permetti? E prima che Maria potesse rispondere: - Torno subito; devo dire due parole a quel signore. Tu intanto leva il cappello; la cameriera ti
passo. Da qualche tempo, è vero, si mostrava più esigente... non sapeva nemmeno lei dove sarebbe andata a finire. Quel giorno appunto, prima di partire
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. Non amava più. Aveva perduto in un momento il suo dolore, quel dolore dolce e accarezzato, quell'amore senza speranza, pieno di lotte segrete e di
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popolo che piange la patria perduta, quel malinconico lamento del passato, gli strapparono dal cuore un lungo gemito. La durezza della sua vita di
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ginocchi. Non aveva paura, che! rideva il birrichino; ora cammina proprio davvero. Maria fece le sue congratulazioni, seria, con quel fondo di malinconia
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di canzoni mormorate bocca su bocca. Maria non riconosceva più il paesaggio del mattino. Tutto era cambiato in quel volgere d'ore. Una forza segreta
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che commoveva tanto Maria. Essa aveva cercato invano per lunghi anni di portare i tesori del suo amore a quel cuore malato, ed ora, quando meno lo
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marito non vive che di scienza. Pronunciò queste parole rabbuiandosi in volto. Maria non ebbe più dubbi; il marito era il punto nero. In quel momento
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interna, paventava ogni volta che le assenze di Sofia la lasciavano sola col professore. Egli era arrivato a quel punto dove un uomo non si padroneggia più
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rispondere, gli pose le braccia intorno al collo, come aveva fatto quel giorno sull'orlo dell'abisso, lo baciò lungamente, scivolando con lentezza
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capo colle mani. Non avrebbe potuto, non avrebbe voluto dire nemmeno a sè stessa perchè quel passo d'uomo, nel silenzio della notte, la tormentava
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dominarsi più a lungo. Quel dialogo d'amicizia a sostrato d'amore, tutti quei sottintesi, quelle tacite complicità la mettevano in uno stato di
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felice di quel corteggiamento in piena folla che la additava agli sguardi invidiosi delle altre signore e le dava, per così dire, la marca di fabbrica
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armonia delle sue forme esterne col raggio che le veniva dall'anima, perchè quelle forme e quel raggio si fondevano in una generale espressione di vigore
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Suonava il tocco alla chiesa della Passione quando Maria rientrò nell'ultima casa di via Monforte. Proprio in quel momento un giovinotto correva
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fondiario che è il rilevamento particellare dei terreni, ma respingono, o per una ragione o per l'altra, tutto quel che riguarda la parte estimativa.
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Quale sarà a quel tempo l'aliquota? Quale sarà la rendita estimale sulla quale l'aliquota dell'imposta dovrà essere messa? Se la rendita è piccola
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Commissione, ma ho potuto accertarmi che a quel banco i membri della Commissione non si sono mai trovati in più di quattro e quindi in minoranza; ed io sono
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malandrini Parole sante, che è un peccato non averle pubblicate prima d'ora. Del resto la plebe di quel tempo non è più la plebe de' giorni nostri. Gran
bisogni, e dirgli quelle parole che lo riconciliano col misero suo stato, e lo preparano ad uscire da quel fatale recinto con altr'animo ch'egli non vi
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loro, sì presto mandate in fumo dalla plebe ne sono una prova. Sembrami di vedere quel bravo giovinotto di Cajo Gracco attraversare il foro zeppo dei
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quel punto dovevano germinare negli animi di quei disgraziati fanciulli. Allora l'agente dell'Ospizio, che voleva ritornarsene col carro vuoto, andava
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pochissimo olio verdastro sporge il capo un modesto e sventurato, lucignolo che scoppietta quasi domandi l'aiuto di qualcuno che lo tragga da quel
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Il Gaulois del giorno 4 maggio 1882 bruciava la prima cartuccia a pro della causa degli indigenti di Parigi. Esso incominciò in quel giorno per lo
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alla politica, che durante gl'interregni e la sua esistenza pubblica dura dalla caduta d'un governo alla proclamazione d'un altro. Ed in quel frattempo e
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posano. E quel giornale aggiunge: Notiamo che vi sono nella città dei Krumiri, degl'industriali, che hanno fabbricato per subaffittare ... Il sublime del
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plebea, e per certi rispetti con questa si confondono. Ecco quant'egli dice su questo proposito: «... Osservate la faccia sparuta di quel l'uomo cencioso e
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letto, e passava la vita al buio dietro quel paravento; di mia sorella maggiore Caterina, che si chiamava Titina; e di me, che avevo ereditato dal mio