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Sentenza n. 1988

334011
Cassazione penale, sezione I 38 occorrenze
  • 1998
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
  • diritto
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Il giudice di rinvio passava, quindi, ad esaminare le posizioni dei singoli imputati rilevando:

Passando ad esaminare le imputazioni aventi ad oggetto i reati contro la P.A. posti in essere in occasione dell’approvazione del piano di lottizzazione M. C., la Corte di rinvio ricordava che l’area del Ronchetto era inserita nel piano di zona pluriennale del CIMEP (Consorzio Intercomunale Milanese per l’Edilizia Pubblica) con destinazione a verde pubblico attrezzato e che nel 1985 era stata adottata una variante al Piano Regolatore Generale con cui detta area aveva ricevuto la destinazione ad edilizia residenziale con una volumetria realizzabile di 70.000 mc., dei quali 50.000 residenziali e 20.000 per funzioni commerciali e artigianali: la Corte precisava che per la configurabilità dei reati non era necessario risolvere la questione relativa alla prevalenza o meno della variante al PRG sul piano consortile giacché, ai sensi dell’art. 22 delle N.T.A., non poteva considerarsi ammessa la realizzazione di uffici, e nella trattazione del piano di lottizzazione era riscontrabile una serie di condotte di pubblici ufficiali contrassegnate da violazioni della prassi, delle istruzioni e delle circolari al fine di favorire gli interessi dei privati.

– che le persone soggette ad indagine si incontravano ogni giorno, in una fascia oraria ben determinata, nel quadrilatero formato da via Anguissola, via Cagnoni, via Palma, via Fra Galgario, senza alcuna ragione apparentemente lecita, con modalità denotanti particolari cautele, circospezione e precauzioni;

., dato che la motivazione della sentenza impugnata è saldamente ancorata ad una coerente interpretazione degli elementi probatori che unisce al requisito della congruenza logica quello della conformità all’esatta applicazione della legge penale.

Sulla base delle precise e convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia la Corte di rinvio è riuscita a ricostruire le vicende e le modalità operative associazione rilevando che questa aveva iniziato ad agire sulla piazza di Milano prima del 1985 sotto la guida di C. G. e che, dopo la morte di questo, il figlio A. aveva assunto una posizione di preminenza all’interno del gruppo, che aveva continuato ad operare sino alla metà del 1989. Al riguardo, con riferimento all’arco temporale che segna l’inizio e la fine dell’attività associativa, va precisato che nella decisione impugnata è stata correttamente esclusa la mancanza di correlazione tra fatto ritenuto in sentenza e fatto contestato per la duplice ragione che nel capo di imputazione è stata indicata soltanto l’epoca dell’accertamento del reato e che gli imputati hanno avuto piena e concreta possibilità di difendersi anche e rispetto all’effettiva durata dell’associazione.

M. proponeva ricorso per cassazione denunciando la nullità della sentenza sotto i seguenti profili: a) violazione della legge penale in relazione all’art. 75, comma 2 l. 685-75 in ordine alla configurabilità della partecipazione a sodalizio criminoso finalizzato allo spaccio di sostanze stupefacenti, affermata senza che egli elementi fattuali denotassero l’esistenza dell’accordo su cui doveva basarsi la societas sceleris; b) inosservanza ed errata applicazione della legge penale per avere dato rilievo ad un fatto che corrisponde ad una vera e propria ipotesi di riciclaggio non punito all’epoca in cui esso è stato compiuto in quanto non erano ancora entrati in vigore gli artt. 23 e 24 della l. 19.3.1990, n.55; c) mancanza di motivazione per l’esclusione del valore probatorio della documentazione acquisita da cui emergevano elementi a lui favorevoli; d) mancanza di motivazione e inosservanza della legge in ordine alla qualificazione della pena e al diniego delle attenuanti generiche.

Tali peculiari connotazioni oggettive e soggettive – individuate nei fatti attribuiti al N. dal giudice di merito con motivazione esente da vizi logici e giuridici – valgono indubbiamente a dimostrare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto contestato nella figura dell’associazione ex art. 75 della l. 685-75 ed impediscono la configurabilità di differenti fattispecie riconducibili a differenti norme incriminatrici, quale, ad esempio, quella del riciclaggio di cui all’art. 648 bis c.p.-

La sentenza veniva impugnata da tutti gli imputati, ad eccezione del C., e la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 31.1.1994, in parziale riforma della decisione di primo grado, assolveva il C. dal reato di cui agli artt. 71, 74 l. 685-75 per non avere commesso il fatto, concedeva al n. le attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti e adottava le conseguenti statuizioni in ordine alla determinazione delle pene.

