cce tocca a scontalla puro a ttutti noi.
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cucisse l’occhio pe’ ddavero. Oppuramente, abbasta a ffasse toccà’ l’orzarolo da una donna gravida, pe’ gguarì’ lo stesso.
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altro giocatore che lo rincorre, e se lo tocca lo fa prigioniero. Ognuno di questi vale un punto; e il giuoco si vince a capo di dodici punti.
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invece va più distante, tocca di nuovo a battere alla conta, o se sono più di due, al terzo, al quarto, successivamente.
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bbeve, dice ar Sótto: passo oppure fo ppasso, allora (in sto caso solo), er Sótto nun pô arigalà la bbevuta a cchi je pare, e je tocca a ffàssela a
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nocchie o di osse di albicocche, di pesche, ecc. Uno dei giocatori, al quale tocca di tirare pel primo (dalla distanza stabilita con un segno in
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pronunciando e battendo, mentre col dito si tocca or questo or quel pugno di chi vi tiene nascosta alcuna cosa da indovinarsi in quale dei due si trovi. La
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. Chiunque nel saltare tocca la riga col piede, prende il posto del paziente. L’ultimo dei saltatori deve dire, nel saltare, la parola Musa. Allora il
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compagno a spostarlo dal ferro, ed occupare il suo posto, o ad acchiapparlo. Chi tocca il ferro dice che sta ar sagro, perchè non può esser preso, come
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procurando di tirarvi vicini de’ soldi. Prima si fa la cónta; e a colui al quale tocca il punto al conto, getta il ciololetto detto bóccia o maróne, e poi vi
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seguente: Si fa prima la conta. A colui cui tocca il punto al conto convien bendarsi gli occhi con un fazzoletto: così bendato si chiama Gatta-céca. Il capo
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’ ggiocatore. A quello che je tocca l’urtimo nummero, ha dritto d’esse Conta e je va ppuro de dritto una bbevuta. Bbevuta che nun è mmisurata; la Conta
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fare grazia se le viene chiesta, o può aumentare a piacere la dose delle mazzaroccate. Qualora però il gatto indovina chi è il sorcio, tocca a questo
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ddenti asciutti, e questi, come succede, so’ quasi sempre li Regnanti che je tocca a riccommannasse a ll’antri dicennoje: Armeno fatecene assaggià’ un
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se’ tocca co’ la mano mentre je pija la fantasia e cche nun se la lèva. Stii a la lèrta la mmatina malappena s’arza, pe’ pprima cosa, de nun guardà
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