L'A. muove dalla constatazione che in Europa si assiste ad un progressivo deterioramento dello Stato nazionale, dal quale deriva, all'interno, la nascita di enti autonomi, e, all'esterno, l'integrazione degli ordinamenti statali in assetti di tipo internazionale; ma osserva che, di fronte a questa complessa fenomenologia, la dottrina dominante tende ad abbandonare le classificazioni tradizionali, elaborate dalla dottrina tedesca, senza tuttavia sostituirle con un apparato teorico dotato di una sufficiente coerenza logica. Rilevata l'insufficienza del criterio genetico come carattere distintivo dello Stato federale rispetto alle figure contermini, nonché la crescente complicatezza del riparto di competenze tra gli enti che compongono lo Stato federale, si perviene e reputare con il Friedrich che sia necessario a fini definitori far capo ad un criterio procedurale, tale da assicurare l'evoluzione del sistema federale per via giuridica, non impedendo la modificazione dei poteri dell'ente centrale e di quelli periferici, ma garantendo che la sfera dell'uno e degli altri si svolga in reciproca, equilibrata coesistenza. La partecipazione degli Stati membri all'amending power e il connesso criterio della maggioranza qualificata, come forma caratteristica della revisione costituzionale, connotano, ad avviso dell'A., la figura Stato federale e permettono di distinguerlo ancor oggi dalle strutture similari e, in ispecie, dallo Stato regionale. Di tale criterio viene dimostrata la fondatezza prendendo a modello la più recente evoluzione di talune esperienze federali e, infine, analizzando brevemente la riforma regionale avviata in Italia.
In tal modo, lo stesso medico è indotto ad abbandonare il classico ruolo ippocratico di essere al fianco del paziente per curarlo, per alleviarlo qualora sia impossibile la cura, e consolarlo se non può sollevarlo. Oggi, il medico rischia di diventare un esperto che giudica della vita e della morte, una sorta di sommo sacerdote della salute. L'articolo, poi, si diffonde dettagliatamente sulla situazione legale ed epidemiologica olandese, concludendosi con una presa di posizione contraria all'eutanasia, sostenendo che quando il fondamentale diritto alla vita è negato a qualsiasi individuo umano, di fatto si abbandona la democrazia per entrare in una nuova era totalitaria.
Con il recepimento dell'art. 9 della VI direttiva CEE, l'art. 7 del d.p.r. n. 633/1972, oltre ad abbandonare, seppure parzialmente, il criterio basato sul luogo di utilizzazione della prestazione, ha introdotto una deroga alla regola generale, di matrice comunitaria, fondata sulla rilevanza del domicilio o della residenza del prestatore. Tale criterio è stato successivamente modificato dalla legge comunitaria per il 1990: ora le prestazioni di locazione di beni mobili materiali diversi dai mezzi di trasporto si considerano effettuate nel territorio dello Stato italiano, indipendentemente dalla localizzazione del prestatore, quando sono rese a soggetti con domicilio o residenza in Italia, a meno che le stesse non siano utilizzate dal committente fuori dalla Comunità europea. Quanto al concetto di «utilizzazione», dalla normativa comunitaria si evince come sia il servizio di locazione, e non il bene, ad assumere rilevanza ai fini dell'individuazione del criterio di collegamento territoriale con il Paese in cui il servizio risulta, appunto, utilizzato.
Il legislatore, con disposizione innovativa, ha introdotto un peculiare trattamento di favore per il lavoratore che decida di abbandonare volontariamente il lavoro, assoggettando l'indennità di esodo ad aliquota ulteriormente ridotta rispetto a quella prevista per la tassazione separata, esclusa l'applicabilità del trattamento di esonero previsto per le erogazioni liberali di carattere eccezionale e non ricorrente. Inoltre, non si può fare riferimento ad un concetto di esodo di carattere collettivo e ai fini dell'applicazione del beneficio non può derogarsi al principio di cassa, dovendosi, invece, fare riferimento al momento della corresponsione della somma indipendentemente dalla data del recesso.
