pregiato, facile alle compiacenze che rampollano da felici scoperte erudite, restia a lasciarsi andare ad un’ammirazione che nasca da puro diletto estetico
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Sullo scorcio del secolo XVI era comparsa in Bologna un’esotica figura di uomo. Un pittore di paesaggi, partitosi da Anversa, sua città natale, avea
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maestri, ma, come ho detto, per inesorabilità di leggi storiche; giacchè, giunti tardi, domando come avrebbero potuto fare ad astrarre del tutto da ciò ch
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diventerà, reputo si possa dire che l’elemento desunto dal Calvari sia stato da lui mantenuto per deliberata volontà, giacchè egli era già si padrone
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Guido nella sua giovinezza ebbe un periodo in cui si lasciò alquanto andare agli adescamenti della nuova maniera praticata da Michelangelo da
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’artista si senta come circonfuso da un’aura favorevole che ne avvivi e fomenti gli spontanei germogli; che da quest’aura, preparata e spinta da lunga
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pittorici; e difatti il periodo caravaggesco durò poco. Si narra ch’egli un giorno udisse da Annibale Caracci su per giù questo discorso. “Il Caravaggio
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quella di un cielo velato da lievi nuvole grige, in cui la intensità colorifica di tutti gli oggetti si smorza alquanto, e tutti i toni hanno qualcosa di
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Vitale, trascurato da Jacopo Avanzi, da Simone, da Cristoforo, da Giovanni, da Andrea di Bologna, e merita più tardi la tenera ammirazione di tre
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genere c nella Maddalena detta dei Corsini, di cui c’è a Bologna una bella copia nella sagrestia di S. Michele in Bosco, dipinta da Domenico Canuti
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ogni più lieve modificazione il fascino cadeva, che aborriva sopratutto da ogni significazione di precisa individualità particolare; dimodochè pensai sin
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, sembra guardar la miseria degli spettatori con una misericordia clic attinge inattesa efficacia da quell’aspetto di soldato gagliardissimo. Ma non è cosa
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, folleggiale e troppo mosso nell’ebbrezza del suo trionfo, ma che è pittura tuttavia sì robusta da doverne tenere il più alto conto, ora specialmente che
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qual doveva essere nella primitiva freschezza, esce da quelle figure fosche, solenni e rigide nel dolore, esce da quella tetraggine del cielo e della
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, nella famosa Aurora che volle da lui il card. Scipione Borghese, ora detta dei Rospigliosi. Che importa se, inebriato dagl’inviti e dalle onoranze
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da Ercole Roberti chiamato da Domenico Garganelli a frescare la cappella in S. Pietro che noi invano cerchiamo? Ei vide in trono vergini non leggiadre
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Questi bei fiori erano stati trapiantati a Bologna da Marco Zoppo, che ne avea colto a dovizia nel giardino dello Squarcione. Ma non dee ripetersi il
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ferrarese avrebbe fatto sì grande sacrificio d’amor proprio da scambiare affatto i termini di rapporto. Ma un atto tale di riverenza al bolognese e di
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Si è molto ripetuto che il Francia cominciasse a dipingere a quarant’anni, e che la tavola commessagli da Bartolomeo Felicini per la chiesa della
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troviamo a trentasett’anni non solo pittore, ma tanto ammirato pittore da suscitare quest’iperbolica lode.
