La finestra della stanza in cui riceve affaccia su una piazza dove, dall'alba al tramonto, c'è mercato.
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La nuova ala del cimitero di cui è ancora possibile prenotare i loculi. Una bella parete di mattoni a vista, e in un silenzio, in un verde, sembra un
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Anziane e vedove, tornano a vivere insieme nella casa in cui trascorsero una giovinezza allegra e accordata.
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, non ai suoni suscitati dalle dita, ma al suono, inudibile, da cui scaturiscono quei suoni.
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, parlano muti dal punto in cui partono le arterie, dove inizia il respiro. Traversamenti veloci. Voci alte e fioche.
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niente che siamo e questo restare, questo seguitare. E la grazia di un gesto, la credulità nella promessa. E il vuoto in cui tutto pencola, e in esso
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Gli sposi partiranno prima di notte, per un paese remoto di cui nessuno sa pronunciare il nome.
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, spesso cerca nella memoria il momento in cui trovò nella gabbia il piccolo corpo inerte.
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Una domanda a cui rispondo in fretta: sono in un vento che annuncia un temporale, ascoltando una radio notturna che parla di futuro.
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Racconta che da anni paga la stessa pigione per lo stambugio in cui disegna e dipinge.
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, oltre la piazza vuota e il gelo di panchine intirizzite su cui nessuno siede. Chiusi i chioschi dei giornali, chiusi i portoni mentre passa il vento che
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l'uso del Sud da cui proviene.
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donne intonano un canto in cui impetrano perdono: sfiancate, le palpebre pesanti, i piedi gonfi, per un'ora lontane dalle case con le serrande, dai mariti
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della fine, ma era solo un immenso lenzuolo bianco sotto cui dormivano bianche moltitudini, qua e là s'affacciavano parvenze vestite di bianco, disfatte
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Mi chiedo, osservando le foto più antiche, se tra quei nomi ci siano anche quelli le cui ossa andarono disperse nel trasporto dal vecchio cimitero a
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dietro un vetro che ha molte parti già offuscate, le tibie sono molto più numerose dei minuscoli crani collocati in alto e di cui non sappiamo né il
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Pensando a te ho scritto una poesia, per cercare di spiegare, una poesia a cui non so dare un titolo:
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Dopo che ho preparato da mangiare mi riposo e aspetto, fu- mo una sigaretta, cammino per la casa, sbocconcello dalla tavola qualcosa il cui sapore mi
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la riva del mondo in cui siamo corrisponde al confine di un letto...
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rallentando il passo ciascuno tutti i giomi pro- lunga il suo soggiomo in corridoio, da cui ritorna sempre con un”aria più serena e una luce più
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momento, ed è un momento, un attimo, in cui non voglio dimostrare niente, voglio solo andarmene contento, nella sicurezza di aver parlato con qualcuno, e
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. Sto in bilico tra paura e sicurezza. Sto nella situazione in cui si sogna. Allora scrivo e ogni tanto mi awenturo in terrazza e sollevo l'oleandro e il
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una specie di rigurgito, di cui mi vergogno, un resto di un bisogno di bellezza con in più la paura di dover stare da solo. Prima di andare, vorrei
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di cui non so il nome.
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da pranzo, su cui la moglie posava dolci e bevande. Laureato in Cirenaica, ne faceva fede il diploma in mostra nello studio, una volta gli sfuggì di
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quanto quello in cui ci muoviamo noi ritardatari, così pazzesco com' è, sembri alla nostra ragione l' unico in cui la divinità può svolgere i propri
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, poderoso eterno ragione e forza a tutto l'universo salve o superba! Te nel silenzio gravido di suoni te nel piano profondo o palpitante cui nuovi germi
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forte risponde l'impeto selvaggio e giovine del fiume rapido cui le corrose ripe trattengono: il suo possente muggito al sibilo della procella
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chiusa, dal battuto di terra, dov'è entrato una volta ch'era scalzo il bambino, e ci ripensa sempre. Sei la camera buia cui si ripensa sempre, come al
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Quando ti parlo,come uno sparviero sono leggero ; come l'augel che bee l'aure remote in cui le note vibran forse degli angioli d'Iddio! Sul cranio
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castagne, empiono i rami a cui cascan le fronde, e i nidi abbandonati son circondati - di testine bionde. La casicciuola e la castalderia colman la
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! Guardate: è l'uom che sanguina da una terribil piaga; è l'uom cui l'astro suscita e cui la mota indraga; è l'uom cui l'irco secolo disse: - Per me
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maledissi gli angeli per me, per tutti gli infelici, a cui avvelenò la giovinetta vita il contemplarli, e la manìa precoce delle parole dette a bassa voce
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: " Fingi, ridi, pensaso buffon! La moneta dell'uomo infelice non ha corso, nè luce, nè suon! " - Gote mie cui non seppero i baci mascherar del sol velo
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pallida cui l'oro non monta; fratello, racconta, l'affronta senz'or! - - Son muto, son gelido, scordai la mia vita; è nebbia, è caligine la landa
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di giornate regali il don mi offria. Un giovin Sire senza scettro d'oro, ma cui nutrian d'aromi e terra e cielo, e una corte di sogni e di speranze
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Vi conterò la storia della morta per cui suonano adesso la campana - era una tosa piccolina e smorta che abitava vicino alla fontana. Toccava appena
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eterea, oh a te, dall'alto, cui di notte agogno, una ultrice tempesta urli sul viso e spenga col tuo raggio ogni mio sogno!
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Come fra nebbia nei boschi caduta, io dell'età vissuta, rammento i giorni sacri al primo amore; quelli in cui sbuccia il core come dai chiusi petali
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dolce di noi ricordar! E se Napoli, giunti, vi chiede che novella Milano le dà, voi cui mesce l'italica fede alla gioia un'immensa pietà: dite a lei
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corrente in cui si specchia la ricciuta fanciulla oppur al vecchia che ti guarda ridente. Aneli alla mestizia solitaria per cui l'arte respiri insiem
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mio, molte sciagure di cui farai tesoro: esse valgono - sai? - nell'ore oscure oh! molto più dell'oro! Ti lascio i sogni e le illusïoni, mille imagini
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nostro invito: fu certo un cenno della mia sorella che di me ti ha invaghito, o un sospir di mia madre! - Ero un intruso di cui dicean " morrà presto
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È l'ora in cui gli augelli accovacciati la testolina ascondon sotto l'ala; le lucciolette ricamano i prati, e canta a vespro la fulva cicala
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Coronato di rovi e di pruina ecco il Febbraio. Buone madri, cui desta alla mattina la pioggia che vien giù rapida e fina, e il canto del rovaio
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mondo è un rachitico fratello, di cui ti stanca la elegante posa; e tu cali il telone, schiudi i tubi, lasci la folla vana e vanitosa agli ombrelli
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occaso, e par che inviti colle fiamme estreme le razze a unirsi insieme! Addio sussurri di cui Dio soltanto ha la profonda chiave; addio lene compianto
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troppo superba! - Mai non volle fermarsi per cinguettar coll'erba! - Sdegnò sempre dell'orto la procace verdura! - Del limo in cui cantiamo pareva aver
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tugurio a capanna d'intorno che susurro, che ciancie, quel dì! Che dirà questa povera gente, cui repente - il miracolo appare ? Vecchierelli, aspettate
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nostra cortina da cui, stanchi e lividi, ci assal la mattina! Tu dici: " O amatissimo, sei Giove, e io son Frine!... " scotendo sugli omeri le chiome
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