V. veniva dedotta l’inosservanza di norme processuali in riferimento alla violazione degli artt. 521 e 597 c.p.p. in quanto, essendo basata la sentenza di condanna di primo grado sul fatto di avere percepito la somma di lire 34.900.000, l’esclusione della ricezione di tale somma avrebbe dovuto determinare una pronuncia di proscioglimento nè la dichiarazione di responsabilità poteva giustificarsi genericamente attraverso il riferimento ad altre somme indeterminante.

Ne consegue che entrambi i ricorsi devono considerarsi privi di fondamento per la precisa ragione che essi si limitano, nella sostanza, a prospettare una differente interpretazione delle risultanze probatorie e ad oppure alla valutazione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, finendo, quindi per sollecitare un sindacato che non potrebbe esplicarsi senza invadere l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (cfr. Cass., sez. Un., 19 giugno 1996, Di Francesco).

Con una completa e organica disamina delle risultanze processuali la Corte di rinvio ha valutato la posizione del C. osservando che i rapporti da lui tenuti con i C. non possono in alcun modo assimilarsi a quelli che questi ultimi, da anno e prima che gli stessi iniziassero ad operare in Milano, avevano col n., tanto da giustificare il convincimento che costui era stabilmente incaricato, all’interno dell’organigramma dell’associazione, di reinvestire i flussi di risorse finanziari ricavati dall’attività illecita.

Il controllo di legittimità della motivazione della sentenza impugnata porta senz’altro ad escludere dei vizi denunciati dai ricorrenti, i quali hanno dedotto che il convincimento relativo all’operatività dell’associazione criminosa è privo di solide basi giustificative in quanto è inficiato da palesi incongruenze e aporie logiche, da contraddittorietà insanabili tra le singole proposizioni attraverso le quali si articola lo sviluppo argomentativo della decisione, nonché da deviazioni dalle regole legali in tema di valutazione della intrinseca attendibilità delle dichiarazioni di persone imputate in procedimenti connessi.

D. limitatamente al diniego delle attentanti generiche, rinviando ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio; rigetta il ricorso del Procuratore Generale nonché i ricorsi di N. M., G. G., B. L., Z. A., M. R., S. V., T. R. e La R. G., condannando questi ultimi al pagamento in solido delle spese processuali;

. – Sono sottratte alla preclusione ex art. 627, comma 4 c.p.p. le censure a mezzo delle quali i ricorrenti hanno denunciato la inutilizzabilità derivata delle prove raccolte dal giudice di rinvio muovendo dalla premessa che esse sarebbero in rapporto di necessaria derivazione con le intercettazioni ambientali, sicché, se fosse fondata la doglianza, alla decisione gravata dovrebbero addebitarsi l’elusione del dictum contenuto nella sentenza di annullamento e, di riflesso, la violazione del principio di diritto enunciato dalla Corte regolatrice al quale il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi ai sensi della disposizione di cui la terzo comma dello stesso art. 627.

Dall’applicazione di tale criterio direttivo deriva che la motivazione della sentenza impugnata non merita le critiche ad essa rivolte, da opposti versanti, dall’imputato e dal P. G. di Milano in quanto il dubbio sulla responsabilità del C. è risultato di una accurata e organica disamina delle risultanze probatorie, condotta secondo le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in termini del tutto ineccepibili che forniscono la giustificazione razionale del convincimento espresso in merito alla situazione di incertezza e di equivocità delle prove.

. – Passando ad esaminare i ricorsi relativi al capo di sentenza contenente la pronuncia di condanna per il reato di corruzione di cui agli artt. 81 cpv. e 319 c.p. nei confronti dei funzionari del Comune di Milano, T. e M., nonché dei reati di cui agli artt. 81 cpv. e 321 c.p. a carico di C., N. C., T., C., deve rilevarsi che le censure formulate dai ricorrenti sono destituite di giuridico fondamento e devono essere, pertanto, disattese, in quanto le linee argomentative della sentenza impugnata risultano, sul punto, pienamente congruenti sul piano logico e corrispondono all’esatta applicazione di norme giuridiche.

