Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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che l'edizione del Barbanera da lui comprata era falsa - e  don  Rocco Aragona aveva dovuto convincersene perché di tante
con la copertina azzurra, era p roprio una festa per  don  Rocco, che si metteva subito a leggere le Predizioni ,
frontispizio era straordinaria. Ogni volta che suo fratello  don  Lucio, a desinare o a cena, gli riferiva la notizia letta
a cena, gli riferiva la notizia letta nei fogli in casino,  don  Rocco scattava: - Barbanera lo aveva predetto! ...
predetto! ... Terremoto? - Ma non dice dove - rispondeva  don  Lucio ridendo sarcasticamente. - A questo modo faccio
che si era compiaciutaT di produrre tra essi madre natura.  Don  Lucio passava i due metri di altezza: don Rocco era
madre natura. Don Lucio passava i due metri di altezza:  don  Rocco era nachero. Magro, vestito sempre di nero, col gran
e la grossa canna d'India corrispondente alla statura,  don  Lucio aveva una gravità di aspetto e di modi da ingannare
ma stupidi e la fronte mangiata da capelli folti e irsuti,  don  Rocco faceva capire subito quanto poco cervello dovesse
poco e di parlare soltanto di cose di campagna. Mentre  don  Lucio se la spassava tra il casino e la farmacia del Gobbo,
tanto suo fratello e che lo rendevano ridicolo.  Don  Rocco però era l'amministratore e teneva a stecchetto il
alle monache del monastero vecchio famose pei dolci. A  don  Rocco quelle poche lire sembravano gran sciupio: egli solo
metterle insieme. E cosí al dolce si mescolava sempre per  don  Lucio l'amaro di una lite a tavola, e il broncio di don
per don Lucio l'amaro di una lite a tavola, e il broncio di  don  Rocco che durava parecchi giorni. Quell'anno l'almanacco
appunto dopo una di queste liti, in giorni di broncio, e  don  Rocco, che soleva comunicare al fratello le predizioni,
malumore fino a nascondere sotto chiave l'almanacco, perché  don  Lucio non potesse leggerle neppure nell'assenza di lui. Don
don Lucio non potesse leggerle neppure nell'assenza di lui.  Don  Lucio, che era anche piccoso, gli aveva domandato: - Che
l'Astrologo per l'anno nuovo? La prossima fine del mondo?  Don  Rocco, guardatolo compassionevolmente, non gli aveva
non gli aveva risposto nulla. Qualche settimana dopo,  don  Lucio stupiva di veder in tavola uno di quei famosi dolci,
regalato la badessa, per ringraziarmi di un servizietto -.  Don  Rocco ne prese appena una fettina e lasciò che il fratello
Regalo anche questo? - Mangialo, e non badare ad altro -.  Don  Lucio non se l'era fatto dire due volte e non si era
mutamento di contegno e avrebbe voluto trovarne la ragione.  Don  Rocco ora non lo contradiceva piú, anzi preveniva i suoi
e mezzo, nessuna lite, nessun'ombra di broncio tra loro.  Don  Lucio si vedeva guardato con una specie di tenerezza
ne mangi? Perché? - Due lagrime spuntarono negli occhi di  don  Rocco e gli scivolarono su per le gote rosee e paffute. -
rosee e paffute. - Che hai? Che cosa è stato? - Niente! - E  don  Rocco si levò di tavola per andare a chiudersi nella sua
si levò di tavola per andare a chiudersi nella sua camera.  Don  Lucio rimase interdetto. Prima di mettersi a tavola, suo
Perché? Che ti pare? - Invece di rispondere alla domanda,  don  Rocco avea domandato alla sua volta: - Non ti senti proprio
Mi sono ingannato ... Credevo ... - Il giorno dopo,  don  Lucio fu stupito di due cose; della vista di due piatti
Inviti a pranzo, dolci! ... o ammattisce, come voi dite -.  Don  Rocco aveva un viso cosí strano, cosí funebre che suo
da voi ... Che belle notizie? ... Sponsali prossimi? -  Don  Rocco sembrava istupidito, e don Lucio peggio di lui. Nel
... Sponsali prossimi? - Don Rocco sembrava istupidito, e  don  Lucio peggio di lui. Nel versare il caffè al canonico la
peggio di lui. Nel versare il caffè al canonico la mano di  don  Rocco tremava. - Avete sentito? - disse il canonico. - È
... altrimenti il caffè non mi fa digerire ... E anche voi,  don  Rocco. - Io? chi lo conosce costui? - rispose don Rocco. -
voi, don Rocco. - Io? chi lo conosce costui? - rispose  don  Rocco. - Il vostro Barbanera ha indovinato. Morte di un
questo mese. - Era alto? ... Piú alto di Lucio? - balbettò  don  Rocco. - Un omaccione, dicono. Ma non si tratta di questo.
il papa, certi ministri ... - E vedendo il viso che faceva  don  Rocco nell'udire questa spiegazione, il canonico Stella e
per sorbire. - Che vi eravate ... figurato? Ah! Ah! Ah! -  Don  Rocco piangeva dalla contentezza. Sí, si era figurato - lo
Sapeva assai lui che "alto" volesse anche dire! ... Solo  don  Lucio non rideva, pensando che il fratello ora gli avrebbe
Sempre in faccende,  don  Saverio? ... Buoni affari, don Saverio! - Chi non lavora
Sempre in faccende, don Saverio? ... Buoni affari,  don  Saverio! - Chi non lavora non mangia. Uuh! Uuh! ... Passa
la sua mamma non glieli avesse fatti storti abbastanza -  don  Saverio Teri rideva, d'un risolino stentato, specie di
Uuh! Uuh! ... Passa il lupo! - Questa tela quanto la fate,  don  Saverio? - Per voi, bella figliuola, c'è sempre pronto quel
paio di orecchini con le pietre fine, che vuol regalarvi  don  Tommasino. - Tante grazie, don Saverio! - È matto di
fine, che vuol regalarvi don Tommasino. - Tante grazie,  don  Saverio! - È matto di cotest'occhi ladri ... E c'è anche
soli a saperlo: Padre, Figliuolo e Spirito Santo! - No, no,  don  Saverio! - Almeno dategli la risposta con la vostra stessa
moglie di Pizzutello, per ingannar meglio le vicine, mentre  don  Saverio ruzzolava il vicolo gesticolando e ripetendo: -
da lí a poco, invece, l'osso del collo se lo ruppe lei con  don  Tommasino, per un paio di orecchini e una pezza di tela! E
le camicie nuove, della stessa tela vendutale una miscea da  don  Saverio, come aveva dato a intendere a quel povero grullo.
Ci corse poco che Pizzutello non spaccasse la la testa a  don  Saverio e non gli desse querela di ladro. Ma non c'erano
Cavatasela con una legnata soltanto e un pochino di paura,  don  Saverio continuò a tessere e a ritessere i tre quartieri
Passa il lupo! Per questo non si era mai dato il caso che  don  Saverio mancasse una sola domenica alla messa dell'alba in
ritardo. Per questo, ogni sera, all'ora della benedizione,  don  Saverio si metteva a suonare il campanello dai gradini
a capo scoperto e col collo piú torto che mai, era sempre  don  Saverio colui che cantava piú forte degli altri: - E centu
il santo a cui intendeva alludere era proprio lui stesso: -  Don  Tommasino, per mezzo di lui, non era forse andato in
E il tale? E il tal'altro? - Però il vero santo, che  don  Saverio non nominava mai senza prima segnarsi e accennare
il mal di capo? ... Il mal di denti? - Se ricorrevano a  don  Saverio, che non si faceva pagare quanto il medico e non
influsso di buona fortuna per qualche affare importante? -  Don  Saverio, ch'era discreto e si contentava di un regaluccio
di Dio; senza di essa non si fa nulla -. Talché, secondo  don  Saverio, occorreva la grazia di Dio fin per quelle malie
- Cosí è un buttar via tempo e fatica inutilmente! -  Don  Saverio mostrava di stizzirsi, di non volerne piú sapere: -
era andata a picchiare all'uscio della tana affumicata dove  don  Saverio abitava. - Aprite, son io, don Saverio! Non m'ha
tana affumicata dove don Saverio abitava. - Aprite, son io,  don  Saverio! Non m'ha vista nessuno -. Fradicia e inzaccherata
paura sentendo picchiare con questo tempaccio. - Ah,  don  Saverio, voi la sapete meglio di me la disgrazia che mi sta
anime del pur gatorio mi hanno fatta la grazia! Una malía,  don  Saverio! Una malía per quella mala femmina, e che possa
possa struggerla come cera al fuoco! ... Non bado a spesa,  don  Saverio! - Ma don Saverio, col viso scurito e le mani
come cera al fuoco! ... Non bado a spesa, don Saverio! - Ma  don  Saverio, col viso scurito e le mani giunte, mugolava sotto
faccende proibite? Qualcuno che voleva male al povero  don  Saverio, certamente! - La massaia sapeva benissimo che con
d'argento nuovi fiammanti, per caparra. - Non bado a spesa,  don  Saverio! - Ma, innanzi tutto, aveva dovuto giurare sul
tuoni rumoreggiavano che pareva il finimondo. In quei mesi  don  Saverio se la scialò nella taverna di Blasco con
quando la Scarvagghia venne presa dalla febbre maligna, e  don  Ortensio, che la curava, la diè per ispacciata. Massaio
e del cacio che avevano preso la via della casa di  don  Saverio, perché quell'affare costava un occhio. Massaio
uno sproposito, se gli avessero detto: - È la malía di  don  Saverio che ammazza la Scarvagghia! - Chi poteva mai
mai dirglielo? Nessuno ne sapeva nulla, neppure lo stesso  don  Saverio, quantunque avesse fatto la bambola di cencio e, a
che le sbattevano sul collo, non ebbe piú pace. - Ah,  don  Saverio, don Saverio, che tradimento m'avete fatto! - Don
sbattevano sul collo, non ebbe piú pace. - Ah, don Saverio,  don  Saverio, che tradimento m'avete fatto! - Don Saverio però
don Saverio, don Saverio, che tradimento m'avete fatto! -  Don  Saverio però la persuase, quattro e quattro fanno otto, che
solita processione dalla casa della massaia a quella di  don  Saverio, che andava a scialarsela da Blasco come gli
la Scarvagghia, scambio di struggersi, ingrassava. - Ah,  don  Saverio, don Saverio, che tradimento mi avete fatto! - lo
scambio di struggersi, ingrassava. - Ah, don Saverio,  don  Saverio, che tradimento mi avete fatto! - lo rimproverava
mi avete fatto! - lo rimproverava la massaia. Finché  don  Saverio non le rispose: - Me ne lavo le mani. Non voleva
e se ne ciarlava in paese. Un giorno, quel chiacchierone di  don  Paolo Conti gli aveva detto in piazza del Mercato, fra un
per la Scarvagghia è dunque fallita? - E alla risposta di  don  Saverio: - Il vino nuovo vi fa parlare cosí! - don Paolo,
di don Saverio: - Il vino nuovo vi fa parlare cosí! -  don  Paolo, ch'era manesco, gli lasciava correre un ceffone per
gente spendeva diversamente i quattrini. Invano il povero  don  Saverio seguitava a rompersi da mattina a sera le gambe,
prosit ! gli aveva tolto messa, coro e confessione! -  Don  Saverio, sentendo raccontare le prodezze del frate,
lui, quando tolsero i conventi. - Ci credete? - rispondeva  don  Saverio stizzito. - E dicono che un teschio umano gli vada
che parla e indovina il futuro. - Ci credete? - ripeteva  don  Saverio - Uuh! Uuh! Passa il lupo! - E spiegava la cosa: -
malattie che hanno addosso e scrivono anche la ricetta -.  Don  Saverio scattava: - Ci credete, minchionaccio? Ve lo dico
le persone. - Non è vero? Non è vero? - strillava  don  Saverio. E si dava con le dita su la bocca, per frenarsi di
di caci, di salami, d'ogni ben di Dio! Almeno lui,  don  Saverio, aveva oprato sempre in nome di Gesú e della
conducete da lui, c'è un fiore anche per voi -. E il povero  don  Saverio dovette rassegnarsi a prendere quel fiore, una
la mano, e gli si raccomandò: - Si rammenti del povero  don  Saverio! Sono stato sempre buon servo di tutti. - Ma avete
avessero buttato addosso una malia! Da quel giorno in poi  don  Saverio non fu piú lui! Con febbri dietro febbri, che gli
deperiva; e già sembrava un cadavere. - Come vi sentite,  don  Saverio? - gli domandavano le vicine. - Come Dio vuole! ...
- aggiungeva sotto voce. Ed era inutile che il dottore  don  Ortensio gli assicurasse: - È l'umido della casa. Questi
della casa. Questi sono reumi belli e buoni! - Ormai  don  Saverio era convinto che quei cani che gli rodevano le ossa
al confessore che, dandogli il viatico, lo esortava: -  Don  Saverio, perdonate i vostri nemici, come perdonò Gesú
 don  Mario! Appena lo vedevano apparire dalla cantonata della
sotto il naso: - Quacquarà! - E ce ne volle prima che  don  Mario si lasciasse trascinare nella farmacia Montemagno,
se vi dicono: quacquarà? Sareste, per caso, una quaglia? -  Don  Mario gli volse un'occhiataccia. - Infine, non vi chiamano
la serietà di Vito che, con la scusa di fare la predica a  don  Mario, gli ripeteva: - Quacquarà! Quacquarà! - in faccia,
facchino, tu me lo ripeti sul muso! - urlò all'ultimo  don  Mario, levando la mazza. Ma si mise in mezzo lo speziale,
per la disperazione del notaio Majori, padre di  don  Mario, che non poté capirci mai niente e dovette smettere
di meno di quel che volevano le parti interessate. E cosí  don  Mario, che fin allora aveva fatto da scrivano nello studio
sillaba, s'era trovato disoccupato insieme col fratello  don  Ignazio, che valeva poco piú di lui. E morto di crepacuore
che non fosse ro piú di moda e li rendessero ridicoli.  Don  Ignazio però non l'aveva durata a lungo; e quando il suo
il suo soprabito troppo sdrucito, comprò per pochi tarí, da  don  Saverio il rivenditore, una tuba usata, e poi un vestito,
ma che aveva migliore apparenza del vecchio soprabito.  Don  Mario invece tenne duro. E per ciò andava attorno con
d'olio per la minestra. - Domani andrò dal tale! - diceva  don  Mario. - Intanto spazziamo la casa -. Facevano tutto da sé;
Intanto spazziamo la casa -. Facevano tutto da sé; e mentre  don  Ignazio tagliuzzava una cipolla da condire in insalata per
tagliuzzava una cipolla da condire in insalata per la cena,  don  Mario, con indosso la veste da carnera di suo padre, tutta
... Era la sua fissazione, in casa e fuori. E spesso  don  Ignazio, vedendolo tardare, era costretto a richiamarlo in
tu? - La pulizia l'ha ordinata Domineddio! - rispondeva  don  Mario. E, lavatesi le mani, si metteva a mangiare quella
è l'olio di donna Rosa, e non ce n'è piú! - disse una volta  don  Ignazio, fra un boccone e l'altro. - Domani andrò dal
bene il vestito spelato e rattoppato e la tuba rossiccia,  don  Mario si vestiva in fretta e cominciava la giornata con
di Lucifero infernale, viva Maria Immacolata! - Intanto  don  Mario spesso non sapeva frenarsi dal dire a questo o a
compatendolo perché era ingenuo e non parlava per malizia.  Don  Mario non replicava, ma non mutava parere: - Sono quasi
di servizio sapevano che cosa significasse una visita di  don  Mario, e lo lasciavano nell'anticamera ad aspettare, o gli
o gli dicevano, senz'altro: - Datemi la bottiglia,  don  Mario -. E non era raro il caso che, mentre di là gli
i pezzettini di carta o di stoffa per terra. - Che fate,  don  Mario? - La pulizia l'ha ordinata Domineddio! ...
salotto e lo invitava a sedersi. - Che c'è di nuovo, caro  don  Mario? - Bene, con la grazia di Dio. Voscenza come sta? -
grazia di Dio. Voscenza come sta? - Come le vecchie, caro  don  Mario! - Vecchio è chi muore. Voscenza è cosí caritatevole,
discorso, quasi non avesse capito lo scopo della visita; e  don  Mario si calcava sotto il soprabito la bottiglia vuota,
la seggiola dopo che se n'era accorto. - Lasciate andare,  don  Mario ... - La pulizia l'ha ordinata Domineddio! ... Ero
bottiglia. - Volentieri! - Chi poteva dirgli di no al buon  don  Mario? Quando però gli accennavano alla maledetta
Pasqua addirittura, quantunque ora, con l'impiego di  don  Ignazio, i due fratelli piú non stentassero come prima.
anzi felici, senza quel quacquarà che faceva arrabbiare  don  Mario. D'onde l'avevano cavato? Oramai egli non poteva dare
dire. - Li accuso davanti la vostra giustizia - urlò  don  Mario. - Ma chi accusate? - Tutti! - Troppi. Non si poteva
Poiché un galantuomo non può ottenere giustizia! - brontolò  don  Mario. E andò via dignitosamente, risoluto di farsi
con piú di mezza dozzina di schiaffi sonori. Il povero  don  Mario, che non se l'aspettava, rimase interdetto: - Come?
in casino per un vestito nuovo e una tuba da regalare a  don  Mario. Don Mario non volle lasciarsi mai prendere le misure
per un vestito nuovo e una tuba da regalare a don Mario.  Don  Mario non volle lasciarsi mai prendere le misure dal sarto;
mosche che siete -. La sera, a cena, ragionando di questo,  don  Mario e don Ignazio si erano trovati in un bell'imbroglio.
siete -. La sera, a cena, ragionando di questo, don Mario e  don  Ignazio si erano trovati in un bell'imbroglio. - Vendete! È
Che vendere? ... L'antico studio notarile? - Oh! - esclamò  don  Mario, indignato. È vero che i grossi volumi, rilegati in
quali scappavano fuori qua la testa maschia e severa di  don  Gaspare Majori, del 1592@, 1592, rosso di capelli, in gran
mano; là, gli occhi grigi, i baffi bianchi e il pizzo di  don  Carlo, del 1690@; 1690; accanto, la parrucca e il viso
1690@; 1690; accanto, la parrucca e il viso tondo e raso di  don  Paolo, del 1687@; 1687; piú in là, la testa scarna e
del 1687@; 1687; piú in là, la testa scarna e allungata di  don  Antonio, incastrata nel bavero enorme, con il collo fasci
dalle due tasche del vistoso panciotto, del 1805@; 1805;  don  Mario sapeva a memoria vita, morte e miracoli d'ognuno, e
Mario sapeva a memoria vita, morte e miracoli d'ognuno, e  don  Ignazio pure. - Dobbiamo scacciarli di casa noi? È
là, di generazione in generazione, fino al padre loro,  don  Antonio Majori ... - È mai possibile? - ripeterono insieme
Antonio Majori ... - È mai possibile? - ripeterono insieme  don  Mario e don Ignazio. E andarono a letto, e spensero il
... - È mai possibile? - ripeterono insieme don Mario e  don  Ignazio. E andarono a letto, e spensero il lume. - Tanto,
- Siamo già vecchi! ... Ignazio ha ragione - rifletteva  Don  Mario; e si domandava: - Chi dei due morrà il primo? -
- È passato l'angiolo questa notte pel vicolo. È vero,  don  Mario? - Egli sorrideva e non rispondeva; rassegnato alla
e senza una frittella, sebbene inservibili. Un giorno però  don  Mario perdette a un tratto la pace. Affacciatosi a un
di mostri contorti. - Bel palazzo, anzi reggia! - diceva  don  Mario, che non ne aveva mai visto uno piú bello. - Intanto,
del portone, e che deturpano l'edifizio? - La sera, appena  don  Ignazio, stanco e trafelato, arrivò dal mulino - Senti -
stanco e trafelato, arrivò dal mulino - Senti - gli disse  don  Mario; - dovresti andare dal signor Reina. Lascia crescere
avvertirlo, almeno quando lo incontri. - Lo avvertirò -.  Don  Ignazio, rifinito dalla via fatta a piedi, aveva ben altro
mulino, non finiva di deporre in un canto il bastone, che  don  Mario non gli domandasse: - Hai parlato col signor Reina? -
Sí. - Che ti ha risposto? - Una parolaccia! - Quella notte  don  Mario non poté chiudere occhio. E appena s'accorse che il
- Giú, vi dico! ... - E alla brusca intimazione, il povero  don  Mario dovette scendere, lasciando parecchi ciuffi di
l'incubo di quelle erbacce che gli pesava sul cuore. Povero  don  Mario! Roma, giugno 1889@ 1889
il palcoscenico nello stanzone dove altre volte  don  Carmelo aveva ottenuto grandi successi coi suoi burattini.
