Salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica: a) l'ammenda fino a lire 20 milioni per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire; b) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da lire 10 milioni a lire 100 milioni nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione; c) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da lire 30 milioni a lire 100 milioni nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell'articolo 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso.
L'A. sottolinea la permanente valenza della censura del giudice a quo in relazione all'ampia portata dell'interpretazione autentica che attrae tutti indistintamente i provvedimenti di rilascio e cioè anche quelli dovuti a grave inadempimento, tra i quali si annotano, la morosità, la cessione abusiva della locazione e qualsiasi altra inadempienza giudicata grave che viene in tal modo consolidata con un'autonegazione del diritto solennemente affermato dal giudice che dura, ormai, da un buon decennio.
Quanto alla concessione abusiva del credito appare di difficile collocazione l'iniziativa del curatore quale esercizio dell'azione di danno da qualificarsi come di massa.
Con questa ordinanza la Corte di Appello di Bari solleva la questione di legittimità dell'art. 44, comma 2, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (t.u. edil.) nella parte in cui prevede, in presenza di accertata lottizzazione edilizia abusiva, l'obbligo della confisca dei terreni e delle opere abusivamente costruite "anche a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti, per asserito contrasto con gli artt. 3, 25, comma 2 e 27 Cost. ". Oggetto del contendere è la natura giuridica della confisca: la granitica giurisprudenza della Corte di Cassazione che fonda sulla tesi della natura amministrativa della confisca la possibilità di applicare la misura anche con le sentenze di proscioglimento con formula assolutoria diversa dall'insussistenza del fatto, è stata messa in discussione, nel recente passato, dalla CEDU e da questa ordinanza che, sulla base di comuni argomentazioni, hanno ritenuto la natura penale della confisca, così inferendone la contrarietà ai principi della Convenzione CEDU ed a quelli della Costituzione.
D'altro lato, la rilevanza di una condotta (abusiva) quale esercizio di un diritto, non esclude che - in ragione di una doppia qualifica normativa - essa possa parimenti rilevare quale atto lesivo, con conseguente obbligo risarcitorio. L'abuso finirà in tal caso per convertirsi e risolversi in un atto illecito. Al postutto la categoria dell'abuso appare come stritolata nella tenaglia di due contigui spazi logici, in cui essa finisce per dissolversi. Da un lato lo spazio dell'irrilevanza, nel quale cade e giace ogni condotta che non si lasci agguagliare alla fonte; dall'altro lato lo spazio dell'illecito, che tutto attira nella propria sconfinata atipicità.
La questione di legittimità costituzionale della norma "abusiva", sollevata dal Tribunale di Rossano soprattutto per violazione del principio di uguaglianza e della regola costituzionale e europea sul giusto processo, viene discussa dalla Consulta in un momento storico molto particolare, in cui l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e la trasformazione delle regole della Cedu e della Carta di Nizza in norme primarie e principi fondamentali dell'Unione europea di diretta applicazione hanno già creato seri problemi al dialogo tra Corti sopranazionali e nazionali. E' in gioco la credibilità stessa della pregiudiziale costituzionale e la sua idoneità a dare soluzioni effettive alla tutela dei diritti.
L'attività del terzo che, invece, fuori del caso di concorso nel reato, contribuisca al successo del phishing attack sostituendo o trasferendo denaro o altre utilità provenienti dai delitti dolosi attribuibili al phisher (quali, ad esempio, la truffa, la frode informatica, l'accesso abusivo da un sistema informatico o telematico o la diffusione abusiva di codici di accesso) oppure compiendo altre" operazioni idonee ad ostacolarne l'identificazione" della provenienza delittuosa, può integrare gli estremi dei reati di ricettazione e riciclaggio. L'elemento soggettivo richiesto dall'art. 648-bis c.p., estendendo il principio espresso dalla recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di dolo nel reato di ricettazione, comporta la consapevolezza (generica) della provenienza delittuosa del denaro, del bene o delle altre utilità e la volontà di ostacolare la relativa identificazione, ed è compatibile con il dolo eventuale, ma esso deve trovare riscontri in circostanze fattuali e oggettive inequivoche e non basate su un semplice motivo di sospetto.
