire a Geltrude che vada a letto senz'aspettarmi....
- - Sei pazza! - susurrai.
- Va bene, va bene donna Clara, - rispondeva già miss Lucy: e
aggiunse con voce insolitamente gaia: - Molto bella, lo spettacolo
spettacoloPoi s'allontanò, e la casa tornò nel silenzio.
- Ora, siamo liberi, fino all'alba,se occorre, - disse Clara. - Non
sei stanco? Puoi continuare?
- Che pensi? - le domandai con impazienza.....
Ella fece un gesto, perduta; in quell'attimo era mia, io le aveva
trasfuso tutti i miei pensieri, io la faceva vibrare con le mie parole, io la
conduceva per mano attraverso il laberinto d'anime oscure.....
- Se ti salvo, - le dissi stringendomela al petto con veemenza
morirò di gioia.
Ella sorrise un poco e si sciolse dall'abbraccio.
- Continua, dunque, - riprese. - Non ti interromperò, lo prometto.
Ho bisogno di sapere. Sarò buona come una bimba.
E s'adagiò sul divano, affranta.
IX
- Ecco, ecco, dunque, - seguitai, riprendendo a passeggiare e a
parlare lentamente. - Dal giorno in cui il barone l'ha sorpreso, il Boldrella
non ruba più; ma di notte s'arrampica sul granaio, studia la topografia,
sposta alcune tavole, che al mattino rimette al posto con cura. Da quel
varco, egli può introdursi in casa: la sera va a coricarsi in iscuderia e!a
notte lo troviamo a piedi scalzi a vagabondar dentro la villa, per
apprendere esattamente dove dorme il barone, dove dorme la baronessa, a che ora
si ritirano, e dove dormono i servi. Intanto ruba con discrezione un po'
di legna dal granaio; poi un'altra volta osa giunger fino alla guardaroba
e fa un bottino così modesto, che solo una settimana dopo se ne accorgono.
Ma egli spigola in un campo assai più pericoloso dell'altro: ruba alle donne,
e le donne si spaventano e strillano facilmente; la guardarobiera denunzia
il fatto alla baronessa; questa, al barone.... E qui viene la prova morale,
inconfutabile, amica mia! Il barone sapeva, con esattezza matematica, dove
porre la mano per acciuffare il farabutto; ma, alle parole della moglie, fa
finta di cascar dalle nuvole. " Chi può essere? - dice. - Qualche fornitore
della villa senza dubbio! E dà ordine di vigilare i fornitori, egli che
conosceva così bene i nascondigli ove il ladro riponeva la roba sottratta!....
Nel suo interrogatorio ha detto che dell'episodio della biada s'era affatto
dimenticato, e il giudice istruttore s'è inchinato a questa magnifica
giustificazione! Era così assorto nei suoi studii da dimenticare talora di far
colazione; perché non poteva dimenticare un furterello, che tale apparve solo
quando non si svelò tutto il resto?.... Notiamo però: innanzi al giudice
inventa; ma nella prima sorpresa del crimine, all'apprendere il nome
dell'assassino, gli era sfuggita una parola gravissima. " Già, me lo
immaginavo! " aveva detto a una giovane del paese. La giovane non tu
citata al processo; e del resto si sa che tipi diventano i contadini innanzi
a un tribunale; non ricordan più nulla, tremano, balbettano e si
contraddicono. Io riuscii a cavar dalla bocca della giovane questo ricordo,
semplice ed eloquente, perché non sono un giudice.... Per qualche tempo, alla
villa Scavolino, si stette assai male: tutti si sentivano sospettati e tutti
sospettavano; la baronessa pensò di congedare quanti erano alle sue
dipendenze: poi, sola, senza consiglio, abbandonata com'era, paventò qualche
vendetta, e non osò nulla. I furti cessarono, per breve; la vita rientrò nella
sua abituale monotonia: su, a destra della villa, abitava e viveva
tristemente la baronessa; giù, a sinistra, il barone si logorava l'anima a
escogitar espedienti per trovar quattrini.....Vuoi darmi un po' d'acqua?...
- Siediti, - disse Clara, versandomi da bere. - Siediti qui vicino a
me: riposati un istante.
- Che ora è? - chiesi, rimettendo il bicchiere sulla tavola, e sedendomi
presso Clara, che rimaneva sdraiata.
- Quasi la una, - ella rispose. - Ma non importa: è fatta ormai!
Non potei vincere un interno moto di gioia: comunque fossero per
finire, quell'episodio notturno, quella mia visita sospetta, avrebbero
ritardato il matrimonio, forse lo avrebbero reso impossibile; e il gusto di piantar
così un dubbio atroce nel cuore dell'uomo che odiavo, mi parve squisito.
- Ora, - dissi, riprendendo il racconto con nuova lena, - abbiamo
due fatti quasi contemporanei, i quali ci svelano che nessuno dei due figuri
aveva rinunziato alla propria idea. Il barone torna a mettere in campo le
sue pretensioni di vendite e di denaro; il Boldrella, gironzando un giorno per
la casa, trova aperto l'uscio della camera da letto della baronessa. Nella
camera non c'è alcuno, ma sul tavolino d'abbigliamento, fra mille ninnoli,
luccica un anello dimenticatovi un istante; la tentazione è troppo forte:
all'occhio avido del ladro, quell'oro e quelle pietre rappresentano una
somma favolosa, forse il coronamento di tutta la sua opera paziente, certo
il viaggio e il soggiorno in America. Vi pianta l'artiglio, e poi, rapido e
silenzioso, sale fino al granaio, sposta le tavole, dà un'occhiata in giro, si
cala nel giardino, scivola in iscuderia. La baronessa che passa qualche istante
dopo, vede il Boldrella tutto affaccendato a smuovere la lettiera e a
rinfrescarla con nuova paglia. Chi sa se nel cuore dell'infelice un pensiero di
benevolenza non è sorto per il giovane laborioso il quale si guadagnava così
faticosamente la vita!.....
" Un'ora dopo, la signora corre in biblioteca a denunziare il furto;
anche il barone si scuote; promette di chiamare i carabinieri, di far
perquisire tutte le persone di servizio e raccomanda alla baronessa di
vigilare specialmente la cameriera, poiché questa sola si trovava o doveva
trovare a quell'ora nella stanza. La signora insiste perché la perquisizione
si faccia subito, all'improvviso, senza intervento dell'autorità; il barone fa
osservare che l'anello non può essere più in tasca del ladro, e che scoperto
questo, bisogna consegnarlo subito ai carabinieri, che se lo portino via;
dunque i carabinieri sono indispensabili; non precipitiamo: prima i
carabinieri, poi la perquisizione.... Notiamo che il barone è uomo forte e
coraggioso, e che siamo in pieno giorno! In una camera, fino al sopravvenire della
autorità. Invece, quale prudenza! Come calcola i pericoli fantastici! Per
acciuffare il ladruncolo, gli abbisogna una legione di carabinieri, un esercito;
ancora un po' e pretenderà l'artiglieria!.... Di questo grazioso episodio s'è
riso molto al processo: il pubblico che non potè vedere il barone perché
malato, si imaginò un omuncolo vigliacchetto e deboluccio, una specie di Don
Abbondio senza il tricorno; qui dove la sua condotta comincia a diventar
quasi imprudente, la comicità di tante precauzioni coperse il vero fine
dell'individuo.
" Meglio ancora quando si seppe che d'improvviso il barone era partito
quel medesimo giorno con l'ultimo battello a vapore. Aveva pretestato una
lettera urgente arrivatagli allora, la quale esigeva la sua presenza a Milano.
Il presidente delle Assise non potè trattenersi dall'osservare che il barone in
quel momento, era stato temerario Temerario, senza dubbio, ma a spese
altrui: egli arrischiava, con un coraggio leonino..... la vita di sua moglie!
Egli, che aveva dovuto confessare la necessità di chiamar la pubblica forza
per difendere i propri averi, forse la propria esistenza, lascia la casa ad un
tratto, lascia una donna in balia dell'ignoto e corre ad un supposto
convegno di non sappiamo chi, di non sappiamo che cosa! Il Boldrella compiuto
il furto, non era potuto rimaner tranquillo: qualche ora dopo essere stato
visto in iscuderia dalla baronessa, attacca i cavalli ed esce per muoverli.
" Ha paura: alcuni che l'hanno incontrato sulla strada comunale,
dichiararono che aveva spinto i cavalli a corsa velocissima, e li sferzava, li
eccitava con la voce a rischio di non dominarli più.... Ha paura: la sua
opera diuturna e scaltra sta per essere svelata: bisogna giuocare una carta
ultima, o veder tutto miseramente perire. Ma che fare? Quale occasione gli
si offrirà? e quando?..... Ha udito susurrar di perquisizioni, di carabinieri,
di arresti. Forse, tornando a casa, troverà il maresciallo sulla soglia.... Sarà
difficile provare che il ladro è lui, perché la refurtiva è ben nascosta: ma
intanto possono tendergli qualche tranello.... Poi il barone ricorda l'episodio
della biada, e lo narrerà e quello sarà il filo conduttore che dipanerà la
matassa.....
" Lentamente, coi cavalli stanchi, verso sera egli si decide a ritornare;
passando il cancello, non vede alcun carabiniere; tutto quieto, monotono e
triste come ogni giorno.... Che più? In breve, egli viene a sapere che il
barone è partito per Milano. E' un lampo di luce! L'occasione si offre da sé,
nessuno l'ha cercata, bisogna approfittarne; pazzo chi non ne approfitta!.... Ma
la baronessa?.... domanda; e il massaio, che, da galantuomo, ha l'antipatia
istintiva per i mascalzoni, non gli risponde. " Che volete saper voi? " gli
dice il massaio.
"Ah non vuol parlare? Ebbene, il Boldrella spia; egli conosce le
abitudini di tutta la casa e vede che le abitudini non si ripetono: la finestra della
baronessa ha le gelosie socchiuse: alla sera non le recano il tè, come di
solito: la cameriera, contro il solito, va a dormir presto. La baronessa non
si vede, non si sente, la baronessa è partita, la casa è in mano di lui, la
breccia su nel granaio, gli apre il passaggio e stanotte il colpo decisivo, il
colpo maestro sarà compiuto. Il Boldrella ha qualche ora di gioia incontenibile.
L'America è nel suo pugno, come le casa del barone! Egli canta,
in iscuderia, canta sfrenatamente, di gioia spaventosa.....
- Come sai tutto questo? - interruppe Clara, drizzandosi a
guardarmi.
- L'ha confessato lui, capisci? Ha confessato che la partenza del
barone gli diede l'idea di finirla con un colpo d'audacia.... Era un'attenuante
per l'assassino: ma i giurati la respinsero, nonostante gli sforzi del
difensore.... Poi, il resto fu narrato dai testimoni e confermato a me da gente
del paese.....
-Ah, che orribile, che orribile cosa! - esclamò la donna, serrandomi
le mani. - Non potrò più reggere alla sua presenza: mi sento un brivido
freddo, pensando che egli è stato qui, ha toccato le mie mani, e verrà
ancora.....
- Vedremo, - dissi. - Ora ascoltami per poco; ho quasi finito.
- Si, sì, ti ascolto.... Ma tu, dimmi, tu l'hai veduto, l'assassino?
- Il Boldrella? Certo, per una settimana, ho passato lunghe ore a due
passi da lui, perché col mezzo di certi amici avvocati m'ero fatto dare un
posto, sotto la gabbia..... Allora non imaginavo che avrei parlato tanto di
lui, e a te, in questa notte!.... Piccolo e magro, sembrava lo si potesse
atterrare con una stretta, ed era un uomo che sollevava un peso di cento chili
senza difficoltà.... Aveva occhi rotondi, come quelli del gufo, e lucentissimi:
baffi scuri che gli celavan la bocca; fronte stretta, zigomi sporgenti, le
tempia appiattite; non aveva mento, quasi: pareva che il volto finisse con i
baffi; colorito pallido. Il suo sguardo non si poteva dimenticare; dritto,
fisso, indagatore; nè si potevan dimenticare le sue mani, enormi di
lunghezza e sempre instabili.... Quando lo conducevan nell'aula, non se ne
udiva il passo: egli compariva, si sedeva; e risuonava appena il
chiavistello della gabbia; il suo passo era sordo, quasi egli camminasse sulla
bambagia.....
" Fu quest'uomo, o meglio questa faina, questa volpe, quest'animale da
preda, che spaccò il cuore alla giovane signora!
- Come avvenne, di', come avvenne? - domandò Clara, guardandosi
istintivamente attorno e stringendosi nella mantiglia. - S'è saputo bene?
- S'è saputo molto e s'è indovinato il resto, - seguitai. - Pare che
dopo una serata tristissima, in cui non volle veder nessuno, nemmeno la
cameriera, dalla quale pure si sapeva amata, la baronessa si sia coricata
affranta, e che verso le due di notte, quando il ladro cautamente forzò
l'uscio, ella non abbia udito. Dormiva, come si dorme dopo aver pianto
molto. Il Boldrella, sicuro di non trovare alcuno, entrò e si diresse a uno
stipo ch'egli sperava di forzare come l'uscio. C'era la luna, e un po' del suo
chiarore penetrava nella camera tagliandola quasi a metà; ombra dov'era
la giovane signora coricata: luce dov'era il Boldrella.
" La baronessa si sveglia e vede; non grida, non dà l'allarme; forse
non osa; si lascia scivolar dal letto, e lestamente cerca di uscire per
chiudere il ladro in trappola..... Ma il letto ha scricchiolato; il Boldrella si volge,
si sente perduto, non ha nemmeno il tempo di meditare un piano....
- Dio! - esclamò Clara con un brivido, che la scosse.
- Fa un balzo alla porta, verso la figura bianca: la vede in faccia,
l'afferra, le chiude la bocca con la mano enorme e terribile: "Non gridare!
- dice come in rantolo - non gridare, o sei morta! " Ma la baronessa, si
divincola. L'orrore è troppo forte: lei, quasi nuda. fra quelle braccia!
- Ah, non dire, non dire più nulla! - mormorò Clara.
- Ella si divincola per fuggire: egli la serra sul petto in un abbraccio
spaventoso, e colla mano libera cerca in tasca, trova una lima acuminata, la
vibra nell'aria, l'affonda nel seno palpitante della donna, che gli manca
tra le braccia, senza un grido.... Tutto questo in un attimo, in un lampo,
sulla soglia, quasi senza parole.....
Vi fu un lungo silenzio. Clara piangeva, come aveva pianto l'umile
Anastasia, al ricordo della scena: e lo spettacolo di quelle donne che davan
le loro lagrime più pure alla memoria della sacrificata era tenerissimo e
nobile. Non diversamente, forse, le belle giovinette pagane piangevano la
compagna immolata a qualche barbarica cerimonia.
- Ho fatto male a raccontarti tutto? - domandai sottovoce,
accarezzando lievemente la mano, che Clara aveva abbandonato lungo il fianco.
- No, hai fatto bene: devo sapere, fino in ultimo, - ella rispose con
impeto. E guardando un piccolo orologio, che stava in un angolo, sopra una
mensoletta, aggiunse: - Sono appena le due. Abbiamo tempo....
X
Il delitto - seguitai - era stato commesso stupidamente, perché
imprevisto; la più volgare prudenza insegna a non effondere sangue: lo
strangolamento lascia traccie incancellabili sul corpo della vittima, e non ne lascia
nessuna indosso all'assassino. Ma in quell'attimo di terrore, il Boldrella non
deve avervi pensato: era una belva sorpresa, aveva un'arme in tasca, e si
servì dell'arme, ciecamente, bestialmente, per sfuggire intanto il pericolo
d'essere svelato dalle grida della donna. L'avrebbero accalappiato lo stesso,
ma così lo accalappiaron meglio: il sangue gli aveva inzuppato l'abito, la
camicia, il panciotto. " Pareva vestito di rosso " ha detto un testimone, con
una frase che non potei dimenticare.
