medio evo, alla realità materiale messe avanti l’idea, al disonesto servaggio la libertà e l’eguaglianza, e trionfò delle tradizioni pagane colla fede
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Ma se al regio architetto Paoletti si deve grande riconoscenza per quello che fece, più assai conviene tributargliene per quello che seppe insegnare
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, mutarono le sorti della Toscana, e quel lavoro rimase sospeso, finché sotto i Francesi lo finiva il Cacialli. Pure non mancarono al Poccianti, nominato
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strada che va da Orsanmichele al Bigallo; utilissima opera che non gli fu concesso vedere ultimata.
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riedificata con suo disegno (1818-32), l’atrio maestoso che serve d'ingresso al Collegio Tolomei in Siena (1818), la chiesa e la canonica di Fogliano
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GIUSEPPE MANETTI fiorentino (n. 1761, m. 17 febbraio 1817) studiò in Roma l’architettura eoa molto profitto, e al suo ritorno in patria, appena di
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m. 5,167. Ogni 17 archi evvi un pilastrone che provvede alla maggiore stabilità dell’edifizio, e anche al suo adornamento. Tutta l’opera si eleva m
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andarono disperse. Fu questa per lui la più grande delle sventure, e tanto se ne accorava che infermatosi, un lento morbo lo condusse al sepolcro. Lasciò
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meschini, e il dispendio dell’opera non concesse attuarla. Un decreto del 4 febbraio 1841 ordinava al Bettarini di recarsi a Tolone per istudiare sul
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a spirale con assai vaghezza ed accorgimento; la Tribuna di Galileo eretta nel 1840 al Museo di Fisica e Storia Naturale, e il palazzo della prima
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, nè a sufficenza esposte e dichiarate, da cavarne idee generali, che rispondano al diffìcile quesito se l’arte sia o no veramente in progresso tra
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chiarire del fatto. Ogni lume dell’arte, ogni salutare precetto era dimenticato: studiare il vero, inutile; gli antichi, pedanteria; ispirarsi bene al
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imbarbarito del tempo, che tanto si compiaceva di codesti materiali trovati, in cui tutt’al più si loda l’abilità di un lavoratore. Mancato lo Spinazzi (17
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Superiore in merito al Carradori e di gran lunga, come quello che primo stampò un orma sicura sul nuovo campo dell’arte, fu STEFANO RICCI fiorentino
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acconciarsi presso un lavoratore di alabastri in Volterra. Applicò quindi al disegno nell’Accademia fiorentina, e ben presto si dette a lavorare di
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Contemporaneo al Bartolini e non indegno di stargli appresso fu il fiorentino LUIGI PAMPALONI (n. 1791, m. 17 dicembre 1847). Dei meriti di questo
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e scegliere da essa quelle parti che meglio rispondono al fantasma concepito, era il segno a cui mirava coll’alto intelletto il Fidia toscano, sebbene
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monumento di Genova, che quel grande statuario lasciò incompiuto. Ma neppure al Freccia bastava la vita a condurre l’opera, di cui solamente fece il
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Santarelli fiorentino (n. primo d’agosto 1801) trasse dall’esempio del padre, sommo incisore di numismi1, l’amore al far di rilievo; e studiata l'arte
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Chiese, esprimenti al naturale i ritratti colorati delle persone; perchè in sul cadere dei secolo passato uomini di grandissimo ingegno la fecero
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CLEMENTE SUSINI fiorentino (n. nel gennajo 1765, m. 22 settembre 1814), attese al disegno nella nostra Accademia e riuscì in breve a dipingere e far
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addetto al R. Museo. Le sue preparazioni di animali, di piante, di fiori e di frutti, gli organismi vegetabili, e quant’altro in somma può essere utile allo
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’incarico di formare un intiero gabinetto anatomico per l’Imperatore d’Austria, ebbe mestieri di circondarsi di aiuti. Ma dei quattro ammessi al suo
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vero risiede, volle seguitare i più strani capricci, e si ridusse una matta convenzione, quasi diremmo una parodia. Pietro Leopoldo I, salito al trono