Nella terza parte, pur non negandosi in via di principio l'opportunità di non abbandonare politiche mirate di riduzione della pressione fiscale, si sottolinea, da una parte, la stretta connessione di tali politiche con gli obiettivi prioritari di finanziamento del welfare e, dall'altra, il rischio che lo Stato, stretto nella morsa tra globalizzazione e decentramento, veda sempre più ridursi lo spazio entro il quale esercitare il suo potere di imposizione. E ciò, senza che corrispondentemente si operi per dotare la UE di una qualche entrata tributaria propria.
Nell'ambito dei processi di riorganizzazione dei gruppi societari, nonostante esistano talvolta motivazioni di carattere economico-aziendale che indicherebbero la fusione inversa come la scelta di ristrutturazione ottimale, la mancanza di una disciplina civilistica definita e di una prassi contabile consolidata, oltre alle incertezze legate al corretto trattamento tributario delle differenze di fusione, ha indotto spesso in passato ad abbandonare l'ipotesi di fusione inversa, a favore di scelte più "tradizionali", anche se supportate da ragioni economiche meno valide. In questo contesto, se la riforma fiscale ha contribuito a risolvere alcuni dubbi, rimane ancora incerto il trattamento civilistico di questa forma di fusione per incorporazione, in cui è la società partecipata ad incorporare la partecipante.
Di fronte alla possibilità di adottare un diverso corpo di principi contabili, quali sono le variabili da considerare prima di abbandonare l'attuale corpo normativo a favore dei principi IFRS? La presente rubrica analizza il tema e conclude che l'adozione facoltativa dei principi IFRS può offrire numerose opportunità: (i) miglioramento dei rapporti con i fornitori di capitali; (ii) semplificazione dei processi di reporting esterno; (iii) comparabilità dell'informativa finanziaria; (iv) sinergie tra reporting esterno e controllo di gestione; (v) maggiore efficacia nella gestione delle strategie di acquisizione e vendita.
Le richieste degli enti locali sono uno dei fattori che possono indurre i distributori ad abbandonare il settore o a riconfigurare la propria attività come attività di trasporto? Quali sono gli effetti che tale riconfigurazione genera nei confronti dei meccanismi di tutela dei consumatori e quali strumenti possono essere messi in campo per limitare tale fenomeno? L'attuale assetto di concorrenza per il mercato favorisce la realizzazione degli investimenti? Ad oggi non vi sono ancora chiare risposte a tali domande; le conclusioni del presente lavoro cercano di fornire alcune proposte sulla base delle evidenze emerse nei diversi paragrafi.
Tale conclusione, però, non può e non deve costituire una sollecitazione ad abbandonare, in modo sistematico, la procedura analitica solo perché l'utilizzo delle presunzioni può agevolare il compito degli uffici finanziari. In altri termini, la previsione di un capovolgimento dell'onere della prova rispetto ai principi di carattere generale, se, da un lato, giustifica l'utilizzo delle presunzioni, dall'altro, non esclude che l'amministrazione possa avvalersi della procedura ordinaria, a prescindere dall'esito più o meno favorevole dell'una o dell'altra metodologia di accertamento.
La riforma del 1993 intendeva abbandonare il principio di regolamentazione unilaterale del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, sostituendolo con il principio di regolamentazione contrattuale. La riforma si basava su due idee semplici. Primo: escludere le fonti unilaterali. Secondo: affidare la disciplina alla contrattazione fra i sindacati e un negoziatore pubblico neutrale (Aran), privo di legittimazione politica e, come tale, in grado di rappresentare esclusivamente gli interessi del pubblico. Queste idee sono state tradite in sede di attuazione della riforma. I contratti non hanno sostituito, ma affiancato le fonti unilaterali. La contrattazione si svolge, sopra e sotto un'Aran marginalizzata, direttamente fra organi politici e sindacati. La parte pubblica non rappresenta solo gli interessi degli utenti dei servizi pubblici, ma anche e soprattutto quelli dei dipendenti, cioè della teorica controparte. Di qui una nuova e diversa unilateralità: non è la parte pubblica a regolare unilateralmente, ma la sua controparte sindacale.
