Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Un discorso dell'on. Degasperi a Merano. L'istituzione di un segretariato a Bolzano

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Alcide de Gasperi 2 occorrenze

Degasperi a Merano. L'istituzione di un segretariato a Bolzano

Ieri ha parlato qui innanzi a numeroso pubblico della colonia italiana il vostro direttore on. Degasperi, accolto con larghe dimostrazioni di simpatia. Presentato da un caloroso saluto a nome della locale Sezione dal D.r Lucchini, l’oratore descrisse prima le linee generali dell’attività di parlamentare italiana, in quanto sono inspirate o determinate dal partito popolare, mettendo in contrapposto la situazione attuale caratterizzata dall’atteggiamento di Cicerin a Genova colla febbre rivoluzionaria che sembrava minacciare la consistenza stessa dello Stato due anni or sono, quando anche proprio in Merano, l’on. Flor in contraddittorio coll’oratore, predicava i miracoli della dittatura russa ed esigeva per essa la nostra illimitata ammirazione. Discorrendo del programma di riforme del partito, l’on. Degasperi trovò modo di rilevare che anche le riforme generali stanno in nesso col risorgimento della regione, portando ad esempio la nuova legislazione agraria che con analoghi provvedimenti, potrebbe darci la possibilità della grande bonifica della Val d’Adige, bonifica che ha un alto valore sociale e politico e che sarà una delle mete che la nostra deputazione si proporrà di raggiungere. L’oratore stesso per un principio di affermazione fece inserire già nel bilancio di quest’anno un primo importo per la bonifica a nord di Salorno. L’on. Degasperi si diffuse poi, ascoltatissimo, a spiegare i tentativi che i popolari stanno facendo per riorganizzare la vita del Parlamento e riformare l’amministrazione, rilevando che anche queste riforme stanno in nesso logico coi nostri postulati locali riguardanti l’assetto istituzionale e amministrativo della regione. Degne di ampio rilievo sarebbero le dichiarazioni del presidente del nostro gruppo parlamentare circa le questioni dell’Alto Adige, e ci rincresce non averle potute raccogliere letteralmente. Ci pare tuttavia di poterle riassumere così. La decisione circa le nostre autonomie provinciali e comunali dovrà essere imminente. Gli avvenimenti della Venezia Giulia c’insegnano che gli amici del sistema amministrativo autonomistico devono subordinare la questione delle circoscrizioni provinciali al riconoscimento del sistema. In ciò si compiace di aver trovato per tale tattica ch’egli ha caldeggiato già in autunno in seno alla commissione consultiva centrale l’assenso anche della Landeszeitung. Stima di poter dire già oggi però che, pur riconoscendo le ragioni che in via di principio possono consigliare per la circoscrizione di Bolzano delle istituzioni autonome particolari, nella pratica di questo periodo di transizione la collaborazione fra italiani e tedeschi in una sola amministrazione è richiesta da ragioni finanziarie, politiche e di diversa indole. In