lo avevano seguito a piedi, per parecchie miglia, mentre  don  Carmelo, fumando la pipa, e il carrettiere un mozzicone di
a piangere e a lamentarsi sommessamente, per non irritare  don  Carmelo, che durante la visita del medico e del brigadiere
- Non avevate chiamato un medico? - Due, anzi - mentì  don  Carmelo - ma non ci dissero che la bambina era in pericolo.
nel cuore. - Purchè non ci porti sfortuna! - brontolava  don  Carmelo. E mandò a chiamare la moglie, perchè lavorasse
seggiola nella memorabile serata, e cominciò a rammendarlo.  Don  Carmelo avea ritrovato parecchi vecchi amici che venivano a
gli ripeteva una facezia che faceva aggrottar le ciglia a  don  Carmelo: - Vecchio peccatore! Non vi bastava Colombina
la chitarra, cantava canzonette un po' sboccate, e quando  don  Carmelo dimenticava di far prendere il solito litro di
il solito litro di vino, diceva a Cardello - Senz'offesa,  don  Carmelo ... mando il ragazzo qui vicino. Su, panperso: un
qui vicino. Su, panperso: un litro, e del migliore. -  Don  Carmelo nei primi giorni non se n'era offeso; ma a poco a
l'altro avrebbe finito col portarsela via, di nascosto, se  don  Carmelo non si decideva a vendergliela; l'avrebbe pagata
l'avrebbe pagata quel che lui voleva, s'intende.  Don  Carmelo intanto non aveva coraggio di dirgli: - Fammi il
veniva solo, si trascinava dietro gli altri vecchi amici di  don  Carmelo, perchè nello stanzone dell' opera si stava con più
rivestire i pupi e lavorare le teste e le mani di legno che  don  Carmelo con quattro colpi di sgorbia e con un coltellino
e guai non mancano mai! - Mutiamo discorso! - brontolava  don  Carmelo. * * * E ogni sera, terminata la rappresentazione,
marito e moglie si era incalorita. Cardello udiva ringhiare  don  Carmelo: - Devi dirglielo tu! ... Altrimenti lo prendo per
Che cosa ti ha detto? ... Rispondi! Parla! - La voce di  don  Carmelo era avvinazzata; e donna Lia rispondeva soltanto
... . Nel buio accadeva certamente qualcosa di terribile.  Don  Carmelo bestemmiava, donna Lia gridava: - Oh Dio! No! No! -
donna Lia gridava: - Oh Dio! No! No! - Cardello gridò: -  Don  Carmelo! ... Donna Lia! ... . - Un rantolo ... e poi
fu acceso, e un lume; e Cardello si vide apparir davanti  don  Carmelo in camicia e mutande tutto insanguinato ... . - Don
don Carmelo in camicia e mutande tutto insanguinato ... . -  Don  Carmelo! ... Don Carmelo! ... . - L' Orso peloso con gli
e mutande tutto insanguinato ... . - Don Carmelo! ...  Don  Carmelo! ... . - L' Orso peloso con gli occhi sbarrati, coi
poteva capire a chi si riferisse; e soggiunse subito: -  Don  Carmelo, il puparo Aiuto! Aiuto! - In pochi minuti, lo
rispondeva al brigadiere: - Che c'entro io? L'ha ammazzata  don  Carmelo! - E quando si sentì rassicurato, e udì dirsi dal
il cui fumo odoroso aveva riempito la piccola stanza,  don  Gennaro Parascandolo si assorbiva profondamente nello
appartamento del palazzo Rossi. Quando si diceva che  don  Gennarino Parascandolo era allo studio, ra tutto detto: chi
che corre al denaro, per incanto: lo studio, l posto dove  don  Gennaro Parascandolo, forte, saggio, audace e freddo nella
per tenervi pulizia, Salvatore, il servitore fidato di  don  Gennarino, vi perdeva le mezze giornate, usando la massima
o da vari altri che si accavallavano nello strano museo.  Don  Gennaro, ogni tanto, in un momento di solitudine, schiudeva
di gingilli sulla scrivania, con cui giocherellava spesso  don  Gennaro Parascandolo. Colui ch'entrava colà, portasse pure
con l'esistenza; e la stessa faccia bonaria di  don  Gennaro Parascandolo, velata, ogni tanto, da una nuvola di
già debole, già vinto. Tutto il grande giro degli affari di  don  Gennaro era regolato dal minuto lavoro di geroglifici nel
cifre, di osservazioni. Appena una visita era annunziata,  don  Gennaro, senz'affrettarsi, chiudeva lo scadenziere nel
di bronzo che era una scarpetta inarcata di donnina: e  don  Gennaro Parascandolo giocherellava con una larga stecca
venne a dire che il signor Cesare Fragalà voleva entrare,  don  Gennaro chiuse subito lo scadenziere, e ripose il taccuino
Come stanno la comare e la comarella? - Benone, benone,  don  Gennarino mio: sono di casa Fragalà, casa forte, senza
Cesare. - Tutto è buono a sapersi, - osservò modestamente  don  Gennaro Parascandolo. - Voi non ci siete mai stato? - No, -
alla fortuna, magari illecito. - Che ne fareste? - domandò  don  Gennaro, prendendo un'altra sigaretta per sé e offrendone a
avete dovuto fare guadagni grossi, - disse lentamente  don  Gennaro, scuotendo la cenere della sua sigaretta. - Sì, sì,
- Eh, per un giorno, non importa, - disse freddamente  don  Gennaro, la cui fisonomia si era fatta gelida, da che
Ho dovuto sdoganare un forte carico di zucchero…e allora..  Don  Gennaro, indifferente a tutte quelle parole, taceva. -
sulla mia puntualità… - Non posso, - disse gelidamente  don  Gennaro. - Perché? il denaro lo avete, - esclamò
una volta alla sua parola, può mancar sempre…- sentenziò  don  Gennaro. - Eppure non credevo che rifiutereste a un compare
vedreste ch'è una cosa forte.. - Sarà, - annuì, col capo,  don  Gennaro, - ma vi trascina sopra una cattiva strada. - No,
- proprio, mi dovreste favorire. - Non posso, - ribattè  don  Gennaro. - Infine, sono un negoziante onesto e chiunque
e chiunque vorrebbe trattare di affari con me! - gridò  don  Cesarino, con un principio di sdegno. - Se è un affare, è
sdegno. - Se è un affare, è un'altra cosa, - disse subito  don  Gennaro, cedendo. - Ebbene, trattiamolo come un affare, -
disse, immediatamente calmato, Cesare. Allora, quietamente,  don  Gennaro aprì il cassetto e ne trasse fuori una cambiale in
- È il capitalista per cui lavoro, - rispose glacialmente  don  Gennaro. E vedendo che dopo aver firmato, Cesare Fragalà
per rassicurare anche sé stesso. E restituì la cambiale a  don  Gennaro Parascandolo, che la rilesse, minutamente, due
stupefatto. - Il dodici per cento d'interesse, - spiegò  don  Gennaro. - All'anno? - chiese stupidamente Cesare Fragalà.
Cesare Fragalà contava il denaro, non osava dire a  don  Gennaro Parascandolo che l'interesse era stato calcolato
prime cinquecento lire, che gliele aveva prestate lui,  don  Gennaro, non il capitalista. Non disse nulla, però: anzi,
e con la bocca amara di chi ha masticato l'aloe. Subito,  don  Gennaro si rimise ai suoi conti. Ma fu solamente per pochi
Marzano, con un altro signore, che volevano entrare.  Don  Gennaro, certo, li aspettava, poiché aggrottò lievemente le
Marzano e il barone Lamarra tornavano a via San Giacomo, da  don  Gennaro, per un affare di denaro, discutendo, proponendo,
vanità, acquistavano quella espressione desolata, che  don  Gennaro Parascandolo studiava col suo occhio sagace e per
la sua faccia aveva acquistato quell'aria gelida. Solo  don  Ambrogio Marzano sorrideva sempre, ostinato nella sua
incoraggiare il suo cliente. - Finiamola pure, - rispose  don  Gennaro, senza levare gli occhi. - Non avete studiata una
combinazione? mormorò il barone Lamarra. - No, - disse  don  Gennaro. I due si guardarono, esitanti: il barone fece un
Marzano, conservando il suo tono ingenuo. - Già, - disse  don  Gennaro, sempre glaciale. - Compratore, a quanto? - dimandò
anche la firma di mia moglie! - Barone, scusate, - osservò  don  Gennaro, - mi pare che sbagliate. Io vi fo un favore,
estrasse una carta, deponendola sul tavolino, dirimpetto a  don  Gennaro. - È un affare fatto, - disse, con voce strozzata.
fatto, - disse, con voce strozzata. - Ecco la cambiale.  Don  Gennaro non ebbe che un batter di palpebre di adesione.
una energica spallata. - Datemi i denari, che mi servono.  Don  Gennaro annuì col capo. Al solito, aprì il cassetto di
per non lasciarselo sfuggire. Quando fu solo, nuovamente  don  Gennaro Parascandolo riaprì il cassetto della sua scrivania
cantarellando. - Buona liquidazione, eh, lunedì? - chiese  don  Gennaro. - Cattiva, cattiva, - canticchiò Ninetto Costa. -
sincero di rammarico. - Lillina? Essa dice di no, - osservò  don  Gennaro. - Lo ha detto a te? E la più bugiarda fra le
in vista. - Sei un diavolo, Ninetto, - disse, ridendo,  don  Gennaro. Dal solito cassetto di destra, donde aveva preso
di destra, donde aveva preso il denaro le due altre volte,  don  Gennaro cavò un grande astuccio di pelle e lo schiuse. Sul
espressione al suo sorriso. - Son belli, eh? - domandò a  don  Gennaro. - Mi pare, - rispose l'altro, modestamente. - Tu
che valgano ventimila lire? - Non lo credo io, lo crede  don  Domenico Mazzocchi che te li ha venduti: io non me ne
affari, io, mi sono ritirato,- disse salutando e sorridendo  don  Gennaro Parascandolo, mentre Ninetto Costa se ne andava
già, alle quattro, che il giorno cadesse. Stava pensando,  don  Gennaro, se avesse dato appuntamento ad altri, o se potea
dire, che tre signori cercavano di entrare. - Tre? - chiese  don  Gennaro, pensando. - Tre… - Fa entrare, - disse l'altro,
si tenevano d'occhio, scambievolmente, sogguardavano ora  don  Gennaro, ora l'imbarazzato provinciale, che pareva non
presa fra due ragni, uno crudele e l'altro perfido.  Don  Gennaro li guardava, con un sorriso, intuendo tutto questo.
degli occhi del dottor Trifari sulla chiusa scrivania di  don  Gennaro, e la fissità umile ma infida dello stesso sguardo
senza capire, l'esitazione di Salvatore si intendeva. Ma  don  Gennaro Parascandolo, che amava gli oggetti di arte, aveva
sulla scrivania, ma le dita vi giuocherellavano sopra. E  don  Gennaro sorrideva, fumando la sua eterna sigaretta: senza
dottore. - Mah! è un assai mediocre affare… - osservò  don  Gennaro, con aria disinvolta. - Che dite? Con tre firme, la
preferirei Rothschild a tutte le firme, - osservò  don  Gennaro, conservando il suo sorrisetto canzonatorio. - Gli
corona della mia testa, - disse con una cortesia esagerata  don  Gennaro: - ma le firme debbono essere solvibili, ecco
urlando, Trifari. - Nei paesi vostri, - rispose freddamente  don  Gennaro. - Naturale.., al paese… odii di politica.., lotte
innanzi lo studente come una pecora matta. Placidamente  don  Gennaro chiamò Salvatore per farsi spazzolare il soprabito:
gocce di sudore, in quel giorno ancora fresco di marzo.  Don  Gennaro, intanto, aveva tratto del denaro dal cassetto e lo
la mano in tasca, sul denaro. - No, - disse seccamente  don  Gennaro che si levò di nuovo. I tre uscirono, in silenzio.
non serviva più a nulla e il cui più gran tormento era che  don  Gennaro Parascandolo gli aveva fatto scrivere il domicilio
agli occhi. Malgrado poi il desiderio di uscire che aveva  don  Gennaro, egli dovette trattenersi ancora cinque minuti. Una
Sottovoce, guardando intorno, ella aveva parlato a  don  Gennaro, che l'aveva ascoltata con un paterno sorriso di
astuccio, cavato da un involto di lana nera e poi di carta;  don  Gennaro non aveva neppure voluto guardarlo, e lo aveva
due minuti la victoria ortava il tranquillo e soddisfatto  don  Gennaro Parascandolo, alla passeggiata di via Caracciolo,
d'oggi. A qualcuno diceva anche: - Lo so; mi chiamate  Don  Mignatta Ma dovete ringraziar Dio che don Mignatta esista.
so; mi chiamate Don Mignatta Ma dovete ringraziar Dio che  don  Mignatta esista. Don Provvidenza dovreste chiamarmi....
Mignatta Ma dovete ringraziar Dio che don Mignatta esista.  Don  Provvidenza dovreste chiamarmi.... Ah!.... Sì, è vero?
quasi fosse convinto che le donne non avessero occhi. Per  don  Mignatta, il cavalier Giunta era proprio un portafortuna.
scrivania - come segnale e non altro - fingeva di scusarsi.  Don  Mignatta, che intanto aveva cavato dal cassetto una scatola
Ogni volta, accompagnando il cavaliere fino all'uscio,  don  Mignatta faceva in modo di palpargli la gobba di dietro,
gobba di dietro, pel buon influsso. Quella mattina appunto  don  Mignatta si era rallegrato di vederlo arrivare nel momento
- Ma perché?... Ma perché? Che si è figurato? - balbettava  don  Mignatta, mentre il cavaliere rimetteva all'occhiello del
a testa alta tra le due gobbe, senza voltarsi addietro. E a  don  Mignatta era parso che la sua buona fortuna fosse sparita
con lui. - E gli imbecilli dicono che non è vero! - pensava  don  Mignatta scotendo compassionevolmente la testa! Maggior
del marito, dichiarò sùbito. - Male! Male! - la rimproverò  don  Mignatta sorridendo, mangiandosela cogli occhi. - Glielo
delicate, che sembravano mani di principessa al povero  don  Mignatta, quantunque egli non avesse mai visto mani di
esitante, per riprendere il biglietto da cinquanta lire,  don  Mignatta soggiunse: - A vostro comodo! Ci mancò poco che
Non dubiti: le riavrà! Infatti, all'ottavo giorno,  don  Mignatta diventò fin spiritoso all'arrivo della donna: -
Ora viene mio marito - rispose quella mettendosi a sedere.  Don  Mignatta si sentì buttare addosso un catino d'acqua fredda.
Calogero - ci corse poco che non gli scappasse detto  don  Mignatta! - Lui può favorirci, se vuole; senza suo
così gentile, figurati! Non ha voluto neppure il pegno!  Don  Mignatta spalancava gli occhi e gli orecchi sentendo che
la voce come un gorgheggio, incalzando di mano in mano che  don  Mignatta, da rigido mentre parlava il marito, era già
approvando. - Ah! Se vossia mi dà questa soddisfazione! E a  don  Mignatta parve che, così parlando, gli promettesse tutte le
che facevano fermare la gente e servivano di richiamo.  Don  Mignatta era socio, ma nessuno, da principio, lo
era pochi metri più in là, nel centro della Piazza: e  don  Mignatta che vi passava lunghe ore seduto a covare con gli
presenza di lui, erano già passati parecchi mesi senza che  don  Mignatta trovasse un momento opportuno per rammentare alla
sera! Buona sera! - e marito e moglie andavano via! Intanto  don  Mignatta trascurava i suoi piccoli affari, i più fruttuosi.
la consueta sua aria spavalda; non si degnava di salutare  don  Mignatta, e mentre la maestra - ora la chiamavano anche
a testa alta fra le due gobbe, soddisfatto, senza salutare  don  Mignatta che gli borbottava dietro: - Gobbaccio maleducato!
la merciaia Ed era quasi dargli una pugnalata, tanto  don  Mignatta ora odiava il cavaliere. Un giorno che don
tanto don Mignatta ora odiava il cavaliere. Un giorno che  don  Mignatta non si trovava là, il cavaliere disse alla bella
aveva capito prima degli altri la compartecipazione di  don  Mignatta nella merceria di Zùccaro, e voleva guastargli le
Zùccaro, il giorno appresso, si presentò in casa di  don  Mignatta, con faccia burbera e occhi aggrottati. - Facciamo
a cinquanta lire al mese. - E gli interessi? - balbettò  don  Mignatta. - E lo zucchero, e il caffè, e le altre; cose che
messo in testa?... Che vi eravate messo in testa?...  Don  Mignatta si era sentito salire tutto il sangue al cervello.
lire al mese!... E gli... interessi?... Eh? Eh? Eh? -  Don  Calogero! Oh Dio! - esclamò Zùccaro, spaventato alla sua
Oh Dio! - esclamò Zùccaro, spaventato alla sua volta. -  Don  Calogero! Lo mise a sedere su la seggiola a bracciuoli
scotendolo per farlo rinvenire. C'era mancato poco che  don  Mignatta non fosse andato improvvisamente a succhiare il
gridare in piazza: - Ecco cinquanta lire di quel ladro di  don  Mignatta! - E spartirle tra i poveretti che avete
quasi con la schiuma alla bocca, sembrava diventato più  don  Mignatta del solito.