- Sì, è crudele! - esclamò Clara.
- Eppure, credi? Quest'uomo, adagiato il cadavere sulla soglia,
dev'essere stato in ascolto qualche tempo, e tanto poteva in lui la cupidigia
sfrenata che, fatto sicuro dal silenzio sepolcrale della casa, scavalcò il corpo
sanguinolento, e continuò a forzare lo stipo! Lo si è compreso dalle tracce di
sangue onde lo stipo era chiazzato, le quali non si spiegano diversamente.....
La bestia si serviva della stessa lima che aveva trapassato il cuore della sua
vittima.
- Era un mostro, un mostro! - sussurrò Clara, gettando una torva
occhiata all'ingiro.
, Ma la lima si ruppe nella fessura dello sportello, e alcuni arnesi di
ferro che l'assassino stringeva gli caddero dalle mani, con fragore enorme nel
silenzio notturno. S'udirono le grida delle donne, accorsero il massaio, i servi,
sopraggiunse qualche contadino e la belva fu agguantata.....
XI
Dopo questo racconto, mi sentii stanco, e mi abbandonai con la testa
all'indietro, sulla spalliera del divano, a occhi chiusi. Clara, vicina a me
restava quasi senza respiro, attonita; per qualche minuto, nessuno pensò a
parlare.....
Udii la donna sorgere a un tratto sbarazzandosi della mantiglia, e
muoversi. Apersi gli occhi, guardai: era innanzi allo specchio e si scioglieva i
capelli, abbandonandoli giù per le spalle come un torrente d'oro. Nello
specchio mi vide, e disse con voce spenta:
- Perdonami: ho male alla testa; non posso reggere questo peso... E
tu? Sarai malato anche tu?
Ella mi stava di fronte, magnifica d'eleganza e di sveltezza giovanile....
Era costei, che il barone Lorenzo voleva per sé! Egli intendeva farsene uno
stromento di ricchezza e di piacere; possederla come uomo, e profonderne gli
averi per la sua insaziabile passione del giuoco....
Mentr'ella si chinava sollecita verso di me, ripetendo: "E tu? Sei
malato?" io l'allontanai con la mano, freddamente, senza rispondere.....
- Che hai? - domandò Clara stupita. - Che t'ho fatto?
- Nulla, nulla, perdonami tu pure! - io dissi. - Non sono malato;
sono orribilmente nervoso.....
La donna restò a guardarmi, senza muoversi. Io sentiva dal cuore salire
e prorompere un'ira, una gelosia, un rancore selvaggio; e in silenzio mi
dibattevo contro questi sentimenti inaspettati e indomabili..... Poscia, dovetti
cedere: mi levai quasi di scatto, presi la donna per mano e la condussi allo
specchio.
- Guàrdati! - dissi.
- Ebbene? - ella domandò senza comprendere.
- Non sei bella? - ripetei. - Non senti d'esser bella?....
- Oh! - esclamò la giovane, quasi offesa. - Che cosa pensi in questo
momento così doloroso?
- Sì, in questo momento così doloroso, - ripetei, - è strano! In questo
momento così tragico, si risveglia nel mio cuore un odio senza nome per te.....
Guàrdati nello specchio, guàrdati dunque, guarda il tuo volto, guarda il
tuo collo, il seno, le braccia, i capelli, guàrdati la bocca....
E aggiunsi sottovoce:
- A chi volevi darti, tu?
Clara liberò la mano bruscamente e s'allontanò dallo specchio, senza
dir parola.
- Non ho il diritto d'odiarti, in questo momento così tragico? -
seguitai. - Ora più che mai, perché ora vivo lontano, tra gli avvenimenti di
tre anni or sono, e ho vista, ho penetrata l'anima di colui che ti vuole, di
colui al quale stai per darti!... Non lo negare.... Sarai sua sua: tu, così bella,
sarai sua!.....
- No; no, no! - interruppe Clara, tornandomi vicina. - Non lo dire
più! Qualunque cosa, piuttosto che questo matrimonio! Mi dà i brividi, mi
fa orrore.....
- Sarai sua, - ripetevo per torturarla, per torturare anche me. - Non
te ne puoi liberare; è impossibile dirgli ciò che pensiamo di lui....
- Farò qualunque cosa, te lo giuro, - esclamò la donna, - ma saprò
liberarmene!
- Ed egli sopporterà qualunque cosa da te, - insistetti. - Ma non
vedi, non vedi che sei troppo bella per potere abbandonarti; non capisci che
si soffre qualunque cosa, pur di averti? Su guàrdati, dunque! Cerca di
comprendere; pensa al nostro passato; ricòrdati ciò che ho fatto io.... Questa
medesima notte non ti dice nulla?.... Non commetto una follìa, ora, qui, in
casa tua, chiuso con te, mentre tutti lo sanno? E che cosa vuoi tu fare contro
di lui? Vuoi accusarlo? Vuoi dirgli ch'egli lasciò uccidere una donna, la
quale egli doveva difendere? Vuoi dirgli ch'egli desidera prima le tue
ricchezze e poi te? Come potrai trovare tutto questo, se io stesso non oso, io
che lo odio con tutta la potenza del mio cuore e del mio cervello? Devi
tacere, devi darti a lui: è troppo tardi; non gli sfuggi più.... Se anche non ti
ama, ha bisogno del tuo denaro.... Sì, la frase è brutale, ma mi piace, perché
è vera!.... E pel bisogno di denaro, se non per concupiscenza di te, egli è
pronto a soffrire qualunque cosa.... Non vedi come s'è adattato alla mia
intimità, come mi accoglie, come mi sorride, come m'invita?..... Io sono il pedaggio:
per giungere a te e al danaro, bisogna soffrire la mia presenza.....
Ed egli ha capito, obbedisce, s'è fatto piccolo.... Ah che cosa puoi contro
simile uomo? Di', che cosa puoi?.....
E ciò dicendo, le afferrai le mani, la scrutai negli occhi, quasi per
costringerla a meditare, per rapirle un'idea.....
- Ci penserò, -.- ella rispose, mentre le lagrime le scendevano per le
guance pallide. - Mi ucciderò, piuttosto.... Ma dimmi: tu che cosa sai di
lui?.... Di che l'accusi?
- E' vero, mormorai. - Di che l'accuso? Non si vede ancora
abbastanza.....
Sedetti, e con la testa fra le mani, guardando nel vuoto, raccolsi il
pensiero, mentre Clara aspettava in piedi.
- E' strano, - dissi lentamente. - Codesta figura è inafferrabile: ora
l'ho viva e chiara innanzi agli occhi, ora si annebbia e mi sfugge, com'è
sfuggita a tutti, ai giudici, al pubblico, a tutti. No, io non l'accuso di
complicità materale; e nemmeno l'accuso d'aver voluta e preparata la morte
di sua moglie; e nemmeno l'accuso d'aver intuito sicuramente ciò che stava
per avvenire. Ma egli desiderava che ciò avvenisse, e ha lasciato crescere di
giorno in giorno la possibilità, se non la probabilità, del fatto....
Mi rivolsi a Clara direttamente.
- Egli è un giuocatore, capisci? Ha la psicologia del giuocatore, ed
ha giuocato una carta. Ha, per così dire, lasciato aperto l'uscio alla fortuna;
non è colpa sua se pel momento la fortuna era rappresentata dal delitto.......
d'un altro! Egli aveva bisogno d'essere libero, poiché la donna da lui sposata
non cedeva alle pretensioni di danaro; la morte di lei significava il largo,
incontrastato possesso d'ogni bene: egli si è augurata la morte della donna,
e, non osando uccidere, si è guardato dal difenderla contro un pericolo.
- Ma tutto ciò è mille volte più orribile dell'assassinio! - esclamò la
giovane, con una smorfia di disgusto.
- E cotesto pericolo c'era, esisteva? - seguitai. - Sì, è indubitabile:
la solitudine della villa e la sua postura a pochi chilometri dal confine
svizzero; l'audacia del ladro, la quale cresceva col crescere dei sospetti, la
condizione disperata di lui, per la quale o perdeva o vinceva tutto in un colpo;
quel medesimo furto dell'anello, commesso nella camera della baronessa, la
soglia della qual camera non incuteva dunque al ladro nè paura nè rispetto....,
Queste erano minacce gravi e continue: supponendo anche l'assurdo,
supponendo il barone ben lontano dall'imaginare chi fosse il ladro, in ogni caso
non era obbligo suo di rimanere presso la moglie? Qual'è l'uomo che
abbandona una creatura debole in condizioni simili, di giorno e di notte?
- Sì, sì - interruppe Clara - sì, è certo, hai ragione: egli ha
desiderato di ucciderla! L'ha data in balìa ad altri, a un'altr'uomo, a un bruto,
perché la finisse!...... Oh! ma non trovo parole per costui: è un rettile. E'
peggio, peggio, peggio dell'assassino che hanno condannato all'ergastolo!.....
Agitata, convulsa, con un singhiozzo violento che pareva romperle il
petto, ella si lasciò cader sul divano, portando le mani fredde alle tempie
brucianti; i capelli d'oro le fluivano giù per il fianco, ed ella s'inchinò
lievemente, si distese quant'era lunga.
- E' il tuo sposo di domani, costui! - dissi.
Ah! ma finiscila! - rispose Clara con violenza. - Non mi vedrà
più! Sii buono, finiscila, non impaurirmi ancora!
Vedendo ch'ella rabbrividiva di freddo o di terrore, presi dal divano la
mantiglia e l'avvolsi attorno al busto della giovane, stringendomela fra le
braccia.
E' l'odio che mi rende implacabile e cattivo - spiegai
sommessamente. Io odio cotesto uomo, non solo pel male ch'egli meditava di fare
a te, ma anche pel delitto che ha commesso contro l'altra infelice. La quale
era bella, m'hanno detto, e gentile e dolce e desiderosa d'amore. Ah, sa
scegliere le sue vittime, con un gusto che par ferocia, colui!... Ma dimmi,
Clara: tu ignoravi ch'egli giocasse?
- Ignoravo tutto, tutto! - esclamò Clara. - Qui a Firenze, come a
Milano, come dovunque, è molto stimato....
- A Milano, però si conosce la sua passione senza freno, - osservai.
- A Milano io non abito; e d'altra parte, una donna sa sempre ben
poco: voi conoscete molte cose, avete il passaggio in ogni luogo; una donna
è schiava, al vostro confronto. Tu stesso, che avresti osato dirmi, se.... se
non ne avessi il diritto pel nostro passato?
- E' vero, - mormorai. - Il mio amore ti ha fatto un po' di bene.....
Clara si tolse alla mia stretta, indovinando ch'io stava per coprirle il
volto di baci; e rispose:
- Ti devo una gratitudine infinita.......
Io scrollai le spalle, sorridendo con amarezza, e la lasciai.
- Non ti basta, è vero? - continuò la giovane. - Devo essere tua,
anche non amandoti più? Non credere ch'io voglia tormentarti con queste
parole: ho per te un'affezione profonda; ma è un'affezione come per un
fratello.... Ciò che si chiama amore, è svanito.
Io ascoltavo, sentendo di non poter nulla rispondere; e poiché stava
silenzioso, pallido, a testa bassa, Clara, dopo un lampo d'esitazione, aggiunse
con voce sommessa:
- Vieni qui.....
Io mi avvicinai.
- Mi vuoi? - ella seguitò sottovoce. - Se posso darti un po' di gioia,
ebbene, prendimi! Non voglio vederti soffrire.
- Mi ami? - domandai, chinandomi verso la giovane.
- No, - ella rispose nettamente. - Ti voglio molto bene: l'ho detto.
La guardai: lo sguardo diritto dei grandi occhi grigi e limpidi era
sincero. Mi levai quasi con un balzo.
- Non pensiamoci - dissi, scuotendo la testa. - Se non mi ami, sarai
di marmo!....
Nel lungo silenzio che seguì, rimasi in piedi, addossato alla specchiera,
fissando quell'amante morta. Pareva morta anche fisicamente, così stesa e
senza moto, a occhi aperti. Ella non pensava già più alle sue parole:
riviveva forse il dramma che io le avevo narrato; e per non soffrire oltre, io che
soffriva atrocemente per le parole vere uscite dalla bocca
indimenticabile, mi sforzai d'imitar la donna e di ripensare a colui che poteva ancora
farla sua.
- Capisci l'uomo? - dissi improvvisamente. - Da quando t'ha
incontrata qui a Firenze, non giuoca più. Sa vincersi; e perciò è temibile. Non
giuoca; ma domandagli che ha fatto delle sue terre, e d'una casa a Milano,
e d'una villa in Val Malenco. Sfumate come la nebbia, a colpi di macao o
di faraone. Domandagli se conosce Montecarlo, e la jetée di Nizza, e il
Casino di Vichy.
- Montecarlo? - interruppe Clara. - Ne parlavamo alcune sere
addietro; mi disse che non c'era mai stato.
- L'ipocrita!
-.... e che giuocava a domino, qualche volta, e che s'addormentava
subito.
A domino è probabile: mi ci addormento io pure. Ma dovresti farti
spiegare il trente-et-quarante, o la roulette. Insomma non dirà nulla. Questo
è il suo corredo di nozze: lo tiene in serbo per fartene una sorpresa più tardi,
- Mai, mai, mai! - ripetè la giovane, levandosi in piedi e ravviandosi
i capelli.
- Bada: è un lottatore formidabile. Conosce tutte le arti.
- Clara alzò le spalle.
- Ci penserò - disse. - Non dubitarne: difendo la mia vita.
- Oh, a lui basterebbe la tua borsa! - conclusi.
- Va; sono stanca: reggo appena, - mormorò Clara. - E' quasi l'alba....
Mi accompagnò alla portai, ne girò la chiave, l'aperse. Quando fummo
ambedue sulla soglia, mi guardò in faccia.
- Ti ringrazio? - domandò con un sorriso breve.
E innanzi che io avessi potuto rispondere, la sua bocca era congiunta
alla mia......
- Poiché sono di marmo, - ella disse maliziosamente,questo non
ti fa male.....
Rinchiuse la porta, scomparve, e il suo passo si spense..
XII
Nell'uscire da quella casa, vidi sul marciapiede opposto muoversi
un'ombra e allontanarsi rapidamente: colui che fuggiva così, svoltando subito per
via della Spada, quasi sepolta nell'oscurità, aveva una figura alta e snella e
portava un soprabito chiaro, il quale non mi sembrava ignoto.
- Ah, - pensai, borbottando a fior di labbra, - se mi hai aspettato
fino ad ora, hai fatto davvero una bella vigilia d'armi! Tu crederai ch'io
esca dalle braccia di Clara, ch'io torni da un convegno, ch'io abbia ancora
nelle carni il profumo di alcova.... Oh imbecille!: per te, ho fatto di meglio:
ti ho strappato lo sgabello di sotto i piedi, come si usa coi pari tuoi, quando
si lanciano nel vuoto..... Ho distrutto il tuo paziente edificio d'ipocrisia e di
menzogna: ti ho tolta la maschera, o uomo dal rostro inquietante!
E seguitai a parlare, avviandomi a casa, in preda a un'alterazione di
nervi, forse conseguenza della grande stanchezza.
Eran le quattro del mattino. Gettandomi sul letto, non chiusi occhio. Avevo
nelle vene e nei polsi un'inquietudine divorante: pensavo che la donna, sola,
abbandonata a se stessa, poteva ricader nei dubbi, trovar delle lacune in
quanto le avevo narrato, esser ripresa dalla necessità volgare delle prove.
