partecipato, con un’immensa somma di idee e di esperienze, i più grandi maestri del Rinascimento. È questa lunga maturazione storica che ha fatto nascere
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della navata centrale, sappiamo con certezza ·che l’ordine di non costruirla sopraggiunse quando erano già state innalzate le grandi paraste o
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precisamente dell’inconsueto afflusso di grandi masse di devoti: circostanza, questa, che ha sicuramente influito sulla concezione della navata maggiore
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grandi archi; e come poi le avesse chiuse, trasformandole in edicole a fondo piatto, integrate alla struttura del pilastro. Soltanto all’ultimo le «enuclea
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grandi arcate, collegando prospetticamente le due campate laterali; poi, quando serra il ritmo accostando le due paraste, assume come assi visuali le
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lasciarla aperta, sciolta, priva di grandi strutture articolanti, indefinita in larghezza cosi com’è, ormai, indefinita in altezza per la mancanza della
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autoritario la propria immagine della città storico-monumentale a quella della città reale, che viene respinta al di là dei grandi spazi vuoti tra le grandi
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interesse per l’antico è molto più tiepido che quello, diversamente orientato, dei suoi due grandi contemporanei. Per la sua mentalità borghese la
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Cortona non può fare a meno di confrontare la propria all’opera architettonica delle due «anime grandi» antagoniste, il Bernini e il Borromini, è a
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fine delle grandi tipologie tradizionali, instaura una concezione nuova della struttura e delle forme dell’architettura e dei modi operativi dell
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Le due più grandi personalità della prima metà del Seicento si affrontano ancora sul terreno della tecnica, l’una e l’altra cercando, ma con opposti
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rituale e che, proprio perciò, era prediletta dagli architetti del Rinascimento e poi, come tema della ripresa dei grandi ideali costruttivi del
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presentazione dell’immagine della divinità o alla figurazione simbolica di verità di fede, né alla rappresentazione edificante dei grandi fatti della
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da una raggiera di grandi volute.
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Michelangiolo, nei rincassi laterali), ma in nessun modo illusiva o scenografica: una spazialità, infine, che ammette anche le grandi distanze, e lo prova lo
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che «gli oggetti che sono bianchi paiono più grandi che di colore oscuro o nero, e più illuminati» (T. III, cap. XXI). Ed a tal punto è persuaso della
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, perché il principio dell’arte era la mimesis: la costruzione imitava le grandi strutture, la decorazione le apparenze esteriori del reale. Ma se dell
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, non limita: di tutti gli architetti piemontesi che corrono nella scia dei due grandi ospiti, Guarini e Juvarra, soltanto il Vittone elabora un
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ha bisogno d’una certa vistosità d’apparato; ma anche di piante libere, snodate, inventate, corrette, ritagliare sul posto. Già nel gioco delle grandi
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Inghilterra, dove le grandi famiglie formano collezioni spesso importanti e una conoscenza non superficiale dell’arte, e specialmente dell’italiana, viene
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originali del maestro, le opere rovinate e parzialmente rifatte, le tele dei mestieranti attribuite ai grandi pittori, l’opera modesta venduta per un
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anzi con la lucida consapevolezza d’una nuova funzione storica, alla cerchia ristretta delle grandi famiglie. Né vi fu, per tutto il Settecento
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sistematica della natura. Webb, che giudica fiamminghi e olandesi «copiatori servili della natura», si accorge che il Correggio, meglio degli altri grandi
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, era soprattutto uno schema: ma accanto a quello schema dedotto dai grandi maestri, spesso mal conosciuti, v’era la realtà viva dei pittori e degli
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che percorrono e sostengono la massa: i grandi pilastri del primo ordine hanno ancora la spinta, la tensione muscolare delle statue degli Schiavi, e le
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essenzialmente sociale: e infatti non si stabilisce più tra i «concetti» fondamentali della mente e i grandi «principia» della natura (lo spazio prospettico
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contenuti ideologici, è mero processo; il «sublime» resuscita i grandi contenuti ideologici, elimina praticamente il processo tecnico, vuol essere
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good-natured men che furono Reynolds e il dottor Johnson e, nel fondo, sempre fedele ai grandi temi ideologici dell’Illuminismo. È vero che lo
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universale visione del mondo e dalla contemplazione dei suoi grandi valori a un’introspezione dubbiosa e inquieta dell’essere umano e del suo destino
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letteraria che situerà i grandi protagonisti, gli eroi-attori dei drammi storici. Ma la prospettiva storica, come le prospettive palladiane del Teatro
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storico vede piuttosto il conflitto attuale di passione e dovere che l’ereditaria nobiltà e autorità di gesto, l’uomo dei grandi dubbi piuttosto che l
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Shakespeare al Manierismo, all’eufuismo del suo tempo. Né più risoluto e moralmente forte è il suo atteggiarsi di fronte ai grandi problemi del suo tempo. All
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