.: il primo ha dedotto che è stata esclusa l’appartenenza dell’imputato all’associazione finalizzata al narcotraffico con una motivazione manifestante illogica; carente, priva dei necessari passaggi logici e con vistose incongruenze; il secondo ha sostenuto che una corretta interpretazione degli elementi probatori avrebbe portato senz’altro ad escludere la situazione di incertezza probatoria ritenuta, invece, sussistente relativamente alla condotta tipica della partecipazione all’associazione criminosa.

G. è stata ricondotta ad un contesto probatorio che, con una seria valutazione rispondente ai canoni logici e giuridici posti dall’art.192 c.p.p., è stato reputato univocamente indicativo dell’inserimento dell’imputato nell’associazione dedita al traffico di droga. In proposito, la Corte di rinvio ha fatto puntuale richiamo alle plurime e convergenti chiamate in correità, fatte dai collaboratori M. e Di D. , a riscontro obbiettivo delle quali sono state indicate concrete condotte del La R. e i suoi rapporti con altri associati (in particolare, quelli con un esponente di spicco come lo Z., rilevati direttamente dai Carabinieri.

. – Infine, con riferimento al capo di sentenza concernente gli interessi civili, premesso che l’estinzione del reato per prescrizione, intervenuta per taluni imputati, non è di ostacolo all’esame dei motivi di ricorso riguardanti la liquidazione del danno a favore del Comune di Milano costituito parte civile e alla provvisoria esecutività attribuita alla relativa statuizione, deve porsi in evidenza che le censure espresse dai ricorrenti risultano del tutto prive di specificà, in quanto, oltre ad una generica doglianza di illegittimità per violazione di legge e per illogicità della motivazione, i motivi non consentono di individuare le precise ragioni che giustificherebbero l’annullamento della pronuncia.

., in base alla rilevata presenza dell’imputato in quattro occasioni in via Albissola – in orari, con atteggiamenti denotanti la trattazione di affari illeciti e in compagnia di altri associati – e al fatto che, ad un controllo, fu trovato in possesso di una busta contenente circa 250 milioni di banconote di piccolo taglio, consegnatagli poco prima dallo S., sicché nella sentenza impugnata è stato affermato – in maniera logicamente argomentata anche in riferimento alla non plausibilità delle giustificazioni addotte dell’interessato – che il N. svolgeva il compito di corriere della droga, come, peraltro, è stato espressamente precisato da N. G. nel suo memoriale.

. – Dai principi testè esposti si evince che il fondamento della disposizione di cui al quarto comma dell’art. 627 c.p.p. poggia sulla definitività delle decisioni della Corte Suprema di Cassazione e sul meccanismo, ad essa strettamente correlato, delle preclusioni derivanti dalla res iudicata, ditalché delle sentenze di annullamento con rinvio deriva l’insuperabile ostacolo al nuovo esame di tutte le questioni relative alla nullità e all’inammissibilità dei precedenti atti processuali: difatti, nell’ottica dell’analisi ricostruttiva recepita anche dalla citata giurisprudenza della Corte Costituzionale, nullità e inamissibilità diventano oggetto di sanatoria e non possono essere più riproposte nè possono essere più fatte valere come motivo di annullamento della sentenza di rinvio.

., dato che i risultati hanno come unica fonte l’esame dei testi, assunto con le forme di rito e nel contraddittorio tra le parti, e l’autorizzazione alla consultazione, finalizzata ad agevolare la memoria dei fatti, è stata congruamente giustificata con la circostanza che l’escussione riguardava vicende verificatesi molti anno prima e che le indagini si erano protratte per vari mesi con l’impiego di un rilevante numero di militari operanti secondo turni di servizio.

A. all’associazione è stata ritenuta dimostrata mediante il coordinamento di distinti elementi probatori, pienamente convergenti tra loro, desunti dalle deposizioni dei Carabinieri, dalle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia e della diretta partecipazione dell’imputato all’operazione di via Salis del 27-28.4.1989, avente ad oggetto la cessione di un quantitativo di droga di ben 100 chilogrammi. con pari compiutezza e plausibilità logica è stato ritenuto provato il ruolo di dirigente dell’organizzazione criminale, assunto dall’imputato dopo la morte del padre, appartando, in proposito, muniti di univoco valore dimostrativo, oltre alle precisazioni dei collaboratori , gli accertati suoi collegamenti con l’associazione mafiosa denominata “cosa nostra”, da cui il gruppo operante in Milano veniva rifornito.