Se, per caso, il barone avesse potuto riavvicinarla, s'ella si fosse lasciata
sfuggire una parola, un accenno, egli avrebbe trovato chi sa quali frasi,
chi sa quali gesti, per distruggere a sua volta la mia opera!
Quantunque la riamassi d'un tratto con l'impeto di mille fiamme, io
non nutriva illusioni sul carattere di Clara. Era facile alla passione; mobile,
intelligente, nervosa, s'assimilava agevolmente le idee altrui e le riviveva con
intensità; un uomo forte e imperioso la dominava.
Io aveva, anzi, perduto il suo amore per questo: la tenerezza soverchia
m'impediva di dettarle la mia volontà, e non sentendo il freno, non avendo
a temermi, a poco a poco s'era trovata libera e indipendente. In realtà, non
aveva alcun bisogno di me, per essere sola; così ella m'aveva detto un giorno,
molto tempo addietro, con la sincerità crudele e rara ch'ella metteva in tutte
le cose sue.
Nella mia implacabile ostinazione stava dunque il segreto della vittoria:
ripetere, rammentare, approfondire indelebilmente nel cervello di Clara la
convinzione del maleficio occulto di cui l'uomo era stato capace: far balzare
dall'ombra il misfatto che vi si celava, perché sfolgorasse agli occhi di lei
come stava intero innanzi agli occhi della mia mente; l'opera caparbia
e tenace che mi spettava.
Ma non ebbi nemmeno a cercarla, Clara.
Quel medesimo giorno in cui l'avevo lasciata sull'alba, la vidi giungere
da me, verso il tramonto.
Io abitava in due camerette, Lungarno Acciaioli, e stavo alla finestra
guardando il fiume bieco e giallastro per recenti pioggie. I colori sul Ponte
Vecchio, sulle case antiche di fronte, e giù, a destra fino a Ponte alla Carraja,
avevano una delicatezza squisita; e quella luce, quell'ora, quella torpida
calma, svelavano l'anima della città, in altri giorni così cupa e veemente di
passioni insaziabili.
Vidi giungere Clara; la vidi alzar la testa e sorridermi: qualche
passante levò la testa pure, guardando ov'ella guardava.
- Che cosa avviene? - le dissi, correndole incontro per le scale, come
un ragazzo.
- Nulla; son venuta a trovarvi - ella rispose, mentre continuava a
salire. - Vi spiace?
E quando fu nella mia camera, ella seguitò:
- Alle cinque è venuto il barone: gli feci dire ch'ero indisposta; egli
restò a gironzare per via Tornabuoni; io allora mi son vestita e sono corsa
qui, fingendo di non vederlo, ritto innanzi a un caffè. Egli mi segue,
naturalmente. Dalla finestra potreste scorgerlo certo.
- Grazie! - mormorai. - E' inutile ch'egli veda me.
- Avete ragione - disse Clara tranquillamente sedendosi. - Egli deve
credere che mi siate corso incontro abbracciandomi, baciandomi, portandomi
in giro per la camera, come una statuetta di gesso. Rimarrò qui un'ora,
un'ora e mezza, quanto basta.
- Quanto basta a che cosa.? - domandai.
- Ma.... a convincerlo ch'io vi amo più che mai....
- Per bacco! - dissi ridendo. - Vi ha vista entrare quì; che cosa
potrebbe imaginare se non un convegno? Rimanete anche fino a stanotte,
se vi par necessario.
- Ah no, per esempio! - esclamò la giovane. - Sapete che non ho
ancora dormito un istante? Dopo il vostro racconto, avevo quasi paura, lo
confesso: ogni scricchiolar di mobili mi dava un colpo al cuore. Vedevo
ladri e assassini ovunque.
- Tanto più che il barone stava ad aspettarmi in istrada - interruppi.
- Davvero? - disse Clara con un gesto di meraviglia.
- Era facile prevederlo; voleva sapere esattamente quanto sarebbe
durato il nostro colloquio e per questo rimase appostato fino alle quattro
di stamane.
- E vi ha veduto uscire di casa mia?
- Se io ho veduto lui....! Non è arrivato in tempo a scantonare, ed
io lo riconobbi.
- Clara stette silenziosa un poco; quindi osservò:
- Se l'avessi saputo, vi avrei risparmiato la noia della mia visita.
- Repetita juvant Un colloquio fino a tarda ora della notte poteva
anche insospettirlo: la vostra visita, oggi, ha invece la forma di un
convegno amoroso, un po' ardito; i sospetti natigli ieri, oggi prendono tutt'altro
colore; non teme più ch'io vi dica ciò che so di lui! crede di trovarsi innanzi
ad un rivale qualunque.... E' una cosa diversa.
Clara si guardò attorno.
- Sapete, - disse improvvisamente, - son venuta qui senza
avvisarvi, perché voi mi assicuraste mille volte che non ricevete nessuno; per ciò
non ho temuto d'interrompere qualche visita più divertente.
- Avete fatto benissimo, osservai. - Ora avete la prova che non ho
mentito. Per voi la casa è aperta a qualunque ora. Ma non potremmo lasciar le
cerimonie inutili, Clara? Seguitate a scusarvi, come se aveste sbagliato
l'uscio.....
La donna sorrise.....
- Mi date un libro da leggere? - domandò, guardando la biblioteca
aperta. - Un'ora e mezza sarà lunga.
- Non volete parlare con me? - chiesi alla mia volta.
Clara tornò a sorridere; parve impacciata.
- Avete detto di non far cerimonie. - rispose. - Ebbene, senza
cerimonie, vi assicuro che preferisco leggere. Non vi offendete; siete un bel
parlatore; ma preferisco leggere.
- Come volete, - dissi. - Ed io tornerò alla finestra.
- No, alla finestra no! - interruppe Clara. - Il barone è nella via,
a spiarci.... Se vede voi alla finestra, non ci capirà più nulla!
- E' vero - osservai ridendo. - Io devo portarvi in giro per la camera,
come una statuetta di gesso! Da tanto tempo ho perduto queste abitudini!.....
Che libro desiderate? - seguitai, avvicinandomi alla biblioteca.
- Il primo che vi viene sott'occhio.
Nel recarle il libro le diedi uno sguardo. Era vestita di nero.
- Cotesto abito lo conosco, - dissi. - L'avevate alle Cascine, ieri
quand'eravate in carrozza con lui. Vi sta molto bene.
- Si, mi sta bene - ella ripetè, guardandosi istintivamente la gonna e
le maniche.
Si levò, si mise dentro la luce dorata del tramonto che prorompeva nella
camera dalla finestra aperta. I capelli scintillarono; la figura scultoria
rimase un breve istante incorniciata in quella luce di fiamma.
- Ho visto, ho visto! - dissi, mordendomi le labbra per non
annoiarla con qualche frase di rammarico.
Ella tornò a sedere e cominciò a leggere; io, in una poltroncina molto
lungi dalla sua, fumavo, guardandola di tratto in tratto. La mia statuina di
gesso faceva una lettura assai disattenta; era preoccupata: le mani a poco
a poco le si abbandonavano col libro, ed ella si perdeva a pensare, gli occhi
sbarrati nel vuoto.
- Pare un sogno! - esclamò di repente.
- Che cosa? - domandai con inquietudine.
- Che cosa? Tutto! Tutto pare un sogno; da stanotte, mi sembra di
vivere una vita nuova.....
Chinò la testa sul libro e continuò la lettura.
- C'è la finestra con le persiane spalancate, - osservai dopo qualche
tempo. - Ciò non si usa in un convegno. Volete che chiuda? Accenderò il
lume.
- No: mi fa melanconia - rispose la giovane, continuando a leggere.
- Piuttosto, avete chiuso la porta a chiave?
- Me ne sono dimenticato. Del resto, è un particolare ch'egli ignorerà.
- Non si sa mai..... - mormorò Clara, senza alzar gli occhi dal volume.
- Supponete che egli abbia l'imprudenza di salire in casa mia?
- La gelosia non ragiona.
Io mi misi a ridere.
- A quest'ora - dissi - un uomo geloso mi avrebbe già provocato.
Clara depose il libro vivamente sulle ginocchia e fece un gesto di paura.
Mio Dio, - proruppe. - A questo non avevo pensato! Sì, egli
può provocarti, batterti, ucciderti! Come non ho pensato a questo? Ho
commesso una imprudenza stupida, e tu ne avrai le conseguenze più
dolorose. Io lo irrito, lo esaspero, ed egli non può nulla contro di me. A chi
farà scontare la sua rabbia? A te certamente. Come non ho visto una cosa
tanto semplice?
Adagiato nella poltrona, io la lasciava parlare, compiacendomi
egoisticamente di quella sua affezione che prorompeva. Ella agitatissima, e
parlando, mi guardava quasi per implorare un conforto, una parola che la
rassicurasse; io ascoltava, godeva e taceva.
- Ti farà del male, di'! - ella seguitò. - Due uomini che si
odiano sono terribili: e voi vi odiate furiosamente. Ah, che cosa ho mai
fatto, amico mio! Ho giuocato la tua vita, come una pazza! Egli può
ucciderti. Ecco in qual modo io ti ringrazio. Ah, quale follìa ho commesso! Ma io
gli dirò che non ti amo: che vengo qui per isfuggire lui, non per essere la
tua amante. Glielo dirò oggi stesso, ora, subito....... Devo salvare te, prima
di tutto.
- Clara! - esclamai, vedendo ch'ella si levava in piedi e si dirigeva
alla porta.
La giovane si fermò.
- Che vuoi? - chiese. - Non c'è tempo da perdere: egli può
provocarti quando esci di casa. Ora vado da lui e gli parlo.
- Clara - mormorai - non ti credevo tanto sciocca.
La poveretta restò presso la porta come fulminata.
- Sì, sciocca - seguitai crudelmente. - Bisogna essere sciocchi per
supporre che colui venga a cercarmi. Egli non farà nulla, egli non agisce
mai per conto proprio, direttamente; è una bestia viscida e tu lo temi come
un leone furibondo. Siediti, va! Non commettere altre ragazzate. Sei qui:
rimani; egli deve credere che tu sei la mia amante; farglielo credere. Non
lasciarti prendere da tenerezze ridicole.
Dal modo con cui ella tornò a sedersi, umile e sommessa, compresi di
avere trasmodato; ma la mia ira non si calmò.
- Del resto, - soggiunsi - pensi che queste inquietudini mi
commuovano molto? Sei la sorella, tu; me lo dicevi anche ieri. Ma io non
posso essere un fratello, per te, e la tua affezione casta m'irrita. Non mi
ami, ma mi vuoi bene: quali invenzioni, che piccinerie, che puerilità! Se
mi uccidono, sarai disperata perché ti è morto il fratello d'anima! Quanto
è goffo tutto questo; che settecento irrancidito, che smorfiette isteriche!....
- Eppure - susurrò Clara - se ho torto, potresti perdonarmelo.
- Perdonare non è tacere, - osservai freddamente. - Prima ti dico
quel che penso, e poi ti perdono! Quanto a me, non avere inquietudini.....
Sarebbe troppo risibile ch'io mi facessi ammazzare per una sorella di
passaggio.
Ah, la frase volgare m'era scappata! Mi morsi la lingua troppo tardi,
e mi serrai furiosamente le mani per richiamarmi alla realtà, al rispetto, al
dovere. Ma mi giunse quasi in un soffio la voce di Clara, dolce, stanca,
velata di lagrime:
- Che posso fare di più? Quando vuoi, sono tua, anche ora. Ti devo
tutto: mi hai salvata. Dimmi che mi vuoi, e sono cosa tua.
- Morta, fredda, senz'anima, morta, fredda, - mormorai.
Clara prese il libro e continuò la lettura.
- Lo sapevo - ella disse - che non si può parlare con voi. Vi avevo
pregato di tacere.
- Verrai anche domani? - - chiesi, impaurito ch'ella mi sfuggisse.
Devi venire qua, se vuoi che la finzione abbia un significato.
La giovane dissimulò a stento un sorrisetto malizioso. In realtà,
continuando con quella commedia, il barone avrebbe finito per credermi il più
indomito amatore del secolo. Guardandoci negli occhi, vi leggemmo lo stesso
pensiero, ed io mi arricciai i baffi per trattenere qualche parola piena di
rimpianti.
- Verrò, - ella disse, - s'egli verrà a cercarmi, benchè non creda
che vi divertiate molto.
Non penso a divertirmi, ora; penso a rendere impossibile il vostro
matrimonio, senza provocare spiegazioni difficili fra voi due.
Tacemmo: io mi avvicinai alla finestra e guardai cautamente giù, sul
Lungarno. Il barone non si vedeva, forse stava celato in un negozio vicino,
indugiando fino al ritorno di Clara.
- Non andartene così, - dissi, vedendo che la donna si levava, e
abbassava il veletto del cappellino - Aspetta ch'io chiami una carrozza.
- Ma sono a due passi da casa mia, - ella obiettò.
- Non importa; di costui non mi fido. In un istante son di ritorno.....
Uscii: il barone seguitava ad essere invisibile; tornai con una carrozza
chiusa; ciò era più romantico. La giovine vi saliva qualche istante appresso,
ed io, dalla finestra, seguii dello sguardo la carrozza che si allontanava
rapida e voltava per via Tornabuoni.
- Anche voi siete fraterno, nelle vostre idee, - ella m'aveva detto,
stringendomi la mano, e partendo.
E il complimento, nello stato in cui mi trovavo, non poteva essere più
sarcastico.
XIII
Perché la tortura era squisita e ineffabile; quell'intimità forzata, sorta
a un tratto per la bizzarria delle vicende, m'aveva ripiombato nella passione
dalla quale con tanti sforzi, con tanta costanza, andavo appunto in quei
giorni cercando di liberarmi. V'era quasi giunto: l'amore non più alimentato
dai convegni, dalle voluttà, dall'armonia dei pensieri e dei desiderii,
cominciava a illanguidire; mi dicevo già che Clara aveva avuto ragione e che il
momento di finirla era venuto; non mi lasciavo sfuggir qualche piccola
avventura, con l'onesto proposito di meglio dimenticar la giovine; mi abituavo
all'idea di vederla sposa ad un altro e mi promettevo di non turbare la sua
nuova felicità; ero virtuoso, infine, e quasi rassegnato.
Ma la notte passata con lei nel racconto del delitto ch'ella ignorava; il
mio trionfo, la sua fede nelle mie parole, e l'abito da ballo il quale dopo
tanto tempo mi aveva ricordato in parte le sue grazie; e quella sua
comparsa in casa mia; e la devozione ch'ella mi significava con le parole e con
gli atti, fino ad offrirsi quando io appena facessi un'allusione all'amore rinato,
quasichè ella avesse voluto compensarmi e rassicurarmi; tutto questo aveva
soverchiato l'opera diuturna e laboriosa della ragione. La riamavo con
violenza, e non volevo turbarla; la desideravo con un impeto furioso, e la
rifiutavo di continuo.
Qualche volta, veramente, la mia condotta mi sembrava stupida. Anzi,
ripensandoci, oggi mi sembra più stupida che mal. Clara si offriva ad ogni
istante, ed io la respingeva con un bel gesto quasi ieratico! Ero offeso dalle sue
parole e dalla sua sincerità: ella mi si sarebbe data semplicemente per farmi
piacere. Ma io voleva ch'ella pure sentisse una passione, la quale era spenta
nella sua anima; volevo, modestamente, ch'ella fosse tuttora innamorata di
me, come io era innamorato di lei; e poiché ella non sapeva fingere, non mi
prometteva un entusiasmo straordinario, io rifiutava anche il gaudio non
comune di stringerla fra le braccia, d'illudermi, di animarla per quanto mi
era possibile.