 Don  Michele levatosi, secondo il solito alle sette albe,
- È già all'ordine - rispose donna Carmela.  Don  Michele stette zitto, aggirandosi per la camera,
in cantina per riempire il fiasco dal caratello di  don  Michele, come lo chiamavano, perché quel vino di due anni
perché quel vino di due anni serviva per lui solo,  don  Michele scendeva giú in istalla. La mula non voleva bere; e
faceva versacci col muso all'aria, mostrando i denti.  Don  Michele diè una pedata al ragazzo e gli strappò di mano la
eh? di farmi patire quarant'onze di mula! Non mi tengo per  don  Michele, finché non ti avrò scorticato vivo con le mie
le colava dalle narici e che aveva gli occhi cisposi,  don  Michele cominciò a sacrare peggio d'un turco, e a invocare
che disgrazia! - Donna Carmela si picchiava il capo, mentre  don  Michele, stralunato, con le mani ciondoloni e le gambe
scordato di me in questo mondo! Devo soffrire altri guai -.  Don  Michele, sentendole battere i denti, si voltò come un
da parere una vecchina; e aveva appena trent'anni.  Don  Michele continuava a guardare la mula, quasi avesse voluto
c'era pericolo che un animale cascasse a gambe all'aria.  Don  Michele però aveva fatto chiamare anche mastro Filippo,
e di quello! Qui ci vuole un setone coi fiocchi altrimenti,  don  Michele, potete disporvi a far conciare questo cuoio; la
potete disporvi a far conciare questo cuoio; la mula è ita!  Don  Michele tornava a prendersela coi santi e con la Madonna, e
suffumigi di nepitella sotto la froge della mula, mentre  don  Michele, tenendola per la cavezza accanto alla mangiatoia,
della stalla. Non si sedette neppure a tavola, intanto che  don  Michele ingoiava in fretta e in furia due uova fritte nel
di nepitella che invadeva la casa le dava nausea; e  don  Michele inoltre, mangiando, continua va a ragionare del
e di nepitella che le mozzava il fiato. E la notte, appena  don  Michele, che dormiva vestito, si levava per visitare e
in piedi. La mattina che non ebbe piú forza di levarsi,  don  Michele cominciò a urlare: - Lo fate apposta! Godete della
la poveretta. - Questa volta il Signore vi ascolterà! -  Don  Michele fece un'alzata di spalla e andò presso la mula,
lui si confondeva con la mula, la povera signora moriva,  don  Michele rispose: - Va a farti friggere tu e la tua signora!
friggere tu e la tua signora! Prèsia insistette: - Se passa  don  Antonio, gli dirò di salire. - Zitta! - E fece atto di
il Signore è giusto! Ma voi meritereste anche peggio! -  Don  Michele fece le viste di non sentirla, e col capo della
gna' Rosa, una vicina, venne a dirgli: - C'è il dottore -  Don  Michele diventò una bestia; e cominciò a a rovesciar giú
miracolo, se la casa non subissa dalle fondamenta! -  Don  Michele trovò don Antonio che aveva già scritto qualcosa su
la casa non subissa dalle fondamenta! - Don Michele trovò  don  Antonio che aveva già scritto qualcosa su d'un pezzettino
il prete che portava il Santissimo e l'estrema unzione,  don  Michele andò a mettersi in ginocchio a piè del letto, coi
con l'olio santo gli occhi e le labbra dell'ammalata.  Don  Michele, che appunto pensava a questo, mandava fuori
- Siete contento ora? Dio vi guardi e mantenga! -  Don  Michele scoppiò in pianto: - Perché mi dite cosí? Non vi ho
- ella disse con un fil di voce, alzando a stento una mano.  Don  Michele pareva volesse sbattere la testa ai muri dalla
finché campava. Mentre il notaio scriveva il testamento,  don  Michele, che diceva di non poter reggere a tanto strazio,
che piú non le importava di nessuno e di niente.  Don  Michele, quando non stava in istalla, sedeva da piè del
piedi, invece di pagare due manovali per trascinarvela. -  Don  Michele non se ne dava pace: - Quarant'onze di mula! ...
alla mensa l'ingegnere Fabi che aveva stimato lo stabile,  don  Ciccio, il celebre "paglietta", che aveva aiutato Filippino
che aveva aiutato Filippino nelle pratiche legali,  don  Nunziante dal grosso naso, che aveva rogato gli strumenti,
il luogo del suo nascondiglio? - domandò col suo vocione  don  Nunziante, tirando fuori dal bicchiere un naso piú spugnoso
un momento all'altro e teneva sempre pronta un'oca... Ma,  don  Ciccio, dite voi quel che ne sapete. - Io ne so meno di
sapete. - Io ne so meno di voi, amici carissimi - esclamò  don  Ciccio cogli occhi lucenti. - Un giorno vien da me
come tutte le passioni, conduce spesso a perdizione - disse  don  Nunziante. - Io vorrei possedere la cabalistica di prete
- Sapete che cosa ho trovato in casa sua? disse  don  Ciccio, - un volume del Cardano, e la "Magia Naturale" del
gli studi di Gall e di Lavater, - si affrettò a dire  don  Nunziante, che non voleva mostrarsi meno dotto del
di donna Chiarina, illustrissima mia padrona - esclamò  don  Ciccio alzando il bicchiere. Fu un grande applauso.
consolazioni... - Amabile Chiarina! - declamò in falsetto  don  Nunziante, guardandola attraverso il bicchiere. - Bravo!
guardandola attraverso il bicchiere. - Bravo! bene! viva  don  Cirillo! Il baccano era veramente indiavolato, ma fu a un
vino color dell'ambra, non si raccapezza. Però, voltatosi a  don  Ciccio: - A voi, - disse, - che avete gli occhiali. Che
- che avete gli occhiali. Che cosa dice questo geroglifico?  Don  Ciccio si acconciò le invetriate sul grosso del naso e
Parroco di Santafusca - Ecco un uomo onesto! - esclamò  don  Nunziante. - O che ha una testa troppo grossa per il
troppo grossa per il cappello, - osservò maliziosamente  don  Ciccio. - Che cosa dite voi? - esclamò impallidendo a un
supposto. - Io qui sento un odore di criminale - disse  don  Ciccio alzandosi in piedi, arricciando un poco le narici,
donna Chiarina, bianca come un giglio. - Che dite voi,  don  Ciccio? - ripeterono le altre donne. - Io ripeto che sento
odor di criminale in questa faccenda, e n'ho ben donde. -  Don  Ciccio pareva piú secco del solito. - Signori! - esclamò
una strada, una campagna, una vigna, un bosco, altrimenti  don  Antonio avrebbe scritto: in casa mia, in chiesa, in
dice piú che un colpo di vento. - O mio Dio,  don  Ciccio! - esclamò la donna, alzando le due mani al cielo. -
signori, se egli fosse conosciuto da qualcuno lassú,  don  Antonio non avrebbe cercato inutilmente il padrone del
ma brancicando mi pare di toccare il corpo di un delitto...  Don  Ciccio si era fatto lugubre e cupo. Colla sua voce
Il suo cilindro bianco non aveva piú un pelo a posto.  Don  Nunziante provò a dire che probabilmente il prete aveva
fantasie, che, riscaldate dal vino e accese dalle parole di  don  Ciccio, cominciavano già a credere a qualche cosa di
di Giove. Per quel giorno fu messa in disparte la gioia.  Don  Ciccio raccolse un piccolo consiglio e propose di portare
molto buio, piú che buio, buissimo. Filippino incaricò  don  Ciccio di tutte le pratiche necessarie, e non guardò a
però non la perdonava a quell'asino calzato e vestito di  don  Ottavio Giglio, proprietario della Grotta dalle sette
non permetteva che nessuno andasse là a smuovere un sasso.  Don  Ottavio credeva anche lui che in quella grotta ci fosse un
ci vuole il Rutilio! - Questo: "E poi ci vuole il Rutilio!"  don  Ottavio lo diceva cosí solennemente che tagliava corto a
comoda e sicura, malediva la propria sorte e quel porco di  don  Ottavio che non gli permetteva di scavare nella Grotta
pescarlo? - Il Rutilio è qui! - venne a dirgli un giorno  don  Tino il mussolinaio, andato a trovarlo a posta lassú col
da sfilate di numeri da far perdere il cervello. Lui,  don  Tino, aveva stentato due mesi per raccapezzarvi qualcosa: -
trovata? - Mi par di si. Proveremo, con la sonnambula di  don  Micio il crivellatore, che vede fino a trenta metri sotto
scienza colà nascosta. Presi gli accordi per condurre lassú  don  Micio il crivellatore e la sua sonnambula, don Tino disse:
lassú don Micio il crivellatore e la sua sonnambula,  don  Tino disse: - Dev'essere di venerdí, a mezzanotte. Avete
Avete paura? - Di chi? Del Mercante ? Mi conoscete male,  don  Tino! - E glielo provò la notte di quel venerdí. Notte
a verga a verga, e non voleva guardare sotterra, come  don  Micio gli ordinava tenendo le braccia tese e strabuzzando
tremava e le braccia gli vagellavano nel dare, insieme con  don  Tino, i colpi di zappa nel posto indicato dalla sonnambula,
sonnambula, prima che la lanterna si spegnesse, appena  don  Tino aveva compitato lo scongiuro del Rutilio. E il vento
Siamo stati tante carogne ... o il vostro Rutilio è falso!  Don  Tino cominciò a sacramentare: - Corpo! ... Sangue! ...
la chiave -. E non la seppero trovare né allora, né poi.  Don  Ottavio Giglio però, quantunque non avesse testimoni del
della Grotta dalle sette porte, dopo aver saputo da  don  Tino che il Rutilio, quello proprio autentico, era nelle
autentico, era nelle loro mani. Forse mancava la chiave.  Don  Tino gli aveva mostrato il libro con una pagina strappata.
-. Dal canto suo, mastro Rocco stava in guardia contro  don  Tino, don Micio il crivellatore e la sonnambula. Gli era
canto suo, mastro Rocco stava in guardia contro don Tino,  don  Micio il crivellatore e la sonnambula. Gli era entrato il
operare soli, da quella domenica in cui aveva visto  don  Tino in stretti ragionamenti con don Ottavio, sotto il
in cui aveva visto don Tino in stretti ragionamenti con  don  Ottavio, sotto il portone di casa di costui. Don Tino
con don Ottavio, sotto il portone di casa di costui.  Don  Tino gesticolava, si strappava i capelli, e don Ottavio
di costui. Don Tino gesticolava, si strappava i capelli, e  don  Ottavio approvava, serio serio. - Perché smisero di
che, avuto vento degli scongiuri fatti da mastro Rocco con  don  Tino, don Micio il crivellatore e la sonnambula, volevano
vento degli scongiuri fatti da mastro Rocco con don Tino,  don  Micio il crivellatore e la sonnambula, volevano divertirsi.
prenderete? - gli domandò Zangàra, ridendo. - La prenderà  don  Tino, - aggiunse Passolone - ora che possiede il Rutilio -.
in tasca -. Passolone raccontò di aver inteso dallo stesso  don  Tino che egli l'avrebbe presa certamente l'ultimo venerdí
in viso con tanto di occhi, pensando allo scellerato di  don  Tino che voleva fargli quel tradimento; e si tenne la
il rumore dei passi di coloro che dovevano arrivare:  don  Tino, don Micio e la sonnambula. Non stormiva foglia
rumore dei passi di coloro che dovevano arrivare: don Tino,  don  Micio e la sonnambula. Non stormiva foglia nell'oscurità, e
catene infernali! ... E non ritentò piú, quantunque  don  Tino e don Micio il crivellatore lo stuzzicassero; neppure
infernali! ... E non ritentò piú, quantunque don Tino e  don  Micio il crivellatore lo stuzzicassero; neppure quando si
Rocco si contentò soltanto di scavare e scavare. E se  don  Tino e don Micio gli riparlavano del Rutilio, rispondeva: -
si contentò soltanto di scavare e scavare. E se don Tino e  don  Micio gli riparlavano del Rutilio, rispondeva: - Non me ne
i rami metà sul fondo del Liscari, metà su quello di  don  Tano il Sordo - non lo chiamavano altrimenti - non valeva
per le pere, ma pel mio diritto! La stessa risposta dava  don  Tano il Sordo agli amici che lo ammonivano: - Lasciate
famiglia, un po' alla salute del Liscari un po' a quella di  don  Tano il Sordo. E l'anno appresso, daccapo. - Questa volta
Non domando di meglio. - Cosí non può durare! - soggiungeva  don  Tano il Sordo, che era sordo solamente quando gli tornava
il vecchio Liscari. - E neppure a me! - replicava  don  Tano. Lo sapevan bene dove invece andavano a infradiciare
pero, secondo uno apparteneva al Liscari, secondo l'altro a  don  Tano il Sordo. E siccome non c'era da fare tutti gli anni
al Liscari due anni avanti, si trovava favorevole a  don  Tano il Sordo due anni dopo. Il povero pretore non si
spese. Il vecchio Liscari pagava zitto zitto la sua metà,  don  Tano il Sordo, brontolando un po', l'altra metà, e fino al
e fino al nuovo settembre non se ne ragionava piú. La ruppe  don  Tano, che questa volta fece il sordo sul serio e fu piú
forense e di forti pugni sul tavolino, mentre l'avvocato di  don  Tano si era limitato ad esporre tranquillamente le ragioni
maggior buona volontà di riuscire imparziale, fatto sta che  don  Tano il Sordo si sentí cascare tra capo e collo la sentenza
al vecchio imprudente. Ma bastò questo perché  don  Tano che, se non era sordo addirittura, era però sospettoso
C'è pure la cassazione che porta il nome con sé! - replicò  don  Tano, crollando la testa minacciando. - Eh via! Incomodare
sicuro della vittoria. - Per me! - rispose, come l'eco,  don  Tano, pensando che questa volta non sarebbe stato tanto
mia rustica casetta. - A questo ho già pensato io - disse  don  Tano. - Non occorre che v'incomodiate. - Per non far torto
poco il giudice, indignato, non lo aveva messo alla porta.  Don  Tano il Sordo venuto col suo bel disegno in testa ruminato
ora sotto. Si misero a frugare anche il vecchio Liscari e  don  Tano, augurandosi ognuno di essere il fortunato rinvenitore
arbitrale stracciò quella del pretore e diè ragione a  don  Tano il Sordo. - Siete contento? - gli disse il pretore -
per non fargli ruzzolare le scale! Persuadetevene, caro  don  Tano, la giustizia non si vende. Il magistrato alza la
il piatto trabocca ... trabocca! - Precisamente! - rispose  don  Tano, con un equivoco sorriso su le labbra. - Precisamente!
aveva fatto? La sera di quel giorno, arrivato a casa,  don  Tano era stato illuminato di un lampo di genio. Aveva preso
perché l'anello era un carissimo ricordo. Mille grazie,  don  Tano -. E quel brav'uomo del pretore che voleva dargli a
la bilancia e dove il piatto trabocca trabocca! - Secondo  don  Tano, tra i magistrati ce n'è sempre qualcuno che ha
matrimonio - magnifico era l'aggettivo prediletto di  don  Vito Li Pani se suo padre non avesse sciupato anche metà
che avevano fretta più di lui! Sissignore, suo fratello  don  Pietro Li Pani si era ridotto a questo: di contare su un
già passata la pazzia per le donne. Si era ingannata.  Don  Pietro aveva avuto la disgrazia di una serie di vincite che
Dall'aria con cui tornava a casa, le due donne capivano se  don  Pietro aveva vinto o no. Aveva vinto sera per sera, in quel
di farlo vincere e stravincere. Per mesi e mesi di sèguito,  don  Pietro tornò a casa muto, col viso smorto. Cavava fuori il
lire, e non ne riparlarono più, dopo che  don  Pietro era andato su tutte le furie l'ultima volta che
della zecchinetta! Ne seppero qualcosa la mattina che  don  Vito Li Pani venne a sgridarle: - Ma come? Ve ne state
ve lo vengo a dire? Per mettervi su l'avviso. Troppo tardi!  Don  Pietro, ora, non maneggiava più il libro di quaranta fogli,
suo compare Giammona riuscivano a raccapezzarsi. E per ciò  don  Pietro attendeva un sogno, un bel sogno rivelatore che gli
lusinghi col lotto? Un'altra rovina! Come non te n'avvedi?  Don  Pietro saltava giù, e si vestiva brontolando. Gli pareva
dove? Non so più dove. - Non importa. Che facevi?  Don  Pietro aveva ragione; era una fatalità: in casa sua nessuno
dai giornali, le piccole disgrazie che accadevano in paese.  Don  Pietro e il compare perdevano intere giornate per cavarne i
dire: sgorbiati - dal compare su un pezzo di carta. E  don  Pietro, soddisfatto, esclamava: - Questa volta sono
numeri infami! Non era stato anche un vero dispetto....?  Don  Pietro e il compare non potevano rammentarsene senza
rammentarsene senza sentirsi soffocare dalla rabbia!  Don  Vito, venuto a fare una visita alla nipote che stava a
in fila, come quegli li aveva annunziati per chiasso.  Don  Pietro e il compare non se ne davano pace. Don Vito si
per chiasso. Don Pietro e il compare non se ne davano pace.  Don  Vito si presentava, tutti i giorni, in casa del fratello,
come te.... Ma la dote non guasta. La troveremo. Lo zio  don  Vito non potrà portarsi nell'altro mondo il poco che ha e
al contrario del suo signor fratello.... E per ciò lo zio  don  Vito vuoi sapere... È qui per ricevere la confessione.
rannicchiata sotto le coperte, piangeva silenziosamente.  Don  Vito si rizzò tutt'a un tratto dalla seggiola, sbuffando. -
giorno!... - Che posso farci io, con le febbri? - balbettò  don  Pietro assalito alla sprovveduta. - Le febbri, certe
di nascita; e la tua scioperataggine... - Oramai, caro  don  Vito - disse il Giammona - ormai è inutile parlarne! - E
farle una bella cassa da morto! Dio disperda le mie parole!  Don  Pietro era diventato, improvvisamente, tutto premura per la
No!... Basta! Non si capisce nulla. Mai un nome, mai!  Don  Pietro passava lunghe ore nella cameretta della figlia,
ma con un po' di buona volontà e di studio.... Per ciò  don  Pietro stava come in agguato, seduto a pie del lottino dove
timidamente, sottovoce.... il sospetto suo e del cognato  don  Vito, il dottore cessò di grattarsi il mento e con la sua
la risposta di Matilde. E da quel giorno diè un tracollo.  Don  Pietra, sopraffatto dalla pietà per la figlia, in certi
fra tre giorni sarò morta!... Non dir niente alla mamma!  Don  Pietro si sentì stringere il cuore, gli salirono le lacrime
dichiarò: - Non verrò più. E incontrato per la scala  don  Vite, lo fermò: - È questione di qualche giorno, forse di
forse di ore! - E porta via il suo segreto! - esclamò  don  Vito. Don Pietro in due giorni pareva invecchiato di dieci
di ore! - E porta via il suo segreto! - esclamò don Vito.  Don  Pietro in due giorni pareva invecchiato di dieci anni. Si
uccisa tu! L'hai uccisa tu, scellerato! Ragionava meglio  don  Vito, dicendo che la nipote portava via nell'altro mondo il
canticchiando, aiutando la madre nelle faccende domestiche.  Don  Pietro non poteva sostenere quello sguardo con cui ella
Scellerato! Fu verso l'alba del funestissimo giorno.  Don  Pietro che aveva mandata quella larva di sua moglie a
la collocò con le sue mani nella cassa mortuaria, che  don  Vito aveva fatta fare a sue spese, foderata di raso bianco
non erano stati buoni a fargli vincere neppure un terno!  Don  Vito, maravigliato e contento, vedendo salire per aria,
fatto bene! Dovevi pensarci prima... Meglio tardi che mai!  Don  Pietro avrebbe voluto rispondergli: - Non ne ho più
- egli declinava rapidamente, quantunque il fratello  don  Vito fosse venuto a coabitare da lui, col caritatevole
di fargli l'amministratore del poco che gli era rimasto.  Don  Vito, qualche volta, si lasciava scappare un lieve ironico
scappare un lieve ironico accenno al passato; e allora  don  Pietro scoteva amaramente il capo e rispondeva: - Se fosse
lacrime ed esclamò: - Perché lusingarmi? Perché promettere?  Don  Vito, nell'udire il racconto, pensava con spavento: - Mio
terzo venerdì di quaresima, il Berretta fu avvertito che  don  Felice Vittuone aveva urgentissimo bisogno di parlargli:
in sagrestia come in casa sua e domandò al Bossi se c'era  don  Felice. "Eccolo qui" disse il sagrestano. Lo scricchiolio
aveva nulla a che fare colla nettezza e colla bonomia di  don  Felice. Era invece un vecchio olivastro, una faccia da
da contadino, rugosa come una castagna secca: era insomma  don  Giosuè Pianelli. "Ci siamo!" disse in cor suo il portinaio,
chiamare, caro Pietro, per qualche schiarimento. Sedete,  don  Giosuè." "Son comodo" disse il canonico, raggruppandosi più
conto sulla tua sincerità, va bene, Berretta? Conosci  don  Giosuè?" "Eh, se mi conosce, altro che!" prese a dire il
di sotto le tende. "Dunque, saprai, il mio Pietro, che  don  Giosuè Pianelli è stato il confessore della povera sora
cresce ogni dì." "Di miseria non c'è mai miseria" aggiunge  don  Giosuè, seguitando con un tono irritato: "Cresce la
il signor Antonio Maccagno..." "Tognino, Tognino" corresse  don  Giosuè, mettendo nella storpiatura del nome un suo gusto
il portinaio, rispondendo prima d'essere interrogato.  Don  Giosuè chiuse un occhio e guardò fisso coll'altro il
avrebbe voluto dire: "Capite?" "Aspetta, lascia finire a  don  Felice. Parlerai dopo, il mio galantuomo." E don Giosuè
finire a don Felice. Parlerai dopo, il mio galantuomo." E  don  Giosuè fece sentire un'ironia che sonò male all'orecchio
bel galantuomo" saltò su il canonico. "Abbiate pazienza,  don  Giosuè. Intellige quae dico Il Berretta può benissimo aver
la punta d'una mano. "Eh, eh, guarda il balordo" sogghignò  don  Giosuè andando colle mani fin sotto il naso del suo
"Noi non dobbiamo far violenze alla coscienza, caro  don  Giosuè. Bisogna pure che il nostro Berretta si ricordi e
cercava una carta... Ah! tu vorresti scappare, adesso."  Don  Giosuè afferrò il portinaio per un braccio e cominciò a
in quel contrasto, era la presenza bonaria e paterna di  don  Felice, la voce buona, carezzevole di questo buon vecchio
la vita?" "Ah, t'hanno dunque minacciato," entrò a dire  don  Giosuè "bene, bene, bene!..." E fregandosi le mani, fe' una
serve a nulla, perché ne sappiamo più di te?" A ogni frase  don  Giosuè dava una ruvida scossa al suo uomo. "Che cosa hai
strinse la testa nelle mani e ruppe in tali singhiozzi, che  don  Felice ne sentì una profonda compassione. Voltatosi verso
Felice ne sentì una profonda compassione. Voltatosi verso  don  Giosuè, non volle più che seguitasse a tormentarlo. "Sta
confessione; io intanto corro ad avvertirne l'avvocato."  Don  Giosuè uscì e ritornò sui suoi passi a prendere il
casa di  don  Stellario Blanco era un arsenale. Egli e sua sorella donna
e che mandavano un tanfo di cose vecchie in fermentazione.  Don  Stellario e donna Salvatrice ne avevano pieno il naso e non
Non potrete mica portarveli via nell'altro mondo! -  Don  Stellario rideva alle barzellette del compare, chiamato
- Pei ladri ci sono quegli arnesi lí - soggiungeva  don  Stellario. Infatti agli angoli d'ogni stanza si vedevano
che conosceva bene il compare. Ogni sera, dopo l'avemmaria,  don  Stellario si barricava in casa, come se da un momento
- Lascia andare; non far rumore - gli raccomandava  don  Stellario. Poi scendevano in cantina fra tre lunghe file di
di legno dei coppi, inseguito dal lume della candela che  don  Stellario levava in alto, per vedere. Erano cosí abituati
e il magazzino del grano. - Niente! Niente! - diceva  don  Stellario. - Per grazia della Madonna dalla Stella! -
il giaciglio ch'ella aveva faccia di chiamar letto; e  don  Stellario, tossendo, tornava a ficcarsi anche lui sotto le
prima di chiuderle il portone alle spalle. E spesso  don  Stellario brontolava contro la sorella che, secondo lui,
furfanti di mezzadri che badavano soltanto a derubarlo,  don  Stellario non mancava mai di ascoltare la santa messa,
della piazzett a di S. Maria dalla Stella, parrocchia di  don  Stellario; per questo gli avevano messo quel nome al fonte
d'abete con gambe tornite o no, secondo la richiesta.  Don  Stellario, aspettando il segnale della campana, si
accompagnamento di hah! hah! hah!, specie di grugnito; e  don  Stellario, strizzando gli occhi, raggrizzando le labbra, a
sul pancone un grosso pezzo di legname da squadrare,  don  Stellario gli domandava: - Che c'è di nuovo, compare? - Chi
Hah! Hah! - I grugniti erano piú forti, piú staccati; e  don  Stellario, che non poteva fare a meno di dare una scossetta
verso l'uscio, per evitare le scheggie. Pel solito,  don  Stellario incontrava là qualche contadino intento a
i quattrini a staia? - La solita canzone! - rispondeva  don  Stellario, un po' stizzito perché ora non erano piú a
... O ve la sbatacchio su la testa -. E visto accostare  don  Stellario, si rivolse a lui: - Ecco le belle azioni di
erano andati a svegliarlo per commissione di quel ladro di  don  Pietro Nigido Ciuco vestito - bene appiccato il soprannome!