questo periodo conviene provvedere alla riorganizzazione dei servizi statali, mutandone, ove occorra, la sfera d’azione, risolvere il problema della lingua d’uso negli uffici dei vari dicasteri, coordinare la legislazione sociale, economica, giudiziaria, in modo che la questione dell’amministrazione autonoma possa risolversi, con criteri oggettivi, indipendentemente da preoccupazioni politiche e giurisdizionali che riguardano i rapporti dei cittadini collo Stato. È interesse tanto degl’italiani quanto dei tedeschi che la questione di eventuali nuove circoscrizioni provinciali o circolari venga posta e risolta in un ambiente e in un tempo in cui si proietti meno l’ombra del passato. Frattanto il partito popolare che non ha alcuna responsabilità diretta della politica fatta dai vari organi governativi nell’Alto Adige, crede tuttavia di dover appoggiare tale politica, quando miri a proteggere il libero sviluppo delle minoranze ladine e italiane e, senza ledere i diritti naturali dei tedeschi, tenta al ricupero degli elementi italiani. Esso deve lamentare però che tale politica non sia scevra da contraddizioni che si rivelano al pubblico, con grave danno dell’autorità statale e che si proceda troppo a rilento nella sistemazione amministrativa degli organi statali. Il governo dei tedeschi ha delle esigenze di sensibilità speciale, onde il partito popolare, forte delle passate esperienze e consapevole delle gravi responsabilità intende procedere non con agitazioni di piazza o con azioni precipitate, ma con opera premeditata e predisposta da un’esatta conoscenza di uomini e cose. A questo punto l’oratore fra il vivo interessamento dell’assemblea, annunzia che la Direzione centrale del Partito d’intesa col comitato regionale di Trento istituisce col giorno d’oggi un apposito segretariato popolare per l’Alto Adige, il quale avrà lo scopo di tutelare gl’interessi delle minoranze ladine e italiane in specie e della regione in generale, diventando organo di osservazione, studio ed azione per quanto riguarda la nostra politica altoatesina. Sotto gli auspici del Segretariato uscirà pure in Bolzano un settimanale il Ponte, il quale vuole essere non solo organo di avvicinamento coi ladini e con gl’italiani delle zone che furono già sotto l’influenza tedesca, ma anche interprete di ogni tendenza conciliativa e collaborazionista in seno ai tedeschi stessi. Ciò si potè fare con gravi sacrifizi; agli amici altoatesini di dare tutto il loro appoggio, ricordando che simili istituzioni fioriscono solo se sostenute col proprio obolo e colla propria fatica. Questa notizia e queste dichiarazioni le quali richiamano tutta l’opera di persuasione e di trasformazione psicologica compiuta dai popolari con tenacia e con successo — basti ricordare il recente comizio dell‘on. Degasperi in Gardena — furono accolte da grandi applausi. L’on. Degasperi, che nello stesso giorno conferì coi dirigenti della Sezione sui vari problemi locali, si abbia la nostra particolare riconoscenza per il suo vigile interessamento.