Se mi avveniva d'incontrarla a passeggio, alle Cascine con miss Lucy, e
se intorno a lei sentivo vagare il desiderio degli uomini, come un alito
infuocato, io mi diceva:
- In ogni modo, è mia: ella lo ha promesso, e quando me ne verrà il
capriccio.....
Ma il capriccio non veniva mai, perché c'era l'amore, nella sua forma
più desolante e cancrenosa, l'amore triste e flebile, l'amore egoistico
suscettibile, l'amore che pretendeva un'infinità di cose piccole, senza avvedersi
che la cosa principale, il possesso della donna, già stava nel suo pugno. Non
mai come allora io mi son persuaso che i veri innamorati sono sciocchi e
insopportabili; in tutta la loro maniera di condursi non si trova alcuna
traccia di quella graziosa malizia, di quella elegante filosofia epicurea, che
fa del gaudente un uomo spesso assai perdonabile e simpatico. Alla tavola
dell'amore, i veri innamorati non pensano che a procurarsi nel più breve
tempo possibile un'indigestione spaventosa; i buongustai si contentano di
meno e godono assai di più.
Quando io ripenso ai miei atteggiamenti di quei tempi, comprendo che
donna Clara deve essersi annoiata molto, pur dominandosi e non lasciandosi
mai spazientire. Ella dal suo canto, mi faceva da sorella con una pertinacia
meravigliosa; mille volte le sue piccole mani mi accarezzarono i capelli e il
volto, e le sue labbra si posarono castamente sulla mia fronte, pur
persuadendomi a possederla così com'era, come poteva darsi; e mille volte io
ripetei il gesto ieratico:
- Senz'amore, giammai!
Fuori, nella società che frequentavamo, si susurrava del nostro amore
scandaloso e pazzesco; Clara aveva avuta qualche noia; io udiva giungere
al mio orecchio il brusìo delle allusioni discrete; il barone era diventato verde
come un limone acerbo, e secco come una canna d'India.... E noi due, Clara
ed io, ci si trovava in casa mia, ad ore e giorni fissi, ella per farmi da
sorella, io per ripetere il gesto.
Lentamente, la cosa divenne intollerabile.
Un giorno o l'altro non avrei resistito a quelle sue devote profferte e me
la sarei presa, morta, fredda, senz'anima, tanto per finirla con l'orrore di
quella situazione..... Ma ero innamorato, e per isfuggire al pericolo, io usciva
di casa quando giungeva lei..... Il barone Lorenzo non la seguiva più; era
così certo ch'ella veniva al convegno!..... Non c'era dunque bisogno di
eseguir la commedia appuntino, ed io la modificava, andandomene. Prendevo
una carrozza e faceva una corsa fuori di città, al Galluzzo, alla Certosa, a
Fiesole, qualche volta con un tempo abominevole.
Clara rimaneva in casa mia, a leggere. Quanto lesse, quella disgraziata,
in meno di un mese! Un giorno, esauriti tutti i romanzi, la trovai che
leggeva " De consolatione philosophiae "in latino, senza capirne una saetta.
- Ecco un libro - mormorai - che si direbbe scritto pel mio caso!
A poco a poco, anche Clara aveva quasi dimenticato lo scopo di quei
convegni finti; veniva da me per abitudine, e non trovando più nulla da
leggere, una volta si condusse dietro anche miss Lucy, per fare un po' di
conversazione.
Oh! - disse miss Lucy, guardandosi in giro - bello, il vostro
càmero!
XIV
càmero!Nel mentre, in uno di quei giorni di tempesta, stavo noleggiando una
carrozzella, in piazza Vittorio Emanuele, il barone mi passò di fianco e mi
salutò. Egli aveva visto Clara salire da me, ed or vedeva me salire in una
carrozza. Io fuggiva la donna, arrivatami in casa nel pomeriggio freddo e
turbinoso; era troppo bella, così avvolta nella pelliccia, piena di brividi, col
velette umido di nebbia. E fuggivo, lasciandola innanzi al fuoco, insieme al
trattato immortale di Severino Boezio.
Il barone, collegando l'arrivo di lei in casa mia con la mia passeggiata
in carrozza, dovette concludere che c'era stato un broncio tra di noi, forse
una lite seria ed irreparabile.
Avvenne, perciò, che quando l'indomani, al giungere di Clara, io era per
andarmene, ella mi trattenesse con un gesto.
- Non uscite - disse. - Ho da parlarvi.
La guardai: era accigliata. Aggiunse:
- E' stato da me, oggi!
- Chi? - domandai distratto.
- Potete imaginarlo: il barone Lorenzo.
Svestì rapidamente la pelliccia, la gettò sopra una sedia; alzò il veletto,
si tolse i guanti, mi fissò in volto, tutto in un lampo, quasi in un momento
solo.
- Siete sicuro di ciò che m'avete raccontato? - chiese. - Di ciò che
m'avete raccontato quella notte? Badate: fate un esame di coscienza, prima
di rispondere. Io perdo la testa. Fra voi due, io non capisco più nulla. Di
chi sono io la vittima e la preda e lo zimbello? Di voi, di lui?..... Quale
dei due m'inganna? Voi vi giuocate l'esistenza, l'avvenire, la posizione d'una
donna, giovane e innamorata della vita. Vi ripeto ciò che ho detto a lui.....
Se mi volete, cercate di conquistarmi con lealtà. Non mi abbindolate con
delle invenzioni, con delle fantasticherie puerili. Uno di voi due, mente......
Guai a lui... Io riuscirò a scoprirlo, a smascherarlo, e lo fustigherò col mio
odio, col disprezzo più ignominioso; lo svergognerò in pubblico, innanzi a
tutti, se queste parole non bastano. Chi è il bugiardo? Chi m'inganna?......
Chi mi trastulla con delle fanfaluche? Di', sei tu..... sei tu?
Inanzi a questa furia veemente, a quello straripar di parole, io non
trovai subito una risposta; pensavo che quanto avevo temuto, avveniva ora:
la crisi scoppiava impreveduta, con la violenza d'un turbine. Non aveva
continuato l'opera mia; per fuggir le tentazioni della donna, l'aveva abbandonato
a se medesima, e i dubbii ch'ella era andata volgendo in quelle ore di
solitudine, adesso, grazie alla abilità satanica del barone Lorenzo, la prendevano
alla testa, la gettavano in un abisso, le facevan perdere la nozione della
realtà, la turbavano, l'annientavano, la rendevano neutrale, in quella
battaglia formidabile; nè per lui, nè per me.
- Sei tu, dunque? - ella insistette, - Sei tu, che m'inganni? sei tu,
che accetti le mie follìe per rendermi impossibile qualunque avvenire? Sei tu
che inventi i romanzi e mi laceri il cuore, per il gusto di strapparmi
all'affezione e alla stima di un uomo onesto?..... Rispondi, in nome di Dio, o divento
pazza!.... Rispondi, per carità!
- Ascoltami - dissi. - Mettetevi a sedere in una poltrona, e
ascoltatemi. Non vi posso rispondere, se non so prima che cosa vi abbia detto
cotesto fidanzato elastico. Che vi ha raccontato, quel pipistrello, quel pendaglio
da forca, quel barone degli agguati? Che cosa vi ha messo in testa?... Vuoi
lottare con me, a viso aperto, cotesto mandante di bricconi? O ha intenzione
di atteggiarsi a rivale cavalleresco e di sfidarmi per davvero? Non so quel
che vi abbia detto, per eccitarvi a questa maniera; ma se vi scivola ancora
per casa, annunziategli che il suo calunniatore lo attende, mandatelo da me,
costui; mandatelo da un galantuomo il quale non desidera che un colloquio
di pochi secondi, a quattr'occhi; e poi, non dubitate, ve lo rimanderò, dopo
la cura.... Ditegli che varchi quella soglia, l'innocente, l'innamorato, il
calunniato..... Venga a domandarmi conto degli affari miei, venga ad accusarmi
di avergli rapito la sua donna!.... Egli vi ama non è vero? Ha detto che vi
ama, senza dubbio, e quasi tutti i giorni vi segue a rispettosa distanza,
credendo che voi veniate qui, per me. E non muta nulla, e si atteggia sempre
a fidanzato, ed è sempre pronto a sposarvi! Dove ha il sentimento
dell'orgoglio, dove ha l'amor proprio, dove sono i medesimi sensi più volgari, in
cotesta costruzione rudimentale di uomo e di maschio?..... Vi porta quasi in
casa mia, e poi si rotola ai vostri piedi, sul vostro tappeto, scongiurandovi
di sposarlo?.... Buffone?, vigliacco, svaligiatore di femmine!
Sentendo un groppo alla gola, di repente mi asciugai le labbra, e vidi
che una leggera bava era venuta a bagnarmi la bocca.
- Perdonatemi - dissi lentamente - perdonatemi, Clara! Non so
quello che mi dica: parlo senza misurar le frasi.... Ma voi mi avete colto
alla sprovvista, e non mi son potuto frenare! Ah! creatura diabolica, se io
riesco a scovarti dal buco ove ti rintani, non troverai una donna! Sono un
minerale che ancora manca alla tua raccolta, o caricatura losca di
pedante!....
E stendevo il braccio nel vuoto, come per afferrare il nemico e girare il
pugno, soffocandolo.
- Silenzio, per carità! - mi disse Clara. - Hai la bava, alla bocca!
Bevi, calmati, riposa un poco; ti racconterò poi tutto! Come soffri, mio
Dio! Che cosa posso fare per te?
Ella diceva queste cose recandomi un bicchiere alle labbra, e
asciugandomi colla pezzuola la fronte madida, e susurrando, e accarezzandomi, e
sforzandosi a sorridere.
- Che cosa posso fare per te? - ella andava ripetendo. - Mio amore,
mio amico, non soffrire tanto.... E' colpa mia; ti ho aggredito all'improvviso,
poveretto!.... Ma ho sofferto, soffrirò io pure!... Dio, com'è pallido! Ha
chiuso gli occhi....
- No, no - dissi, allontanandola un poco. - Non ti spaventare: è
passato..... Ora sto bene!......
- Stai meglio davvero? - incalzava Clara. Non parlar più di lui,
non ci pensare, non nominarlo.... Ti senti bene?...Che cosa posso fare
per te?...
Ella era scivolata ai miei piedi senza avvedersene e stava, accoccolata
per terra, e alzava gli occhi a cercare i miei occhi, e fremeva di spavento e
d'inquietudine. Io tremava ancora di rabbia. M'era balenato un pensiero e
volevo effettuarlo subito.
- Senti, - dissi. - Ho bisogno di riposare. E' una scossa di nervi,
tu mi conosci, sai che i miei nervi sono d'una sensibilità spasmodica.....
Lasciami solo: ho bisogno di dormire..... Tornerai domani; stasera verrò da te,
se mi sarà possibile. Non ti offendi, cara, se ti mando via? Sono così
stanco!.....
- Ma no, ma no; hai ragione, - interruppe la donna. - Ripòsati; non
venire da me questa sera; mandami un biglietto, perché io sappia come stai.
Non sarà nulla, è vero?
- Nulla; solo un po' di stanchezza, Ma se colui ritorna?
- Non ritornerà, - disse Clara levandosi in piedi.
- Che cosa gli hai detto per finirla?
La giovane mise l'indice destro verticalmente sulle labbra, sorridendo.
- Zitto, - susurrò; - devi riposare oggi. Ti dirò tutto domani,
purché tu oggi non ci ripensi.
Non appena ella si fu allontanata, io indossai il soprabito, presi il
cappello, i guanti, la canna, e in carrozza mi feci condurre all'Albergo Savoia.
- Il barone Lorenzo Scavolino? - disse il portiere, ripetendo il nome
che gli chiedevo. - Da una settimana non è più all'Albergo.
- Avrà lasciato un indirizzo, - insistetti. - Devo comunicargli cose
di molta importanza. Vogliate informarvi.
Il portiere entrò a parlare col proprietario, e un istante appresso tornava.
- Il signor barone ha preso in affitto la villa Capriccio, in via Dante
da Castiglione, - egli disse.
- Grazie!... Alla villa Capriccio! - gridai al cocchiere.
Capriccio! Egli si rintanava in una villa Capriccio, come una cocotte
cocottepresa dai rimorsi; e in qualche giardino delizioso trascinava l'ira, il sospetto,
i timori molteplici di quei giorni; e io andava a coglierlo nel suo romantico
asilo, a gridargli che non v'era più speranza per lui, che tra la sua
concupiscenza e Clara m'ero posto io, e che di me si doveva prima sbarazzare per
giungere alla donna agognata.....
La carrozza che mi trasportava non correva lesta abbastanza per il mio
desiderio: la via Romana ingombra di carri e di vetture, parve
interminabile; il cavallo scivolava ad ogni poco; vi fu un diverbio tra il mio
cocchiere e il conduttore d'un carro: ambedue volevan passare nel medesimo
tempo e pel medesimo spazio; i veicoli urtarono, i mozzi delle ruote
batterono, cadde una grandine di bestemmie e d'invettive: sempre bestemmiando
e insultandosi, i due uomini scesero e s'aiutarono a trarsi d'impaccio,
osservarono i danni recatisi, appuntando l'indice sugli sfregi e le ammaccature:
poi, tra una nuova tempesta di contumelie, il vetturale e il carrettiere
risalirono al loro posto, frustarono e ripresero la via. Il cocchiere ebbe la bontà
di volgersi per ispiegarmi l'accaduto e farsi dar ragione.
- Va al diavolo! - gli dissi. - Non capisci che ho fretta?
- Non la stia ad indugiare per così poco, - egli rispose, - che si
arriverà lo stesso.
Ci si arrivò, infatti. La villa Capriccio, giallognola con le persiane
cineree, s'ergeva in fondo ad un bel giardino, e dapprima mi sembrò ch'ella
rassomigliasse alla villa del barone, sul lago di Como: egli aveva un gusto
speciale per le case un po' tristi, monotone. Si sarebbe detto che fra sé e la
luce vivida, egli cercasse di porre sempre qualche ostacolo, il grigio di
un'ombra, il riparo degli alberi, qualche cosa infine che facesse della casa
un asilo di mistero e di silenzio.
Anche il servo, comparso alla mia scampanellata, era curioso. Mi squadrò
attento, aguzzando gli occhi e piantandomeli in faccia con insistenza quasi
sconveniente.
- Cerca? egli disse.
- Cerco del barone.
- Quale barone?
- Voi dovete conoscerlo meglio di me: suvvia, annunziatemi.
- Il signor barone è fuori, - disse il servo con un lievissimo accento
di trionfo. - Non posso quindi annunziarla.
Io pensai che i servi, come gli animali domestici, sanno fiutar da lungi
il nemico del padrone.
- E torna? - domandai celando a pena la mia impazienza.
- Generalmente verso le sette, per mutarsi d'abito e recarsi a pranzo.
- Dove pranza?
- Cambia, sa? Ora in un posto, ora in un altro.
- Ma alle sette c'è sempre?
- Generalmente.
Guardai l'orologio;eran le quattro; impossibile aspettarlo tre ore.
- - Se viene alle sette, ditegli che abbia la cortesia di attendermi: non
tarderò di certo.
- Il signore vuoi favorirmi la sua carta da visita?
- E' inutile, - dissi, comprendendo che la mia carta da visita
riavrebbe fatto trovare il nemico sempre assente. E aggiunsi, per un'idea
venutami d'improvviso, la quale mi pareva ottima a coglierlo in trappola:
Il barone non mi conosce, ma potete dirgli che ero venuto a trattar la
compera della sua villa sul lago di Como e che tornerò alle sette, perché devo
sbrigarmi non essendo a Firenze che per questo scopo.
Il servo, ammansato, s'inchinò e mi riaccompagnò fino alla carrozza.
