Lodovico Lipparini, bolognese di nascita, ma veneziano di studi e d’animo, già professore di pittura in quell’Accademia della Carità, morto nel 1856
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, i suoi cavalletti, i suoi libri. Quell’anno stesso egli esponeva a Brera cinque vaste tele, frutto di tale riposo. Ora ridice di voler riposare; ma
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— Nella Santa Cena che dipingeste per S. Giovanni e Paolo, che cosa significa quell’uomo che getta sangue dal naso?
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, ha visto l'arte nuova fuori della sua città, e se n’è innamorato. Che male c’è egli se qualcuno de’ suoi lavori rammenta il modo di questo o di quell
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scuola, pigliarsela con quell’opera, che nel periodo aureo della scultura italiana, quando fu scoperta fra le rovine delle terme di Tito, fece alzare un
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più bel palazzo del mondo, sta in piedi con quell’arco, e stanno in piedi con esso l’ampio palazzo Foscari, lo stretto palazzo Contarini Fasan, fetta
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vento deiroggi non soffia a cacciar Via quell’aria vecchia, ma pura; dove nuotano le particelle del bello. Ci si nutrisce di bellezza. Peccato che
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delle case e del frontispizio leggiadro. Non v’è più composizione, non v’è più colore. Quell’ingegnere ha davvero una gloria etimologica rara: prima si
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realtà; ma quel vento, quella nuvola, quell’ombra larga che si proietta sul campo di biade, fanno correre, non si sa come, la fantasia alle grandini ed
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quell’ambiente pittorico, dal quale si può dire quasi che sieno nate spontanee l’architettura, la pittura, le arti ornamentali e le foggie popolane del
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quell’altra vecchia dalle Masegne. Hanno molto della semplicità antica, quando l’autore della Porta della Carta si chiamava maestro Bortolo Taiapiera
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Giocondo, veronese, detto la Fenice degli ingegni, o da quell’Antonio Rizzo, pure veronese, che, autore della Scala dei Giganti e di una parte del cortile
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Era padovano quell’Andrea Briosco detto il Riccio, che modellò e fuse in bronzo per la chiesa del Santo un candelabro pieno di tritoni, di arpie, di
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Lombardi. Chi non conosce, almeno di fama, i freschi di Giotto in quell’Oratorio dell’Arena, che contiene il sepolcro di Enrico Scrovegno, scolpito da
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che quell’epigrafe non si riferisce all’eloquente latino, bensì ad un oscurissimo Livio, liberto d’una Livia; e così è dimostrato che alle volte il
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attratti. Abbiamo lungamente contemplato quell’opera e ripensato ad essa con tenace memoria: il dramma ci pare vivo tuttavia e terribile, ma di una
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Altra cosa è quell’ideale scolastico od accademico, di cui tanto ragionare s’è fatto; anzi è il contrario. Esso trasforma la natura; ha la ridevole
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, romagnolo da molti anni piantato a Firenze, il quale sino al 1864 dipingeva con rapida braverìa cose farragginose e drammatiche. Da quell’anno in poi
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colossali del Le Gros e del Rucconi, non era tanto la sua porpora, quanto quella sicurezza sdegnosamente cattolica, quell’incesso da principe
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Lo spirito di quell’arte, come tutta l'arte di Pompei, è famigliare e vivissimo; e quando sull’Esquilino si entra nella sala mezzo sotterranea, da
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’influenza bisantina e l’influenza lombarda non valgono a togliere da quell’arte il membro architettonico più strettamente classico, la trabeazione; anzi la
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bizzarrìa sotto il pontificato di Sisto V e nel Madonna e in Carlo Fontana e nel Borromini, alzandosi a più solide e stupende pazzie con quell’ingegno, che
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scurrilità volgari. Si ride nel vedere i tessuti come si ride nel leggere il libro; ma nel fondo del cuore si sente nascere un alto rispetto per quell
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decadenza prima di avere cominciato, mentre quell’altro è in sul salire dopo avere lavorato assai. Giudicando sempre dalle opere, il pittore sottoporrà
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. C’è molto artificio; ma si sente che quell’artifizio è naturale all’animo del pittore, e per ciò reca la idea fervida del vero. Ma questi due
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di dietro le linee sono felicemente girate: quell’uomo non è un eroe, ma si vede che pensa. Se è vero ciò che diceva Michelangelo, che la scultura
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spalle, mostrando la carne della gola e del braccio. Che cosa può mai raccontare quell’uomo storpio alle sventate femmine? Una delle lardose storie di
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con l’occhio di questo o di quell’artista ». Nell’esaminare infatti un quadro che ci piaccia, noi a poco a poco ci rendiamo conto delle relazioni de
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sequela di violenti improperii. Le prime nove terzine della Satira sulla Musica contengono ben dieci volte le parole Asino e Somaro; e i cultori di quell
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Solario. Tiziano Vecellio, il miracoloso coloritore, pareva da giovane nè più nè meno che Giovanni Bellino. Michelangelo solo, quell’ingegno terribilissimo
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. Quell’imitare in principio riesciva il migliore mezzo per conoscere le tecniche, per addestrare la mano, per esercitare gli occhi a vedere facilmente
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maravigliosa della pianta, ch’egli educò, vennero poi a ricrearsi, ad ammirare, a meditare, a studiare le generazioni future. Dalle gemme di quell’albero
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Pensare se in queste impazienze moderne quell'arte, che ha bisogno di fare un modello in creta, di tenerlo sempre bagnato perchè non dissecchi, di
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sensazioni? Quell’Esperimento del vaccino, in plastica, quello stiletto, che sta per ferire, inette indosso come un ribrezzo, il quale esce dal campo
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Gallori è energica: l'atto è bene rappresentato; l’espressione è tremenda, perchè sotto a quell’istrione, che buffoneggia, s’indovina il tiranno che uccide
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forte associazione, quell’amorevole fratellanza delle arti, che da molti anni s’è andata, forse irreparabilmente, perdendo; finalmente è conforme all
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dell’intelletto. E pure quanta scienza, quanta pazienza, quanta coscienza in quell’orgia di colore! Ne diremo una grossa: ci pare un quadro di Paolo
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Queste sono le parti più sincere e più gagliarde dell’opera. Nel centro crediamo di scoprire — e può darsi che ci si inganni — quell’ombra leggiera
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quell’ombra una donna seduta sulle fascine, che ha recate dal bosco, e che deve portare a casa, s’allaccia le pesanti scarpe, incurvandosi tutta: e nell
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Tabacchi ha tanta forza nel suo cervello da rifare il cammino, che lo menerebbe ora al precipizio, e da pigliare quell’altra strada, la quale, salendo
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diventare regina in Roma: aveva quell’aspetto, quel fare, che corrispondono alla sua vita laboriosa e modesta, la quale noi leggiamo nei libri, ed agli
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’dallo spirito avvocatesco, e il secondo si mostra per quell’anima sdegnosa e mistica che era. Nell’uno e nell’altro la dignità delle risposte è
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che intorno gli stieno gli accusatori, quell’Anito riccone, quel Licone avvocato, quel Melito poeta tragico, e in faccia i cinquecentocinquantasei
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: prevede l’avvenire, abbraccia i secoli e i mondi, ma è documento, più che storico, spirituale di quell’età, che il poeta nella biliosa altezza del suo animo
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quell’interrogatorio che citammo in un altro luogo, senza prender tante cose in considerazion facevano quel che vedevano. Persino nelle pale d’altare
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