Questa specie di morte civile, come artista, fu dunque attribuita ad Utrillo per una mostruosa congiura di mercanti, oppure c’erano, fin da allora
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Santi, tra cui Giovanna d’Arco. Seguito dall’ombra della moglie, andava in chiesa quando non c’era nessuno. E meditava la fuga. Infatti nel 1950 Utrillo
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pittore, appena toccano i pennelli, benché svogliate, cessano di tremare. La gioia delle folgoranti mattine, in attesa del bere, non c’è più. L’aria
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da Toulouse Lautrec; c’è perfino cordializzata nel grottesco, la sua amara satira; e così nei dipinti di Bonnard fra il 1895 e il 1905 — molti dei
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nei suoi numerosi viaggi e trasmigrazioni per il mondo, l’Europa in tasca: e c’è perfino un pizzico d’Italia nel nome suo, Pougny, ché il nonno era
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questa mutevolezza non va ricercata soltanto nella inesauribile fantasia del Maestro, nel suo spirito profondamente anti-conformista — e c’è un
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Non c’è forse mostra di artista vivente in questa XXX Biennale di Venezia, più indifesa e impreveduta per il pubblico medio — e non solo per esso
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C’è però da osservare che in Braque, se manca il particolare senso felino ed aggressivo che Picasso imprime in tutti i suoi personaggi, non manca la
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levità e una gentilezza di tocco quasi tonale? E non c’è nel quadro dal titolo «Nel quadrato nero» vagamente calibrato il modo di campire dentro lenzuoli
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— noi diremmo piú propriamente frustra — la nozione in una sorta di «contronozione»; c’è in cielo una nuvola? E perché non una rupe, con la medesima
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ad esperienze ed assaggi: basterebbe il gruppo dei cartelloni eseguiti dall’artista dopo il 1950; qui gli stili addirittura si moltiplicano: c’è lo
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— di esprimere criticamente il mio pensiero. Giacometti disse che nel mio discorso c’era «del buono», sopratutto quando io volevo riferirmi alla sua
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mezza dozzina di quadri; ma non c’era da crederli, anche se tutti mostravano di non mettere in dubbio questi racconti strabilianti.
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la coda dell’occhio che c’è l’arco di Tito mentre insegue le farfalle, poi mette l’arco nel quadro, al più come un’ombra fra azzurra e grigia.
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nostra e la amoralità di De Pisis c’è di mezzo almeno una guerra, si deve però aggiungere che anche la amoralità di De Pisis è un fatto positivo per lo
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Forse non c’è quadro del pittore, eccetto il suo autoritratto (l’opera più alta dell’artista) che non abbia un equivalente più espresso nella pittura
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testa, La ridente; e c’è anche una sfumatura del rigore e del giuoco dei metafisici (Mia moglie, Testa); e se vogliamo proprio guardare con una lente di
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la grande ammirazione per Scipione ebbe anche radice in una somiglianza, diremo quasi in una omertà fra lui e i suoi ammiratori: quanto c’era in
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C’era poi la faccia social-letteraria nel prisma di Scipione: c’era l’amicizia per il suo collega d’arte, Mario Mafai e per l’Antonietta sua moglie
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A vederlo disegnare c’era da stupire per la meravigliosa mobilità e la fantasia degli espedienti che gli suggeriva quel suo modo frenetico e
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. E c’è un mutamento anche nell’ordine «mistico» e della «iconografia» religiosa del maestro bergamasco dopo il Cinquanta: se le sue bambine sedute, le
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larghissimamente l'espressionismo di Levi. C’è un solo incontro, non sappiamo se consapevole, oppure se nato dalla comune matrice soutiniana, di Carlo
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Guardate i vari atteggiamenti dei personaggi dipinti: c’è chi si mette in posa a braccia conserte, come il giovane dalla camicia di macchinista col
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lezione dell’avanguardia, in quanto c’era di meglio in Italia (sopratutto in Morandi) e in quanto di stupefacente aveva dato la generazione dei Maestri
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I pittori dell’antinovecento fecero dunque il medesimo ma con una misura diversa, nei due termini della dialettica. C’è chi è proclive a vedere nei
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e la generazione degli astrattisti di tutte le figliazioni e parentele, c’è di mezzo la grande levata di saracinesche del 1945, l’esperienza
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di un altro buon viaggiatore italiano, Francesco Menzio — compreso assai bene la lezione di Bonnard) scrive che in quel Mafai «c’è una specie di
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espressionista (a Roma davvero inesistente; c’era stato soltanto Levi a fare a Roma l’espressionista, e di passaggio), la spiccata e originale figura di
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inimitabile; forse c’è una sola persona che possa imitarlo (cosa che pensiamo avvenga talvolta) ed è lui stesso.
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senza cadere nell’antico impaccio. C’è davvero un salto qualitativo tra queste opere e quelle che commentammo nella scorsa Quadriennale. Si guardi ad
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medesime ma non identiche, a quelle più unitarie e grandeggianti di ieri, la «Marisa C.», uno dei ritratti, anche se non il più bello, eseguiti dallo
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fucilato con le sue mani e braccia dietro la schiena, il superstite col suo passo incerto eppur vitale; c’è pure una regina con due seni occhiuti alla metà
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Ma la mostra non è fatta soltanto di queste «nature morte» scure, di questi oggetti dal significato patriottico; c’è nella esposizione di Gianquinto
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» di Brancusi. D’altro canto, se c’è una plastica elegante, di una altezza che è pari alle straordinarie abilità tecnica e artigiana del Maestro, è
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E se c’è una accusa al grande scultore tanto ripetuta quanto poco pertinente, è proprio quella della sua inoperosità o scarsa attività negli anni
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-programma; ma il movimento c’era, c’era il programma e si poteva riconnettere un comun denominatore fra i componenti del gruppo in tutto il mondo, a
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forze al di là del visibile; c’è sempre, è vero, in queste crepe grondanti, in queste carezze di spine, una immagine malinconica di sudario; ma questa
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affermare che la natura è soltanto un pretesto per l’arte. In natura con c’è nulla di scritto, per Delacroix; in questo grande «dizionario» le parole vanno
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1822. Delacroix era odiato anche a motivo del suo «cronachismo»: c’era stato prima di lui a metter fuori dei gangheri tanti critici e pittori
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profondissima del primo piano, inquadrano questo palcoscenico di vita, la barca, dove nessuno più grida o si sbraccia. L’agitazione c’è già stata: ora ciascun
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