La disciplina dell'insider trading ha subito in pochi anni tre modificazioni e dietro ogni nuova disciplina si cela un diverso approccio con il bene giuridico da preservare; in particolare, con l'ultima normativa (art. 184 TUF), si arriva ad abbandonare la parità di accesso come interesse rilevante, per passare alla tutela di una funzione. Un tale cambiamento di prospettiva si ritrova, innanzitutto, nella scelta di strutturare la fattispecie in esame, esclusivamente, come reato proprio, inoltre, nella mancata punizione degli insider secondari, ed, infine, nella definizione di informazione privilegiata. La disposizione attuale, così affrancata dal bene giuridico della parità di accesso, permette di stabilire un nuovo rapporto tra la disclosure e le ipotesi di insider trading.
Al contrario, quando i diritti culturali risultano in contrasto con i (presunti) diritti animali spesso sono questi ultimi a dover essere ridimensionati anche se, sempre più frequentemente, i diritti nazionali e il diritto internazionale prevedono norme per assicurare agli animali almeno un livello minimo di tutela. In questo campo le varie culture mostrano atteggiamenti e sensibilità diverse. Poiché, secondo lo stesso diritto internazionale, tutte le culture hanno pari dignità e, fatti salvi i diritti umani, sono degne di essere preservate, quelle che mostrano una più spiccata considerazione dei diritti degli animali non possono, per ciò solo, prevalere sulle altre. E' però possibile una evoluzione naturale delle culture che le porti ad abbandonare quelle pratiche più lesive dei diritti degli animali e conduca a un maggiore rispetto per gli esseri senzienti.
Alla luce di tali esperienze, puntualmente richiamate e sinteticamente analizzate, l'A. conferma l'opportunità di abbandonare l'impostazione relativa alla riforma sistematica degli ammortizzatori sociali per porre mano, più realisticamente, ad un riordino dell'apparato in essere con la consapevolezza dell'esistenza di un "sistema parallelo", che ha preso corpo per necessità, ma che risulta tuttavia pienamente coerente, rispetto ai cardini costituzionali tradizionali della materia (artt. 38, comma 2, e 117, comma 2, Cost.), con i principi costituzionali attuali e/o attualizzati tanto in relazione alla ripartizione delle competenze Stato-Regioni (art. 117, commi 3 e 4, Cost.) quanto alla libertà di assistenza privata (art. 38, comma 5, Cost.).
E quali i punti critici che provocano le perduranti resistenze ad abbandonare la retorica bellica della lotta alla droga, per abbracciare la via pragmatica del contenimento dei rischi legati al consumo. La questione aperta è - e resta - quella di ri-orientare la politica delle droghe, passando dalla soluzione finale del problema alla convivenza con i consumi (e con i consumatori) di sostanze psicoattive.
Di conseguenza, argomenta ancora Zan, nell'affrontare le problematiche di innovazione degli uffici giudiziari è necessario abbandonare gli approcci centralistici classici- basati spesso sulla mera introduzione di nuove norme- a favore di approcci che assumano la "loosely- coupledness" del sistema come carattere fondamentale. Da qui, una maggiore attenzione per le dimensioni soft di integrazione e per la sperimentalità ed incrementalità degli interventi. Da qui, ancora, la valorizzazione dell'autonomia (e responsabilità) dei singoli professionisti; l'accento sulla creazione di comunità di pratica locali; la promozione di forme di dialogo e networking con altre pubbliche amministrazioni e con i cittadini.
