preme di conoscere e di disegnare coll’abituale sua precisione geometrica tutto lo svolgersi di quei rami stupendi. Per uscir di metafora, dirò ch
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, rimangono quasi tutte. Ma che i posteri ritengano come definitivi i criteri d’adesso, e travolgano tutti i secentisti nel loro disprezzo, io non lo credo
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’ingegno e con propositi di basalto, lo ricettarono in casa e lo ammisero alla loro mensa. Accomodatosi dapprima col Fontana, poi col Sabattini, la cui
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trovava in quel tempo lo spirito italiano. Ma chi crede che quella ridondanza e quel fasto fossero pura applicazione di precetti pittorici, è pensatore
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della vittoria, e abbassa lo sguardo sul nemico, che gli si divincola al piede, con un’alterezza olimpica, da farci pensare che il gentil seme latino
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ne ingelosì: e quando udiva suo cugino dar precetti a Guido, lo rampognava, ammonendolo che presto quel giovane li avrebbe fatti sospirar tutti.
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rivelava la mancanza di un ideale ben determinato. Osservo che a siffatto rimprovero, se fosse giusto, forse nessun grande artista sfuggirebbe; lo stesso
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, ma in che modo fosse amministrata, lo vedemmo nella conferenza precedente; finchè, un altro secolo circa dopo il Francia, giungono Guido e l’Albani a
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far lo sguardo fiso in alto, sostituiva alla cecità della statua la viva pupilla umana, circondandola di umidore pietoso, e nella compostezza
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delle ciocche che lo vezzeggiano con indefinibile mollezza, qualcosa di quell’abbandono fantastico dell’anima a voci intime, che la separano affatto dal
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membra pure; due angeli, come a guardia del cadavere, lo fisano commossi, e la Madonna nel centro erge la grande figura dolorosa. Nulla di più grandioso
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metà del nostro secolo ne ha avuto dei più feroci nella setta dei preraffaellisti inglesi: Rusckin lo ha addentato caninamente; c’è stata esitazione
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asprezze poteano i piani esser fusi più dolcemente, le linee secondarie esser dissimulate a vantaggio delle essenziali, lo stile acquistare più
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vecchio errore che Marco Zoppo sia stato maestro del Francia. Inconsapevole per molti anni del suo istinto di pittore, ei dovè sentirne lo stimolo
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emulava il Caradosso, e che costoro lo aiutassero nei suoi nuovi esperimenti, ed ei si lasciasse consigliare un po’dall’uno un po’dall’altro. Non c’è
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. Così avrà pure potuto consolarsi del posto sempre inferiore che i Bentivoglio gli assegnavano ogni volta che lo chiamavano a dipingere insieme al
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Tornando al nostro argomento, Signori, devo dire che fin dal 1487 il Salimbene scriveva del Francia: “ Lui Polygnoto col pennello avanza „ sicchè lo
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, colle mani giunte, in atto di protendere il collo gentile e di guardar lo spettatore con tal fissità pensierosa, che quello sguardo non si dimentica più
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coraggio di avventurarsi a più franca maniera. Gli resta forse nulla più che un passo da fare, un passo solo, e non lo fa. Lo trattiene un’invincibile
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, che lo regge, è atteggiata a dolore, ma a condizione che questo non tolga la piacevole armonia dei lineamenti; un angelo prega, ed è la preghiera d
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II e data alla chiesa di S. Giacomo. Preposto alla zecca dal Bentivoglio, fu confermato nell’ufficio da papa Giulio, e lo mantenne fino alla morte
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oreficeria, su ne lo salone, com’egli scrisse nei suoi Registri, scuola di pittura. Più di dugento giovani s’onorarono di tal maestro. Pochi artisti
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sole. Se v’ha corrispondenza tra i morti e i viventi, lo spirito amareggiato or si placa nella lode dei posteri, la quale diverrà più piena, se in
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con essi, il Francia sentì di mano in mano che lo scettro dell’arte non gli poteva essere contrastato a Bologna, e infine lo strinse con animo
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, lo spirito ascetico di Elena Duglioli potò compiacersi di veder porre in S. Giovanni in Monte la S. Cecilia, da lei ordinata, i giovani bolognesi
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, più che la bellezza dell’opera, ammirasse la buona riuscita della fusione, lo trattò da goffo nell’arte. E narrasi che, visto per Bologna un bel
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non tocco; chi si fa ideale delle opere di un altro, ha il suo fine sì daccosto che lo afferra, e, maneggiandolo sempre, inconsapevolmente lo sfigura
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, condannando tuttociò che minacciava d’intorbidarla o di sostituirlesi, anzi chiudendo gli occhi per non vedere lo sfregio, come credenti innanzi a cui si
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agevolezza di atteggiamenti; e che cosa l’arte possa guadagnare in tali condizioni, ognuno lo vede. Aggiungete pure che non riesce a nessuno, per
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, dicendo che il desiderio di dare risalto ai meriti dei suoi concittadini non lo rende si cieco da non fargli vedere che questo imolese vale più di
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concetto delle graduazioni di chiaroscuro; gli abiti sono tinte intere che spesso mal si accordano, e lo sparire delle velature, che egli ponea sopra
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ferrarese, e principalmente ricorda la mano di Benvenuto Garofolo. Eppure è di Innocenzo. Lo dice il Vasari, che anch’esso dipinse in quel monastero e conobbe
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giacenti in terra, si è ricordato della bellissima Pace del Francia, ov’è niellato lo stessosoggetto. E un affresco pregevolissimo per la spontaneità delle
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di costui. Ei ci lascia col dolore di vederlo uscir subito da una strada eh’era meglio accomodata ai suoi passi. Basta volger lo sguardo per vedere lo
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Altre opere d’Innocenzo restano a Bologna in S. Maria dei Servi, in S. Salvatore, in S. Giacomo. Sempre è lo stesso principio di imitazione che vi
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’idea di quel ch’ei valesse come pittore di tavole d’altare, si guardi lo Sposalizio della Madonna in pinacoteca. L’imitazione di Raffaello c’è; ma
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modo vago che tutto lo svolgimento di quel periodo bolognese sarebbe stato più spontaneo, più originale, più nobile; ed io, ragionando degli eredi del
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