Il discorso dell'on. Degasperi al convegno universitario di Mezacorona

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Alcide de Gasperi 7 occorrenze

Conveniva tentare la riscossa su tutti i campi della coltura perché i cattolici sarebbero riusciti a risolvere la questione sociale solo se avessero strappato agli intellettuali il riconoscimento della loro abilitazione scientifica. L’oratore ricorda qui – commosso - il bel tentativo fatto dai nostri accademici e dal nostro piccolo mondo scientifico riuscendo per parecchi anni a mantenere la Rivista Tridentina che, lontana com’era dai centri d’attività intellettuale, non poteva dare nessun contributo alla rinascita che invocavamo, ma che rimane una prova confortevole dello sforzo con cui gli irredenti, chiusi a nord dal confine linguistico e a sud da quello politico, si affermavano nel campo della coltura.

Vale insomma oggi quello che l’oratore ebbe a dire vent’anni fa: «che la differenza capitale fra questo nostro punto di vista e quello degli altri sta in ciò, che gli altri coscientemente o no seguono un principio che si ripresenta sotto varie forme dall’umanesimo e dalla rinascenza in poi, per il quale una volta agli uomini fu Dio lo Stato, poi l’Umamità, ed ora è la Nazione. E come Comte e Feuerbach parlavano di una religione dell’umanità, così ora si parla d’una religione della patria in senso della nazione, sull’altar della quale debbasi sacrificare ogni convinzione e ogni diritto individuale umano. Che cosa infatti si vuol insegnare alla gioventù se non altro che la Nazione, va innanzi tutto, che essa solo può pretendere una religione sociale, mentre il resto è cosa privata? Noi in particolare delle Nuove Provincie che abbiamo imparato a sentire che cosa sia la Nazione nel lungo tormento dell’esserne dalla violenza straniera disgiunti, sappiamo valutare in tutta la sua bellezza ogni sforzo che tenda a farla risorgere nelle coscienze e negl’istituti del paese; ma anche tale attività dovrà andare soggetta alle norme della morale e ai principi immutabili della giustizia. La rappresaglia e la legge del taglione sono Vecchio Testamento. Cristo ci ha dato un Testamento Nuovo! L’on. Degasperi termina eccitando i giovani a sollevare lo spirito al di sopra delle lotte presenti, a non lasciarsi vincere dalla tristezza dello spettacolo quotidiano, a tenere fisso lo sguardo a quanto è secolare, permanente, divino nello svolgimento della nostra civiltà italica e cristiana. Ogni volta, egli dice, che spinto dal bisogno irrefrenabile di cercare come nel cielo un’idea che mi elevi al di sopra dei contrasti terreni m’innalzo fino dentro la cupola di Michelangelo a contemplare dipinti nell‘ampio empireo Angeli e Santi che fanno corona alla Tomba apostolica, penso con infinito orgoglio che qui ove s’incurva il duomo della mia religione universale s‘innalza anche il tempio del genio della mia stirpe e al di sopra delle delusioni presenti, rinnovo nel mio spirito rinfrancato la visione dei grandi e sicuri destini della Patria.

Ricordata la situazione locale, caratterizzata da un nucleo assai esiguo di cattolici militanti, da un movimento sociale economico nel primo sviluppo, da un’organizzazione Sindacale deficiente e dalle totale mancanza di una organizzazione politica, il Degasperi descrive a rapidi tocchi la situazione generale, nei suoi rapporti col pensiero cristiano. Nel movimento sociale incalzava il socialismo, venuto finalmente colle sue ondate a cozzare anche contro le nostre Alpi e, nei riguardi più particolarmente nostri, s’imponeva con tutto il vigore la dottrina sociale della Rerum Novarum. Quest’enciclica aveva constatato che nel mondo capitalista un piccolissimo numero di straricchi avevano imposto alla infinita moltitudine dei proletari un giogo poco men che servile; respinta la dottrina socialista della comunanza dei beni, aveva rilevato però la funzione sociale della proprietà; aveva insegnato che nelle contrattazioni fra lavoratori e datori di lavoro entra un elemento di giustizia naturale, anteriore e superiore alla libera volontà dei contraenti e constatato che interessa allo Stato che sia inviolabilmente osservata la giustizia, che una classe di cittadini non opprima l’altra, aveva dichiarato «che il pubblico potere deve assicurare a ciascuno il suo, non impedirne o punirne le violazioni... le misere plebi che mancano di sostegno proprio, hanno specialmente necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato... E, agli operai, che sono del numero dei deboli e bisognosi, deve lo Stato a preferenza rivolgere le cure e la provvidenza sua». Con tali insegnamenti veniva decisa in senso affermativo la vessata questione della liceità e dell'opportunità dell’intervento dello Stato nei rapporti economici dei cittadini, allo scopo di tutelare i più deboli.

Questo ricorso diede occasione all’oratore di chiamare a paragone i tempi d’allora coi tempi d’oggi, ricavandone ammaestramenti e considerazioni che non ci paiono senza interesse anche per i nostri lettori.