., appartenenti ad altri gruppi dediti al traffico di stupefacenti in rapporti con associazione per cui è processo, la Corte di rinvio ha posto in evidenza, con motivazione esauriente e immune da carenze logiche, che le loro dichiarazioni sono contraddistinte da spontaneità, da disinteresse, da intrinseca coerenza e precisione di gravi reati e, anche in sede di contrastante, hanno fornito un racconto puntuale, costante e coerente. Quanto al controllo dell’attendibilità esterna, la Corte di merito ha giustamente considerato che convincenti elementi obiettivi di riscontro possono trarsi dal contenuto delle disposizioni dei Carabinieri, ditalché la totale convergenza delle distinte fonti di prova è stata reputata univocamente significativa dell’esistenza associazione ex art. 75 della l. 685-75.

Con ineccepibile consequenzialità logica, la Corte di rinvio ha tratto alcuni importanti corollari dalle accertate circostanze fattuali, ritenendo che l’associazione finalizzata al narcotraffico aveva esteso la propria attività ad altri settori economici e che lo specifico ruolo del N. era quello di curare il reinserimento dei capitali provenienti dall’attività illecita mediante una vera e propria interposizione per conto dei C. posti ai vertici dell’organizzazione criminale e, di riflesso, anche nell’interesse dell’intero gruppo: con innegabile coerenza argomentativa il giudice di merito ha valutato, con prudente apprezzamento, tali dati fattuali inferendone che la responsabilità per il delitto associativo deve essere ricondotta al fatto che egli era al servizio stabile dell’organizzazione e ne rafforzava la compagine e le capacità operative con l’assicurare il reimpiego e la “mimetizzazione” degli imponenti provenienti dell’attività criminosa.

(il primo e il terzo dirigenti dell’associazione), partecipò in via Salis al carico della autovettura Volvo nei cui pannulli delle portiere e nel cui filtro dell’aria fu trovato nascosto un ingentissimo quantitativo di droga: come e ’ stato lucidamente osservato nella sentenza impugnata, tale episodio, unitamente ai frequenti e continuativi rapporti con altri associati, rende pienamente attendibile la conclusione relativa alla responsabilità del M. per il delitto associativo non risultando credibile che un gruppo criminale, la cui attività era accompagnata ad una operazione così importante e compromettente quale quella del carico di un ingente quantitativo di droga sull’autovettura Volvo.

La ratio decidendi della sentenza di rinvio merita consenso in quanto rappresenta puntuale applicazione di un indirizzo affermato più volte nella giurisprudenza di questa Corte in cui è stato chiarito che “è configurabile il concorso fra i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso e associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti quando si sia in presenza, da una parte, di un organismo (quello di stampo mafioso), a carattere federalistico verticistico, raggruppante l’intera massa degli associati, sia pure con suddivisione in articolazioni territoriali; dall’altra, di organismi che, operando nello specifico campo del traffico degli stupefacenti, fruiscano, pur sotto la sorveglianza e con il contributo logistico dell’organizzazione di tipo mafioso, di una certa libertà operativa e siano soggettivamente differenziati dallo schema strutturale di detta ultima organizzazione, in quanto comprendono persone ad essa non aderenti e lascino esclusi, per converso, molti degli associati (Cass., Sez. I, 30 gennaio 1992, Altadonna ed altri).

., in riferimento alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, corrispondente ad altro motivo per il quale è stato pronunciato l’annullamento.

La sentenza n. 1114-95, che ha annullato la pronuncia di secondo grado, rappresenta, quindi, l’imprescindibile termine di riferimento alla cui stregua devono vagliarsi l’ammissibilità e la consistenza delle numerose eccezioni di rito formulate dalle parti in riferimento sia ai vincoli di ordine interno che traggono origine dall’intrinseco contenuto del dictum del Supremo Collegio, cui il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi a norma del terzo comma dell’art. 627 c.p.p., sia ai limiti legali posti dal quarto comma dello stesso art. 627.

