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Sentenza n. 1988

334062
Cassazione penale, sezione I 4 occorrenze
  • 1998
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
  • diritto
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.: sono stati indicati quali elementi indiziari ritenuti gravi, precisi e concordanti della sua appartenenza all’associazione le attività di reinserimento e di riciclaggio dei capitali, di cui conosceva la provenienza illecita e che provvedeva a gestire fiduciariamente nell’interesse di capi dell’organizzazione, ponendosi, così a stabile servizio dell’associazione, è stato affermato il suo concorso morale nei reati di spaccio ed è stata ritenuta la sua responsabilità per i reati contro la P.A.; sono state concesse le attenuanti generiche, dichiarate prevalenti sulle aggravanti contestate, ed è stata ridotta la pena complessiva;

., sicché nella sentenza impugnata è stato affermato – in maniera logicamente argomentata anche in riferimento alla non plausibilità delle giustificazioni addotte dell’interessato – che il N. svolgeva il compito di corriere della droga, come, peraltro, è stato espressamente precisato da N. G. nel suo memoriale.

La ratio decidendi della sentenza di rinvio merita consenso in quanto rappresenta puntuale applicazione di un indirizzo affermato più volte nella giurisprudenza di questa Corte in cui è stato chiarito che “è configurabile il concorso fra i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso e associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti quando si sia in presenza, da una parte, di un organismo (quello di stampo mafioso), a carattere federalistico verticistico, raggruppante l’intera massa degli associati, sia pure con suddivisione in articolazioni territoriali; dall’altra, di organismi che, operando nello specifico campo del traffico degli stupefacenti, fruiscano, pur sotto la sorveglianza e con il contributo logistico dell’organizzazione di tipo mafioso, di una certa libertà operativa e siano soggettivamente differenziati dallo schema strutturale di detta ultima organizzazione, in quanto comprendono persone ad essa non aderenti e lascino esclusi, per converso, molti degli associati (Cass., Sez. I, 30 gennaio 1992, Altadonna ed altri).

Il principio già affermato sotto il vigore dell’art. 544, comma 3 c.p.p. del 1930 (Cass., Sez. I, 9 luglio 1984, Ortisi; Cass., Sez. V, 20 novembre 1974, D’Angio) rappresenta uno dei cardini dell’ordinamento processuale e del sistema delle impugnazioni cui è connotata la regola della irrevocabilità ed incensurabilità delle decisioni della Corte di Cassazione che, “oltre ad essere rispondente al fine di evitare dei giudizi e di conseguire un accertamento definitivo il che costituisce, del resto, lo scopo stesso dell’attività giurisdizionale e realizza l’interesse fondamentale dell’ordinamento alla certezza delle situazioni giuridiche è pienamente conforme alla funzione di giudice ultimo della legittimità affidata alla medesima Corte di Cassazione dall’art. 111 Cost.” (Corte Cost., 5 luglio 1995, n. 294). A tale specifica ratio decidendi è conformata la pronuncia del giudice delle leggi con cui è stata dichiarata infondata la questione di costituzionalità dell’art. 544, comma 3 del codice di rito del 1930, sostanzialmente riprodotto dall’art. 627, comma 4 del codice vigente, sul rilievo che, stante il carattere inoppugnabile di tutte le decisioni di legittimità, “la pronuncia della Cassazione di annullamento con rinvio costituisce “un atto di valore definitivo” ed opera quindi sanatoria di tutte le nullità anche assolute verificatesi sino a quel momento” (Corte Cost., 4 febbraio 1982, n.40: cfr. negli identici termini, con riguardo alla sentenza civile di annullamento con rinvio, Corte Cost., 16 giugno 1995, n. 247).

Sentenza n. 7408

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Cassazione penale, sezione I 1 occorrenze
  • 1998
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
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., 1992, 1767), cui da questa Sezione era stata rimessa la questione per l’esistenza di contrasti interpretativi, hanno affermato che la disposizione dell’art. 28.2 u.p., anche alla luce di quanto chiarito nella suddetta Relazione, dev’essere “ragionevolmente” interpretata nel senso che “la decisione che soccombe è quella conclusiva della fase delle indagini preliminari, che nel procedimento ordinario viene presa nell’udienza preliminare”, prevalendo comunque il provvedimento del giudice del dibattimento su quello del giudice che ha disposto il giudizio “anche nel caso in cui questo non sia stato emesso nell’udienza preliminare”, come per il giudizio immediato; così, se è annullato il provvedimento che dispone il giudizio, la norma vuole che il relativo giudice “provveda ad eliminare il vizio riscontrato dal giudice del dibattimento e non possa, attraverso il meccanismo del conflitto, investire la Corte di cassazione per farle stabilire se il vizio sia o meno effettivamente esistente”.

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