Il tentativo a giudicare dai congressi internazionali di Bienne e Wintertur (1896), ove convennero rappresentanti cattolici e socialisti per deliberare sulla tutela internazionale degli operai sarebbe anche riuscito, se i socialisti non avessero poi violentemente avocato a sé il monopolio della rappresentanza operaia e non avessero, inspirandosi al materialismo della loro dottrina filosofica, intensificata la loro campagna anticlericale. Ma il socialismo marxista venne disfatto anche perché interiormente oramai s'era sfasciata la sua impalcatura scientifica e morale. Soldati e soprattutto capitani che combattono senza fede nella propria causa lasciano cadere le armi, come se avessero le mani assiderate dal freddo. La demolizione della dottrina e della fede nella dottrina era già quasi completa prima della guerra. Durante la guerra i partiti socialisti che trovarono la via dell’unità nazionale si salvarono trasformandosi in partiti operai, e la costituzione di Weimar è forse il più bel documento che chiude, in Germina, la patria di Carlo Marx, il periodo inaugurato dal «manifesto dei comunisti» e inizia quello della collaborazione sul terreno nazionale. Ma in Germania i socialisti si erano costruiti il ponte del ritorno entro la nazione col loro atteggiamento favorevole alla guerra cosidetta «di difesa»: in Italia invece, sventuratamente, la guerra, per la condotta dei capi socialisti da un lato e dall'altra perché le classi dirigenti non seppero avvincere durevolmente le masse, come avevano saputo fare i consiglieri di Guglielmo, non attenuò, ma acuì il dissenso. L’oratore dichiara a questo punto di non voler trarre dalla situazione le ovvie considerazioni di attualità politica, perché in un convegno universitario sarebbero fuor di luogo, ma di poter concluderne che se alla revisione prima e alla demolizione scientifica del socialismo poi ha contribuito la sociologia e l’attività scientifica dei cattolici, contemporaneamente quello che contrastò al movimento socialista il dominio assoluto fu il sindacalismo bianco che rappresentò fino a poco fa l’unico rifugio per gli operai che non vollero piegarsi alla tirannide rossa. Quel che più importa ancora è di rilevare che tale risultato fu ottenuto senza compromettere in nulla la causa delle rivendicazioni operaie, anzi riaffermandola, e senza mai nulla concedere alla reazione che avrebbe voluto riprendere la posizione procuratale dal liberalismo economico.

Questa dottrina, vent’anni fa quasi universalmente rifiutata, sembra ora riprendere vigore, perché il pubblico confonde l'intervento sociale dello Stato sopra descritto, coll'intervento industriale e finanziario dello Stato, come amministrazione, a imprese economiche. Le esperienze fatte nell’ultimo periodo, specie in conseguenza della guerra, sono disastrose, onde d’ogni parte s’invoca - e il’ partito popolare fra i primi - il ritiro dello Stato da simili partecipazioni. Giova però rendere attenti i cattolici che pur assecondando la campagna per quello che si proclama «il ritorno dello Stato alle sue funzioni» non ricadano nella vecchia teoria libero—conservatrice che nega la funzione di tutela che lo Stato deve esercitare per i più deboli.

Oggi che le corporazioni si riaffacciano col loro vecchio nome nel movimento sociale e vi vengono propagate, quasicché fossero riesumazione nuova dello statuto del Carnaro, i cristiano—sociali non hanno che da ricordare Vogelsang e De Mun, per scegliere tra i molti e rileggere le tesi dell’Unione di Friburgo (l’internazionale scientifica dei cattolici raccoltasi ogni anno a Friburgo dal 1884 in qua) una delle quali tesi dice: «Il regime corporativo è il modo di organizzazione sociale che ha per base l’aggruppamento degli uomini dietro la comunanza dei loro interessi naturali e delle loro funzioni sociali e per coronamento necessario la rappresentanza pubblica e distinta di questi differenti organismi». Queste citazioni, questi ricordi - continua l’oratore – vengono ravvivati per l’orientamento della generazione nuova; nel 1901 non ne avevamo bisogno, giacché si lavorava allora con entusiasmo e senza titubanza per la via segnata dal Pontefice. Il nostro compito di organizzare corporativamente o sindacalmente le masse operaie era chiarissimo. Ma al di là di questo compito, diremo, manuale e per uno studioso, ausiliare, non ne avevamo uno più diretto, più confacente alla nostra vocazione e che pur doveva servire ai progressi dello stesso mov1mento cristiano—sociale?

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