nottata di lavoro! - O che non morrà piú nessuno? - rispose  don  Stellario, ridendo. - Chi volete che lo prenda? È fatto su
risonava cupamente. - Non la sfasciate intanto - soggiunse  don  Stellario. Il falegname, continuando a dar calci per
già fatta ruzzolare dentro la bottega. - Solida! - osservò  don  Stellario. - E col coperchio da baule. - L'ha voluta cosí,
vestito! - Chetatevi, compare, chetatevi. Parlerò io con  don  Pietro. Su, venite a sentire la santa messa insieme con me
sentire la santa messa! D'allora in poi, tutte le volte che  don  Stellario dava una capatina da mastro Croce, spingeva gli
dagli occhi rossi, quelle d'oro. Di tratto in tratto,  don  Stellario disseppelliva il morto per accertarsi che
notte d'inverno, che pioveva a dirotto, mutarono il posto.  Don  Stellario aveva scavato un'altra buca dietro la botte di
- Io? - Dunque perché mi tormentate, caro compare? -  Don  Stellario non gli aveva detto nulla neppure quella volta,
anche per lui -. Oramai la cassa gli faceva gola; e per ciò  don  Stellario veniva piú spesso a fare una visitina al compare,
stretto pel pancione del notaio Tirella! - Andiamo - disse  don  Stellario. - Se sarete ragionevole, lo prenderò io. - Voi?
soltanto per voi; non siamo compari per nulla - soggiunse  don  Ilario ridendo. Mastro Croce mugolava bestemmie: - C'è il
un servizio -. Mastro Croce tenne duro. Due giorni dopo,  don  Stellario tornò all'assalto. - Siete ancora ostinato?
- Anche questa volta il povero mastro Croce tenne duro; ma  don  Stellario non si diè per vinto. E la spuntò il giorno che
tabbútu era proprio regalato. All'alba del giorno appresso  don  Stellario, che si era levato di buon'ora, andò lui stesso
mal augurio. - Servirà, fra cent'anni, per me o per te -.  Don  Stellario glielo diceva tranquillamente, riflettendo, senza
portate dai mezzadri, ella disse: - Le riporremo là -.  Don  Stellario gliele porgeva a una a una, osservandole, dando
coperchio rotondeggiante, da baule. - Solida! - conchiuse  don  Stellario, applaudendosi nuovamente dell'acquisto, dopo
sentivano tutti e due un brividino alla schiena. - Ah,  don  Stellario! - borbottava la sorella. - Dite quel che volete,
proprie mani, dentro quel tabbútu rubato! - Da principio,  don  Stellario si divertiva alle cattive parole del compare; non
non fosse ripiena di fichi ma attendesse dentro qualcuno,  don  Stellario rideva agro; e una mattina, appena il compare
gli brontolava dietro: - Anche ringraziarvi? - Il resto  don  Stellario non lo udí, e fu meglio. E da quel giorno in poi
tempaccio! - A mezza strada, cominciò a piovigginare.  Don  Stellario buttatosi su le spalle il ferraiuolo, si alzò il
Poi lampi, tuoni, e le cataratte del cielo si apersero.  Don  Stellario cercava di ripararsi alla meglio, con quel
- Che conchiudi ora col brontolare? - rispose all'ultimo  don  Stellario, seccato. Si vedeva passare e ripassare davanti
ti senti? Debbo mandare pel medico? - Sei matta? - strillò  don  Stellario, sbarrando tanto d'occhi, quasi avesse sentito
da piè del letto, scuotendo tristamente il capo quando  don  Stellario non poteva vederla. - Poverino! ... Si è attirata
visita, il malato si perdette d'animo tutt'a a un tratto. -  Don  Stellario, son venuto qui per caso, per saggiare una
Coraggio! - È inutile cercar d'ingannarmi - biascicò  don  Stellario con flebilissima voce. Poi rivolto alla sorella,
spolverare per ricevere degnamente Gesú sagramentato; e a  don  Stellario, che le seguiva con lo sguardo sbalordito,
era vero; ma la pietosa bugia fu di buon augurio. Allorché  don  Stellario si sentí, come diceva, proprio ritornato
Salvatrice nella fretta di sgombrarlo dai fichi secchi.  Don  Stellario gli fece tanto di corna, e disse: - Ora ci
da me non ci siete venuto, brutto compare! - lo interruppe  don  Stellario. - Ho avuto torto. Dunque il poeta andò a
non tornarci piú in questa bottega. Ben mi sta - brontolò  don  Stellario voltando i tacchi. Quella conchiusione non se
perché i topi si rosichino lassú cassa e fichi! - rispose  don  Stellario. Donna Salvatrice però si era fissata di non
parve alla poveraccia un portento. - Ah! - La sorella di  don  Stellario si era sentita allargare il petto, non vedendo
morire, mai piú! - Addio fichi! - esclamò malinconicamente  don  Stellario quando si accorse del trasporto. In che modo
con le loro salmerie di muli, urlando, bestemmiando, mentre  don  Stellario sorvegliava il misuratore, e donna Salvatrice e
Nasca prendesse la sua metà. Cosí non potevano sbagliare.  Don  Stellario appariva di tanto in tanto, tutto impolverato, e
che non le aveva dato nemmeno il tempo di dire: Gesú!  Don  Stellario aggiravasi per le stanze dandosi pugni su la
venne a dirgli in camera, tutta atterrita: - Non c'entra! -  Don  Stellario, a primo colpo, non capí; e le spalancò in viso
Non c'entra! ... - ripeté singhiozzando la donna ...  Don  Stellario scattò: - Non c'entra? ... Bestia! ... In quella
e corta, signore mio. - Tu sei piú bestia di tutti! - urlò  don  Stellario al becchino. Tremava da capo a piedi, diventato
su per la coda e levargli d'addosso il carico di legna;  don  Peppantonio diventava rosso come un peperone, sotto la tuba
di bronzo. - La lingua me l'ha fatta lui - ringhiava  don  Peppantonio, corrugando le sopracciglia che parevano setole
un ritaglio della vigna di Jannicoco e l'asino, ci vuole -.  Don  Peppantonio gonfiava e sbuffava, mentre gli altri ridevano.
voi? - Lo facevano a posta per stuzzicarlo, ogni volta che  don  Peppantonio andava a sedersi nella farmacia o su gli
filo di paglia, con una piuma, in un orecchio o sul naso; e  don  Peppantonio si aggrinzava nel sonno, facendo certi versacci
dietr o la schiena, fingeva di guardare il cielo, mentre  don  Peppantonio gli ficcava addosso gli occhiacci sospettosi,
- Avete dormito bene? - gli domandava Vito, senza ridere.  Don  Peppantonio, raccattata la tuba, continuava a guardarlo;
Morrai in galera! - Dovreste darmi Tegònia, e la dote -.  Don  Peppantonio si batteva colla mano sul muso: - Non lo voglio
di basilico e far la scimunita col figlio del calzolaio,  don  Peppantonio si sfogava addosso alla sorella: - Sei una
mangeremmo in santa pace. - Zitta! Zitta! - la interrompeva  don  Peppantonio. - Mi vuoi far leggere il processo a Cristo? -
il processo a Cristo? - Che c'entra Gesú Cristo? - Secondo  don  Peppantonio, c'entrava: - Se Gesú Cristo facesse bene le
babbo né mamma. Andrò a fare la serva. - A fare la serva?  Don  Peppantonio non poteva sentirglielo dire. - Figliaccia di
e per tirarti su ci siamo tolti il pane di bocca! -  Don  Peppantonio intanto la guardava sottecchi, intenerito. Se
canto. - Ecco ora le lagrimette! - brontolava donna Rosa.  Don  Peppantonio voleva tagliar corto: - Dobbiamo dirlo, sí o
che quella notte si sarebbero parlati di dietro la porta.  Don  Peppantonio, ravviluppato fino agli occhi nel suo gran
sul marmo del pancone. - Dove? Su le tue corna? - brontolò  don  Peppantonio. Infatti le quattro seggiole della farmacia
che soffiava cosí forte da levar la pelle. L'arrivo di  don  Peppantonio aveva suscitato un sussurro di buon umore, e la
la sua risposta al notaio fece scoppiare una sonora risata.  Don  Peppantonio levò la testa e guardò attorno insospettito. -
per la salute dell'anima vostra. Siamo vecchi, caro  don  Peppantonio, e dobbiamo pensare che si muore. - Crepate, se
setolose, tornando a pestare coi piedi. - La novena  don  Peppantonio la celebra in campagna, a Jannicoco - disse
tra le dita. - E il bambino Gesú lo chiama dall'alto: "Ooo,  don  Peppantooonio!" - Eri tu, dunque! Eri tu! - urlò don
"Ooo, don Peppantooonio!" - Eri tu, dunque! Eri tu! - urlò  don  Peppantonio, levandosi da sedere inviperito. - Se non ti
rompe nessuno! - Lo chetarono, lo rimisero a sedere. Vito e  don  Peppantonio erano come il diavolo e san Bernardo; non
Vito s'era messo a gridare, ingrossando la voce: - Ooo  don  Peppantooonio! - Don Peppantonio, rizzatosi, aveva
a gridare, ingrossando la voce: - Ooo don Peppantooonio! -  Don  Peppantonio, rizzatosi, aveva risposto: - Oh, ooh! ... Chi
aveva risposto: - Oh, ooh! ... Chi mi chiaama? - Ooo  don  Peppantooonio! ... - E don Peppantonio, irritato,
ooh! ... Chi mi chiaama? - Ooo don Peppantooonio! ... - E  don  Peppantonio, irritato, spolmonandosi, con le mani attorno
i gesti furibondi e la litania di parolacce brontolata da  don  Peppantonio all'indirizzo del suo burlatore invisibile.
all'indirizzo del suo burlatore invisibile. Perciò  don  Peppantonio era scattato come una molla nella farmacia,
- gli diceva il canonico, ridendo fino ad averne la tosse.  Don  Peppantonio taceva; intanto pestava piú forte coi piedi, e
boccia di cristallo. - Mi dai le grattature? - brontolò  don  Peppantonio. - È il meglio. Ecco qui. Vedete, se vi voglio
- Il bue e l'asinello paiono vivi. - Sull'altare? - domandò  don  Peppantonio. - Certamente - rispose il canonico. - Gesú li
alle parole, rivolte rabbiosamente le spalle al canonico,  don  Peppantonio s'era tirato su le falde posteriori del
campana della chiesa della Mercede che sonava l'avemmaria.  Don  Peppantonio si levò da sedere, si tolse di capo la tuba e,
- gli domandava Vito. - Perché cosí mi piace, - rispondeva  don  Peppantonio. - Bada a pestare! - Aspettate forse che venga
naso. - Dagli tua sorella. - Se l'avessi! ... - Dategliela,  don  Peppantonio, dategliela avanti che nasca uno scandalo -
- aggiungeva il canonico Stuto con voce melata. Allora  don  Peppantonio scoppiò: - Lo scandalo lo date voi, che prima
lo date voi, che prima fate una visita alla moglie di  don  Paolo il sagrestano, e poi andate a dimessa e a bere il
compagnia, appena il contrabasso cominciò a fare zun zun,  don  Peppantonio aperse a un tratto la finestra, e versò
che pareva con la frangia, Vito gli disse: - Mi rallegro,  don  Peppantonio! Levatevi però di lí; il sole vi fa male -. E
siete sempre ostinato -. A queste parole del canonico,  don  Peppantonio si alzò la tuba su la fronte e aperse il
scherzo di mandare a dire a donna Rosa e a Tegònia che  don  Peppantonio era stato colpito da un accidente; e le due
- Fratello mio! Babbo mio! - Commedia da morir dalle risa.  Don  Peppantonio, svegliato a un tratto da quegli urli,
quegli scellerati che le ammazzavano il fratello! Il povero  don  Peppantonio non se l'aspettava; e dal lettuccio guardava
Compare, perdonate a tutti! ... Stringetemi la mano! -  Don  Peppantonio non poteva piú stringergliela, rigido, inerte.
 Don  Gennaro Parascandolo, lo strozzino, veniva da qualche
fisica, si sentiva piena di gratitudine per questo buon  don  Gennaro, che l'aveva liberata dal pericolo di una caduta
in un abisso, se non avesse incontrato, nell'ora tremenda,  don  Gennaro che le aveva parlato con bontà, le aveva dato da
il modesto corredo, attendendo la visita quotidiana di  don  Gennaro, a cui ella sorrideva dalle labbra e dagli occhi,
agli occhi: e malgrado che ella fosse la sua amante,  don  Gennaro la trattava con sì profondo rispetto, che ella
avesse potuto fare, per mostrargli tutto il suo affetto.  Don  Gennaro, il durissimo strozzino che aveva visto tanti
Felicetta umilmente, - sono angioli. A poco a poco,  don  Gennaro si era addentrato moltissimo in questo amore, più
- Faccio venir le carte dal mio paese, - aveva risposto  don  Gennaro, sospirando, rimpiangendo, nel fondo dell'anima, di
la collera. - Come voi, del resto, - rispose ambiguamente  don  Gennaro. - Io non ho affari, - replicò Formosa, sempre più
bene, la signora Parascandolo? - Benissimo, - disse subito  don  Gennaro, supponendo una insidia in questa domanda. - E la
udire se il marchese s'informasse dal portiere, dove saliva  don  Gennaro Parascandolo. Ma il marchese era sparito via. E
- Vi sono gli spiriti! - mormorò ridendo di mala voglia,  don  Gennaro Parascandolo. - Vi piacerebbe di andare in un'altra
Emanuele, nevvero? - Sarebbe troppo bello, per me! Pure,  don  Gennaro restò pensoso: e quando andò via, dal pianerottolo
violentemente e la finestra fu sbarrata come l'altra.  Don  Gennaro si voltò per scendere subito, giù, per andare al
di un estraneo; ma estraneo o no, la naturale prudenza di  don  Gennaro prendeva il sopravvento. Forse era meglio andare a
voi dal questore? - e lo guardò nel bianco degli occhi. -  Don  Gennaro, non esageriamo. Forse si tratta di uno scherzo fra
di Formosa. - Se non aprite, la rovina è peggiore. Qui  don  Gennaro Parascandolo sa tutto: e vuole andare dal questore.