In particolare, ha sostenuto la necessità che le spese sociali vengano ridotte in ogni settore economico, beninteso con giustificata razionalità, e che non sia più procrastinabile l'assunzione di coraggiose iniziative, volte ad abbandonare, di conseguenza, storiche e oramai dannose posizioni di conflittualità permanente. L'auspicio formulato è che si giunga al potenziamento della contrattazione aziendale, nella quale dovrà restare saggiamente disciplinata la partecipazione dei lavoratori allo sviluppo e agli utili delle imprese.
L'ottica con cui può essere opportuno indagare il fenomeno sembra spostarsi dal piano della teoria delle fonti a quello della teoria dell'interpretazione, il che consente di abbandonare la tradizionale logica monistica e solipsistica entro la quale inserire le riflessioni sui rapporti tra Corti e tra fonti, per abbracciarne una che valorizzi il dialogo e la sinergia tra attori istituzionali e documenti normativi. Per rappresentare tale fenomeno appare allora più indicato - rispetto alle tradizionali descrizioni a piramide - ricorrere alla metafora della rete, in quanto si tratta di una raffigurazione che è maggiormente in grado di dar conto delle relazioni mobili intercorrenti tra le fonti e le Corti, e che richiama l'attenzione circa la necessità di una cooperazione tra gli attori istituzionali in vista di un obiettivo comune, ossia una tutela dei diritti fondamentali incisiva e di standard sempre più elevato.
Abbandonare completamente il concetto di identità potrebbe, tuttavia, non essere facile, né, forse, necessario, come suggeriscono le analisi volte a mettere in evidenza il carattere ibrido, complesso e dinamico delle diverse "identità culturali".
Nel tentativo di abbandonare ogni ricostruzione formalistica, occorre, infatti, interrogarsi sulla ragionevolezza delle limitazioni temporali, legali e convenzionali, che, a seconda dei casi, possono frustrare sproporzionatamente la tutela dei diritti fondamentali e l'accesso alla giustizia, principio riconosciuto sia a livello costituzionale (artt. 2, 24 e 111 cost.) che europeo (art. 6 e 13 CEDU). In questa direzione, l'esercizio della prescrizione e della decadenza, se non possono essere considerati loro stessi rimedi - come nel caso di eccezione stragiudiziale del termine - possono incidere sensibilmente sul rimedio processuale, sì da consentirne la qualificazione di "giusto" soltanto allorquando, in una prospettiva sistematica e assiologica, si giunga ad una soluzione ossequiosa della meritevolezza degli interessi secondo Costituzione.
Difficoltà di coordinamento normativo, forzature interpretative e profili di incostituzionalità della neo introdotta disciplina dovrebbero indurre il legislatore a rimeditare se sia davvero giustificato abbandonare, per le sole controversie "minori", il già collaudato istituto della definizione conciliativa.
La novella normativa dovrebbe agevolare la chiusura delle controversie pendenti sul punto; in tal senso, è auspicabile un intervento dell'Agenzia delle entrate mediante una circolare "ad hoc" che dia agli Uffici periferici l'indicazione di abbandonare il contenzioso in corso in ordine a tale questione.
Al fine di escludere l'interruzione del processo, invece, sarebbe stato opportuno abbandonare, anche rispetto al previgente testo dell'art. 2504 bis, comma 1, la lettura della fusione societaria come vicenda realmente estintiva e successoria. Se infatti si persevera in questa lettura, appare ragionevole riconoscere ancora, per quel periodo, l'interruzione del processo, a tutela della società incorporante o risultante dalla fusione.
