dissimile da quella che siamo venuti esaminando. Naturalmente negli anni successivi molti artisti (che ho or ora nominato) si sono andati
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immagini popolaresche e in genere delle strutture figurali di cui siamo circondati cotidianamente, e quelle che, sin dall’inizio, sono costituite in
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linguaggio plastico odierno, anche la sua decodificabilità ci sembra quanto mai piana: siamo tutti già in possesso degli elementi primi, degli stoiheia
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siamo negli Usa e non nel Lazio come accade in quelle Distorted Rooms che Adalbert Ames jr costruiva a Princeton per dimostrare la verità delle sue teorie
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circonda e di cui siamo partecipi e vittime, aveva suggerito a Kiesler alcune delle sue più misteriose scoperte. Ma forse sarebbe stata più efficace
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. Siamo dunque a un punto dell’evoluzione artistica in cui si tende a rivalutare certe conquiste non-figurative delle arti visuali, valendosi di nuovi mezzi
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Oggi che siamo ben coscienti di ciò (ossia sappiamo come l’arte non si possa fare sulla base di ricette politiche o ideologiche) dobbiamo peraltro
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dall’elemento tecnologico (tipico della civiltà dei consumi di cui siamo partecipi e succubi) con quelli d’un’arte decisamente nemica e contraria a
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quella dei molti artisti sui quali ci siamo soffermati (Zorio, Anselmo, Merz, Paolini, Boetti, Prini, ecc.), mentre riaffiorano qua e là gli spunti
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Oggi, invece, siamo prossimi finalmente ad un’inversione di tendenza; o almeno ad una possibilità di nuove situazioni espressive mediate attraverso
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accettabile ai nostri giorni. Siamo quindi ben lungi dal considerare il modello greco o qualsiasi altro modello dell’antichità come «inarrivabile»; mentre
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linguaggio artistico di quelle opere non ci è del tutto incomprensibile; siamo in grado di decriptarne almeno parzialmente il messaggio. Sulla base di quale
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conflitto tra figuralità e rappresentatività s’accorgerà tosto che il registro è mutato: siamo entrati, o stiamo entrando cioè insensibilmente in una
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E, poiché siamo nel padiglione spagnolo, merita conto di considerare la tripartizione che, secondo l’appropriata definizione del commissario Gonzales
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Ma siamo, con queste ultime opere, ancora prossimi a quel surrealismo postdadaista che mirò più alla creazione di immagini poetiche che a quella di
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di circostanze estrinseche e organizzative che qui non mette conto di precisare - la Biennale non ha assolto al suo compito. Siamo costretti perciò a
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negativi: positivi, per la «scoperta» e la messa in valore di tutto un vasto panorama oggettuale che ci circonda e di cui siamo partecipi; negativi, per
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nuove sperimentazioni percettive. Naturalmente siamo ancora lungi dall’esser giunti ad un punto fermo - come del resto accade sempre nel dominio dell
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Non è il caso, comunque, di voler porre qui giudizi di valore pittorico e plastico: siamo pronti ad ammettere la pacchiana grossolanità degli oggetti
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