Dopo aver ripercorso il dibattito accademico, invero asfittico, sul salario minimo legale, l'A. considera l'esperienza internazionale e comparata, che sembra dimostrare l'utilità del salario minimo legale. Rileva come, in verità, se manca in Italia una legislazione sui minimi, non mancano determinazioni legali del salario, in particolare, e significativamente, per i rapporti di lavoro non standard. Analizza, infine, le ragioni generali e quelle specifiche a sostegno del salario minimo legale nell'ordinamento italiano, nella cui determinazione ben si potrebbe (anzi dovrebbe) tenere conto delle differenze di produttività e di costo della vita nelle diverse aree del Paese. Il salario minimo legale, rispetto all'attuale meccanismo giurisprudenziale basato sull'art. 36 Cost., si giustificherebbe tra l'altro perché la sua osservanza non dipenderebbe dall'iniziativa individuale, ma sarebbe presidiata da strumenti sanzionatori a vigilanza pubblica.
L'A. fornisce quindi un contributo originale e di dettaglio al dibattito accademico e politico in corso sul diritto del lavoro e delle relazioni industriali.
Fattori di sviluppo importanti sono stati anche il contributo del mondo accademico e il più stretto legame con gli organismi di tutela della concorrenza operanti in ambito comunitario. Per altro verso, i cambiamenti degli ultimi venti anni si spiegano in ragione dell'evoluzione dei criteri interpretativi per l'individuazione di pratiche anti-concorrenziali, ben sintetizzata dal passaggio da un approccio prevalentemente giuridico a un approccio che tiene in maggior conto valutazioni economiche. Si tratta di due percorsi indipendenti che meritano trattazione distinta e che, tuttavia, arrivano a incontrarsi nel momento storico attuale, caratterizzato dall'incertezza circa i cambiamenti cui va incontro l'antitrust italiano. L'articolo ne ricostruisce i caratteri essenziali e, nelle riflessioni conclusive, disegna i possibili scenari futuri.
Nel merito si impone un modello in continuità con la situazione esistente, rafforzando il ruolo del Consiglio d'amministrazione e del Rettore a scapito del Senato accademico. L'incerta configurazione del Direttore generale impedisce l'introduzione di un modello di amministrazione universitaria in linea con le recenti riforme dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche.
Per rappresentare plasticamente il senso della nostra riflessione, originata da un ampio dibattito accademico internazionale, proponiamo l'immagine di un universo in espansione lungo due anelli concentrici. I quali, continuando ad allargare il proprio raggio, estendono, anche in territori (tradizionalmente) "impensati", la gamma ed il rilievo degli interessi collettivi, di rango costituzionale, coinvolti nelle dinamiche evolutive della proprietà intellettuale.