Si suggerisce pertanto di abbandonare la ricostruzione proposta da Mommsen in base a Bas. 20.3.1 e Paul 5 quaest. D.19.5.5.1, e di leggere, secondo cod. Vaticanus n. 1406 "ut interest" al posto delle inconcludenti parole "ut res" presenti in F. Il senso del brano sarà così chiaro: non determinando la consegna di cosa altrui il perfezionamento del contratto, non si potrà agire per l'adempimento, ma unicamente per la restituzione "quasi re non secuta". Quanto all'origine del guasto di F. si ipotizza un errore di trascrizione. La lettura proposta pone nuovi interessanti interrogativi, dovendosi in particolare meglio chiarire se trattasi, per così dire, di "estensione" (quasi) di "condictio re non secuta", o se piuttosto di applicazione di "condictio incerti", sulla cui ammissibilità si avanzano però riserve.
La prima è quella dell'arroccamento, che comporta di abbandonare la modernità al suo destino di perdizione. La seconda possibilità è quella di incamminarsi nelle vie del profetismo per aprire le vie del domani. La terza possibilità è quella di agire per la costruzione di una diversa modernità che non consista né nel recupero del mondo passato né nella pretesa di costruzione di unotopico nuovo mondo. E' questa ultima via che sembra realmente percorribile. Punto di partenza: la professione di umiltà per cui non si deve "dare adito all'illusione che la teologia abbia una risposta per ogni cosa" (Card. Ratzinger, dialogo del 19 gennaio 2004 con Jurgen Habermas). Punto due: bisogna mettere in conto la condizione attuale di "meticciato della cultura" (Card. Angelo Scola). Risposta / proposta: c'è la possibilità ancora di aprirsi davvero a nuove prospettive: "in primis" occorre passare dal linguaggio singolare a quello plurale, in cui l'io si riallaccia al tu. E riformulando in tal senso il linguaggio dei diritti dell'uomo, potrebbe riconquistarsi l'autentica struttura relazionale del diritto.
A questo fine, bisogna abbandonare la demagogia, come atteggiamento che porta a enfatizzare l'individualismo del singolo sprezzante di fronte alla società, e occorre che politica e cultura si impegnino a riorientare, secondo le diverse visioni del mondo che si accolgano, i sentimenti dell'opinione pubblica verso la passione politica e la responsabilità collettiva.
I problemi del nostro Paese sono stati provocati dalla scelta di abbandonare il modello di Europa democratica e sociale prefigurato nel secondo dopoguerra e di aderire a quello liberista delineato dal Trattato di Maastricht. L'irrompere della crisi economico-finanziaria ed i suoi effetti impongono la necessità di una riflessione critica diretta a disvelare le contraddizioni strutturali di un modello di politica economica diretto a perseguire prioritariamente la stabilità dei prezzi e della moneta. L'UEM [Unione economica e monetaria], infatti, impedisce lo svolgimento di politiche diverse da quelle monetariste e pare costituire, pertanto, l'ostacolo maggiore per superare l'attuale crisi politica, economica e sociale. Il varco per uscire dai vincoli antisociali predisposti dai Trattati europei può essere individuato nella riattualizzazione dei principi e delle norme della Costituzione e, in specie, di quelle concernenti i Rapporti economici, che prevedono l'esercizio da parte degli organi rappresentativi delle funzioni di programmazione economica orientata a fini sociali. Nell'ambito di queste funzioni rientra quella di indirizzo e coordinamento delle attività finanziarie dei soggetti pubblici e privati. Occorre ripensare l'Europa dalle fondamenta, discostandola dalle tavole della "costituzione" monetaria.
Tuttavia, vanno messe in luce alcune peculiarità, che denotano la ferma volontà di non abbandonare del tutto leccezione francese; peculiarità che comunque non valgono, come si vedrà, a escludere pienamente la natura concreta del controllo esercitato dal "Conseil". L'ordinamento francese sembra infatti avere oramai valicato quel confine che lo separava dagli altri ordinamenti europei, con lapertura ad un controllo successivo sull'applicazione della legge, seppur caratterizzato da alcune specificità e dalla concretezza ancora "acerba".