Comprargli la villa di Como, la villa nella quale, secondo la fantasia
della buona Anastasia, vagava l'ombra della uccisa signora! Ma era un
sogno per il barone; egli mi avrebbe aspettato fino a notte, senza dubbio,
pur di concludere.
Rassicurato così, risalii in carrozza, tornai in citta e mi feci condurre
a casa.
Passai alcune ore trepidando; m'imaginavo la scena, parlavo ad alta
voce con un barone fantastico, divertendomi ad insultarlo con le più
sanguinose espressioni del vocabolario italiano...... Ah, lo tenevo in pugno,
finalmente! A quattr'occhi, con voce sorda, guardandolo in viso, avrei potuto
finalmente dirgli ch'era un mandante di assassini; l'occulto maleficio che egli
credeva non avesse avuto testimoni all'infuori della sua coscienza, m'era
noto, e glielo avrei fatto rivivere episodio per episodio, giorno per giorno, con
la minuta indagine la quale m'era riuscita così efficace innanzi a Clara,
scettica e incredula..... Poi, quando avessi visto l'uomo annientato dallo
spavento, gli avrei imposto le condizioni: rinunziare al suo nuovo matrimonio,
partire entro ventiquattr'ore, non farsi mai più vivo nè presso Clara nè
presso di me. Io avrei taciuto e dimenticato, felice solo di avere strappato
ai suoi artigli la donna ignara e buona sulla quale il malfattore aveva osato
alzare gli occhi.
Questa era la scena che andavo imaginando; l'odio, lo sdegno, la
passione, m'avrebbero suggerito le parole; tremende parole, come quelle d'un
giudice.
Tornato poco prima delle sette alla villa Capriccio, non trovai che il
servo.
- Il signor barone è ancora, assente, - egli mi disse. - Ma non
può tardare oltre. S'ella desidera accomodarsi in salotto....
Il servo sfoggiava ora tutta l'urbanità di modi e di frasi ch'egli riservava
evidentemente agli uomini i quali comprano le ville; forse subodorava un
regalo, a contratto concluso; non per nulla a quel contratto aveva egli pure
modestamente collaborato, agevolandomi il ritrovo col barone. Il buon uomo
intuiva, con soverchia rapidità mentale, come io recassi nel portafoglio i
quaranta o cinquanta biglietti da mille che la casa poteva valere.
Mi accomodai nel salotto; un piccolo salotto illuminato a luce elettrica,
disposto bizzarramente, con bei tappeti ai muri e per terra; sul tavolino, in
un angolo della finestra laterale, era un vaso di maiolica azzurra, snello,
riboccante di fiori. La stufa accesa spandeva un piacevole tepore.
- Ha ordini? - mi chiese il valletto rimanendo inappuntabilmente
diritto, a pochi passi dalla poltrona sulla quale m'ero adagiato.
- Niente; grazie. E' da molto tempo che il barone si trova in questa
villa?
Da una settimana circa.
- E' una villetta deliziosa, un po' triste.
Il servo non trovò opportuno esprimere la sua opinione.
- Il barone finirà per annoiarsi, - continuai.
- Ci sta poco, - disse il servo. - Di giorno fa molte visite.
- M'imagino: un uomo come lui, così noto e stimato, deve conoscere
la migliore società fiorentina......
Avevo deciso, rapidamente, di far cantare anche colui, e mi assumevo di
buon grado la parte di ricco ingenuo, di rozzo possidente, di villano rifatto.
- Il signor barone, - disse il servo intuendo, ancora con soverchia
rapidità mentale, a quale classe appartenevo, - il signor barone frequenta
molto la colonia stranieri, specialmente americana e inglese.
- Tutti ricconi? - domandai, spalancando la bocca.
- Si capisce, - confermò il mio interlocutore. - Bisogna vedere quando
giuocano.......
Io frenai a stento un moto subitaneo di gioia..... Il barone giuocava!
S'era rintanato alla villa Capriccio per giuocare; si allontanava da Clara
per giuocare!....
- Ah, giuocano!- osservai. - A che cosa? A tresette, ai tarocchi?
Il servo non riuscì a dissimulare un gesto di orrore.
- Eh, no! A macao, a faraone, a bèzigue, a poker.....
- Che nomi! - esclamai ridendo come un idiota. - Mai sentiti!
Saranno giuochi americani! Da noi, in campagna non si usa. Io giuoco molto
ai tarocchi.
Il valletto sorrise bonariamente e restò silenzioso, guardandomi dall'alto
delle Piramidi.
- Per certi giucchi bisogna esser ricchi, - seguitai, e aggiunsi con la
più ingenua naturalezza: - Sono ricco anch'io, ma non mi piace, buttar via
i quattrini, che costaron tanta fatica a papà.... Ora compro la villa sul lago
di Como; è una pazzia, la sola che io mi faccia lecito.... Devo prender
moglie e allora, poiché sono incamminato a commettere delle bestialità,
compro anche la villa; ma poi, tornerò a fare economia.
Il mio interlocutore, sempre dritto e rispettoso, ascoltava quelle
confidenze con l'aria di non volerne abusare.
- Come vi chiamate? - gli dissi improvvisamente, poiché il suo
silenzio cominciava a seccarmi.
- Giacomo.
Quell'uomo, innanzi a un signore d'antico linguaggio o di maniere
convenienti, si sarebbe chiamato Jack o James; ma per me era Giacomo,
con la massima semplicità.
- Bravo Giacomo! - gli dissi, battendogli sulla spalla. - Sapete
quanto chiede il barone della sua casa di campagna?... Dieci, ventimila lire?
- Non saprei - rispose Giacomo - forse di più, perché credo vi sian
dei poderi intorno. Quaranta o cinquanta mila lire...
- Questo sarebbe il prezzo di una volta; ma ora, dopo il delitto, anche
il barone non potrà tener duro. Se non la compro io, tanto per fare una
bestialità, chi volete osi metter piedi nella villa?
Il valletto aggrottò le sopracciglia.
- Dopo il delitto? - ripetè attonito.
- Sì! hanno ammazzato una donna in quella casa, tre anni or sono,
- aggiunsi con indifferenza.
Giacomo non ne sapeva nulla; non era un vecchio servitore di famiglia.
Temendo che le parti mutassero e che egli volesse ora far cantare me,
cambiai discorso.
Aspettiamo il barone, dunque - ripresi. - Sono le sette e un
quarto.
- Non può tardare - assicurò Giacomo di nuovo.
S'inchinò, sollevò la portiera ed uscì. L'astuta faina d'anticamera non
nutriva alcun dubbio di aver parlato con un ricco mercante di porci, che
voleva darsi il lusso d'una villa, per far morire d'invidia il segretario
comunale del suo paese.
Mi guardai in giro: v'erano due larghi divani, con molti guanciali
soffici sulla tavola parecchi romanzi, intonsi; a una parete, dall'alto in
basso si seguivano molti ritratti d'uomini, tutti d'uomini. Osservai meglio:
il ritratto della defunta baronessa non c'era; sparita la donna, sparita ogni
memoria, se non ogni rimorso. Il mio ospite non aveva alcuna voglia di
rivederne le sembianze, ma io avrei desiderato farmene un'idea, poiché me
l'ero imaginata così languida e stanca. Andai scrutando ovunque, sbirciando
anche negli angoli; l'uomo era capace d'averne messo il ritratto in qualche
angolo penombroso, dove si sarebbe e non si sarebbe veduto, come un
omaggio alle tradizioni, una noia conveniente. Invano; la povera vittima non
esisteva più, nemmeno in effige. Aveva seguìto, nel turbine delle cose umane,
la sorte delle sue ricchezze.
Non vidi nemmeno la famosa raccolta di minerali; forse era in un'altra
camera; forse ripreso dalla mania del giucco, il barone aveva gettato le sue
pietruzze in un canto. Certo si è, che il non vederle mi fu poco spiacevole:
esse mi ricordavano quella serata in cui aveva avuto la noia di parlare la
prima volta al mio nemico.
Guardai sulla tavola i romanzi; quasi tutti francesi, le novità recenti;
v'era anche qualche fascicolo delle riviste italiane più note, esso pure intonso.
Che lettore assiduo, quel barone! Ma toccando uno dei volumi, l'ultimo sotto
gli altri, m'accorsi che era un libro finto, sottile, elegantissimo, chiuso a
chiave; senza dubbio un portaritratti.
Avevo messo la mano sul tesoro nascosto ed intimo; il volto languido e
stanco della povera baronessa mi sarebbe stato noto, finalmente, e avrei avuto
l'imagine della donna le cui sofferenze m'ispiravano una tenera pietà.
Nel mentre giravo il finto libro tra le mani, esso si aperse, e mi fece fare
un balzo.
Clara!... Aveva innanzi agli occhi non già la defunta baronessa, ma
il ritratto di Clara, sorridente, dritta e superba in un abito scollato... Non le
avevo mai visto in casa quel ritratto, nè le conoscevo quell'abito; con un
pensiero delicatamente femminile, aveva serbato l'uno e l'altro per lui, pel
fidanzato. E sotto la fotografia stava scritto Clara al suo amico Lorenzo con
data di tre mesi prima.
Nulla di più logico e naturale. Tre mesi addietro, ella ignorava di quali
crimini fosse capace il barone: tre mesi addietro tutto si svolgeva lietamente,
sicuramente, e il matrimonio era certo: il regalo d'una fotografia con una
dedica affettuosa non aveva nulla di men che onesto. Pur tuttavia, per
qualche istante rimasi a guardare il ritratto, tremando. Come s'era fatta
bella, per lui! Come gli sorrideva, com'era contenta e fiduciosa! Se in.
quell'attimo in cui ella offriva tutta la propria persona perché l'imagine
rimanesse indelebile sulla lastra e innanzi alla mente del barone, se in quell'attimo
qualcuno le avesse sussurrato il mio nome, si sarebbe ella ricordata di me,
dei nostri giorni morti e dei baci ch'ella m'aveva dato? Forse avrebbe scosso
il capo fastidiosamente... Ora viveva un'altra vita, ora pensava a un altro,
si preparava a un altro festino; ed io ero solo.
Rinchiusi tristemente il finto libro, e lo rimisi al posto.
- E io m'aspettava di veder la baronessa! - pensai. - Si può
ricordare una morta, quando c'è costei, viva, da conquistare?
Tornai a prendere il ritratto e lo guardai di nuovo attentamente.
- Il tuo amico Lorenzo!- dissi, quindi ad alta voce: - te l'ho
strappato dal cuore, il tuo amico Lorenzo! Sono qui ad attenderlo, il tuo amico
Lorenzo; sono qui per te, sono qui a difenderti. Ah, come hai fatto bene a
balzarmi innanzi, perché dal tuo ricordo, io acquisti la fiducia e l'audacia!
Il tuo amico Lorenzo!
Mentre parlavo, andavo cercando di sottrarre il ritratto alla sua custodia;
ma vi era ficcato così saldamente che m'indolenzii le dita senza ottenere il
mio scopo.
- Va! ti lascio dove sei - dissi, imitando la volpe sotto i grappoli
ti lascio dove sei, che tanto non m'importa nulla nè di te, nè del tuo amico!
Lo deposi ancora al suo posto; e guardai l'orologio. Erano le otto;
aspettavo da più di un'ora; la villa era immersa in un silenzio sepolcrale,
interrotto solo dal ticchetic esasperante d'un pendolo in anticamera.
Comparve Giacomo, il quale veniva a dare una occhiata alla stufa e a
me.
- Sono desolato - egli disse elegantemente - sono desolato d'averla
incoraggiata ad aspettare. Il signor barone non ha mai tardato tanto.
- Peggio per lui - risposi, continuando nella mia commedia. - E' un
buon affare che gli scappa.
- Il signore non aspetta più oltre? - domandò il servo, vedendosi
scappare alla sua volta la gratificazione sognata.
- Via, dieci minuti; ancora dieci minuti poi, saran quaranta mila lire
che risparmio.
- Se sapessi dove acciuffarlo! - mormorava Giacomo, dimenticando la
sua compostezza di valletto all'inglese. - Ma temo che sia andato a pranzo.
E' la prima volta, dacché son qui, che non viene a casa a mutarsi d'abito.
- Ma stasera, dopo pranzo, ritorna?
- Certo, verso le undici... Soltanto - aggiunse il servo con prudenza
- non mi sembra sia quello il momento di avvicinarlo. Ha un convegno qui
con mister Alfred Brian, col colonnello Percy Gresham e con altri signori.
Giacomo pronunziò questi nomi alteramente, come un direttore di circo
equestre fa fischiare e schioccare la frusta invitta.
- Giuocano a quei ridicoli giuochi americani, nevvero? - domandai.
- Al cacao, al marrone, al diavolo che se li porti... Eh, è così?
- Sì, signore; salvo i nomi dei giuochi...
- E il vostro padrone perde e diventa una bestia; voglio dire, non
pensa a vendere la villa... Eh, è cosi?
- Ci penserebbe, anzi, allora più che mai - rispose Giacomo con una
certa profondità di vedute psicologiche. - Ma davanti a quei signori, ella
mi capisce....
In quel momento squillò il campanello elettrico al cancello del giardino.
- Eccolo! - disse Giacomo.
Io era innanzi a uno specchio, accomodandomi la cravatta: e mi vidi
impallidire, vidi le mie labbra serrarsi spaimodicamente; la maschera
dell'idiota arricchito scomparve, e mi lampeggiarono gli occhi. Era lui!
Ancora un minuto e ci saremmo trovati a viso a viso!... Gettai un rapido
sguardo sulla tavola, dove riposava il ritratto di Clara.
- Ebbene? Che cosa fate lí? - domandai ruvidamente a Giacomo, il
quale non si era mosso. - Non gli andate incontro?
Il servo mi guardò stupito; egli pure, forse, trovava sul mio volto una
espressione nuova e dura, fredda e ferma, che lo sbigottiva.
- Non è lui! - disse poscia malinconicamente...
- Come lo sapete?
- Se fosse il signor barone, a quest'ora suonerebbero tutti i
campanelli. E' ordine; e il portiere lo sa... Dev'essere il portalettere, invece.
Irritato da quell'attesa, da quelle alternative continue, dalla noia, dal
ricordo di Clara al suo amico Lorenzo non potei frenarmi.
- Ah, per Dio! - esclamai. - Non ho mai fatto tanto in vita mia;
un'ora e venti minuti d'anticamera! Dite al vostro padrone che quando si
vogliono vendere le ville, si sta in casa!
E mentre Giacomo m'aiutava a infilare il soprabito, continuai:
- Io sono ricco, ve l'ho detto; ma per vendere una casa da
quarantamila lire, m'inchioderei sulla poltrona! Potete figurarvelo, se per
comprarla ci rimetto il pranzo e sto ad attendere un imbecille quasi due ore!
Afferrai il cappello e me ne andai ridendo.
- Signore, signore! - gridò Giacomo, il servo inappuntabile,
correndo dietro pel giardino, - mi lasci il suo indirizzo. Ci penso io!
Ma il mercante di porci si tirò appresso il cancello e spari nella via
oscura.
XV
Occulto! Egli era e rimaneva l'uomo occulto. Chi gli aveva detto che
un nemico lo aspettava in casa? Nessuno; ed egli l'aveva sentito nell'aria,
per istinto, col fiuto dell'animale rapace; e non s'era fatto vivo, e
improvvisamente, senza una ragione chiara e necessaria, quella sera aveva mutato
abitudini. Egli agiva così, quasi avesse un sesto senso, il senso del pericolo
o l'intuizione meravigliosa di quanto stava per avve[n]ire.