- Ma che fate, dottor Trifari, non vi vergognate? - gridò  don  Gennaro, scandalizzato. - Mi fa sempre così, in tutte le
Signore ha fatto nascere per i miei peccati, è un'agonia,  don  Gennaro, io sono in agonia... - Come avete potuto far
far questo a un uomo, a un cristiano? - disse severamente  don  Gennaro, guardando gli altri due. - Vedete chi predica! -
porta lasciata aperta, Colaneri, il vipereo professore, e  don  Crescenzo, il postiere Nel vedere un estraneo, nel
il postiere Nel vedere un estraneo, nel riconoscere  don  Gennaro, intesero tutto: si guardavano, turbati,
intesero tutto: si guardavano, turbati, specialmente  don  Crescenzo che era un ufficiale del Governo, come egli
simile a fiamma di cerei intorno a una bara. In realtà,  don  Pasqualino pareva un morto. - E vi siete messi in tanti,
andare venti volte. L'altro si strinse nelle spalle e: -  Don  Pasqualino, avete la forza di levarvi? - chiese all'
sgomento. - Non ho la forza di muovermi, cavaliere, - disse  don  Pasqualino, lamentandosi. - Se mi volevano uccidere, non
mala azione che avevano consumata e che consumavano contro  don  Pasqualino: invece di sentir rimorso, provavano una collera
doccia fredda, sulla loro aberrazione, fu la presenza di  don  Gennaro Parascandolo: fu allora solamente che videro la
esser processati per tale delitto e che erano alla mercè di  don  Pasqualino de Feo e di don Gennaro Parascandolo. Muti,
e che erano alla mercè di don Pasqualino de Feo e di  don  Gennaro Parascandolo. Muti, freddi, attoniti, con gli occhi
occhiate supplichevoli ai due arbitri del loro destino.  Don  Gennaro, flemmaticamente, fumava la sua sigaretta. - Anzi
che era diventato mezzo pazzo, a furia di sorvegliare  don  Pasqualino. - Aspetto prima che mi paghiate quelle molte
Ognuno di loro doveva dei denari allo strozzino: finanche  don  Crescenzo. I soli due esenti erano Gaetano il tagliatore di
resistervi. - Ora faccio venire una carrozza, - disse  don  Gennaro. - Come, lo porti via? - osò chiedere
- Che esagerazione, - mormorò l'altro, vagamente. -  Don  Pasqualino è abituato a star chiuso. . . e tu ci rovini,
al cuore che essi provavano. - Se non vi fate coraggio,  don  Pasqualino, restiamo qua fino a stasera, - osservò don
don Pasqualino, restiamo qua fino a stasera, - osservò  don  Gennaro, che aveva premura di andar via. Certo, la sua
potevano bene consumarne un altro, più utile, più proficuo.  Don  Gennaro, è vero, li dominava con la sua freddezza e con la
- Non vi ho mai pensato: vi penserò. Il settimo fu  don  Crescenzo, il tenitore del Banco lotto al vicolo del
il tenitore del Banco lotto al vicolo del Nunzio, con cui  don  Pasqualino aveva antica relazione di amicizia. Si parlarono
- disse l' assistito, ardeggiando uno sguardo suggestivo a  don  Crescenzo. - Che dici? - chiese costui, sgomento. - Dico:
costui un po' timido, sentendosi in maggior colpa verso  don  Pasqualino. - Lo spirito mi ha parlato ancora, marchese. -
spirito, - rispose fieramente il folle vecchio. - Ebbene,  don  Pasqualino, vogliamo restare qui sino a stasera? - disse lo
voce fioca, sdraiato nella carrozza come un infermo grave.  Don  Gennaro aggrottò lievemente le sopracciglia, e per non
i numeri? - Per questo, - disse l'altro, enigmaticamente. -  Don  Pasqualì, voi i numeri non li sapete! - disse don Gennaro,
- Don Pasqualì, voi i numeri non li sapete! - disse  don  Gennaro, ridendo. - E a voi, che ve ne importa? - Proprio
morte? Che avevo fatto di male, io, povero innocente? -  Don  Pasqualì, voi vi siete mangiato varie migliaia di lire, di
- Proprio tutte elemosine, proprio? - ghignò satanicamente  don  Gennaro. - Qualche piccola cosa, per me… - sospirò don
don Gennaro. - Qualche piccola cosa, per me… - sospirò  don  Pasqualino, con un lampo di acquiescente malizia negli
- Allora è inutile salire alla questura... - Andiamoci,  don  Gennaro, andiamoci lo stesso, che sarete contento di me.
l' assistito. lla fine giunsero al primo piano, dove  don  Gennaro, salutato rispettosamente dagli uscieri, chiese se
che servono! Non dico di noi, poveri mpiegati… mpiegati…-  Don  Pasqualì, se avete la forza, date i numeri all'ispettore. -
sue fatture sono vere, - disse pensosamente, sinceramente,  don  Pasqualino. - E lei ci crede alla vostra assistenza? Sì, ci
i consigli che ho dato, a tutti loro? - No, - rispose  don  Gennaro, sorpreso dal tono perverso di quel discorso. - Ho
- disse l' assistito, ugubremente. ugubremente.Salutò  don  Gennaro e, quasi rinvigorito, si avviò prestamente verso
vita di  don  Rosario Impallomeni era regolata meglio di un cronometro.
Perché poi lo chiamassero cosí non lo sapevano neppur loro.  Don  Rosario Impallomeni non dava noia a nessuno, se pure non si
via cacciandosi davanti gli asini con le ceste vuote,  don  Rosario cominciava il suo giro per le botteghe,
interrogando: - Quanti carichi, compare Maso? - Dieci,  don  Rosario, per servirla. - Quanti carichi, zi' Caterino? -
per servirla. - Quanti carichi, zi' Caterino? - Dodici,  don  Rosario, ai suoi comandi. - Quanti carichi, comare Peppa? -
Nessuno. Solamente, da che aveva avuto l'uso della ragione,  don  Rosario si era imposto il dovere di notare ogni giorno nei
lo deridevano per questa mania. Dopo scritti gli appunti,  don  Rosario entrava nel caffè di Pizzo-'nterra per
il fatto per filo e per segno. - Mettiamolo a libro,  don  Rosario! - gli diceva Pizzo-'nterra, ridendo. Egli «metteva
permetteva che entrasse nessuno. Verso le dieci e mezzo,  don  Rosario andava ad assistere, dal coro, assieme coi
Alle faccende di casa e di campagna pensava il fratello.  Don  Rosario gli lasciava mani libere, e quegli lo calcolava
E gli imbecilli lo burlavano: - Che cosa dicono i registri,  don  Rosario? - Che cosa dicono? Non ridereste se sapeste quel
gli aveva fatto la burla di dirgli: - Sapete? È morto  don  Pietro Lagreca, d'accidente, in campagna! - E don Rosario
È morto don Pietro Lagreca, d'accidente, in campagna! - E  don  Rosario era corso a casa per registrare il fatto, con tutti
morto? - gli scappò detto dallo stupore. - Crepate voi,  don  pezzo d'asino! - gli rispose il Lagreca, facendogli le
con tutte e due le mani. Fu una gran mortificazione per  don  Rosario. E da quel giorno in poi, non scrisse nei famosi
e neppure talvolta la grammatica. Ma di queste picciolezze  don  Rosario non si curava. Gli bastava che ogni tre mesi
notizia dovranno pagarla ai miei eredi. - Grazie tante,  don  Rosario! - Egli si ringalluzzava, sorrideva sornionamente,
cartacce! - Da qualche anno, l'idea della morte contristava  don  Rosario. Non era poi tanto vecchio, a sessanta anni; e la
da parecchi anni le campagne promettevano bene e poi ...  Don  Rosario si sdegnava di quella poca fede. La vista della
si fu allontanato dopo di avergli gridato - Accorrete! -  don  Rosario si sentí tremare le gambe sotto e battere
che lo aveva afferrato per le spalle. Il giorno dopo,  don  Rosario sembrava invecchiato di dieci anni. Piangeva come
che tornava a ripetergli: - Bestia! Ringrazia Iddio! -  Don  Rosario giurò a se stesso di voler essere piú forte del
fatica, dallo scarso sonno e dal poco cibo che prendeva.  Don  Rosario tentennava il capo, compatendolo, ostinato piú che
assassino "volatilizzato". Un giorno disse ridendo anche a  don  Ciccio: - Caro don Ciccio, io lodo il vostro zelo, ma
Un giorno disse ridendo anche a don Ciccio: - Caro  don  Ciccio, io lodo il vostro zelo, ma auguro che le vostre
fu trovato dal vecchio Salvatore, portato in casa, preso da  don  Antonio, mandato al cappellaio... Voi vedete che pochi
Quale interesse aveva il cacciatore a presentarsi a nome di  don  Antonio?... - E dalli col cacciatore... Questa è l'araba
E quest'oggi lascerò in libertà l'imputato e i testimoni. A  don  Ciccio non parea vero che tutto il gran processo così
se vivesse, non sarebbe che un cretino ragionante.  Don  Ciccio questa volta era piú ispido del suo cilindro bianco,
il volo. - Voi dovreste sapere qualche cosa del prete,  don  Ciccio - disse Granella, volgendosi ad un vecchietto, che
in bottega la volta sua. Era costui quel medesimo  don  Ciccio Scuotto, il padrone della casa, al quale il prete
un altro galantuomo, che Granella aveva salutato per  don  Nunziante. "U barone" che stava colle orecchie tese,
della fortuna e prestava con ragionevole interesse.  Don  Ciccio e don Nunziante erano antichi amici e rivali, ma nel
fortuna e prestava con ragionevole interesse. Don Ciccio e  don  Nunziante erano antichi amici e rivali, ma nel comune
il notaio e il prete, diceva: - Ecco "don consiglio,  don  appiglio, don artiglio". Un buon cliente passava nelle loro
e il prete, diceva: - Ecco "don consiglio, don appiglio,  don  artiglio". Un buon cliente passava nelle loro mani come
abiti grandi con larghe tasche sempre piene di carte.  Don  Nunziante però era grosso, largo di spalle, con una gran
che sia andato a Roma a portare l'obolo al Papa - esclamò  don  Nunziante. - Prete Cirillo ha studiato la negromanzia per
rubare il denaro al Governo, e darlo al papa. Non è vero,  don  Ciccio? - Voi parlate come un giornale liberale - rispose
e non mi ha scritto - disse con aria altezzosa l'arruffato  don  Ciccio, - ciò che mi irrita è di vedere il disprezzo
dell'altra. - La gente, la gente, la gente... la gente!  Don  Ciccio fece una mezza volta per la bottega, accompagnando
in un sussiego aristocratico, e si mosse gravemente.  Don  Nunziante, che lo riconobbe, s'inchinò rispettosamente e
antichità, formato in gran parte dal filologo abate  don  Carlo Trivulzi, morto nel 1789, dal fratello di lui
povero  don  Silvio attendeva da più di mezz'ora nell'anticamera, e
l'ho sentito dire.» «Che tosse! ... Riguardatevi,  don  Silvio!» «Sia fatta ... la volontà ... di Dio!» Con la
i poveretti che muoiono di fame? Per questo sono qui.» «Ah,  don  Silvio! Non si finisce mai! Il marchese ha vuotato il
all'anticamera, si fermò, turbato, alla inattesa vista di  don  Silvio. «E andate attorno con questa tosse?», gli disse
questa tosse?», gli disse l'ingegnere dopo averlo salutato.  Don  Silvio si levò a stento da sedere, inchinandosi al marchese
prima che quegli parlasse. «Mi manda Gesù Cristo!», disse  don  Silvio. «Quale Gesù Cristo? Perché? ... Andate a raccontare
«Mi perdoni ... voscenza ! ... Me ne vado ... » E  don  Silvio non poté proseguire, sopraffatto dalla tosse.
fissandolo negli occhi. «Che cosa?», domandò timidamente  don  Silvio. «Che cosa? Gli dava noia in casa quel Crocifisso al
carte false ... Ma non vedete che non vi reggete in piedi?»  Don  Silvio assalito da un nuovo e più forte accesso di tosse,
marchese. «Lo sapevo che non sarei venuto invano!», rispose  don  Silvio ringraziandolo. Aveva le lagrime agli occhi. Il
rispose duramente il marchese. E due giorni dopo,  don  Silvio era davvero in via di andarsene in Paradiso, dove il
notizie. Lo atterriva l'idea che la febbre facesse delirare  don  Silvio, e che nel delirio gli sfuggisse una parola, un
che si diceva), quando udì raccontare dal notaio Mazza che  don  Silvio aveva detto a sua sorella: «Abbi pazienza, fino a
- e tutti lo credevano - si sarebbe avverata. Vedendo che  don  Pietro Salvo cava a ogni cinque minuti l'orologio di tasca,
sul punto di bisticciarsi; ma dalla cantonata spuntava  don  Marmotta come il cameriere era soprannominato. Veniva col
rimase là, dubbioso. Non credeva ai suoi orecchi, quasi  don  Silvio avesse potuto fargli il cattivo scherzo di fingere
E quel qualcuno, a poco a poco, prendeva le sembianze di  don  Silvio. Avrebbe voluto esser sordo per non udire le campane
Pergola gli disse all'orecchio: «Dev'essere rimasto male  don  Silvio, non trovando di là il Paradiso!».
vederli arrivati così mattinieri al lavoro. In quel punto,  don  Liddu gli recava, su un piccolo vassoio, la tazza col
con la mano in direzione della collina. - Andate a vedere.  Don  Liddu si avviò premurosamente, molto meravigliato anche
Scesa a precipizio la scaletta, stava per uscir fuori;  don  Liddu lo afferrò pel petto, balbettando: - Ah, padrone! ...
... - Ah! Se non ci fossero le donne! ... Ho tre Remington!  Don  Liddu, che era andato ad affacciarsi dall'alto della
un'altra fiumana di gente ... Le campane suonano a stormo!  Don  Liddu s'interruppe. Grida confuse, fischi, poi due colpi
d'arma da fuoco! ... I carabinieri si slanciarono fuori; e  don  Liddu, afferrato il padrone, cercava a ogni costo di
gridare: - Aprite! Aprite! - Sono i carabinieri! - esclamò  don  Liddu che aveva riconosciuto la voce. Erano essi infatti,
premura con cui mi aveva augurato la buona notte.  Don  Luigi era arrivato da Novara. Era tanto soprappensiero
esempio! .... - Ma, esclamai io, chi può averlo informato?  Don  Luigi si strinse nelle spalle: diamine, era facile
di Mansueta, quello dello speziale, le confidenze di  don  Luigi mi giravano per il capo come le aste di un arcolaio;
della dappocaggine del De Boni, della credula bontà di  Don  Luigi. Questo era il peggio; compromettere un onest'uomo,
d'oro delle grandi solennità. Mansueta gli corse dietro,  don  Luigi si avanzò rapidamente ad incontrarlo, ma entrambi
Incredibili parole che, per l'affanno, non potè ripetere.  Don  Luigi era già uscito per corrispondere alla richiesta del
o mi date quelle carte o preparatevi a ciò che vi ho detto.  Don  Luigi, pallidissimo, rispose: - Sarà quel che Dio vorrà.
ed ogni volta tornava tentennando dolorosamente il capo.  Don  Luigi passò tutte quelle ore ginocchioni pregando. I dì
ma capiva che doveva essere formidabile dal contegno di  Don  Luigi, che da quel colloquio in poi non aveva più
cominciavo a trovarmi a disagio. Ero rimasto per riguardo a  Don  Luigi, e avrei voluto davvero essergli utile in quel
 Don  Antonio accese per la seconda volta la lampada davanti al
essere che d'un prete? - D'un soldato, no... - soggiunse  don  Antonio, facendo seguire l'osservazione d'una risatina
bene certamente per la pace dell'anima. Il giorno appresso  don  Antonio versò tre goccie di vino nel calamaio, dove da un
per rifare l'orecchio al bel periodo, in men d'un'ora  don  Antonio poté mettere insieme questa lettera: "M. R.
con un sincero elogio della semplicità e della virtú di  don  Antonio, l'apostolico ministero del quale non era ignoto
quale non era ignoto del tutto agli occhi di sua eminenza.  Don  Antonio fu contentissimo di queste parole
che disse: - Io vedo in queste parole un gran segnale,  don  Antonio mio: e spero che questo cappello sarà per voi il
senza cappello con questo bel sole. Ecco in qual modo  don  Antonio, acchetata anche lui la sua coscienza, si abituò a
col mondano. "Sacra mixta profanis!". - Quanto vi costa,  don  Antonio, questo cappellino da zerbinotto? - Eh! eh! si
i monsignori del duomo, quando vanno per strada Toledo. -  Don  Antonio ha ereditato da qualche contessa sua penitente. -
- Crescono le ulive d'oro sulle piante di Santafusca?  Don  Antonio, rubicondo di confusione, si sforzava di ridere,
lo tirò in disparte e gli disse: - Quanto l'avete pagato?  Don  Antonio si schermí un poco e, non volendo entrare in troppi
avvolte nelle nubi hanno un aspetto triste e malato.  Don  Antonio è moribondo. Da ieri le donne, i vecchi, i
uccise. - Voi sapete - diceva - lo scrupolo e la santità di  don  Antonio. L'antico testamento non ha un patriarca piú
ripetevano le donne, e tornavano a pregare per la sua pace.  Don  Antonio, assopito nel suo letto di morte, di tanto in tanto
il cavaliere Martellini, accompagnato dal cancelliere, da  don  Ciccio e da alcune guardie, arrivò a Santafusca in cerca di
a creare l'ambiente. Oggi si parla tanto dell'ambiente!  Don  Ciccio che camminava vicino rispose: - Oggi si fanno in
generale troppe parole; però io l'avevo detto. - Che cosa,  don  Ciccio? che doveva piovere? - Avevo detto che l'avrei
piovere? - Avevo detto che l'avrei trovato il mio morto.  Don  Ciccio pronunziò queste parole con un mezzo sorriso di
sopra un piccolo selciato. Per non bagnarsi troppo  don  Ciccio e il giudice si trassero verso la stalla, e stavano
che stormí nello strame, e fuggí attraverso le gambe di  don  Ciccio, che mandò un ringhio. Il cavaliere si sforzò di
- Homo homini canis. .. - È lo stesso! - si affrettò a dire  don  Ciccio per farsi vedere superiore a certe paure, e credo
Non si sarebbe potuto distinguere se pregassero per  don  Antonio, o se già lo invocassero come un santo protettore.
per essi, a spalancar porte e finestre. Gridava dall'alto a  don  Innocenzo: "È contento, mo?" Tornava giù in furia, tutta
complimenti, esclamando, giungendo le mani, gesticolando: e  don  Innocenzo, cui lucevano gli occhi dal piacere, gli dava
non perdergli il rispetto. "Mi dica Lei, signorina" chiese  don  Innocenzo a Edith "ho detto male? Lo sanno anche Loro, non
casa rendeva immagine, in qualche modo, dell'aspetto di  don  Innocenzo, ilare, semplice, pieno di pensiero. Questi era
odore pio! Faceva pensare alla preghiera d'un bambino. Ma  don  Innocenzo beveva voluttuosamente le profane lodi di
"E io mi godo di tenerlo in gabbia" soggiunse ferocemente  don  Innocenzo, raccontato l'aneddoto. Aveva pure a mostrare de'
a una chiazza nerastra, a una piaga sc hifosa del verde.  Don  Innocenzo era ancora entusiasta della cartiera, forse anche
a un libro aperto sullo scrittoio davanti al seggiolone di  Don  Innocenzo. Questo saltò lesto come un ragazzo a ghermire il
"A Lei! A Lei! Vada là! Lo prenda, lo prenda!" rispose  don  Innocenzo porgendogli a due mani il libro che l'altro non
"Taccia, vada là, vada là che non capisco niente!" esclamò  don  Innocenzo ridendo sempre; e gli ritolse il libro, lo gittò
trent'anni di Schiller in tedesco. Che gentilezza di quel  don  Innocenzo e che accoglienza cordiale! A Edith pareva un po'
qui che a Milano?" Qualcuno parlava nell'orto. V'era  don  Innocenzo con una vecchia contadina che si lagnava,
capo, un'altra storia più segreta ed egualmente triste che  don  Innocenzo interrompeva con dei bene bene soddisfatti, come
non le avrà dato niente." "Cosa vi viene in testa?" rispose  don  Innocenzo. "Anche le rose, anche i libri tedeschi" disse
disse di averli insegnati a Paolo del Palazzo. I l povero  don  Innocenzo non sapeva che riscaldare il caffè e si propose,
signor conte!" "Sono stato al Palazzo due ore fa" rispose  don  Innocenzo. "Andava un po' meglio di ieri sera." "Come, un
di Dio, cosa è questo?" disse Steinegge. "Ecco" rispose  don  Innocenzo "cos'è oggi? Mercoledì. Bene, lunedì mattina,
al lunedì, il conte ebbe un attacco d'apoplessia." "Oh!"  Don  Innocenzo, corretto qualche volta da Marta, raccontò quello
brontolando. "Ci sono poi degli altri pasticci" disse  don  Innocenzo a mezza voce. Steinegge non pensava più a
che gli avevano dato. Il sole cadente rideva sul soffitto.  Don  Innocenzo cominciò a parlare de' suoi cocci preistorici,
che doveva andare al Palazzo. "Aspetti" gli disse  don  Innocenzo "aspetti il caffè. Mi pare che si potrebbe uscire
sfolgoravano. Edith volle portar lei il caffè. Steinegge e  don  Innocenzo sedettero ad aspettarlo sul muricciuolo dell'orto
in faccia al salotto. "Marta è una buona donna" disse  don  Innocenzo "ma è una gran chiacchierona. Ci sono de'
giuro che non è venuto qua con questa cosa vile nel cuore."  Don  Innocenzo gli accennò di tacere. Marta sulla porta della
Venne a posar il vassoio sul muricciuolo e domandò a  don  Innocenzo se il caffè gli piaceva dolce o amaro. Suo padre
dietro a lei Marta ch'era venuta a portare un cucchiaino.  Don  Innocenzo, intento al caffè e alla discussione, non s'era
dargli una ramanzina!" "Come sapete voi queste cose?" disse  don  Innocenzo stupefatto. "Ne so così delle cose io. È mica
non è opportuno per la mia visita. Vacci tu. Io resto con  don  Innocenzo." "Stasera abbiamo il mese di maggio" le disse
tanto forte quanto era stata subitanea. "Si consoli" disse  don  Innocenzo "si consoli. Suo padre è forse più vicino a Dio
di sua figlia. "Gli ha mai parlato di pratiche?" chiese  don  Innocenzo, sottovoce. "Direttamente, mai" rispose Edith
Sa, io ci vado assai di rado." "Non biasimo!" disse  don  Innocenzo. Parlar di religione all'aperto nelle prime ombre
il parroco, andò a prendere le chiavi della chiesa.  Don  Innocenzo tolse commiato da Edith, che rimase seduta sul
quale a destra, quale a sinistra, nelle tenebre dei banchi.  Don  Innocenzo uscì presto in cotta e stola a leggere le
pomposamente false e sdolcinate. Le pareva impossibile che  don  Innocenzo non avesse potuto trovar nulla di più degno del
la impersonazione cristiana del femminile eterno. In fatto,  don  Innocenzo aveva tentato in addietro d'introdurre altre
altro sforzo di volontà. Così lottando non udì la voce di  don  Innocenzo, né il mormorio grave, uniforme della gente
aveva già chiusi i chiavistelli della porta laterale e  don  Innocenzo scendeva verso la porta maggiore. Gli Steinegge
il suo pensiero, ma non lo spiegò. Fece solo osservare a  don  Innocenzo, che quella sera la luce di Venere era tanto
del vento dietro la chiesa. "Come va al Palazzo?" chiese  don  Innocenzo che doveva scendere a visitare una ragazzina
questa casa, questa casa!" esclamò Steinegge dopo che  don  Innocenzo se ne fu andato. "Oh!" Egli fece tre gran passi
che ella era lì al suo fianco. Nel villaggio trovarono  don  Innocenzo che usciva da una povera casupola. Udirono una
così, signor curato?" "Fatevi coraggio, Maria" rispondeva  don  Innocenzo "donatela al Signore." La donna appoggiò il capo
il capo al muro e pianse. "Andate, Maria, tornate su" disse  don  Innocenzo dolcemente. La donna piangeva sempre e non si
con Edith. "Venga su anche Lei, venga a veder com'è bella."  Don  Innocenzo sulle prime si oppose, ma Edith volle contentar
ridiscese pochi minuti dopo nella via dove suo padre e  don  Innocenzo l'aspettavano. "È da vergognarsi" diss'ella "di
si divisero. Steinegge, sentendosi stanco, andò a letto,  don  Innocenzo si ritirò nel suo studio a dir l'ufficio. Edith
e venne a bussar sommessamente all'uscio dello studio.  Don  Innocenzo non si aspettava la sua visita; le domandò
due minuti prima che le labbra di lei si aprissero.  Don  Innocenzo si pose a guardare attentamente il piano della
dolentissima e se ne trovava b en punita. "Oh Dio" disse  don  Innocenzo con voce imbarazzata "fin qua... poi... non so...