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La mattina del 12 marzo 1460 quasi tutta la popolazione di Bologna, attratta da una pompa insolita, doveva essersi stretta nella piazza di S. Giacomo
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coraggio di avventurarsi a più franca maniera. Gli resta forse nulla più che un passo da fare, un passo solo, e non lo fa. Lo trattiene un’invincibile
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; ma nello studiare così da vicino le linee di cui ogni oggetto si componea, non seppero mai astrarne e farne saggiamente sparire qualcuna, come le fa
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resto, un artista ha ben diritto di dire che il cadavere di Cristo non è un cadavere comune, e lasciar presentire che la vita, assente per poco da
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l'attenzione a quell’armoniosa struttura dei lineamenti, ma bisogna aprir l'animo alle compiacenze .interiori dell’artista, accertate da quegli sguardi sì
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sopravvivano di sì lunga e nobile operosità. L’una, il Crocifisso, fu fatta fare da Bartolomeo Felicini quando sposò Dorotea Ringhieri (ci sono
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da lui la volta della Sistina, e il Francia resta di nuovo in mezzo a gente che gli sorride. E intanto forse egli un bel giorno ha varcato
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. Lorenzo Costa era stato chiamato alla Corte di Mantova, dopo la morte del grande Andrea Mantegna, e ne era trattato con tale larghezza e bontà da non
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Forse tra questi giovani ce n’era di quelli che si ricordavano d’un piccolo Presepio dipinto da Raffaello, certo di maniera umbro-fiorentina
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, osservando le pitture del palazzo del Te a Mantova, le stimerebbe fatte da un seguace di Michelangelo. Vivente Raffaello, i discepoli di lui, benchè legati
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tecniche, che allacciavano talmente l’intelletto e le mani d’un giovane, da non lasciargli la libertà di trasportarsi ad un’altra scuola troppo
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avuto una rivoluzione da fare. Ma, per vero dire, con tutti i miei se io supponea l’assurdo. Ciò non poteva avvenire. Gl’imitatori non sono mai
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contemperarlo con altri elementi tolti da Raffaello e dal Correggio. Ma io non devo ora occuparmi di costoro.
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, correndo il nostro secolo, da’ possessori d’Urbino mediante un cambio con altra opera d’arte. Poca attenzione merita Cesare Tamarozzi, disegnatore
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regole scolastiche; e non c’è altro da dire. Lodevole molto però è la figura della santa, gentile c modesta quanto nobile, con un senso, finissimamente
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morta straziata dall’umiliazione, dall’annunzio di tante sventure, dai rimproveri del marito. Giovanni II attende rabbioso a meditar da lontano le
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Giacomo Francia in tutta la vita non sembra aver avuto altra ambizione che di somigliare a suo padre. Ma non è mai avvenuto che chi parte da un
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raffaellisti non solo, ma tra le purgatissime delicatezze di Benvenuto Garofolo, tra la florida grandiosità di Girolamo da Carpi, tra il brio decorativo c
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pittura bolognese da non lasciar scorgere facilmente a prima occhiata quelle degli altri. Sono il Bagnacavallo e Innocenzo da Imola, ambedue nell
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della mente che l’ha accolto, è da considerare piuttosto che, non volendo l’imitatore ripetere tali e quali gli esemplari idoleggiati (chè allora
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, dicendo che il desiderio di dare risalto ai meriti dei suoi concittadini non lo rende si cieco da non fargli vedere che questo imolese vale più di
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spesso s’avventura da incauto, come in un gorgheggio difficile un orecchiante proclive a uscir di tono. Ambedue riproducono, quando possono, motivi
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; lo dice finalmente il contratto, scovato da Corrado Ricci, in cui Innocenzo si obbligò nel 1517 a fare quella pittura.
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di costui. Ei ci lascia col dolore di vederlo uscir subito da una strada eh’era meglio accomodata ai suoi passi. Basta volger lo sguardo per vedere lo
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’arte era spinta da due ingegni prepotenti sì che non sembrano umani, Leonardo e Michelangelo, cooperatore del gran moto, ma troppo chiuso nel suo
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domina; sempre è uno svolgimento stimolato da un’azione tutta riflessa. Restano anche alcuni affreschi nella palazzina della Viola, i soli avanzi del
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, sepolcro Beccadelli. Pregevole nel suo stesso deperimento è la Visitazione in S. Vitale, tanto più che il Bagnacavallo qui sembra indipendente da
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ingannevole, ove non c’è che l'approssimativo della forma, ove le carni non hanno consistenza. Dinanzi al Bagnacavallo e ad Innocenzo da Imola convien passare
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Girolamo da Carpi e a Girolamo da Treviso dipinse la volta elegante della sagrestia di S. Michele in Bosco, la quale perciò si chiama la volta dei tre
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numerosissimi eredi del Francia ? È frequente trovar opere di cui non può dirsi altro se non che sono della scuola del Francia; frequente vederne tali da
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