Ma non si tratta, ora, di giustificare «storicamente» i mutamenti avvenuti nel campo della critica consecutivi a quelli avvenuti nel campo del fare
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di feticizzazione e di mummificazione del fare artistico.
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Ma, a questo punto, c’è un’importante premessa da fare: negli ultimi anni in Italia - specie in seguito ai numerosi incontri dei diversi gruppi
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Oggi che siamo ben coscienti di ciò (ossia sappiamo come l’arte non si possa fare sulla base di ricette politiche o ideologiche) dobbiamo peraltro
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sistematica). Vorrei, a questo proposito, fare soltanto un esempio quanto mai elementare ma che non mi sembra sia mai stato posto dai diversi ricercatori e che
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alla pittura locale). Gli artisti autoctoni - e possiamo fare i nomi di un Marin, di un Dove, di uno Stuart Davis, di una Georgia O’Keeffe - molto
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artisti come i già citati Blake e Spoerri, Arman e Raysse, ai nostri Baj e Del Pezzo, agli inglesi Hamilton e Tilson, - per non fare che alcuni nomi, - un
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Ma, a questo punto, e prima di chiudere queste rapide annotazioni, occorre fare un passo indietro e ricordare che almeno una corrente dell’arte
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guardare, se scorriamo i testi critici - anche tra i migliori - degli ultimi anni (e possiamo fare alcuni nomi: da quello di Honnef a quello di Catherine
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disegni geometrici. Ma ogni esempio del passato ha da fare solo fino a un certo punto col presente. Non c’è dubbio che le operazioni compiute dagli
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Non intendo certo fare qui una cronistoria di questi movimenti, ma almeno una suddivisione nei diversi generi, speci e sottospeci, potrà giovare: c’è
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(e anche dagli specialisti) ed è questa continua invenzione di linguaggi non ancora istituzionalizzati a far si che sia più arduo oggi che ieri fare
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la sua «negativizzazione», dimostra quante nuove dimensioni ci siano offerte in questo caso. Quando, per fare un altro esempio, Ketty La Rocca si vale
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accennavo: l’analisi semiotica applicata al fare architettonico e artistico altro non è che il bisogno di chiarire a se stessi l’oscurità semantica del
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man mano che ci si discosta da quelle regole istintive che permettevano, ancora alcuni anni fa, di fare una distinzione abbastanza netta tra buono e
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aspetti decisamente deteriori; ed è un’osservazione del tutto parallela a quella che ebbi a fare in una precedente nota, a proposito di certe forme
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giudicare il passato. Ce lo insegnava già David Hume, quando accennava ai grandi errori che si possono fare giudicando col metro odierno gli eroi omerici o
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squisita fattura? Lo potremmo fare solo in base a precise notizie storiche, tecniche, stilistiche che prendano in considerazione l’intero svolgimento
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C’è chi vorrebbe fare una distinzione netta tra avanguardie1 «storiche» (quelle che segnarono la fine del secolo scorso e l’inizio del nostro: dall
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sarebbe difficile offrirne numerosi esempi. Questo fatto rientra nel novero d’un’osservazione che ho spesso avuto occasione di fare: ossia della non
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pittoriche che certo hanno la loro prima nascita in Estremo Oriente, ma di cui ormai la nostra arte occidentale non potrebbe più fare a meno. E che poi codesti
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importanti pittoricamente) postimpressionisti francesi. Ma tra il «taglio» d’un Klimt e quello d’un Renoir (tanto per fare un nome giustamente
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occhi in questo preciso periodo storico, così da scorgere le radici profonde e i più nascosti meccanismi del fare artistico odierno.
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dell’italiano Consagra, per fare soltanto alcuni nomi).
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(per l’Argentina potremmo semmai fare il nome dell’ottimo artista, ancora legato a modi informali, Clorindo Testa e del «polimaterico» Pucciarelli), ma
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Johns (i due «padri della pop art») c’è una costante volontà di fare dell’autentica «pittura» non altrimenti di quanto vi fosse in un Pollock o in De
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