Ah, senza dubbio, tre anni addietro, egli aveva in tal modo presentito
tutto il dramma che andava tessendosi intorno alla fragile sua vittima; e
aveva sondato con uno sguardo l'anima del futuro assassino, e ne aveva
indovinato la capacità, il divenire fatale. Innanzi a un collegio di giurati,
questo fenomeno d'intuizione non era giudicabile, non era forse nemmeno
comprensibile. Chi poteva affermare con l'esattezza necessaria a ottenere una
condanna, chi poteva affermare che quell'uomo percepiva quanto era
impercettibile a uomini comuni e ch'egli aveva sentito la morte aleggiare
sordamente intorno alla testa della sua donna e l'aveva lasciata giungere,
spalancando la porta all'ospite paurosa?
M[a] pur così pensando, quella sera non mi volli dar vinto; e per due ore,
fino alle dieci, entrai in tutti i ritrovi pubblici, nelle trattorie, nei teatri,
cercando il barone; e a poco a poco la stanchezza, l'ira, l'impazienza, mi
ridussero a non aver nè fede alcuna nell'opera mia, nè limpidità di pensiero.
Dopo le dieci, se il caso me l'avesse fatto incontrare, non avrei forse osato
parlargli, perché non ricordavo più quel che volevo dirgli: ero esausto.
" Ma sì, la sposi - dicevo a me stesso, tornando - la sposi, poiché ne
ha diritto, essendo più forte di me; egli non possiede nulla, all'infuori di
un'abilità prodigiosa nelle guerriglie della vita; e l'uomo abile deve trionfare.
" Se la porti via la sua preda: io l'ho difesa, gliel'ho contrastata
accanitamente; stasera avrei fatto miracoli, avrei bruciato davvero le ultime
cartucce... Ma c'è qualche cosa che lo protegge, contro cui non posso nulla:
c'è l'ombra, intorno a lui, che me lo sottrae... Io gli conierei una medaglia:
Dieu protège le baron Se l'intendano tra loro: io son vinto!"
Mi trovai innanzi alla casa di Clara quasi senz'avvedermene. Salii. Per
le scale incontrai Geltrude.
- Venivo da lei - ella mi disse. - E' la terza volta che donna Clara
mi manda. Vada, vada presto; la signora è inquietissima.
- Ah, m'ero dimenticato! - esclamai, battendomi la fronte. - La
signora ha ragione; aspettava una notizia, e me n'ero dimenticato.
Entrai nell'appartamento. Clara, in un lungo abito grigio a riflessi
argentei, mi aspettava in salotto
- Ma dove siete stato? - ella esclamò, non appena Geltrude ci lasciò
soli. - lo era sulle spine. Sono più di sei ore che mancate da casa vostra;
appena io partii, voi usciste: eran le quattro meno un quarto; ora son le
dieci e mezza. Vi sentivate male, dovevate coricarvi e siete andato a
passeggio! Non ho diritto a saper nulla, ma poiché mi avevate promesso una
riga, l'aspettavo; ho mandato da voi tre volte; nessuno ha saputo dirmi
niente; io temeva per voi, dopo quella sfuriata... Non vi chiedo come
abbiate impiegato il tempo; ma una negligenza tale per l'amica vostra...
Insomma, dove sei stato, che cosa hai fatto, chi hai visto, con chi hai parlato?...
Non ne posso più!
Ella si esprimeva con frasi tronche, quasi sibilanti, squadrandomi dalla
testa ai piedi.
Io doveva aver l'aspetto dì un reduce dalla caccia al cignale, da una di
quelle cacce, però, in cui il cignale incute al cacciatore lo spavento, che è la
caratteristica leggendaria della selvaggina.
- Sono venuto appunto per rassicurarvi, - dissi con voce malferma.
Sto bene; ho un appetito eccezionale, perché ancora non ho pranzato! No,
no, vi prego - obbiettai, vedendo ch'ella stava per chiamare. - Non vi
disturbate: troverò da mangiare in qualche trattoria... Volevo solo
rassicurarvi.
- Ma non mi rassicurate punto, con cotesto viso, con le vostre parole...
- Ora vado a pranzo, poi a riposare, - dissi stendendole la mano,
domani ci vedremo e ci parleremo.
- Non potete tornare stasera medesima?
- No: è tardi; non dovete più commettere imprudenze. Si rimarrebbe
fino all'alba, di nuovo, e sono pazzie imperdonabili....
Strinsi la piccola deliziosa mano ed uscii mentre Clara si chiedeva
smarrita, ad alta voce:
- Ma che ha? Che cosa è diventato?
La poveretta non sapeva che, al vederla, avevo sentito il sangue
corrermi alla testa; e che, mentre parlavo, mi ronzava negli orecchi un sussurro,
un brusìo molesto, una voce: Clara, al suo amico Lorenzo.....
XVI
Lorenzo.....Forse avevo visto male la villa Capriccio; poiché all'indomani in una
mattinata ancor tepida e aurea di sole il giardino, la casetta giallognola, il
viale che mi adduceva mi parvero ricchi d' un senso grandioso e pacifico. Vi
si doveva vivere serenamente, e spalancando le finestre, qualche onda di gioia
doveva proromper nella casa con le onde di luce. La nebbia era scomparsa:
le allèe del giardino erano ancora tutte umide, e le siepi di bosso
luccicavano. Sul davanti della casa eran disposte parecchie poltroncine e qualche
leggiera tavola di vimini; dalla porta-finestra aperta si scorgeva l'atrio
silenzioso col pavimento a mosaico; e ritto nel vano, Giacomo fumava la pipa.
La cosa mi sarebbe parsa incredibile, se il buon valletto riconoscendomi
e avanzandosi, non m'avesse annunziato la partenza del barone.
Partito col primo treno per l'Alta Italia, si dirigeva a Parigi.
- Gli ho detto aggiunse il servo - che lei sarebbe forse tornato per
acquisto della villa. Il signor barone mi ha chiesto il suo nome.
Alzai le spalle.
- Che gl'importava il nome? - osservai. - Tanto non mi conosce!
Giacomo sorrise.
- Io credo invece che il signor barone la conosca benissimo.
- Davvero?
- Non appena gli feci la sua descrizione: un signore alto, magro, dai
baffi rossicci, dai capelli corti, con un soprabito grigio, e con un leggero
difetto di pronunzia.....
- Avete notato anche questo? - interruppi desolato.
- Non è difficile accorgersene. Il signore non pronunzia l'erre.
- Ebbene?.... Che cosa ha detto il barone?
Giacomo parve esitare e mi guardò, quasi chiedendo indulgenza.
- Suvvia, fatevi coraggio. Non mi avrà mica insultato.
- Oh! - disse il servo, vivamente. - Nemmeno per sogno. Ma è
rimasto assai stupito, e mi assicurò che dovevo aver capito male, e che lei
non poteva esser venuto per comprare una villa. Io era sicuro di aver capito
bene....
- Senza dubbio: se v'ho persino chiesto il prezzo....
-.... e allora io insistetti rispettosamente, dandogli i particolari della
nostra conversazione.
- E il barone sarà rimasto persuaso?
- Niente affatto: il signor barone mi confermò l'ordine di preparar
tutto per la partenza di stamane.
- Perché - obiettai - l'ordine l'aveva dato prima che voi gli parlaste
della mia visita?
- Sì, signore: appena entrato in casa. Mi confermò tale ordine, dunque,
e non disse più nulla. Solo, udii che, ritirandosi nella sua camera,
borbottava: " Storie! storie!"
- E stamane se n'è andato?....
- Come ho l'onore di dirle....
- Avete anche l'onore di servire un bell'originale - conclusi, tanto per
non tradirmi interamente. - E quando torna?
- Fra un mese o fra pochi giorni.
- Come? Si decida per i giorni o per il mese, che diavolo! - esclamai,
seccato.
- Il signor barone ha detto precisamente così.
- E siete sicuro ch'egli m' abbia ricono...., voglio dire che egli mi
conosca? - insistetti.
- Non v'è dubbio. Le dirò, anzi, che metà della descrizione sua l'ho
fatta io, e l'altra metà l'ha fatta lui, senza nemmen lasciarmi finire....
- Figuriamoci come mi avrete conciato, fra tutti e due! - mormorai.
Giacomo sorrise, gustando bonariamente la facezia. Io restai qualche
tempo immobile; cercavo un'idea, una spiegazione; cercavo, sopratutto, di
capir quale conseguenza potesse avere per me, per Clara, un avvenimento
inopinato come il viaggio del barone. Ma mi accorsi che dovevo riflettere a
lungo prima di vedere e comprendere la cosa con qualche esattezza.
Alzai gli occhi e compresi soltanto che il buon valetto moriva di voglia
di rimettersi la pipa in bocca.
- Addio, Giacomo! - gli dissi voltandogli le spalle.
XVII
Volevo rintanarmi nella mia camera e rimanere solo a macerarmi di
rabbia. Credo che quel giorno io sia rimasto lunghissime ore sdraiato sopra
un divano, senza mangiare, senza muovermi, come una belva ferita va a
nascondersi nel fondo del suo covo per morire lungi dagli occhi indiscreti,
silenziosamente.
La partenza del barone mi rompeva in mano le fila dell'intrigo;
ritornando egli fra pochi giorni o fra un mese, come aveva promesso, il dramma
avrebbe riavuto principio, io mi sarei dovuto por di nuovo fra Clara e lui, e
lottar di nuovo contro la donna e contro quell'uomo, il quale combatteva con
armi così diverse dalle mie, taciturno e inafferrabile. Mi sentivo stanco,
irritato, proclive ad abbandonar tutto, per andarmene lontano io pure a cercar
pace in qualche paese tepido e pieno di sole.
Il dopopranzo, mentre le ombre cominciavano ad invadere la camera,
mi colse ancora al medesimo posto; e con gli occhi sbarrati nel vuoto, i
pugni stretti, andavo pensando che era tempo di scuotermi, di uscire o di
accendere i lumi; e non trovandone la forza, rimanevo immobile, sempre con
quello stupido pensiero in mente, di alzarmi per accendere la lampada.
Forse non ne avrei fatto nulla, se d'improvviso, levando gli occhi e
girandoli oziosamente, non avessi scorto sul limitare una figurina di donna;
l'ombra della sera non mi permetteva di vederne il viso, ma l'atteggiamento,
la linea, il gesto, non potevano ingannarmi.
Entrata cautamente, stringeva nella mano destra il lembo della portiera
e mi guardava attorno, cercandomi.
- Clara! - dissi, mentre mi alzavo e le andavo incontro.
- Ah, siete qui? Siete qui, all'oscuro?.... - ella domandò senza inoltrare,
Sulla tavola stavano due candelabri, che accendevo di rado, quando mi
vestivo per qualche serata; allora la bella luce delle dodici candele mi
piaceva, dorata e dolce.... Le accesi e andai a chiudere poscia la finestra.
- Perché eravate all'oscuro? - chiese la giovane nuovamente.
- Venite, venite - le dissi, additandole il divano. - Ho da parlarvi....
- Ho da parlarvi io pure - ella ripetè.
La guardai e vidi ch'ella doveva essere in preda a qualche forte
sentimento: le sue sopracciglia corrugate s'univano in una linea dritta e
singolarmente dura, così da mutar la espressione della fisionomia, per il solito
aperta e fiduciosa.
- Cose gravi? - domandai esitando.
- Gravissime - ella confermò, sedendo sul divano. - Ma parlatemi
voi prima.
- Oh, non ho molto da dirvi. Volevo semplicemente annunziarvi che il
barone seguita a giuocare, che il suo vizio è indomabile. Posso dirvi anche
i nomi degli amici che convengono da lui......
Mi arrestai, vedendo un gesto brusco della donna.
- Sempre il barone? - ella interruppe. - Gli date una caccia feroce,
come ad una belva, non è vero?
- Lo confesso: gli dò la caccia.....
- E andate in casa sua, qui e sul lago, a interrogare i servi e le
serve - continuò Clara con un indefinibile senso di disgusto. - Poi, dai
pettegolezzi di codesta gente traete il tema per inventar dei romanzi a me!
Un colpo di stile in pieno petto non mi avrebbe fatto più male di quelle
poche frasi, che le labbra della giovane pronunciarono con un'espressione
di sarcastico disprezzo.
Mi si aprivano gli occhi un tratto. Il mio edificio era crollato e
innanzi a me avevo se non Clara innamorata di Lorenzo, Clara stanca di
conbattere, decisa a finirla con uno dei suoi due carnefici; e quell'uno ero io.
- I servi e le serve, - mormorai intimidito.:- Certo, ho interrogato
i servi e le serve, poiché non potevo mica chiedere al barone che cosa
pensasse dell'assassinio di sua moglie.....
- E chi vi ha mai incaricato di simili ricerche? - domandò la
giovane. - E scendendo fino a costoro, non v'è passato per la testa che vi
sareste ridotto a diventare confidente di tutti i pettegolezzi, di tutte le
miserabili loro querimonie, della loro invidia, del loro astio?...
- No, vi dico il vero: le persone che io interrogai erano ben lungi dal
supporre ciò ch'io voleva: dovetti faticar molto per giungere a qualche
affermazione concreta e decisiva.
- Avete fatto il furbo, dunque? - interrogò Clara, con una nuova
intonazione ironica.
- Quantunque ciò vi paia inverosimile, devo confessarlo - risposi.
Mi accorsi ch'io stava in piedi innanzi a Clara, come l'imputato
innanzi al giudice; e la cosa mi spiacque. Afferrai bruscamente una sedia,
vi presi posto, e seguitai:
- Confessarlo?.... Ho detto male. Che cosa devo confessarvi? La mia
sollecitudine per voi, il desiderio di aiutarvi in questa gravissima ora della
vostra vita, il lavorìo per salvarvi da un passo fatale? Queste non son cose
che si confessino, non son cose delle quali ci si fa un vanto. Ho interrogato dei
servi e delle serve, come voi dite; che cosa importa? Vi ho persuasa della
verità dei miei sospetti; ecco il nodo della questione, ecco ciò che dovete
ammettere. Il resto è trascurabile. Or ora vi dicevo che il barone ha
ricominciato a giuocare; provatemi il contrario, se vi riesce. Saran confidenze
di servi anche queste; ma io vi reco la verità, e voi non avete nulla da
opporle.
- Vi credevo assai più nobile - mormorò Clara.
- Dite che mi credevate assai più sciocco - ribattei con una risata
cosi stridula, che lacerò le orecchie a me pel primo - Mi credevate un
imbecille, voi e il barone, incapace di prendere una decisione e di condurla
a buon porto; credevate che piuttosto di parlare ad un servo o a una serva,
avrei lasciato correre l'acqua per la china, rabbrividendo per non so quale
orgoglio di casta. Ah no! Volevo sapere e ho saputo. Come? Questo non
vi riguarda.
- E... di grazia, - interruppe Clara con quella sempiterna espressione
di sarcasmo, la quale mi pungeva intollerabilmente - di grazia, che cosa
avete saputo?
- Me lo domandate? - esclamai. - Non vi ho raccontato tutto, non
abbiam passato una intera notte a ricostruire l'accaduto?....
- Sì, un'intera notte - ripetè Giara. - Una intera notte nella quale
non faceste che espormi dei ragionamenti. Per via di ragionamenti, avete
dimostrato che il barone era mandante dell'assassino. Ma un fatto, un solo
fatto, anche minuscolo, voi non l'avete esposto. Se io avessi avuto sufficiente
abilità, in quella notte, per via di ragionamenti, avrei distrutto la vostra
cabala, dimostrandovi a fil di logica, che so io? che il mandante, per esempio,
eravate voi. Ho ripensato a quella notte, non dubitate, e vado ripensandovi,
e ho concluso che siamo stati due pazzi! Voi avevate ancora la febbre;
eravate convalescente. Quanto a me, col mio orribile carattere, facile a
credere, a infiammarsi, a lasciarsi sviare, son rimasta vittima delle vostre
fantasticherie....
