. Avevo sulla punta della lingua di domandarle «Tu però gli vuoi bene?», ma queste sono domande micidiali, quando una ragazza ha i genitori che non
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. Non veniva in mente di dire «guic guic». Sciac sciac, facevano i nostri passi sul terreno fangoso. Tututún tututún, il cuore. A un tratto sentii sulla
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corsa. Io dietro, e lo zio pure. La mia amica era ancora drizzata in ginocchio sulla panca, come si era messa per gridare quei suoi «non è vero». Scese
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mamma, lassú, a comprarmi tutto quello che mi serve. Porterò solo la mia valigina piú piccola, quella ci sta, sulla bicicletta. Anzi, fammi ricordare di
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minuto era venuta una faccia tutta a punta, dall'ansia. Appena sentí quelle parole piombò a sedere sulla prima seggiola a tiro. Mi domandavo se adesso
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, sulla difensiva. - Naturale che Ippolita l'abbia presa male. - Lettere? - Pareva proprio che cascassero dalle nuvole. - Quelle di sua madre, no? - Ero
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prima, quando parlavamo e ridevamo quasi in continuazione: capacissime di ridere come matte anche delle storie terribili sulla botola dello scheletro
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sbottonò, viceversa, sulla faccenda che le bruciava di piú, cioè il nuovo matrimonio di sua madre. Le bruciava soprattutto perché lei doveva ben saperlo
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dipinte sulla facciata, ai lati del balcone: qua un giovane con un chitarrone lungo lungo, dall'altra parte una signora con le trecce fino ai piedi e veli
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figura che ti accompagni col liuto. Si mise in posizione giungendo le mani sulla balaustra e guardando in su con gli occhi sognanti, io imbracciai il
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benissimo anche questo, come buco. E batté col piede sulla botola dello scheletro. (Beninteso che ormai l'avremmo sempre chiamata cosí.) Scherzava, però
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Ippolita adesso era rossa infuocata e picchiava il piede con tanta forza che per il contraccolpo le trecce le rimbalzavano sulla schiena. Non pareva
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avevo già visto sulla cartolina da Nuova York. Almeno, a me pareva la stessa. Stesi la mano: - È per Ippolita? Posso prenderla io? Cosí poi gliela do
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sulla sponda del letto, che era il legno che avevo piú a portata di mano. Questo fu il nostro saluto. Adesso bisogna andare dietro a Ippolita: era lei che
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