fattagli, delle parole trovate nel suo libro. Qui  don  Innocenzo si scosse, indovinando, assai tardi, a quale
sappia queste cose quantunque vi sia del biasimo per me."  Don  Innocenzo si fregava le mani lentamente, suggendo l'aria
chinando la fronte alle mani conserte sulla scrivania.  Don  Innocenzo tacque guardando i capelli giovanili, lucenti di
le caddero dal viso, due occhi umidi brillarono davanti a  don  Innocenzo. "Oh, signor curato, Lei che sa, come può
vocazione; ne sono convinta." "Veramente convinta?" disse  don  Innocenzo, grave. "Sa veramente quanto è grande oggi,
"No" diss'ella "ma però sarebbe un gran dolore."  Don  Innocenzo tacque; cercava parole che non venivano. Gli
succeda: ho questo presentimento." "Teme che succeda" disse  don  Innocenzo parlando a se stesso, e, fattosi puntello d'un
in quel volume per Lei?" "No, signore." "Come?" chiese  don  Innocenzo. Ella presentiva forse la proposta del curato,
si alzò; vide, senz'altre parole, il concetto di  don  Innocenzo. "Subito" disse questi, accostando il calamaio
il mio proposito, non mi porterebbe a cimenti dolorosi?"  Don  Innocenzo rimase mortificato. Sentiva di conoscere il mondo
mi dica solo se son parole che possano infondere..." "0h  don  Innocenzo" esclamò Edith, supplichevole "ho scritto, ho
mattina, quando il marchese meno se lo aspettava,  don  Aquilante era ricomparso non per parlargli, come al solito,
stupore, replicò: «Si è ... ?». «Smaterializzato!», sibilò  don  Aquilante. Quantunque le idee e le credenze del marchese di
dicono gli Spiriti? Si divertono ancora a tormentarvi?» -  don  Aquilante gli aveva raccontato, tempo addietro, che Spiriti
dovreste convincermi che l'anima umana è immortale.»  Don  Aquilante rizzò il capo, maravigliato di questo inatteso
di chiudergli la bocca. «Fatti, sissignore!», riprese  don  Aquilante. «Accertati, sissignore! Solamente, poiché certi
... » Non volle neppure nominare Rocco Criscione. Come mai  don  Aquilante si era messo a riflettere, per l'appunto, intorno
momenti, fin gli uomini più intrepidi, non aspettò che  don  Aquilante gli rispondesse. «Intanto», riprese subito, «per
pure gli scrupoli, i rimorsi.» «Eccolo!», esclamò  don  Aquilante. «Non ha atteso la chiamata.» Istintivamente, il
tutt'a un tratto inaridita. «State in orecchio!» La voce di  don  Aquilante era diventata cavernosa. «Darà un segnale della
agitava la testa e le mani, la voce alterata mostravano che  don  Aquilante non era davvero nello stato ordinario. E il
trattenendo il respiro. «Avete sentito?», domandò  don  Aquilante. «No.» «Eppure ha picchiato forte sul tavolino!»
«Non credo di esser sordo!» «Vi prendo una mano», disse  don  Aquilante dopo qualche istante di paura, «per assorbire
Il marchese ebbe un brivido ghiaccio per tutta la persona.  Don  Aquilante lo guardava negli occhi con ansiosa intensità.
e toccare con mano?» Voleva prendersi la rivincita su  don  Aquilante che gli aveva messo una bella paura, non ostante
spie del sindaco e degli assessori. «Vedete quel  don  Pietro Salvo? Non si muove mai di qui. Si direbbe
fondata, con otto soci appena, pur di cominciare! «E voi,  don  Pietro? Con le vostre vigne delle Torretta, coi vostri
vigne delle Torretta, coi vostri ulivi di Rossignolo?»  Don  Pietro Salvo che entrava in quel momento e aveva capito di
di altro. E quando il notaio Mazza, tratto in disparte  don  Pietro, cercò d'indurre anche lui ad entrare assieme con
anche lui ad entrare assieme con gli altri nella Società,  don  Pietro rispose: «I Roccaverdina sono stati sempre uno più
passava via senza salutarlo con un "voscenza benedica",  don  Ilario gli dava subito la voce: - O che? Non ci
carciofi e di baccelli di fave, si piantò ritta davanti a  don  Ilario, cacciandosi indietro i cernecchi arruffati che le
dei cappuccini per gli esercizi spirituali. Che farete? -  Don  Ilario se la prendeva contro re Ferdinando II, che mandava
e non gli importa che noi viviamo in peccato mortale! -  Don  Ilario non aveva mai detto alla Salara che il fratello anzi
Ma, cielo di Dio, egli non voleva persuadersene! E cosí  don  Ilario viveva tra due fuochi. Per questo preferiva di
come ha detto il rosariante? - Quella domenica mattina,  don  Ilario infilò l'abito a coda, di trent'anni addietro, a cui
partiti ... - E se i ladri vi spogliano la casa? -  Don  Ilario non ci aveva badato; e per ciò a tavola non mangiò
I padri missionari arrivarono appunto quella notte.  Don  Ilario, saltato dal letto come si trovava, s'era affacciato
ruberie, con fornicazioni, quasi lui non esistesse lassú! -  don  Ilario scoppiò in singhiozzi, ginocchioni in un angolo
il petto, sinceramente, facendo proponimento di mutar vita.  Don  Pepè Rizzo, piú peccatore di lui ma cuore indurito, gli
col puzzo dell'inferno nella tonaca. Quello scomunicato di  don  Pepè Rizzo però non mancava mai di sederglisi allato per
me ne importa? - Verso la fine degli esercizi spirituali,  don  Ilario aveva già bell'e deciso d'andare a rinchiudersi in
per quei suoi santi servi nel deserto. Il deserto di  don  Ilario sarebbe stato lassú, presso Rapicavoli. La grotta
scapaccionarlo: - Fermo, diavolino! Arriva tuo padre! - Ma  don  Ilario non si era fatto vivo, neppure tre giorni dopo che
e temendo di veder spuntare invece il fratello di  don  Ilario, per cacciarla via lei e il suo mulo - colui non lo
via lei e il suo mulo - colui non lo chiamava altrimento -  don  Ilario, con un vecchio giubbone d'albagio, legato ai
Al quinto giorno, pagnottelle e cacio eran terminati; e  don  Ilario, pieno di fede, dopo il tramonto, s'era disteso per
non mantenute neppure dopo averne avuto un figliuolo.  Don  Ilario si segnava, mormorava orazioni, afferrava
- Che nottata eterna! - Vedendo i primi chiarori dell'alba,  don  Ilario si era sentito rassicurare. Affacciatosi alla bocca
attorno per la campagna i suoi crà crà crà! ... Allora  don  Ilario rammentò le parole di padre Francesco: - Non fate
vedere. I crampi, acutissimi, insoffribili, spingevano  don  Ilario a rivoltolarsi per terra, con gran zufolio negli
La mattina dopo, alla voce della Salara che lo chiamava: -  Don  Ilario! don Ilario! - alle scosse delle mani che l'avevano
dopo, alla voce della Salara che lo chiamava: - Don Ilario!  don  Ilario! - alle scosse delle mani che l'avevano afferrato
piatto di maccheroni che la Salara gli aveva portato. -  Don  Ilario! ... don Ilario! ... Pazzo da catena! Sareste morto
che la Salara gli aveva portato. - Don Ilario! ...  don  Ilario! ... Pazzo da catena! Sareste morto di fame, se non
scoperto il vaccaro! - - Quei maccheroni, - soleva dire  don  Ilario, tutte le volte che ne riparlava, - quei maccheroni
colpevole, voglio dire (se non avete indovinato) per  don  Antonio. Il povero prete una mattina sull'alba non aveva
fronte. - Non è ancora l'ora della messa. - Non è la messa,  don  Antonio. Venga giú. C'è, c'è... un delegato della polizia
sentiva che Martino non era troppo padrone della sua voce.  Don  Antonio avrebbe scommesso che gli tremavano le gambe. - Un
della po...li...zia,... che roba è questa? È uno sbaglio.  Don  Antonio buttò la mitra... ovverosia il berretto da notte
alcune dimande e darle forse qualche seccatura. Ella è  don  Antonio Spino? - Per servirla. Prego si accomodi. - Ella ha
spiegato. - È la mia scrittura..., è quella, - balbettò  don  Antonio, che non sapeva ancora in quali acque navigava. -
dirò poi di che cosa si tratta. A ognuna di queste parole,  don  Antonio cadeva di meraviglia in meraviglia, e il suo
vedo che ci possa essere materia di penale... - Si calmi,  don  Antonio, ed esponga tranquillamente tutto ciò che ella sa
forse alla presenza di un delitto. - Un delitto! - esclamò  don  Antonio col viso spaventato. Martino, che stava ascoltando
ch'egli sia stato assassinato, cosí è necessario che  don  Antonio offra ogni suo sussidio, affinché la giustizia sia
affinché la giustizia sia illuminata nelle sue ricerche.  Don  Antonio non fece che aprire un poco le mani e rimase
cristiano..., di sangue consacrato... - Ella ha detto,  don  Antonio, di aver lasciato in luogo del cappello rosso
del cappello rosso incriminato il suo vecchio cappello...  Don  Antonio disse di sí col capo. La lingua era gelata in
che sta alla Falda a portar via il cappello colla roba?  Don  Antonio tornò a dir di sí col capo. Il delegato tirò in
spettinate, e colla corsa delle undici partí per Napoli.  Don  Antonio non disse quel giorno la sua solita messa. Quasi
veniva chiamato il salone della baronessa di Lagomorto,  don  Silvio La Ciura si sentiva compreso da un sentimento di
impero, rivestiti con damasco rosso già stinto e logoro,  don  Silvio si era fermato a contemplare il gran quadro senza
Ingo-Corillas, baroni di Lagomorto, sposa al baroncino  don  Alvaro più di mezzo secolo addietro. Il fruscio della gonna
riceveva la visita di un parente o di persone molto intime.  Don  Silvio era tra queste. Alta, stecchita, piena di rughe ma
la baronessa era entrata senza far rumore dall'uscio a cui  don  Silvio voltava in quel momento le spalle. Il prete fece un
che possono fare e fanno volentieri la carità», rispose  don  Silvio. E così dicendo, parve volesse rendere più piccola
aver saputo ... » «Sia fatta la volontà di Dio!», esclamò  don  Silvio, giungendo rassegnatamente le mani. «La volontà di
soltanto.» La baronessa si fermò un istante, aspettando che  don  Silvio le desse ragione. E siccome il prete rimaneva zitto,
quella donna; dovrebbe già essere qui, se lo stolido di  don  Carmelo ... ». In quel punto, il vecchio servitore che
Solmo salutò, con un cenno del capo, prima lei, poi  don  Silvio e, chiusa nella mantellina, eretta, quasi altera,
no. «Non comando niente; sedete.» E rivolgendosi a  don  Silvio, la baronessa soggiunse: «Ho piacere che voi siate
mani, scoppiava in pianto dirotto. «Calmatevi!», intervenne  don  Silvio. «La baronessa parla pel vostro bene ... » «Voi che
c'è Dio in cielo ... » «C'è, c'è, figliuola mia!», esclamò  don  Silvio, stendendo le mani, quasi volesse chiuderle la bocca
non mi toglieva il marito!», ella rispose bruscamente a  don  Silvio, alzando le spalle. «È peccato mortale quel che
in quell'istante parlava sottovoce all'orecchio di  don  Silvio. «Ma è poi vero?», rispose il prete. «Le donnacce
lo avesse avuto a posto il barone mio marito! ... Bravo,  don  Carmine!» Strascicando la gamba, reggendo con le due mani
«Povere bestie! Avevano fame, povere bestie!».  Don  Carmine, piegato in due, con le mani dietro la schiena,
angolo, con cuscini a posta. «Anche questa è carità, caro  don  Silvio!», disse la baronessa accomiatandolo.
grigio e il tamburo su la pancia, - e della moglie di  don  Carmelo in maglia e veste corta, suonando la tromba - non
di entrata. Una volta non sapendo a qual santo votarsi,  don  Carmelo aveva concepito la bella idea di una serata
pezzettini quattro quinterni di carta, e bollarli, mentre  don  Carmelo, con gli occhiali a cavalcioni sul naso, vi
e, raro, qualche bicchiere di vino riserbato soltanto a  don  Carmelo. Il quale però non mancava di prendere una sbornia
la moglie. Cardello non sapeva spiegarsi per qual ragione  don  Carmelo, da qualche tempo in qua, attaccasse più
ha ragione. * * * Da due giorni c'era pace nel teatrino -  don  Carmelo diceva sempre teatrino parlando di quello stanzone
macchinismi della scena pei cangiamenti a vista, mentre  don  Carmelo andava attorno a distribuire i biglietti. Tornando
andava attorno a distribuire i biglietti. Tornando a casa,  don  Carmelo trovò la moglie in lagrime con la bambina su le
l'ho fatto entrare, - soggiunse Cardello - Ebbene? - fece  don  Carmelo. - Il dottore tornerà con la medicina; se la farà
un quarto d'ora? - Ti muovi dunque, pel petrolio? - urlò  don  Carmelo, Cardello presa la latta, stava per uscire quando
canuto, che portava in mano una boccetta con la medicina,  don  Carmelo si fece avanti ossequioso. - Questa sciocca si
un letto, qui? - Là dietro, un letto alla meglio - rispose  don  Carmelo. - Questa sera do la grande serata pei galantuomini
tratto, si soffiava dentro i pugni per riscaldarsi le mani.  Don  Carmelo, già impaziente di veder riempito il locale dalle
creduto dignitoso per loro andar ad assistere all' opera di  don  Carmelo. Lo stanzone era già pieno zeppo, e il popolino
A un cenno di donna Lia, Cardello si mosse per avvertire  don  Carmelo di dar principio alla rappresentazione. Lo trovò
altro, sopraffatto dalla valanga di improperi che  don  Carmelo pareva stritolasse tra i denti, facendo il miracolo
Cardello avea dovuto prendere in mano Tartaglia mentre  don  Carmelo, situato nel centro, dietro il fondo, reggeva
dovuto far dire a Tartaglia Si tranquillò vedendo che  don  Carmelo si affrettava a fare le due parti ora parlando col
dietro lo squarcio della quale si videro le gambacce di  don  Carmelo e quelle magroline di Cardello. Sarebbe avvenuto un
giacchè non gli pareva morta ma addormentata. Anche  don  Carmelo era accorso; e dimenticando il porcile e quei porci
dalla quale non si poteva più scorgere il villaggio alpino.  Don  Giuseppe si voltò per guardare la sua chiesa, il suo monte,
ultimi bagliori della sera camminare lentamente il suo buon  Don  Giuseppe, e lo salutò, e tutta allegra lo pregò di salire.
scese con la fantesca e andò ella stessa a vedere.  Don  Giuseppe, accasciato in un angolo, non dava segno di vita:
con le ginocchia a terra, ripeté più volte: - Il mio buon  Don  Giuseppe, oh Dio di misericordia, salvatemi il mio buon Don
Don Giuseppe, oh Dio di misericordia, salvatemi il mio buon  Don  Giuseppe! - Poi tornava subito a sentire se proprio il
indistinto, che il suo Amilcare somigliasse al suo buon  Don  Giuseppe. Don Giuseppe, che non fissava più il Cristo,
che il suo Amilcare somigliasse al suo buon Don Giuseppe.  Don  Giuseppe, che non fissava più il Cristo, aveva mutato
tenaglia rovente. Nascondi il piede ed il seno. Taci ...  Don  Giuseppe il tuo amore, voglio il tuo amore; sono la tua
volgendolo dalla parte del Crocifisso, e gridò: - Guardi,  Don  Giuseppe, il suo Cristo -. Gli occhi del delirante caddero
riconfortata, esclamava: - Così siete bello, mio buon  Don  Giuseppe: adesso il cielo vi si specchia nel volto -; e il
ella avvicinò la sua bocca pura alla fronte pura di lui.  Don  Giuseppe non se n'accorse: guardava sorridente il suo
il medico, fetente di acquavite, s'avvicinò al letto,  Don  Giuseppe era morto.