Le scelte di sempre più numerose aziende sanitarie e Regioni di abbandonare l'assicurazione di responsabilità civile in favore dell'autoassicurazione potrebbero legarsi ai sistemi di gestione del rischio, quanto alla conoscenza dei vari livelli di rischiosità, ed all'adempimento degli obblighi assicurativi dei singoli professionisti, per quello che riguarda la valutazione di effettività del sistema e dei vantaggi complessivi che esso presenta (soprattutto considerando la ragionevolezza di possibili limiti alla quantificazione dei danni risarcibili).
In effetti, accanto alla tradizionale responsabilità amministrativa delle imprese, la giurisprudenza della Corte di giustizia, analizzata nella prima parte, permette di dedurre una vera responsabilità di tipo extracontrattuale fondata sul diritto al risarcimento il cui esercizio non può più essere considerato come un mero strumento suscettibile di rafforzare il controllo pubblico sul mercato, ma assume una rilevanza autonoma. Dopo aver esaminato, nella seconda parte, gli aspetti rilevanti della recente proposta di direttiva in materia, che sembra tenere conto solo parzialmente di questa evoluzione giurisprudenziale, nella terza parte, l'articolo propone di abbandonare il punto di vista dell'"enforcement", per assumere quello della duplice responsabilità dell'impresa. Tale responsabilità è fondata direttamente nel Trattato, il quale non stabilisce alcuna gerarchia tra le sue due forme né tra i due interessi che essa protegge, quello pubblico, legato alla concorrenzialità del mercato, e quello privato del ristoro per il danno subito. Il coordinamento tra le due forme di responsabilità non può limitarsi alla regolamentazione delle azioni per danno, ma deve prevedere anche un adeguamento delle regole che disciplinano attualmente la responsabilità amministrativa delle imprese, a cominciare dai criteri seguiti tanto per la determinazione dell'ammontare delle ammende che per le condizioni a cui un'impresa può ottenere il trattamento favorevole. Senza ancora entrare nel merito delle opzioni che tale prospettiva apre, si sostiene che essa possa permettere di rendere meno acuto il problema del coordinamento tra le esigenze del controllo pubblico con quelle della riparazione del danno e che, in ogni caso, essa meglio si adatti all'ambiente giuridico europeo.
Rilevato che il problema dell'appartenenza è "centrale" nel nostro ordinamento, l'A.propone, per quanto riguarda i beni ambientali, di non abbandonare la categoria dei beni demaniali e di far ricorso, comunque, all'antico, ma ancora vivente, istituto della proprietà collettiva demaniale, il quale, a differenza della proprietà privata, consente l'uso corretto dei beni e la loro conservazione per la presente e le future generazioni. A questo punto, con preciso riferimento al diritto romano, l'A. pone in forte evidenza che la proprietà collettiva rende i beni "extra commercium", non potendosi alienare a singoli, beni che appartengono a tutti, mentre restano in commercio i beni in proprietà di privati. È in questa distinzione che riposa la migliore tutela dei beni comuni ambientali: si tratta di beni di tutti che non possono essere alienati, e cioè, è bene ripeterlo, di beni demaniali. L'A.sottolinea, infine, che, in pieno contrasto con quanto sopra detto, il decreto legislativo n. 85 del 2010, intitolato "Federalismo demaniale", e successive modifiche hanno trasferito dallo Stato alle Regioni il demanio idrico, il demanio marittimo, il demanio minerario ed il demanio culturale, precisando che le Regioni debbono gestire detti beni nell'interesse esclusivo delle collettività amministrate e debbono provvedere alla loro valorizzazione ai fini della vendita a privati. Una disposizione legislativa assurda, che vende ai singoli ciò che appartiene al popolo italiano a titolo di sovranità e che è assolutamente inalienabile, inusucapibile ed inespropriabile.
