ACC!... CI ERAVAMO QUASI...
fuga lasciando incompiuto il loro dovere e la loro opera. Nell' infermeria del Lager di Buna-Monowitz eravamo rimasti in ottocento. Di questi, circa
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neve, senza un tetto, senza un albero. Passarono altre ore: nessuno di noi aveva un orologio. Come ho detto, eravamo una decina. C' era un
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. Quando a "Levi" aggiunsi "Primo", i suoi occhi verdi si illuminarono, dapprima sospettosi, poi interrogativi, infine benevoli. Ma allora eravamo quasi
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, in cui i due francesi e io eravamo riusciti a sopravvivere e ad instaurare una parvenza di civiltà, rappresentava un' isola di relativo benessere: nel
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era una fine di aprile qualunque: era quella memorabile dell' anno 1945. Non eravamo purtroppo in grado di intendere i giornali polacchi: ma il corpo
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esempio, organizzando un gran pranzo all' italiana, a base di spaghetti al burro, di cui eravamo digiuni da tempo immemorabile. Entrammo in un negozio di
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tragico, di fronte alla molto più grave prospettiva della partenza imminente per una destinazione sconosciuta. Privi come eravamo del talento estemporaneo
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notizia provocò un certo subbuglio. In dieci giorni, più o meno bene, a Sluzk ci eravamo ambientati, e soprattutto temevamo di lasciare la stravagante
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nuda terra, ci svegliammo al mattino in ottimo umore e salute. Eravamo contenti perché c' era il sole, perché ci sentivamo liberi, per il buon odore che
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inestimabile della solitudine: e da quanto tempo ne eravamo privi! Forse perché ci ricordava altri boschi, altre solitudini della nostra esistenza
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della guerra? eravamo ostaggi? eravamo stati dimenticati? perché non potevamo scrivere in Italia? quando saremmo ritornati? Ma a tutte queste domande
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ovvia già nel titolo, "Il Naufragio degli Abulici": gli abulici eravamo noi, gli italiani smarriti sulla via del rimpatrio, e assuefatti a una esistenza
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: vagoni merci, piuttosto sgangherati, in sosta sul binario morto. Li invademmo con furia giubilante, e senza controversie; eravamo millequattrocento
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, dopo di aver percorso più di ottocento chilometri in terra rumena, eravamo alla frontiera ungherese, presso Arad, in un villaggio chiamato Curtici. Sono
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delle traversine impregnate, dei freni caldi, del carbone combusto, ci affliggevano di un disgusto profondo. Eravamo stanchi di ogni cosa, stanchi in
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