 Don  Clemente celebrò messa verso le sette, parlò coll' Abate e
il capo, balzò dal letto, afferrò e baciò la mano a  don  Clemente che la ritrasse con un impeto di umiltà frenato
interrogò senza parole: perché questa visita? Gli occhi di  don  Clemente si velarono di silenzio e il discepolo si umiliò
lume di grazia, l'acqua purissima; e ritornò all' Ospizio.  Don  Clemente, che lo attendeva nel cortile, trasalì al vederlo;
poteva quel volto accordarsi con gli abiti contadineschi?  Don  Clemente si applaudì in cuor suo di un pensiero concepito
farne poi degli altri. E contate delle frottole a quel buon  don  Clemente, prendete il posto a un povero pellegrino, eh dite
"Io vi caccio dal monastero. Ora vi recherete a salutare  don  Clemente nella sua cella e poi partirete per non ritornare
che gli stava dietro le spalle. "Prendete" disse "portate a  don  Clemente." Benedetto gli chiese il permesso di baciargli la
strepitare sul piano. Prima di entrare nella celletta di  don  Clemente, Benedetto si fermò davanti alla grande finestra
eterna e di amore, che attende tante povere anime erranti.  Don  Clemente lo aveva udito venire e aperse a mezzo l'uscio
il monastero" diss'egli, sereno. "Subito e per sempre."  Don  Clemente non rispose, aperse la lettera. Letta che l'ebbe,
Vero, ma l' Abate aveva detto: per non ritornare mai più.  Don  Clemente aveva le lagrime agli occhi e sorrideva ancora.
per le mie parole ultime, che spero ti saranno care."  Don  Clemente, nel dir così a voce bassa, si colorò tutto di
esercitata secondo le sue leggi?" La voce ferma: "Sì."  Don  Clemente attirò a sé il capo del discepolo e gli parlò
L' Abate, prima di decidere, ha voluto parlarti." Qui  don  Clemente baciò il discepolo in fronte, significando così il
e gli appoggiò la fronte a una spalla, senza parlare.  Don  Clemente mormorò: "Sei contento? Adesso te lo domando io."
configgi ora tu a me l'anima tua. Infatti qualcuno, forse  don  Clemente, forse un suo predecessore, vi aveva scritto
sconsolato compianto di tutto che vive sulla terra e ama. A  don  Clemente dicevano un consenso pio della creatura inferiore
ha inteso?" disse Benedetto. "Non ha pensato una cosa?" No,  don  Clemente aveva pensato che quella gran commozione di
argomento di non credere nella Visione giusta i consigli di  don  Giuseppe Flores e di don Clemente gli era stata la
nella Visione giusta i consigli di don Giuseppe Flores e di  don  Clemente gli era stata la contraddizione di ciò con la sua
la credibilità di un carattere profetico della Visione.  Don  Clemente ne conosceva questa parte e avrebbe potuto leggere
voce si sente." Un raggio fioco di sole entrò nella cella.  Don  Clemente pensò subito che, se cessasse di piovere, la
amici finirono di festeggiare quella sera il ritorno di  don  Ciccio Lanuzza al paese nativo d'onde mancava da più di
stanze in tutto, compresa la sala da pranzo. E quella sera  don  Ciccio Lanuzza era l'unico passeggero. preso il caffè,
istituiva sua erede universale la moglie. - E così, ora,  don  Neli Tasca sposerà la vedova e si godrà.... - Don Neli
ora, don Neli Tasca sposerà la vedova e si godrà.... -  Don  Neli Tasca è furbo: non sposerà. Con quella donna, non si
Santa Lucia; l'ho riveduta questa mattina, arrivando. - -  Don  Natale Mirone da cinque anni non abitava più là. Aveva
complice, specialmente dopo che lei si era assestata con  don  Neli Tasca, e facevano il comodo loro come se il marito non
fuori quello di anni fa. Non ci sono parenti dalla parte di  Don  Natale, per far ricerche e tentar di scoprire... - E il
gli occhi alle Autorità? - Chi vuoi che s'impicci con  don  Neli Tasca? - Ma com'è avveduto il fatto? - Semplicemente.
Neli Tasca? - Ma com'è avveduto il fatto? - Semplicemente.  Don  Natale faceva la sua solita partita a Tresetti nello studio
per caso e stavo a guardare i giocatori. Tutt'a un tratto  don  Natale si rizzò da sedere, pallido, barcollante. Disse: -
È morto! - Poi, riavutosi un po', raccontò che il povero  don  Natale era andato a sedersi su una panca sotto un albero di
- E se non c'era il giovane del notaio, il povero  don  Natale cascava per terra. - Ora pochi credono al colpo
- Per buscarsi probabilmente una querela di calunnia?  Don  Ciccio Lanuzza quella sera andò a letto commosso e
dire al Pretore: C'è un testamento in casa degli eredi di  don  Tino lo Faro, in fondo alla terza cassetta a sinistra della
sua scrivania. Andate a cercarlo. Grazie.... Addio! Addio!  Don  Ciccio Lanuzza, destatosi di soprassalto, si trovò a sedere
curiosità la visita del Lanuzza che già conosceva di nome.  Don  Ciccio cominciò a parlare un po' imbarazzato. - Non vorrei
Parli pure, tagli corto i preamboli. Durante il racconto di  don  Ciccio, il Pretore aveva fatto uno sforzo per mantenersi
per punto.... - È forse spiritista? - Oh, no! - protestò  don  Ciccio. - Se lei però volesse provare... Sarebbe bella che
olografo del signor Natale Mirone, consegnato all'amico  don  Tino Lo Faro FaroTutti si sentirono correre un gran
le ossa. Il Pretore strappò la busta, e aperse il foglio,  Don  Ciccio Lanuzza impallidì riconoscendolo per quello veduto
Ma se non c'è la firma... La delusione fu grande.  Don  Ciccio, dopo questa gran prova, attese inutilmente, tante
- gridò lui. - Sono verità e sono misteri della religione:  don  Pasqualino è un'anima pia. Egli vede. Anche tu vedresti, se
Egli si strinse nelle spalle, sdegnosamente. - Farò pregare  don  Pasqualino, - soggiunse. - L'avrai per forza la visione. Lo
aspettava, passeggiando su e giù, innanzi al portone: era  don  Pasqualino De Feo, l' assistito. gli non si mutava dal suo
lo salutò con un sorriso. - Avete la moneta? - domandò  don  Pasqualino, abbassando le palpebre, quasi a celare il lampo
- chiese, dopo aver contate le quaranta lire nelle mani di  don  Pasqualino. - Sapete che non ho bisogno di niente, - disse
che il marchese ebbe strette due dita molli e umide, che  don  Pasqualino gli stendeva. De Feo risalì verso Tarsia,
del vico Nunzio, dove era tenitore del banco il bel  don  Crescenzo dalla barba castana, e dove giuocavano Cavalcanti
sportelletti aperti nella graticciata di ferro, lavoravano  don  Crescenzo e i suoi due commessi, i giovani, osì chiamati,
due commessi, i giovani, osì chiamati, malgrado che uno,  don  Baldassarre, avesse settant'anni e un'aria così decrepita
consegnavano al giuocatore, dopo averne ritirata la moneta.  Don  Crescenzo conservava la sua bell'aria contenta, di
sorridendo nella sua barbetta nera, mentre il vecchissimo  don  Baldassarre, così curvo che pareva gobbo, col naso adunco,
sulle gengive senza denti, lavorava con molta flemma, e  don  Checchino, lo scialbo scrivano, scriveva correndo, per
una fiumana. Il marchese di Formosa fece un cenno, e  don  Crescenzo, premurosamente, aprì la porticina del banco e
di gente, innanzi ai tre sportelli del Banco lotto di  don  Crescenzo, si confondevano in un gruppo solo, fluente e
cresceva. Mentre innanzi allo sportelletto dello scialbo  don  Checchino lo scrivano, un gruppo di studenti tumultuava,
e dandosi degli urtoni; allo sportello del vecchissimo  don  Baldassarre, innanzi alla minuta folla, erano due o tre
prima di consegnare i polizzini; e allo sportello di  don  Crescenzo, dove il lavoro i sbrigava più presto, la scena
o un profondo quasi doloroso raccoglimento. Giusto,  don  Domenico Mayer, il misantropo vice-segretario
all'Intendenza di Finanza, ora stava fermo innanzi a  don  Crescenzo e con gli occhi bassi, con voce cavernosa, gli
gli veniva dettando dieci terni, terni secchi, su cui  don  Domenico Mayer giuocava audacemente due lire per terno, per
- Tredici e venti per cento, - rispose, ridacchiando,  don  Crescenzo, la cui mano bianca e grassa di lieto divorator
- Governo mariuolo! - esclamò una voce stridula, dietro  don  Domenico. Era il lustrino Michele che aspettava, per fare
là, di attendere il suo turno. Al settimo terno secco,  don  Domenico spiegò la sua giuocata: - Non m'importa di vincere
lire non mi fanno niente. - Già, - disse il compiacente  don  Crescenzo. Prese le venti lire dell'impiegato, gentilmente
che aspettavano dietro a lui, s'impazientivano. Invece, da  don  Baldassarre il quasi centenne, per una singolare
sempre allegro, si prestava gentilmente alle domande di  don  Baldassarre, che, non meravigliato delle grosse giuocate,
Costa cavare lietamente questa somma e consegnarla a  don  Baldassarre, impallidì, pensando quanto si potea guadagnare
di Formosa rientrò nel botteghino del lotto. Ora, innanzi a  don  Checchino, lo scrivano pallido e floscio, appoggiata col
e una fiamma saliva a colonne le guance delicate. E quando  don  Checchino le fece il conto, quattro lire e otto soldi, ella
in cui avrebbe vinto e ritirato la cambiale data a  don  Gennaro Parascandolo, quella cambiale, che portava la firma
rabbrividire di terrore. Quando uscì dal Banco lotto di  don  Crescenzo, respirò e contò mentalmente. Delle duemila lire
il buon vecchietto ridente, come intermediario fra lui e  don  Gennaro Parascandolo; ne aveva giuocato milleseicento per i
dall'altra porta, mentre egli usciva, entrava giusto  don  Ambrogio Marzano, che si fermò col marchese di Formosa: -
stupore di ammirazione. Intanto, sempre tutto sereno,  don  Ambrogio Marzano andò a giuocare da don Crescenzo.
tutto sereno, don Ambrogio Marzano andò a giuocare da  don  Crescenzo. Veramente aveva dovuto dare le solite quindici
avere il sabato mattina. Ora, come la notte si appressava,  don  Crescenzo e i due commessi, stanchi, storditi, avevano una
per il Governo, su cui si prelevava il tanto per cento; e  don  Crescenzo dava un soprassoldo ai giovani elle buone
delle sale del Caffè Testa d'Oro, he erano clienti di  don  Crescenzo e che dopo aver lungamente confabulato,
tarda, la gente continuava a ingombrare il Banco lotto di  don  Crescenzo, a cui, in quell'ultimo venerdì di marzo, per un
e scappava via un po'più presto per andare dal suo caro  don  Crescenzo, a fare la sua gran giuocata settimanale.
nelle spalle e fermatosi presso il suo carissimo amico  don  Crescenzo, che continuava a scrivere, piegando la sua bella
a lungo, mostrando i suoi denti bianchi, in un sorriso.  Don  Crescenzo scriveva, imperturbabile: da sei mesi che
venivano crescendo. E in quel fluire di numeri dettati,  don  Crescenzo riconosceva, con la sua osservazione particolare,
Fragalà, e quanti prendevano la sorte dalle parole di  don  Pasqualino, giuocavano numeri diversi, molti numeri, così
e da renderli schiavi di tutte le nebulose frasi di  don  Pasqualino. Per il che, con un lieve sorriso, mentre faceva
un lieve sorriso, mentre faceva la somma delle giuocate,  don  Crescenzo disse: - Voi pure siete cliente di Pasqualino De
ansiosamente Cesare Fragalà. - Eh, siamo amici…- mormorò  don  Crescenzo. - Sa i numeri, non è vero? - chiese Cesarino,
Con la nota in mano, dicendo lentamente i numeri a  don  Crescenzo, un lieve tremito agitava la sua voce: e gli
il vescovo nel pontificale. Dietro il banco di legno,  don  Baldassarre, il vecchio decrepito, don Checchino dalla
il banco di legno, don Baldassarre, il vecchio decrepito,  don  Checchino dalla faccia smorta, stavano immobili, con gli
sette all'una, nel grande ardore dell'ultima ora. Solo  don  Crescenzo conservava la sua disinvoltura e la placida
sua cameriera Margherita s'era fatte prestare dall'usuraio  don  Gennaro Parascandolo, e settanta lire che aveva avute dal
salutò: - Buona notte a questi miei signori. - Buona notte,  don  Crescenzo, - disse il marchese. - Avete chiuso, eh? Buona
tenitore del Banco. Vi fu un silenzio. - Voi non giuocate,  don  Crescenzo? - domandò Cesarino Fragalà. - No, mai. Buona
Ventimiglia, il quale teneva la barra del timone, Mendoza,  don  Ercole e il guascone, i quali manovravano i remi. Lo
- Gli uomini della caravella? - chiese il guascone. - Sí,  don  Barrejo. - Ma questi spagnuoli posseggono un fiuto
vostre spade? - chiese poi. - Rispondo anche di quella di  don  Ercole. - Se non potete fugare la ronda, ripiegatevi e
ripiegatevi e verremo anche noi in vostro aiuto. - Venite,  don  Ercole, - disse il guascone. - Fermeremo quei curiosi che
e quello che sta in mezzo. Non abbiate fretta, però,  don  Ercole. La porta della posada non è stata ancora aperta. Si
- Eccoli! - gridò in quel momento una delle tre guardie.  Don  Barrejo fece un salto indietro e si portò sotto le finestre
voce una canzonetta amorosa. - Che cosa fate? - chiese  don  Ercole, stupito. - Lasciate fare a me, - rispose il
Il guascone si volse tranquillamente verso di loro, mentre  don  Ercole s'appoggiava contro il muro, perché non lo
- Quest'uomo è pazzo! - esclamò un'altra guardia.  Don  Barrejo lanciò un rapido sguardo verso il fondo della via
- Arrendetevi alla forza! ... - Eccola, la forza! - rispose  don  Barrejo. - A voi il magro, don Ercole! ... Insegnerò a
Eccola, la forza! - rispose don Barrejo. - A voi il magro,  don  Ercole! ... Insegnerò a questa gente a rispettare la dama
serviva d'abitazione a qualche brutta negra. - Tacete,  don  Ercole, - rispose serio serio il guascone. - Voi non avete
atti di valore del suo innamoratissimo. - Voi siete pazzo,  don  Barrejo, - disse il conte. - Me lo hanno veramente detto
lavorare di denti i guasconi ed anche i fiamminghi, è vero,  don  Ercole? Se il conte ci permette? ... - Metteteli pure in
ben pieni di pesci arrostiti e si empiva il bicchiere.  Don  Ercole, degnatevi di imitarmi. Anche voi, signora, se non
Per un guascone, una donna è sempre una signora, - rispose  don  Barrejo, il quale però, pur chiacchierando, divorava come
dei prossimi parenti di Belzebú. Sareste geloso di me? -  Don  Barrejo, - disse il conte, - vorreste attaccare lite? - No,
castigliana. Tonnerre! ... Va giú come l'acqua, è vero,  don  Ercole? - Come l'olio, - rispose il fiammingo. - Señora,
con un filibustiere. - Pessima gente quei bricconi, - disse  don  Barrejo. - Ammazzano sempre! ... Quelli sono veri figli di
tutta alla vostra salute, parola di gentiluomo. - Voi,  don  Barrejo, siete una spugna, - disse il conte. - Io e don
don Barrejo, siete una spugna, - disse il conte. - Io e  don  Ercole abbiamo battagliato contro le guardie della
- E anche ai fiamminghi, a quanto pare, - aggiunse Mendoza.  Don  Ercole, invece di rispondere, si accontentò di versare
Panchita, parliamo, - disse il conte, mentre Mendoza e  don  Barrejo continuavano a sturare bottiglie. - Io sono venuto
città. - Sono nata qui. - Avete mai udito nominare un certo  don  Juan de Sasebo, consigliere dell'Udienza Reale di Panama?
- Saprò trovarlo, - rispose il basco. - Che uomo è quel  don  Juan de Sasebo? _ chiese il corsaro alla bella castigliana.
per cercarvi? - Tanto peggio per loro, signor conte. Io e  don  Ercole ci siamo accontentati di battagliare; se ci
quattro piú formidabili lame della filibusteria? - rispose  don  Barrejo. - Corichiamoci, - disse il conte. - Dormiremo con
le pistole. Bah! ... Ci rimarranno le spade, è vero,  don  Barrejo? - Talvolta sono piú preziose delle armi da fuoco,
né una taverna, né una venta. - Vorreste bere ancora,  don  Barrejo? - chiese il conte. - Eh! ... Se fosse possibile
questa sera dovremo fare una visita. - Ad una taverna? - A  don  Juan de Sasebo. - Volete proprio vederlo? - Se il marchese
e non commettete gradassate: lo dico specialmente a voi,  don  Barrejo. - Sí, prometto di essere tranquillo come un
al canonico Cipolla? ... Al prevosto Montoro? ... Anche a  don  Giuseppe il sagrestano?». «Con chi l'avete, cugino?»
ripetere: «Dovevo chiedere il permesso a loro? ... Anche a  don  Giuseppe il sagrestano?». E ripeteva che, soprattutto, lo
mulo del prevosto? Doveva avergliele suggerite, certamente,  don  Silvio La Ciura! E il giorno della processione ... Uno
a dispetto dei canonici di Sant'Isidoro ... Solo  don  Silvio non avea voluto mancare, e, confuso coi più umili,
a quella vista, il marchese si confermò nel sospetto che  don  Silvio avesse suggerito al prevosto le parole: «Vi dava
Commissione. Aveva preso gusto alla partita di tarocchi che  don  Gregorio, cappellano del monastero di Santa Colomba, il
cappellano del monastero di Santa Colomba, il notaio Mazza,  don  Stefano Spadafora e don Pietro Salvo facevano colà, in un
di Santa Colomba, il notaio Mazza, don Stefano Spadafora e  don  Pietro Salvo facevano colà, in un angolo appartato, due
e tornando, poco dopo, più amici di prima. Spesso,  don  Pietro Salvo gli cedeva il posto, appena vinto qualche
appena vinto qualche soldo: «Volete divertirvi, marchese?».  Don  Stefano sbuffava. In presenza del marchese, gli toccava di
lo sapeva, sedendosi gli faceva il patto: «Senza bestemmie,  don  Stefano!». «Ma il giocatore deve sfogarsi! Voi parlate
ogni svista del compagno, a ogni giocata andatagli a male,  don  Stefano, invece di dirne qualcuna di quelle da schiodare
la tuba, sputarvi dentro e rimettersela, subito. «Che fate,  don  Stefano?» «Lo so io! Debbo crepare? ... Questa vale per
i tarocchi lo facessero a posta, e il compagno pure. E  don  Stefano, a cavarsi rabbiosamente di capo la tuba, a
tuba, a sputarvi dentro e rimettersela subito. «Che fate,  don  Stefano?» «Lo so io! ... Volete che crepi?» Soltanto
porta! Non ho paura io delle cocolle. - Io sono amico di  Don  Luigi ..... - E di me non lo siete forse? .... - Amico di
- e poichè (appoggiai su queste parole) voi siete amico di  Don  Luigi come lo sono io .... Il farmacista mi guardava con
- Un amico di città? Ma, scusi sa, come può essere, se  don  Luigi, da vent'anni non si è mosso dal paese? - Il tempo
il filo probabile di una congiura che la mia stima per  don  Luigi mi persuadeva ingiusta e malvagia e che forse il caso
viuzza, secondo lui indispensabile, vuole e pretende che  Don  Luigi la ceda al Comune, vantando non so quali diritti. Per
dalla sua .... ha influenze .... acqua in bocca ..... ecco  don  Luigi; facciamo sembiante di nulla. Il curato infatti ci
per la cameretta, pel giardino e per la chiesa,  don  Luigi si rivolse al farmacista che accendeva una lunga pipa
può giovare. Ci vado. Quando il farmacista fu partito,  don  Luigi mi stese nuovamente la mano, e stringendo con
e mi piace, sono vostro in corpo ed anima, e vi avverto,  don  Luigi, che il giorno di lasciar questa casa non è molto
stessa direzione. Per quanto mi fosse doloroso il togliere  don  Luigi alla sua calma allegria, non potei resistere al
strano gruppo, pur tacendo delle cose udite in cantoria. -  Don  Luigi, gli dissi, studiano molto le vostre pecorelle.
giorni dopo il terribile fatto che abbiamo raccontato,  don  Antonio, il parroco di Santafusca, stava in giardino tutto
come tante fiammelle. Ne' suoi robusti settant'anni,  don  Antonio godeva la gioia della brezza mattutina. Il mattino
era caduto sulla strada preso da un gran male. Corresse  don  Antonio giú verso la villa coll'olio santo, se pure c'era
di qua, mentre egli correva di là a suonare la campana.  Don  Antonio lasciò in fretta le formiche, corse in chiesa,
Il moribondo non mormorò che poche parole inconcludenti; ma  don  Antonio, pensando che s'era confessato l'anno prima e che
del primo. Non sapendo come spiegare lo strano fenomeno,  don  Antonio si levò il triangolo dal capo e vide ch'era
da monsignore. - Come va questa faccenda? - esclamò  don  Antonio. - Io ho letto nelle sacre carte che un corvo portò
i casi di coscienza: e anche costui trovò naturale che  don  Antonio usasse di un cappello che in fondo era di nessuno.
giorno appresso  don  Carmelo prese a dargli le prime lezioni del mestiere. -
non sarebbe mai riuscito. Sbarrava tanto di occhi in viso a  don  Carmelo, si grattava il capo; e siccome due o tre volte,
il magazzino. Quel vino era forte, schietto; e quantunque  don  Carmelo dicesse che non si poteva scherzare con esso,
la marmaglia Non avevano altro svago in quel paesetto, e  don  Carmelo era molto bravo nell'arte sua. Repertorio
... . Per ciò si mangiava bene a colazione e a desinare.  Don  Carmelo si dilettava anche di cucina, e Cardello ingrassava
che non aveva mai viste neppur da lontano e col vino che  don  Carmelo lo costringeva a bere, dicendogli: - Giù!