E' questa la vostra opinione presente? - domandai, alzandomi.
- Sì, è questa! - confermò Clara.
- Io non ho nulla da obiettare - conclusi. - Siamo stati due pazzi,
come voi dite; ma fortunatamente siete ancora in tempo di riparare alle
nostre pazzie. Avete un fidanzato di gomma elastica, che si piega e si
accomoda a piacere. Basterà un gesto per farvelo ritornare, scodinzolando ai
piedi, come un cucciolo.
Seguì un breve silenzio; presso la tavola, mi occupai a toglier la cera
che colava dalle candele; ma d'improvviso mi rivolsi.
- Dunque - esclamai - avete deciso? Avete deciso di sposarlo? E'
riuscito nel suo intento? Ieri l'altro è stato da voi a parlarvi; da quel
momento, voi diveniste fiduciosa..... Che cosa vi ha detto?
- Non ho deciso niente, per ora, - rispose la giovane. - Soltanto,
ho meditato e mi son chiesta che cosa voi mi aveste provato: nulla! Nulla,
capite? - ripetè, animandosi. - Mi avete detto: " Il barone ha lasciato
assassinare sua moglie ", e io vi ho creduto.... Non sentite che questo è
assurdo?... Mi avete detto: " in paese, tutti lo accusano d'aver chiuso gli
occhi perché il delitto avvenisse ". Ma dove è il paese nel quale non si
accusa, non si mormora, non si sussurra?... Una serva vi ha confidato che
quando udì il nome dell'assassino, il barone esclamò: " me l'imaginavo "
e su questa frase avete ricamato le vostre più belle deduzioni... Ma l'avete
udita, voi, codesta parola? Siete sicuro che essa sia uscita dalla bocca
dell'uomo che accusate? Non può essere una invenzione, anche ingenua, della
vostra confidente? Poi, quella notte, quando vi domandai di che cosa
accusaste il barone, mi avete risposto: " non l'accuso di complicità morale e
nemmeno d'aver preparata la morte di sua moglie, ma di non averla difesa
contro il pericolo ". E l'accusate di questo delitto imponderabile, perché la
vigilia dell'assassinio egli dovette partire e andarsene a Milano!....
" Se la vostra logica avesse fortuna, pochi si salverebbero dall'ergastolo,
ve lo assicuro io!... Insomma, io vi chiedeva delle prove, e voi non avete
potuto darmene..... Lo so, che ostentate un gran ribrezzo per le prove; ma
via, che volete? sono una donna, e a certe altitudini speculative non posso
giungere.
- Che cosa vi ha detto? - interruppi, chinandomi verso Clara.
- Nulla mi ha detto, - ella rispose ritraendosi un poco. - Perché si
difendesse, avrei dovuto accusarlo; e voi credete che si possa così,
improvvisamente, accusare un uomo d'assassinio?
- Pure, se è stato da voi, qualche cosa deve avervi detto......
E' certo. Ha parlato d'amore....
- D'amore?- gridai. Avete ascoltato le sue parole d'amore, voi?....
- Vediamo di non perdere la testa per così poco - osservò Clara,
inarcando le sopracciglia. - Se anche avessi ascoltate le sue parole d'amore,
non avrei da renderne conto ad alcuno..... Ma non è già venuto a parlarmi
dell'amor suo; bensì dell'amor mio per voi, perché l'indegna commedia che
io recitava venendo tutti i giorni in casa vostra, egli l'ha creduta....
- Indegna commedia? - ripetei attonito.
- E avendola creduta, - seguitò Clara, - ha compreso che a lui non
rimaneva se non allontanarsi...
- Infatti, - dissi, - è partito per Parigi, stanotte......
- E ha fatto malissimo, - concluse Clara freddamente.
- Malissimo?
- Senza dubbio..... Ah, voi supponete, dunque, che io abbia confermato
i suoi sospetti, che abbia confessato d'essere ancora la vostra amante, quando
non lo sono più?.... E perché avrei dovuto accusarmi d'una colpa che non
ho commesso?.... Certo, non osando narrargli tutto, le mie visite a voi
diventavano inesplicabili, e per ciò non ha potuto prestarmi fede, ed è partito.
- Ma voi avete dunque tentato di giustificarvi, gli avete chiesto
perdono, gli avete riconosciuto il diritto di giudicare le azioni vostre?....
Clara alzò le spalle.
- Sapete pure che non ho da chieder perdono ad alcuno - ella disse.
L'ho pregato di credere che le mie visite in casa vostra erano innocenti......
- Ma quest'uomo, pochi giorni addietro, vi faceva orrore.
- Sì, quando prestavo fede alle vostre accuse.
- Ed ora, dunque?
- Ora, ve l'ho detto. Ripensandoci mi sembra d'aver fatto un pessimo
sogno, per colpa vostra. In nome di Dio - aggiunse drizzandosi in piedi
ella pure, quasi con un balzo - in nome di Dio, recatemi un fatto, una data,
qualche cosa di concreto, e avrete vinto: ma i vostri indizi sono falsi. Vi
dirò di più: è falsa perfino l'accusa che gli fate d'essere un giuocatore...
Io non potei frenare un gesto di meraviglia dolorosa.
- Si, sì - insistette Clara. - Voi dite che il barone giuocava e
perdeva, perché ve l'hanno detto i suoi servi: voi affermate ch'egli giuoca
tuttavia, e la notizia vi vien dalla fonte medesima. Non nego che ciò possa
essere: ma tra il giuocare e il rovinarsi c'è differenza. Su, ditemi una cifra:
quanto ha perduto a Milano, a Montecarlo, a Nizza, quanto perde qui?
Ditemi una cifra, la quale mi dimostri che al momento dell'assassinio egli era
rovinato e di quell'assassinio aveva bisogno. Non potete dir niente, è vero?
Non sapete niente, non accusate, ma il solo fatto d'esser giuocatore
rappresenta per voi il motivo riposto dalla complicità in assassinio.
- Ah, non sentite, non sentite, ancora che siamo stati pazzi ad accusare
e a condannare, cosi, cervelloticamente, quasi, per un esercizio retorico? Io
l'ho sentito, questi giorni; io ho avuto vergogna della mia leggerezza....
- Vi prego - interruppi. - Comprendo troppo i vostri scrupoli per
non apprezzarli. E' evidente che se vi lascio continuare per questa via,
l'assassinio della povera baronessa finirà per ricadere sulla mia testa. Certo: no[n]
sono il giuocatore, io sono l'uomo della disgrazia. Mi son voluto occupare dei
fatti altrui, e la dura lezione mi sta benissimo. Del resto, nulla è perduto.
Il barone tornerà fra un mese, come ha promesso.....
- Oh no! - disse Clara, imprudentemente. - Fra pochi giorni.
- Fra pochi giorni? - ripetei subito. - Come potete affermarlo?
Clara si morse le labbra, guardandosi in giro. Stavamo di fronte l'uno
all'altra, a pochi passi dal divano; alla nostra sinistra era la tavola coi
candelabri accesi.
- Come lo sapete? - insistetti. - Come sapete che tornerà fra pochi
giorni?
La donna si strinse nelle spalle, scuotendo il capo, annoiata.
- Ditemi, dunque? - seguitai, fremendo di impazienza. - Alla sua
villa non sanno niente di sicuro; e voi potete affermare che tra pochi giorni
egli sarà qui?..... Vi ha scritto?
- Senza dubbio. Io non parlo coi servi e se non mi avesse scritto,
ignorerei la sua partenza.
- E vi ha scritto che tornerà subito?
Clara non rispose.
- Insomma non volete parlare? - dissi, avvicinandomi anche di più
alla giovane.
- Ma non ne ho alcun obbligo, mi sembra - ella rispose. - Perché
dirvi ciò che contiene una lettera diretta a me? Non son venuta per questo.
Lo scopo della mia visita era di farvi ravvedere alla vostra volta.
- Ravvedere? - mormorai
- Ravvedere, sì, ravvedere! - concluse Clara. - Volevo dirvi di
desistere dalla vigilanza sospettosa che esercitate sopra il barone. Io non credo,
non credo più alla sua pretesa colpa; e se non è per convincermi, a che fine
seguitare quest'opera indegna di voi e di me? Lasciatelo in pace.
- Va bene: lo lascerò in pace - dissi rassegnato. - Vi prometto che
lo lascerò in pace, ora e sempre. Ma come sapete che egli ritorna fra pochi
giorni?
- Daccapo! - esclamò la donna, spazientita. - Ora che ho la vostra
promessa, il nostro colloquio è finito. Devo ringraziarvi della vostra lealtà
aggiunse stendendo la mano guantata.
Afferrai la piccola mano convulsamente.
- Il nostro colloquio è finito - ripetei - tutto è finito! Non è vero
Clara? Hai deciso di sposarlo. La sua visita ti ha scossa. Che cosa ti avrà
detto? Ora comprendo: egli ritorna per sposarti. Egli ritorna perché un
tuo telegramma, una tua lettera lo richiama a Firenze. E' così; non può
essere che così...,.
Clara stette muta.
- Ah, ho indovinato! - esclamai. - Lo ami, lo ami: finalmente questa
confessione me l'hai fatta, senza parlare. Oh, che cosa orribile!
- Amico mio - ella interruppe, usando per la prima volta dopo tanto
tempo la dolce parola - pensate quanto l'abbiam fatto soffrire senza
ragione! L'abbiam costretto a fuggirsene lontano, con le nostre pazzie....
- E allora, l'hai richiamato presso di te? - conclusi. - Egli accorre,
si getta a' tuoi piedi, e fra quindici giorni un bel matrimonio chiuderà la
commedia.
Abbandonai la mano di Clara e mi misi a passeggiare in lungo e in
largo per la camera.
- Sì, la commedia, - continuai, ridendo. - E' stata una commedia,
una farsa, dalla quale io fui lo zimbello.... Non lo negare.... Io credeva, io
voleva salvarti: e tu venivi qua per eccitare la sua gelosia, per provare il
suo amore: ecco sciolto l'enigma; e quando hai visto che la bella impresa
ha avuto buon fine, metti alla porta me, e ti dai a lui.... Che abile
allettatrice! Che donnina a modo! Quanta diplomazia!....
- No! - esclamai, accorrendo e mettendomi innanzi all'uscio. - Non
devi partire così. Non ti ho detto tutto..... Voglio chiederti se davvero tu credi
il barone innocente?
Vi risponderò quando m'avrete lasciato libero il passo, - disse la
giovane.
Mi risponderai ora, subito!
- Ma che cosa è questa violenza? - esclamò Clara con la voce che
tremava di collera. - Son caduta in un tranello?
Per tutta risposta, mi volsi e chiusi la porta a mandata doppia.
- Oh! - disse la giovane con un gesto di disprezzo. - Che cosa fate?
Lasciatemi passare! Commettete una vigliaccheria....
- Dimmi che lo ami, e sei libera.
- Lasciatemi andare! - ripetè la giovane, facendo un altro passo verso
di me.
- Dimmi che lo ami; dimmi che lo attendi per essere sua..... Dimmi
tutto questo: ho bisogno di udir questo dalla tua bocca.
Clara battè i piedi, vibrando d'impazienza.
- Aprite! Siete pazzo; non siete che un pazzo! Aprite, via!
- Lo ami?
- In nome del cielo, lasciatemi passare!
- Lo ami, il tuo Lorenzo? Ah, ho visto, sai, il ritratto che gli hai
regalato: un bel ritratto, apposta per lui, con un abito fatto apposta per
lui! E la scrittura: Clara al suo amico Lorenzo
LorenzoLa giovane mi guardò trasognata.
- Come sapete? - mormorò. - Avete frugato nelle sue carte?
- E' probabile, - dissi. - è probabile anche questo.....
- Ora non mi stupisco più che pensate di abusare d'una donna!
ella esclamò con la voce quasi sibilante. - Vi introducete in casa altrui per
frugar tra le carte e per ascoltar le spie.....
- Sì, tutto ciò che vuoi. Ma tu non passi, di qui se non mi avrai prima
confessato che intendi sposarlo, che intendi darti a quell'assassino. Egli
non è che un assassino, ricordatelo bene: e ricorda pure ch'io te ne avvertii.
Egli è un gingillo da forca, una canaglia coi guanti, uno sfruttatore di donne!
- Tacete, tacete, tacete! - gridò Clara, alzando istintivamente la mano
come per chiudermi la bocca. - Non insultate chi non può rispondervi!
- Rispondermi? - esclamai. - Ah tu credi che il tuo eroe mi
risponderebbe? Il tuo eroe ha paura, ha paura di me, di tutti: la paura è la sua
caratteristica eminente... Ciò che ti dico ora, io non temerei di dirlo a lui.
- Mi avete promesso di lasciarlo in pace... - interruppe Clara
sollecitamente.
- Oh, lo lascerò in pace! Non verrò a turbare la vostra luna di miele.
Ma a te voglio dirlo ch'egli è un assassino...
- Un assassino? - ripetè Clara, come se quella parola l'avesse
sferzata in volto. - Un assassino? Ebbene, io lo amo! Una canaglia coi guanti?
Ebbene, io lo amo! Uno sfruttatore di donne? Ebbene, io lo amo! Lo amo,
lo amo mille volte! Lo amo: odi bene questa parola: lo amo!
Ella s'ergeva di repente innanzi a me, con gli occhi che mandavan
fiamme, con le labbra umettate agli angoli da una bava sottile. Furiosa,
inviperita, fremebonda, pareva più alta, più snella, gettandomi in volto quella sfida.
- Lo amo! - ella continuò. - Lo amo, ricordalo bene! Lo amo, e mi
darò a lui. Hai voluto udire questo dalla mia bocca? Ebbene, sì, lo amo,
l'ho richiamato a Firenze, e mi darò a lui! Hai voluto bere questo veleno?
Ascolta ancora dunque: lo amo, lo amo, lo amo!
Clara mi stava così vicina, che le nostre bocche si toccavan quasi; e ad
ogni sua parola, io sentiva sul volto l'impressione d'una scudisciata. Allungai
le braccia, le avvinsi attorno al busto della donna e la sollevai d'un colpo
solo, come si spicca il frutto da un albero. Io la sentii straordinariamente
leggiera.
- Ah, tu lo ami? - dissi con calma, portandola e adagiandola sul
divano.
Ella pareva non aver più nozione di ciò che avveniva: mi curvai a viso
a viso sulla giovane estenuata.
- Ah, tu lo ami? - ripetei ironicamente. - Ebbene, ti ricordi ciò che
mi dicevi quando venivi qui? Mi dicevi: "Prendimi, se mi vuoi;
prendimi, se questo ti farà piacere; sarò tua, purché tu non soffra! ". E io ho
sempre rifiutato! Ma non rifiuto ora: ora sarai mia. Mia, hai capito? Mia,
devi essere, prima che di lui!
Ella volgeva gli occhi intorno, smarrita, passandosi una mano sul volto
come se uscisse da un sogno; ma non appena sentì ch'io ero presso di lei
e le cingevo il busto con un braccio, fece un balzo e si ricoverò di là dalla
tavola su cui stavano i lumi.
- Mia, devi essere! - continuai. - Lo hai promesso cento volte: ora
voglio che tu mantenga la tua promessa.
E allungando rapidamente la mano, l'afferrai per un braccio: ella si
divincolava in silenzio, respirando a fatica, dibattendosi con furia, gettando
indietro la testa quando vedeva il mio volto avvicinarsi.
Avvinghiati così lottavamo presso la tavola, accanitamente.
- Oh vigliacco, vigliacco! - ella mormorò.