Scrutinio dell'ordinamento del Belgio, nel settore della libertà personale e nella classe dell'asilo politico, riguardato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e comparato con quello d'Italia: l'instaurazione della custodia cautelare abusiva, spoglia del compendio indiziario e quindi di una base fattuale, diviene una "vicenda incontrollabile" ed irriducibile, priva del rispetto delle garanzie minime, e dunque iniqua, per chi la subisce (procedimento ablativo ingiusto). Per via di tale "vulnus",emerge l'interrogativo circa il rispetto dei principi del rito cd. accusatorio e delle regole fondamentali del" giusto processo", riferito anche al problema della mancanza di una decisione tempestiva sulla legittimità della detenzione, che valga a controllarla (deficit nel versante del vaglio del titolo privativa, "de libertate"). Il giudice deve farsi garante dell'atto che elimina lo "status libertatis" (riduzione "in vinculis" giustificata): il suo intervento (cd. riserva di giurisdizione) deve essere autentico (con i caratteri del sindacato) e non un "moto apparente".
Perché il problema degli effetti della caducazione della clausola abusiva vessatoria è, a ben vedere, più complesso di quel che è apparso alla Corte e neppure chiuso nella sola alternativa - che una prima lettura della pronuncia potrebbe accreditare - tra pura caducazione del patto e sua correzione giudiziale. Risultando piuttosto preferibile ritenere che la caducazione parziale comporti l'applicazione della disciplina dispositiva abusivamente derogata.
Il criterio selettivo dell'indebito vantaggio in capo al "tradens", estrapolato dalla lettura coordinata degli artt. 317 e 319-quater, rimane neutralizzato, perde di valenza euristica e occorrerà valutare la condotta abusiva dell'agente pubblico "ex se", qualificandola come costrittiva o induttiva, a seconda che attinga alla soglia della minaccia, o no. La configurazione dell'induzione indebita nella forma tentata solleva però diversi interrogativi concernenti la possibilità di ipotizzare anche una tentata dazione indebita del privato, nonché di definire i rapporti con le fattispecie di istigazione alla corruzione.
Secondo l'A. l'art. 5 della legge delega fiscale n. 23 del 2014, definendo la condotta abusiva come l'uso distorto di strumenti giuridici aventi lo scopo prevalente di ottenere indebiti vantaggi fiscali, va interpretato nel senso che il principio di capacità contributiva, per essere concretamente operante e costituire un limite costituzionale all'autonomia negoziale, deve essere accompagnato dalla contestuale applicazione del principio generale della buona fede e dell'affidamento (oltreché da quello della prevalenza della sostanza sulla forma). Ciò che si richiede al legislatore delegato è, pertanto, di partire dalla definizione di abuso del diritto data da detto articolo come una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Si dovrà, però, fare un passo avanti, e cioè definire esattamente cosa si intenda per "assenza di sostanza economica" e per "realizzazione di un vantaggio fiscale indebito". A tal fine potrebbe essere utile la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'UE, secondo la quale va colpito non qualsiasi vantaggio fiscale, ma solo quelli contrari alla ratio dell'istituto di cui si invoca l'applicazione. Quanto poi ai profili sanzionatori penali dell'abuso del diritto, l'A. ricorda che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, le operazioni elusive assumono rilevanza penale nel quadro del paradigma punitivo della dichiarazione infedele, ma solo se contrastanti con specifiche disposizioni. Si è negata, perciò, la punibilità della c.d. "elusione non codificata" sul rilievo che, in assenza di un preciso fondamento normativo, non potrebbe ritenersi sanzionabile la violazione del principio generale del divieto di abuso del diritto. Per quanto riguarda, infine, il nuovo istituto della "cooperative compliance", previsto anch'esso dalla legge delega fiscale, si mette in evidenza il duplice obiettivo con esso perseguito e cioè, da una parte, la prevenzione dell'evasione e, dall'altra, la deflazione del contenzioso.
Sintetizzato ed analizzato il percorso argomentativo esposto nella sentenza, l'A. espone il quadro sistematico in cui si deve contestualizzare la fattispecie, mettendo in evidenza - da un lato - i profili condivisibili e quelli critici della soluzione adottata dal Tribunale di Bologna e - dall'altro - accennando alle ricadute della ricostruzione sistematica esposta in ambiti limitrofi (concessione abusiva di credito e escussione delle garanzie concordatarie).