Cardello si stupiva che al momento della rappresentazione  don  Carmelo riacquistasse, come per incanto, tutta la lucidezza
in cielo fra una gloria di angeli e di serafini, opera di  don  Carmelo, che la restaurava, incollando, dalla parte di
così ben eseguiti che sembrava di udire la stessa voce di  don  Carmelo e di sua moglie. I ragazzi stavano ad ascoltarlo a
nei momenti che non si trovava di faccia qualcuno ... .  Don  Carmelo però non avea potuto indurre Cardello a fare
povero orfanello. - Non dubitate, - le rispose la moglie di  don  Carmelo: - È buono, si fa voler bene. - E se muoio, -
- È buono, si fa voler bene. - E se muoio, - soggiunse  don  Carmelo: - (io non ho parenti) lascio ogni cosa a lui; sani
di quello, in uno dei carretti che portavano la roba.  Don  Carmelo con la pipa in bocca e un cappellaccio in testa,
divertirsi dell'inattesa rappresentazione. - Bravo, bravo,  don  Calogero! - Il signor Decano non lo chiamava Cardello, ma
di esser tornato ai bei tempi, quando già cooperava con  don  Carmelo alle rappresentazioni e fin l' Orso peloso gli
l'ascella, rivedeva la bambina morta, la povera uccisa, e  don  Carmelo che avrebbe finito la sua vita nel carcere a cui lo
Ah! se avesse potuto trovare un altro burattinaio come  don  Carmelo! Avrebbe abbandonato volentieri anche quella
il signor Decano non scordava mai di fargli ripetere: - Su,  don  Calogero; come diceva quel bestione? O paglia o fieno, Pur
a leggere e a scrivere, meglio che non avesse fatto  don  Carmelo, che lo aveva abbandonato quando cominciava a
affatto perchè sùbito il signor Decano diceva a Cardello  Don  Calogero, mangiatene pure quanto volete; io ho lo stomaco
non si curava che il signor Decano lo rimproverasse: - Ah,  don  Calogero! Don Calogero! Così non va bene! Tutta questa
che il signor Decano lo rimproverasse: - Ah, don Calogero!  Don  Calogero! Così non va bene! Tutta questa polvere qui! ... E
- Mi prende che io me ne vado e le bacio le mani. - Perchè,  don  Calogero? Perchè? Vi par poco il salario? - Mi annoio,
non pensava più. Era impossibile incontrarsi in un altro  don  Carmelo, davvero Re dei burattinai Il gruzzoletto dei
palazzo Corsini, ove abitava il suo padrone. «È dunque  Don  Procopio l’uomo» disse tra se il nostro eroe, Don Procopio
«È dunque Don Procopio l’uomo» disse tra se il nostro eroe,  Don  Procopio il favorito ed il più dissoluto della caterva dei
due drappelli, mandati certamente da  don  Juan de Sasebo per catturare anche i tre spadaccini del
ridendo. - Bestemmiano come pagani. - Ohé, fanalaio!  Don  Barrejo prese la torcia e comparve sul terrazzino, gridando
succedere. - Il signor di Ventimiglia sarà un po' debole. -  Don  Ercole è robusto come l'Ercole dell'antichità e, se sarà
mormorò fra sé: - Già sono denari dell'illustrissimo  don  Juan de Sasebo, Consigliere dell'Udienza Reale di Panama.
della generosità di quei misteriosi personaggi, aiutato da  don  Ercole, lo calò in mare. L'acqua, dietro alla scogliera,
curiosamente. Mendoza si era messo a guardia della vela,  don  Ercole ed il guascone a prora. La brezza essendo un po'
- Non sarei un guascone. Prendetevela dunque. - Se  don  Ercole se la mettesse in testa. - Un cappello troppo
Mendoza rinnovava la fasciatura al conte, il guascone e  don  Ercole allestirono la tavola, avendo prima fatta provvista
troppo la bella vedova. Diamine! ... Era sempre galante  don  Barrejo, signore di Lussac! La taverniera non tardò a
sivigliana è veramente una taverniera modello! - esclamò  don  Barrejo. - In poche ore che siamo stati qui ha indovinato i
e per me la donna, qualunque sia, è sempre una dama. -  Don  Barrejo sareste per caso innamorato di questa bella
se sarebbe meglio catturare il marchese di Montelimar, o  don  Juan de Sasebo o qualcuno dei loro servi. Sorprendere quei
città. E cosí? - chiese il signor di Ventimiglia. Se io e  don  Ercole vi portassimo invece un servo di quei messeri?
ore, - rispose il guascone. - Sarà per un'altra volta.  Don  Ercole, volete accompagnarmi? - Sono sempre a vostra
sette letti che ingombravano lo stanzone, usci insieme a  don  Ercole che sbuffava come una foca. La bella Castigliana
di Consigliere. Sulla piazza maggiore potremmo incontrare o  don  Juan de Satsebo od il marchese e allora che brutta
Il guascone si fermò, guardando con un certo stupore  don  Ercole. - Tonnerre! ... - esclamò. - I fiamminghi avrebbero
limpidissimo. - Voi parlate oscuro. - Forse avete ragione,  don  Ercole, piú tardi mi spiegherò meglio. Accesero ognuno un
quando finalmente giunsero dietro il palazzo di  Don  Juan de Sasebo. Si calarono per precauzione i feltri
e meno furbi di quei selvaggi figli dell'Africa.  Don  Ercole, aspettatemi qui e continuate pure a fumare.
quasi piagnucolosa. - L'illustrissimo signor Consigliere  don  Juan de Sasebo si troverebbe per caso nella sua abitazione?
Venite e passeremo una allegra mezza giornata, - rispose  don  Barrejo. Si misero in cammino lungo la strada. Il guascone
del migliore che tenete nella vostra cantina, disse  don  Barrejo. - Badate che se non è vino di Spagna o di Francia
spaventato. - Silenzio e lasciatemi parlare, mio caro  don  Alonzo. Il viceré del Messico mi aveva promesso, per
una supplica per presentarla all'illustrissimo Consigliere  don  Juan de Sasebo, vostro padrone, perché la consegni al
di pesci salati. Abbiamo fame e anche molta sete, è vero  don  Alonzo? Il disgraziato meticcio non si sentí in caso di
non avevano piú alcuna espressione. - È finito, - sussurrò  don  Ercole al guascone. - Pare anche a me. - E la supplica?
poiché non fu che verso le otto della sera che il servo di  don  Juan de Sasebo aprí gli occhi. Si guardò intorno, stupito
pagare. Uscí dalla fonda come un pazzo e dieci minuti dopo  don  Juan de Sasebo che stava nel suo gabinetto, conosceva
credeva al buono o al cattivo influsso di certe persone.  Don  Filippo Spano - che sapeva la cosa ed aveva un viso smunto
a fianco o dietro la seggiola, per stuzzicarlo. - Caro  don  Filippo, perché non andate a fare due passi? - gli diceva
e mezzo in serietà. - Vi gioverebbero, per la digestione -.  Don  Filippo non si moveva; fino a che, picchia e ripicchia, il
- Allora due o tre dei giocatori fingevano di prender  don  Filippo per le spalle e cacciarlo via, mettendolo a sedere
- E il mio bicchierino? Me lo merito - gridava dal divano  don  Filippo. - Anche dieci! - rispondeva il prevosto. - Viva il
repulisti; cosí, le sere che vedeva accostare lemme lemme  don  Filippo, improsciuttito e sbiadito da quel jettatore che
la cabala! Le prestava fede come al cattivo influsso di  don  Filippo e al buon influsso di Nino, il figliuolo del
rapidamente; e a ogni mucchio di scudi di santa chiesa che  don  Peppino, detto il Capitano, tirava a sé, ripetendo: -
seguiva con tanto d'occhi la lentissima tiratura di  don  Peppino che lo metteva alla tortura. Questa volta però egli
Perché mai, signor prevosto? - venne a dirgli dimessamente  don  Antonio, deputato cassiere, a cui quello sciupio pareva
di mattina fino al tocco dopo mezzogiorno. Quel diavolo di  don  Peppino, il Capitano, che aveva visto passare
a susurrargli in un orecchio: - Debbono aspettarlo - dice  don  Peppino - per quell'affare? - Mi aspettino - rispose. Si
il prevosto scorse in piedi tra la folla inginocchiata,  don  Peppino e parecchi altri amici di toppa che gli accennavano
dell'altare, riuniva dignitosamente le mani sul petto,  don  Peppino e quegli altri seguitarono ad accennargli con
mani giunte, dall'angolo destro dell'altare, rispondeva a  don  Peppino e agli altri, torcendo gli occhi e il muso: - Che
gli bruciava addosso; quando, all'ultimo dominus vobiscum ,  don  Peppino facendo il verso di tirar le carte, gli accennò che
perché vi versasse il resto dell'ampollina pel lavabo .  Don  Panecotto, il sagrestano, ch'era coll'acquolina in bocca da
io gioco soltanto a briscola col barone, il cancelliere e  don  Peppino, il quale è capace di sbagliare le giocate a posta,
pavimento. - Insomma, signor prevosto? ... - lo stuzzicava  don  Peppino. - Quest'anno non giuoco! ... - rispondeva,
- gli susurrò, mettendogli di nascosto uno scudo in mano.  Don  Peppino se n'accorse; e appena lo studentino puntò lo
avere la benignità di conferire o a lui, o a suo fratello  Don  Rodrigo canonico della cattedrale di Tolosa, la sacra
lo precedemmo alla casa del Sindaco. Incontrammo per via  don  Sebastiano e lo speziale che a malincuore s'avviava ad
mi disse stringendomi la mano: - Bene, bene, il tuo  don  Luigi pare al coperto. Concorrevano nel ferito cause
Acconsentii di buon grado e gli fui guida al presbitero.  Don  Luigi era in chiesa che celebrava l'ufficio funebre per il
con cui ha voluto spiegarla. E mi ripetè il colloquio con  Don  Luigi. Rimasti soli, Attilio, scusandosi con gli obblighi
donna legata in qualche modo col defunto De Boni. È vero?  Don  Luigi s'era turbato forte, e impallidendo subitamente, a
queste rivelazioni lei le conosce? - Sì. - Sono esatte?  Don  Luigi non aveva potuto rispondere altrimenti che con un
Ci prese in disparte e disse ad Attilio: - Signor avvocato,  don  Luigi si è candidamente accusato e non ha pensato a
- Il suo amico le può dire che fior di galantuomo sia  don  Luigi. - Però v'è contro di lui un indizio grave, - osservò
voi; potrete confermare buona parte del mio racconto. - E  don  Luigi? - osservai riconciliato interamente col dottore.
povero Beppe. Andai con lui al presbiterio a congedarmi.  Don  Luigi non cercò di trattenermi: prese la la mano ch'io gli
punto una dolorosa esclamazione ci fe' voltar tutti e tre.  Don  Luigi era lì dietro a noi appoggiato allo stipite
cameretta d'una volta .... poi vedremo cosa s'ha da fare.  Don  Luigi, così dicendo guardava me e la Mansueta come volesse
invece che di conforto riesce loro una squisita tortura.  Don  Luigi avvertì poi il singolare vestito di Aminta: -
con sè, facendomi cenno di seguirli. Nel tinello c'era  don  Sebastiano. Seduto davanti la tavola già apparecchiata, al
da inquisitore. Bisognava rispondere. È curioso come  don  Luigi, spirito superiore, subiva l'ascendente di quell'uomo
Spero, conchiuse, che non si disapproverà la mia condotta.  Don  Sebastiano ascoltò con la massima indifferenza il racconto;
subito dopo cena: e ci sollevò della sua presenza. Allora  don  Luigi prese la mano di Aminta, e mentre io raccontavo, per
e sornione; diè un'occhiata curiosa ad Aminta, un'altra a  don  Luigi e allargò le ampie narici come per annusare ciò che
invito, si pose a sedere al posto lasciato vuoto da  don  Sebastiano. Don Luigi colla usata bonarietà gli chiese: -
si pose a sedere al posto lasciato vuoto da don Sebastiano.  Don  Luigi colla usata bonarietà gli chiese: - Che buon vento vi
cavato? nulla .... E s'interruppe di nuovo: - Dunque? disse  don  Luigi senz'ombra d'impazienza. - Dunque? quando si dice la
.... - Ed io vi ringrazio di cuore, interruppe premuroso  don  Luigi. - Credevo foste vivamente affezionato a quelle poche
non s'è mai avuto in venti anni una parola da dire, vero  don  Luigi? È un uomo raro (no basta ... troppo .... grazie ...
sino in piazza. - Aminta resta con noi, rispose  don  Luigi e soggiunse: - anzi fatemi il piacere voi di
verso mezzodì, capitò di nuovo lo speziale a parlar con  don  Luigi. Il colloquio durò a lungo. Io ero nella mia stanza e
stesso giorno nella mia opinione. Dopo il desinare, quando  don  Sebastiano si fu ritirato, il curato disse ad Aminta che
speranza di fortuna. Aminta rispose vivacemente: - Oh  don  Luigi, per me non ci può esser fortuna maggiore della sua
è giusto che faccia la penitenza. - Mansueta, l'interruppe  don  Luigi in tono di dolce rimprovero. - Aminta, soggiunse poi,
di che cosa è capace quell'uomo. osservò lo speziale.  Don  Luigi disse soltanto: - Fategli sapere che non lo temiamo.
disse il cavaliere dopo di aver acceso un sigaro. «Ecco  don  Aquilante!» Don Aquilante arrivava di corsa scusandosi di
dopo di aver acceso un sigaro. «Ecco don Aquilante!»  Don  Aquilante arrivava di corsa scusandosi di essere in
di essere ubriaco per dire la verità», rispose severamente  don  Aquilante. «Bevono vino anche gli Spiriti?» «Potrei dirvi
vuotare, sono certi cervelli dove non c'è niente», replicò  don  Aquilante, socchiudendo gli occhi e scrollando
sorriso stentato indovinando a chi andasse la risposta di  don  Aquilante. «Mio cugino è incorreggibile», egli disse mentre
solite reliquie per quando si vede in pericolo!», rispose  don  Aquilante senza scomporsi. «Se credete di chiudermi la
questi discorsi facciamo addormentare il marchese», disse  don  Aquilante. Il marchese era ricaduto in quello stato di
di questi incubi? Non dormiva, come diceva in quel punto  don  Aquilante. E dormiva poco da parecchie settimane, nel
notaio, siete assai più fino conoscitore di me.» «Allora,  don  Fiorenzo Mariani ... », riprese il notaio. «Io?», lo
» «Dichiaro la mia incompetenza», s'affrettò a rispondere  don  Aquilante che aveva già riposto nel vassoio il bicchiere
e il cavalier Pergola che voleva far prendere una sbornia a  don  Aquilante, l'aveva presa invece lui, leggerina, sì, come
l'aveva presa invece lui, leggerina, sì, come quella di  don  Fiorenzo Mariani che gli sedeva dirimpetto, ma chiassona e
Aquilante, evocate gli Spiriti, o li evoco io!», mentre  don  Fiorenzo, levato in piedi col bicchiere in mano, per
dare importanza alle parole del cugino. Il quale, mentre  don  Aquilante, appoggiati i gomiti su la tavola, con la testa
il cervello; il cavaliere tacque sorridendo stupidamente.  Don  Fiorenzo, dall'altra punta della tavola, urlava intanto:
due soldi vecchi, egli diceva. Ma avendole mostrate a  Don  Pietro , questi gli disse: - Che te ne fai? Dàmmele. E
gliele diede. Il Soldato e gli altri contadini, mentre  Don  Pietro celebrava la messa, si erano divertiti a far credere
per trovar l'occasione di dirglielo, aspettando anzi che  Don  Pietro lo avesse capito anche senza che lui
lo avesse capito anche senza che lui gliel'accennasse. Ma  Don  Pietro sorbiva lentamente il caffè rimasto nella tazza in
massaia? Esclamò Scurpiddu stupito. - Vieni qua, - disse  Don  Pietro. - Lo sai tu cosa sono i peccati? - Primo: dire
tu cosa sono i peccati? - Primo: dire bugie - continuava  Don  Pietro - Secondo: rubare, prendere di nascosto roba non sua
che valgono dieci lire l'una. Sono mie le ho trovate io!  Don  Pietro e la massaia scoppiarono a ridere. - Anche più di
a ridere. - Anche più di dieci lire l'una! - soggiunse  Don  Pietro, scherzando. - Ma io non te le ho prese le monete;
All'ultimo, vedendolo quasi con le lagrime agli occhi,  Don  Pietro aveva dovuto rendèrgliele; e per ciò si trovavano
per la via, di questo strano Santo. Giovanni si stupiva che  don  Clemente non gli avesse detto nulla, in passato, della
il discorsino in piazza. Eran cose di cui aveva parlato con  don  Clemente, mostrandogli come quella parola di Gesù non sia
qualcuno alle loro spalle. Che sorpresa e che gioia!  Don  Clemente! Anche il bel volto del Padre si accese. Egli
parlò. Il primo a rompere il silenzio fu Giovanni. Certo  don  Clemente andava a Jenne come loro? E forse ci andava per lo
persona, l'ortolano, eh, l'ortolano di quella sera? Ah  don  Clemente, don Clemente! Sì, don Clemente andava pure a
l'ortolano, eh, l'ortolano di quella sera? Ah don Clemente,  don  Clemente! Sì, don Clemente andava pure a Jenne, ci andava
di quella sera? Ah don Clemente, don Clemente! Sì,  don  Clemente andava pure a Jenne, ci andava per vedere
sentì stanca da capo. Prese il braccio di Maria, lasciò che  don  Clemente si dilungasse con suo cognato. Allora don Clemente
che don Clemente si dilungasse con suo cognato. Allora  don  Clemente confidò a Giovanni che aveva una missione penosa.
scritto all' Abate e l' Abate aveva dato l'incarico a lui,  don  Clemente, di recarsi a Jenne e di chiedere a Benedetto la
Jenne e di chiedere a Benedetto la restituzione dell'abito.  Don  Clemente aveva cercato invano dissuadere il vecchio Abate
E poiché qualcuno doveva portare questo messaggio a Jenne,  don  Clemente preferì di portarlo egli. Aveva poi anche ricevuto
sosta. Le Signore si erano sedute all'ombra di un sasso.  Don  Clemente si congedò. Si sarebbero riveduti a Jenne! Maria
corre di bocca in bocca nella folla atterrita. Fu trovato  Don  Diego disteso e senza vita sotto un Fauno di marmo dalla