Daria Pesce proponeva contro la sentenza impugnata le seguenti censure: a ) violazione degli artt. 498 e 499 c.p.p. in quanto l’esame testimoniale, nel giudizio di primo grado, si è svolto con modalità tali – per responsabilità della Pubblica Accusa – da ledere i principi fondamentali della cross examination; b) errata interpretazione degli artt. 71, 74 e 75 l.n. 685-75, illogicità della motivazione e travisamento dei fatti, in quanto gli elementi probatori erano stati interpretati in modo distorto ed erano stati ritenuti decisivi per affermare la responsabilità del M. in ordine al reato associativo e ai singoli episodi di spaccio, mentre tali elementi risultavano, ad una corretta lettura, privi di univocità e di concludenza, C) errata interpretazione dell’art. 192 c.p.p. e travisamento dei fatti in riferimento all’attività di sconto di cambiali a favore di C. A., infondatamente valutata come attività di riciclaggio; d) violazione delle norme in tema di onere della prova, mancata valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti, prive di onere della prova, mancata valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti, prive di elementi a carico del M., e travisamento dei fatti in ordine alla condanna per il reato associativo e per i reati fine; e) illogicità della motivazione posta a base del disegno delle attenuanti generiche.

È riscontrabile ampia concordanza di opinioni in dottrina e in giurisprudenza nel senso che la norma collega alla sentenza di annullamento l’effetto della irretrattabilità delle opinioni concernenti le pregresse nullità e inammissibilità quale espressione delle preclusioni derivate dalla res iudicata formatasi a seguito della pronuncia che, in tutto o in parte, ha annullato la decisione impugnata e ha rinviato ad altro giudizio per il nuovo giudizio. In questi termini è uniformemente orientata la giurisprudenza di questo Supremo Collegio in cui è stato precisato che la regola preclusiva di cui al quarto comma art. 627 del codice vigente costituisce un necessario corollario della inoppugnabilità delle sentenze della Corte di Cassazione, che coprono il dedotto e il deducibile e hanno, perciò, il valore di implicita decisione negativa delle questioni di nullità e di inammissibilità (Cass., Sez. VI, 7 aprile 1995, Palumbo; Cass., Sez. IV, 25 ottobre 1994, Scrascia; Cass., Sez. I. I 28 ottobre 1991, Giacchetti). Il principio già affermato sotto il vigore dell’art. 544, comma 3 c.p.p. del 1930 (Cass., Sez. I, 9 luglio 1984, Ortisi; Cass., Sez. V, 20 novembre 1974, D’Angio) rappresenta uno dei cardini dell’ordinamento processuale e del sistema delle impugnazioni cui è connotata la regola della irrevocabilità ed incensurabilità delle decisioni della Corte di Cassazione che, “oltre ad essere rispondente al fine di evitare dei giudizi e di conseguire un accertamento definitivo il che costituisce, del resto, lo scopo stesso dell’attività giurisdizionale e realizza l’interesse fondamentale dell’ordinamento alla certezza delle situazioni giuridiche è pienamente conforme alla funzione di giudice ultimo della legittimità affidata alla medesima Corte di Cassazione dall’art. 111 Cost.” (Corte Cost., 5 luglio 1995, n. 294). A tale specifica ratio decidendi è conformata la pronuncia del giudice delle leggi con cui è stata dichiarata infondata la questione di costituzionalità dell’art. 544, comma 3 del codice di rito del 1930, sostanzialmente riprodotto dall’art. 627, comma 4 del codice vigente, sul rilievo che, stante il carattere inoppugnabile di tutte le decisioni di legittimità, “la pronuncia della Cassazione di annullamento con rinvio costituisce “un atto di valore definitivo” ed opera quindi sanatoria di tutte le nullità anche assolute verificatesi sino a quel momento” (Corte Cost., 4 febbraio 1982, n.40: cfr. negli identici termini, con riguardo alla sentenza civile di annullamento con rinvio, Corte Cost., 16 giugno 1995, n. 247).

G. chiedeva l’annullamento della sentenza in base ai seguenti motivi di ricorso: a) nullità ex art. 606 lett. b) ed e) per inosservanza ed erronea applicazione di norme giuridiche, delle quali si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale, nonché motivazione insufficiente e manifestamente illogica e travisamento dei fatti in quanto la Corte di rinvio non aveva tenuto conto che la variante al P.R.G. prevaleva, in senso derogatorio, al piano consortile del CIMEP, corrispondente ad un piano particolareggiato, che gli erano state attribuirete condotte insussistenti ed erano state erroneamente ipotizzate inesistenti violazioni della prassi amministrativa; che risultava parimenti erronea l’opinione secondo cui la normativa urbanistica vietava la realizzazione di uffici, b) erronea applicazione della legge penale in riferimento alla omessa derubricazione del reato di corruzione ex art. 319 c.p. in quello di abuso d’ufficio non patrimoniale di cui all’art. 323, comma 1 c.p. e, di conseguenza, alla mancata applicazione dell’amnistia; c) insufficiente e illogica motivazione in relazione alla mancata revoca della provvisionale liquidata alla parte civile e alla mancata sospensione della provvisoria esecuzione. Con memoria difensiva pervenuta il 24.10.1997 venivano ulteriormente svolte le argomentazioni poste a base dei motivi di ricorso.