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novembre 1812), compie la triade de’ buoni pittori lucchesi del secolo XVIII. Fatti anch’esso in Roma gli studj, vi ebbe fiorita scuola fino al 1802, nel
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colorito, ed espressione somma nella testa del Santo, già sul punto di cogliere la palma dei martiri. Un’opera così bene condotta fruttò subito al giovane
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e studiata composizione; il giuramento dei Sassoni al primo Napoleone dopo la battaglia d’Iena; gli stupendi freschi della sala d’Ercole nella
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amarono di molto affetto; e quando fu commesso al primo il quadro della Giuditta per la cappella d'Arezzo, volle ad ogni modo che fosse allogato l’altro
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dipinto per la chiesa di San Paolo a Napoli. Ma una delle opere che più fece onore al Nenci sono i soggetti che disegnò maestrevolmente sulla Divina
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loro vita intellettuale per isbalzi dal cattivo al buono, ma camminano lentamente verso il meglio. E noi ogni qual volta ci facciamo a considerare la
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al maestro. Fece anche per la chiesa di San Remigio, l'Arcivescovo di Rems che dà il battesimo a Clodoveo re de’ Galli, pittura di grandi dimensioni
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Firenze, la Samaritana al pozzo nella sua villa di Fiesole, il deposto di Croce nel Duomo di Pistoja, e quella vaghissima danza della prima giornata del
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una sala al real palazzo, e che vengono stimate il suo capolavoro, e le due lunette per la Tribuna di Galileo in cui rappresentò: Leonardo da Vinci che
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giovinetto Francesco, che lo andava aiutando in quell’opera, piacque al principe Leopoldo, il quale postogli singolare affetto, con reale stipendio, che del
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intorno alla parte tecnica dell’arte. — Giorgio Berti di Firenze (n. 1794.) ebbe da natura molti di quei doni che al pittore convengono. Benché allievo
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Leopoldo fatto incisore della Zecca fiorentina, ufficio nel quale si meritò molta lode. Poi nel 1789 succeduto al padre nella direzione della
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, disegnò anch’esso e incise assai bene a bulino. Stette prima molto tempo in Parigi, e poi tornato in patria successe al padre nell’insegnamento; ma
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colla famiglia, dallo Zuccarelli; Giove e Leda, e Narciso al fonte, dal Viera; l’Orlando e Olimpia e la Vergine del silenzio, dal Caracci; Didone sul
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Contemporaneo al Bartolozzi si levò nell’arte un altro fiorentino, VINCENZIO VANGELISTI (n. 1744 circa, m. in Milano nel 1793), meno grande, se
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macchia, coi quali condusse i suoi principali lavori. Appartengono al primo le tavole pel Museo Borbonico e la raccolta dei sarcofagi sopra ricordati
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(1803); e questa con bell’esempio di non più veduta celerità, avendone al tempo istesso inciso il ritratto all’acqua forte sul rame, e tirate alcune copie
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figliuola. Ma il rame che fece nome in Europa al nostro Morghen fu la Giurisprudenza del medesimo Sanzio, tanta v’è dentro purità nel disegno
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sopra forme di zolfo in modo da assomigliare al marmo pario e ai più duri alabastri. Di questa sua scoperta, che avvivò in quei luoghi una nuova
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Giovita Garavaglia di Pavia (n. 18 marzo 1790, m. in Firenze il 27 aprile 1835), fu allievo prima dell'Anderloni, al quale prestò aiuto nella
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. 8 maggio 1792). Nel 1825 espose all’Accademia di Milano, Gesù bambino presentato al tempio, da un quadro di fra Bartolommeo da San Marco, e n’ebbe il
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modo con rara abilità. Preparavasi ad illustrare la basilica di San Miniato al Monte, quando la morte lo rapì immaturamente mentre dava di sè tanto
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E qui torremo finalmente comiato, dolenti di aver poco e forse mal sodisfatto al merito degli artisti di cui osammo favellare. Non pertanto valga
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