Nel procedimento elettorale è dato individuare - accanto ai tradizionali Uffici elettorali istituiti in ogni sezione in cui è suddiviso il Comune, al fine di consentire la partecipazione dei cittadini alle operazioni di voto - appositi Uffici, che si debbono costituire, peraltro obbligatoriamente, per far fronte a particolari esigenze dovute alle precarie condizioni di salute degli elettori, ossia di coloro che sono affetti da gravi infermità tali da non consentire loro di abbandonare il proprio domicilio o la casa di cura in cui sono ricoverati. In questa breve nota tratteremo degli Uffici distaccati di sezione per il voto a domicilio e degli Uffici distaccati nei luoghi di cura con meno di 100 posti letto.
Scardinando il sistema di ripristino dello "status quo ante", fondato sulla presunzione che è interesse del minore trasferito o trattenuto oltre frontiera illegittimamente fare pronto ritorno nel luogo di residenza abituale antecedente all'illecito, questo filone giurisprudenziale ritiene di abbandonare ogni automatismo, al fine di consentire al giudice del caso concreto di ricercare la soluzione che più risponde al "best interest of the child". La nota a sentenza tenta di analizzare le conseguenze pratiche e l'impatto che questo orientamento implica nella tutela dei diritti del minore vittima di sottrazione internazionale.
È il "recruitment 3.0" - ove si mischiano "social media", tecniche di persuasione in rete e propaganda online - che induce i "foreign fighters" ad abbandonare la famiglia, il lavoro, gli amici e la nazione di origine per unirsi alle file dei combattenti jihadisti.
Il risultato è una profonda incrinazione del rapporto di autonomia tra i due procedimenti, sintomatica della tendenza in atto ad abbandonare il doppio binario in favore di un sistema caratterizzato dalla sempre maggiore interferenza, in materia tributaria, tra procedimento amministrativo e penale.
Le modifiche alla disciplina del ravvedimento operoso costituiscono, infatti, un forte indicatore della volontà legislativa di abbandonare lo schema del controllo tradizionale e di adottare un nuovo modello di attuazione del prelievo nel quale il contribuente adempie spontaneamente ai propri obblighi avvalendosi della guida trasparente dell'amministrazione finanziaria e quest'ultima rinuncia, in concreto, all'esercizio della funzione di controllo prendendo a pretesto la possibilità di utilizzare le risorse che si sono liberate per contrastare in modo più efficiente forme più complesse e strutturate di evasione fiscale. La nuova disciplina del ravvedimento solleva, però, alcune criticità (in particolare, l'estensione dei limiti temporali entro i quali i contribuenti possono ravvedersi, la circostanza che il nuovo ravvedimento produce effetti anche se la regolarizzazione della violazione è "indotta", la riapertura dei termini di accertamento dopo la presentazione della dichiarazione integrativa da parte del trasgressore, limitatamente "agli elementi oggetto dell'integrazione") che finirebbero per scoraggiare anziché incentivare la resipiscenza del trasgressore, producendo così un effetto contrario rispetto all'obiettivo di far emergere le basi imponibili.
Tale orientamento (suffragato da autorevoli studi) non trova lappoggio della Commissione europea orientata ad introdurre il saldo della spesa ma non già ad abbandonare quello del deficit strutturale. Sul versante interno, la legge di stabilità per il 2016 ha - limitatamente allanno in corso - stabilito il superamento del patto di stabilità interno attraverso il rinvio del c.d. "fiscal compact" (e, dunque, alla valutazione, voluta dalla legge n. 243/2012 della salute del bilancio sulla base di otto parametri di parte corrente e finale, di competenza e di cassa, in sede previsionale e consuntiva) rendendo disponibili risorse aggiuntive vincolate a specifiche tipologie di investimento (scuole). È evidente come il carattere temporaneo delle disposizioni contenute nella legge di stabilità per il 2016 potenzialmente mortifichi iniziative di governo valutate alla stregua di criteri non previsti inqua to non preventivabili.