., concernete le condizioni influenti sul trattamento sanzionatorio, sia ad altri elementi e situazioni di fatto, diversi da quelli legislativamente prefigurati, aventi valore significante ai fini dell’adeguamento della pena alla natura ed all’entità del reato nonché alla personalità del reo (Cass., Sez. I, 1 ottobre 1986, Esposito). È stato altresì precisato che il predetto potere discrezionale, nonostante la sua ampiezza ed estensione, non è tuttavia illimitato e sottratto al controllo di legittimità, dovendo il giudice di merito dare conto delle precise ragioni e dei criteri utilizzati per concedere o per negare le attenuanti generiche, con l’indicare gli elementi reputati decisivi nella sua scelta compiuta, senza necessità di valutare analiticamente tutte le circostanze rilevanti, in positivo o in negativo (Cass., Sez. I, 19 ottobre 1992, Gennuso; Cass., Sez. I, 30 gennaio 1992, Altadonna).

., fondatore dell’associazione operante in via Anguissola, rivestiva un ruolo preminente nell’attività del gruppo criminale, tant’è che egli stessi collaboranti hanno concordemente riferito di avere sempre trattato con lui gli acquisiti delle partite di droga; è stata indicata la disponibilità da parte del C. di indigenti risorse finanziarie affidate all’amministrazione fiduciaria del N. e sono state valutate le dichiarazioni di quest’ultimo secondo cui era stata fornita dal C. una parte della droga, costituita da eroina “bianca”, caricata sull’autovettura Volvo nel cortile dello stabile di via Salis; è stata esclusa la violazione dell’art. 649 c.p.p. sul rilievo che il presente processo e quello svoltosi a Palermo, avente ad oggetto il delitto associativo ex art. 416 bis c.p., concernono fatti diversi nella condanna, nell’evento e nel nesso di causalità; affermata la responsabilità del C. anche per i reati contro la P.A. il cui esame è contenuto nella seconda parte della sentenza impugnata e ritenuta la continuazione con la condanna irrevocabile pronunciata dal Tribunale di Palermo, la pena veniva rideterminata in ventiquattro anno di reclusione e lire 230.000.000 di multa;

Con sentenza n.1114 del 14.11.1995, la Quinta Sezione Penale di questa Corte annullava la decisione di secondo grado, impugnata dagli imputati, e rinviava per nuovo giudizio ad altra Sezione di Corte di Appello di Milano, rilevando che, a norma dell’art. 242 disp. att. del vigente codice di rito, al procedimento avrebbe dovuto applicarsi la normativa dettata dal codice di rito, al procedimento avrebbe dovuto applicarsi la normativa dettata dal codice del 1930 per la ragione che alla data del 24.10.1989 erano stati eseguiti arresti, fermi e sequestri, sicché restava irrilevante il dato all’epoca dell’iscrizione della notizia di reato e il procedimento, risultando già in corso, avrebbe dovuto essere regolato dalle norme vigenti. Questa Corte osservava che, pur essendo vero che la prosecuzione del procedimento secondo il nuovo rito anziché secondo il rito previgente non comportava, di per sé, alcuna nullità, poteva configurarsi tuttavia della sentenza per violazione di norme processuali in quanto le intercettazioni ambientali, non previste dal codice del 1930, avevano avuto un ruolo decisivo nella valutazione della responsabilità degli imputati e la pronuncia di condanna risultava, pertanto, fondata su mezzi di prova non utilizzabili. Nella citata sentenza di annullamento con rinvio veniva individuata una ulteriore causa di nullità nella circostanza che la Corte di secondo grado aveva disposto, ai sensi dell’art. 603, comma 3 c.p.p., la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per procedere all’audizione di M. S., imputato di reato connesso, già sentito in primo grado, senza dare adeguatamente conto dell’assoluta necessità di ascoltare nuovamente il M.. Nella parte finale della sentenza di annullamento, la Quinta Sezione Penale di questa Corte precisava che “l’esame di qualsiasi altro motivo di ricorso rimane precluso dalla presente decisione in quanto in essa assorbito”.