Sentii che le forze le mancavano a poco a poco e ch'ella non poteva
resistere ancora a lungo; ma presso a cadere, ebbe uno sforzo supremo,
puntò i piedi a terra, inarcò il busto; e nel divincolarsi urtò contro un
candelabro con la mano, violentemente. Il candelabro tentennò un attimo, e
le si rovesciò addosso. Vidi una fiammata e udii il lieve crepitìo dei capelli
che si bruciavano... Il candelabro cadde pesantemente a terra.
Fu un lampo e fu il risveglio.
Clara mi stava svenuta fra le braccia. Come pazzo di terrore, l'adagiai
di nuovo sul divano: la fiamma le aveva bruci[a]to pochi capelli sull'occipite
e le aveva lasciato una lunga striscia rossa sulla parte destra del collo... Ma
non osando chiamare, le tolsi il cappellino che ancora aveva in testa e le
spruzzai il volto con l'acqua.
Ella rinvenne subito, guardò in giro, mi vide inginocchiato presso di lei.
- Aprite! Lasciatemi andare! - disse rapidamente.
Si portò la mano al collo, e soggiunse con un amaro sorriso:
- Non è nulla. E' una piccola bruciatura; non c'è nemmeno il pretesto
di chiamare il medico per fare sapere a tutta Firenze ch'io sono in casa vostra.
Io mi alzai e le recai uno specchio.
- E' una piccola bruciatura, - ella ripetè dopo essersi guardata.
Avete voluto lasciarmi le stimmate del vostro amore... Datemi il cappello,
ve ne prego.
- Oh Clara! - mormorai avvilito. - Io non oso chiedervi perdono.
- Perdono? - ella disse. - Ma sì, vi perdono, purché mi lasciate
andare, purché la finiamo.
E vedendo ch'io non mi muoveva, andò ella medesima a prendere il suo
cappello, e se lo acconciò in testa.
- Mi perdonate dunque?
- Sì, sì, tutto ciò che volete; ma finiamola.
- E' sera, ormai; non potete uscire sola a piedi.
- Esco sola a piedi. Sapete dove abito; in un lampo sono a casa.
Io andai ad aprire l'uscio; ella mi passò vicina.
- Non mi potete perdonare a questo modo, con queste parole piene di
freddezza - osservai, trattenendola con un gesto.
- Vi perdono. Che cosa volete vi dica ancora? Debbo forse ringraziarvi?
- Ditemi che ci rivedremo, che mi permetterete di venire da voi...
Clara alzò le spalle.
- Non so niente, - ella rispose. - Debbo prima riflettere.
Si mosse, allontanò la portiera con una mano, e la lasciò ricadere dietro
di sé, uscendo con passo tranquillo.
XVIII
Mi parve che una tenebra densa mi circondasse, non appena Clara
scomparve. Avevo ben compreso che da quella soglia ella non sarebbe più passata,
e che io non avrei più varcato la soglia, la quale conduceva alla donna, ormai
per me lontana.
Ma più d'ogni altra cosa, mi turbavan le sue parole. Ella era certa
dell'innocenza di colui che io le aveva additato come un assassino.
Perché? Quali argomenti possedeva, da contrapporre ai miei? Quali fatti
erano a sua cognizione, che negassero i fatti da me esposti?
Ella non sapeva niente, ella non possedeva niente; eppure era certa, e
in pochi giorni s'era liberata dal dubbio, dal sospetto, dall'orrore che il
barone Lorenzo le ispirava, ed era venuta a difenderlo fieramente innanzi al
suo unico accusatore, innanzi a me!
Dal divano sul quale io era ricaduto, balzai in piedi; sentivo in cuore
l'impressione di una spina che andasse graffiandolo e lacerandolo: un dolore
fisico spaventoso. E mi misi a passeggiare, quasi a correre per la camera,
le braccia tese, i pugni stretti, mormorando parole sconnesse, gettando un
grido di tanto in tanto; arrivato in faccia alla parete mi rivolgevo e
ripigliavo la corsa fino alla parete opposta, sempre mormorando, sempre
gridando, urtando nei mobili, affannato nella corsa, come sospinto da qualche
fantasma pauroso.
Nel passar vicino ad un armadio a specchio, i miei occhi vi sì,
fermarono un attimo; mi guardai e rimasi inchiodato a quel posto.
Ero pallido, tremante, con lo sguardo smarrito, le labbra bianche; avevo
un aspetto così strano, i miei abiti eran così scomposti, che cominciai a
sorridermi, poi a ridere, finché diedi in una sghignazzata fragorosa. E fermo
innanzi allo specchio, guardandomi con una pietà ironica, parlai a me stesso,
a voce alta, sottolineando le parole con gesti.
- "O pazzo, dove vai? - mi dissi. - Dove corri? Che cosa è
avvenuto? Perché questa sciocca disperazione? Perché una donna, che non è più
tua amante, che non ti crede, che ti disprezza, perché questa donna sposa
un altro, tu vuoi uccidere e ucciderti? Fermati, pazzo! Non c'è nulla, nulla,
nulla al mondo che valga il tuo dolore; nulla vale un'ora di vita, un'ora di
pace. Non sarai, certo, così affannosamente disperato per il solo motivo che
un barone Lorenzo ha fatto uccidere sua moglie; che cosa importa a te?
Chi è costui al quale hai concesso il diritto di turbare tutta la tua esistenza?
E oggi solo tu sei preso da così magnanimo sdegno pel misterioso delitto,
quando già da tre anni, dal giorno in cui hai assistito al processo, il dubbio
ti è penetrato nel cuore? Che cosa hai fatto in questi tre anni? Hai lasciato
che la monca giustizia umana procedesse per la sua vita; hai alzato le spalle,
dicendoti che queste cose non ti riguardano, e che se il vero colpevole era
sfuggito alla punizione, tanto peggio per i giudici ottusi, tanto meglio per lui.
" Poi d'un tratto sei stato preso dalla febbre di scoprire la verità; hai
voluto, tu, solo senza aiuti, senza incoraggiamenti, smascherare chi si
nascondeva! E non già per un altissimo ideale di giustizia, ma perché la posta
del giuoco era Clara, la donna bella e giovane, della quale credevi essere
stanco, e la quale invece ti ha acceso nell'animo ancora mille fiamme! Che
t'importa di quella donna uccisa e invendicata? E' la donna viva e piena di
gioia, quella che ti attira, che ti ossessiona, che ti spinge per una strada
difficile e incerta! E perché? Non fu tua costei? Insieme, non avete vissuto
lunghi giorni di piacere? Non la conosci, corpo ed anima, ne' suoi gesti,
nelle sue parole, ne' suoi impeti di passione, ne' suoi momenti di tristezza,
e quando il dolore la colpisce e quando la voluttà la stringe alla gola? Tutta,
tutta la conosci; nulla può dirti di nuovo la sua anima, nulla puoi scoprir di
nuovo nel suo corpo. E perché dunque non vuoi ch'ella passi a un altro, e
che, dopo una esistenza agitata, ella viva tranquillamente e oscuramente nel
matrimonio? Il mondo è dunque finito con Clara? Quanto a colui che tu
sospetti d'assassinio, egli è più forte di te. Miser chi mal oprando si confida
confidaha scritto il buon Ariosto, Che restar debba il maleficio occulto.. Ma l'Ariosto
era un poeta, e se tutti i maleficii occulti dovessero un giorno esser palesi,
noi non sapremmo più a chi dare la mano. Il barone Lorenzo è forte: ha
agito, ha fatto agire, ha raccolto il frutto delle male azioni, e tutto s'è svolto
nell'ombra e nel silenzio; egli è veramente uomo moderno; tu non sei se non
un sognatore. Ecco perché egli s'è impossessato anche di Clara, mentre tu,
e una e due volte, te la sei lasciata sfuggir di mano. Cedila a lui; per diritto
di conquista, è sua; ella lo ama; te lo ha detto; egli ha ucciso ed ella lo ama...
Che c'entri tu, in tutto questo? Chi sei tu? Perché vuoi turbare l'esistenza
d'un uomo a te appena noto, e d'una donna che riprende la sua via? ".
Questo discorso declamato a voce alta innanzi alla mia imagine viva
riflessa nello specchio, mi calmò. La ragione fredda ed egoista aveva detto la
sua parola, e bisognava ascoltarla. Il maleficio doveva rimanere per sempre
occulto, nell'ombra, nel silenzio, poiché io non aveva nè forza nè volontà,
ormai, di evocarlo alla luce.
Mi guardai intorno: c'era al mondo ancora qualche cosa da fare; c'era
sopratutto da vivere in pace; Firenze si stendeva sotto i miei occhi,
sonnolenta e voluttuosa, con le torbide acque del fiume lento che pareva
immobile; e perché non sarei io potuto vivere tranquillo, lontano dagli intrighi,
io, come tutti gli altri, scettico e indifferente, incredulo e bonario,
accumulando giorni e giorni, memorie e memorie, fino alla fine?
Questa era la vita; il mio, invece, non era stato se non un sogno, e,
partendo per sempre, Clara l'aveva rotto, lacerato come un velo impacciante;
ella correva al matrimonio; io doveva riprendere la mia strada e vivere
finalmente una vita reale, senza utopie e senza apostolati.
La prima impressione ch'io ebbi, uscendo in quei giorni a passeggio,
stanco e debole come un ammalato, mi fu offerta dalla quantità di donne
giovani e belle che incontravo ovunque. Mi pareva di non averle mai viste,
ed erano intorno a me, venute da tutti i paesi, bionde, brune, piccoline, snelle,
magre, paffute, liete, tristi, eleganti, dimesse, timidette, procaci; ve n'eran di
tutti i paesi, del nord e del sud, e si trovavano a passeggio, a teatro, nelle
gallerie d'arte, alle Cascine, a Fiesole, nei salotti, nelle biblioteche, dove si beve
il tè e dove si beve la birra. Era un immenso stuolo di femmine giovani,
disseminato per tutta quella stupenda plaga italiana, e recavano con sé mille
sogni, e desiderii e illusioni e tesori di tenerezza e di voluttà.
Io non le aveva mai viste! Con gli occhi fissi negli occhi di Clara, non
m'ero accorto di tanta gioia e dì tanta vita che mi stavano intorno, non mi
ero accorto che un po' di quella gioia poteva essere mia, e ch'io sarei vissuto
così piacevolmente ammirando, corteggiando e non amando alcuno.
- " Quale orribile cecità! - mi dissi, aprendo finalmente gli occhi.
Io m'ostinava a fare il processo a uno sconosciuto, mi affannavo dietro le
gonnelle d'una donna che non ha più niente da darmi, ed ecco qui intorno
migliala d'altre donne belle come la primavera, le quali tutte hanno un corpo
ed un'anima per dare gaudii senza fine! ".
E poiché era ancora dubbioso se presentarmi un giorno a Clara e
chiederle d'essere ancora l'amico suo devoto, rapidamente decisi di non
occuparmene più. Ella era ammalata del male che m'aveva fatto soffrir tanto:
l'amore. Innamorata di Lorenzo, non capiva altro, non udiva le parole della
ragione, andava testardamente incontro al suo destino, sul quale nessuno
avrebbe potuto ritrarla.
Più volte la vidi a passeggio in carrozza, ed ella finse di non vedermi;
poi vidi anche il barone Lorenzo con lei; il volto dell'uomo luceva di tanta
gioia, che sembrava bello; e la cosa mi fece ridere senz'amarezza, pensando
che colui toccava finalmente il premio della sua malvagità astuta e taciturna.
Se il mondo era così fatto, io non poteva certo mutarlo; anzi, un giorno
in cui vidi la coppia felice passarmi rasento, rapidissima, al trotto di due
splendidi morelli, ebbi quasi uno slancio d'ammirazione pel barone Lorenzo,
pel trionfatore dell'ombra; la sua carrozza aveva schizzato la sabbia e la
ghiaia fino ai miei piedi; io mi trascinava, ancor doloroso della sconfitta,
ed egli sembrava correre all'impazzata, recando seco la donna bellissima,
che aveva saputo conquistare lentamente e che fra poco avrebbe stretta a sé
con vincoli tenaci.
Alcuni amici mi fecero riprendere le abitudini del passato; occupavo il
mio tempo in compagnie piacevoli, con l'intima voluttà di sentirmi libero;
e fu in tal modo ch'io mi trovai un giorno di fronte al barone Lorenzo
Scavolino.
Ero in un salotto; la padrona di casa, bruna, snella, irrequieta, mi
piaceva molto, cosicché mi vi recavo sovente e mi v'indugiavo a lungo,
ascoltando il cinguettìo della signora, che spesso diceva delle sciocchezze con una
bocca adorabile, la quale se le faceva perdonare. Sapevo che il barone Lorenzo
frequentava quella casa; ma da tempo non si vedeva, prima pel suo viaggio
a Parigi, poi per le cure del fidanzamento e pei preparativi di matrimonio.
Un giorno in cui eravamo rimasti soli, la signora ed io, il barone Lorenzo
si fece annunziare.
- Lei lo conosce? - mi disse la signora, nel mentre il servo porgeva
la carta.
- Siamo buonissimi amici - risposi, e mi stupii di non sentire alcuna
emozione, di non avvertire alcun sintomo di gelosia per colui che fra pochi
giorni avrebbe posseduto Clara.
Egli entrò: io gli teneva gli occhi addosso, e vidi che scorgendomi, si
turbò d'un tratto e impallidì leggermente. A furia di sfuggirmi, era caduto
fra le mie braccia.
- Loro sono buoni amici, non è vero? - disse la signora.
Il barone Lorenzo ancora dritto in piedi non rispose, mi guardò, parve
esitare; ma io mi alzai e gli andai incontro con la mano tesa.
- Ma certo, certo - dissi lietamente. - La rivedo con molto piacere,
barone. Mi avevan detto ch'ella era a Parigi.
Egli si drizzò, come se un peso enorme gli fosse stato tolto dalle spalle;
e la stretta di mano ch'egli mi diede fu energica.
- Ne son tornato da pochi giorni - rispose. - V'ero andato per alcuni
acquisti, e mi son trattenuto poco.
Ci sedemmo; animato dalla curiosità della scena, sentendomi tranquillo
e libero, cominciai a parlare, volgendomi spesso al barone, che sembrava
passar d'incanto in incanto, quasi estasiato.
Egli doveva pensare d'aver trovato un uomo di spirito, e tutto il mio
spirito non era se non nel fatto di non amare più Clara, di sentirmi! Attratto
[...]
per tutti i maleficii occulti e palesi.
Il barone si scusò d'essere stato assente così a lungo.
Ma non ha da farmi scuse - interruppe la signora, sorridendo.
E' più che giusto. Il barone - aggiunse ella, volgendosi a me - sta per
ammogliarsi.
- Oh, davvero? - esclamai, senza batter ciglio. - E il matrimonio
fra breve?
- Fra quindici giorni - rispose il barone Lorenzo, e la sua voce tremò
un poco.
- Una signora fiorentina? - domandai.
- Donna Clara - egli disse rapidamente.
Io mi alzai, nel mentre il barone mi guardava inquieto, e mi diressi a
lui con ambo le mani aperte e stese. A quell'atto amichevole e cordiale, il
volto dell'uomo raggiò di piacere, di gioia; e si alzò egli pure venendomi
incontro.
- La prego - dissi - di aggradire le più vive felicitazioni, gli auguri
più fervidi, e voglia rendersene interprete anche presso donna Clara.
Egli afferrò le mie mani, le portò quasi al cuore, e mi rispose con voce
tremante di commozione:
- L'assicuro caro amico, che questi suoi augurii sono i più dolci, i più
graditi fra quanti ci possano giungere in questi giorni...
E per la prima volta in vita sua, il barone Lorenzo Scavolino era sincero.