.– A quest’ultimo riguardo, va osservato che, da un alto, dal controllo della motivazione della sentenza impugnata non emerge la situazione di evidenza probatoria idonea ad escludere l’esistenza del fatto e la non commissione dello stesso da parte degli imputati e che, dall’altro, in presenza della causa estintiva, non sono rilevabili in cassazione vizi di motivazione della sentenza in quanto l’eventuale rinvio della causa all’esame del giudice di merito, dopo la pronuncia di annullamento, risulta incompatibile con l’obbligo della immediata declamatoria di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato, stabilità dal primo comma dell’art.129 c.p.p. (Cass., Sez. Un., 21 ottobre 1992, Marino ed altri; Cass., Sez. V, 24 giugno 1996, P.M. in proc. Battaglia).

.; operazione “Aiana bis”), pervenendo alla conclusione, sorretta da un adeguato sviluppo argomentativo, che sussiste una situazione di incertezza in ordine alla responsabilità dell’imputato per il delitto associativo, dato che alcuni indizi mancano del carattere della gravità, altri sono privi del requisito della precisione e altri ancora non sono assistiti dalla indispensabile connotazione della concordanza: ditalché, all’esito di una simile analisi critica degli elementi indizianti valutati singolarmente e globalmente, nella sentenza impugnata è stato coerentemente ritenuto che il conflitto delle risultanze probatorie dà origine ad una situazione di equivocità e di ambivalenza che giustifica il proscioglimento ai sensi dell’art. 530, comma 2 c.p.p.– Ciò posto, deve sottolinearsi che nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che nell’ipotesi di censure riguardanti la logicità della motivazione fornita dal giudice di merito in ordine alle condizioni di incertezza delle prove, che giustificano l’assoluzione a norma del secondo comma dell’art. 530, e al bilanciamento degli elementi probatori i limiti della cognizione affidata alla Corte Suprema sono quelli normalmente inerenti al sindacato di legittimità, nel senso che deve essere controllato il percorso logico razionale attraverso il quale si è sviluppato il ragionamento del giudice e che, ove non siano riscontrati vizi logici e giuridici, resta incensurabile la valutazione di incertezza e di perplessità (Cass., Sez. IV, 25 marzo 1992, Di Giorgio).

., in relazione all’asserito legame di appartenenza a “Cosa Nostra”, avente per fine anche la commissione di reati in materia di traffico di droga, per cui la sentenza impugnata, riguardando gli stessi fatti, è mancata correlazione tra accusa contestata e sentenza in riferimento sia al dato cronologico relativo alla durata della supposta associazione sia alla struttura del gruppo criminale, che con riguardo alla risultanze del processo e, soprattutto, a seguito della soluzione del C. dal reato associativo – è stato ricondotto dal giudice di rinvio ad una situazione fattuale radicalmente diversa da quella posta a base dell’accusa originaria, c) violazione e falsa applicazione di norme processuali in relazione all’omesso esame delle questioni di nullità e all’avvenuta utilizzazione di prove nulle o inutilizzabili (in riferimento tanto al vecchio rito quanto al nuovo rito) concernenti le c.d. “osservazioni sul territorio” e le disposizioni dei verbalizzanti dalla Corte di rinvio in palese contrasto col “dictum” della Corte di Cassazione; d) violazione degli artt. 192, comma 2 e 3, 603 , comma 3 e 624, comma 1 c.p.p. con riguardo alla illegittima rinnovazione dell’istruzione dibattimentale e al mancato controllo della intrinseca attendibilità del collaborante M. e dell’esistenza di riscontri individualizzanti; e) mancanza e illogicità manifesta della motivazione nonché travisamento dei fatti nella valutazione degli elementi probatori posti a base della condanna per il reato associativo; i cui elmetti costitutivi (in particolare quello psicologico) non erano stati oggetto di adeguato accertamento; f) violazione della legge penale e vizi logici della motivazione relativamente alla ritenuta esistenza delle aggravanti di cui all’art. 75, comma 1 e 4 della l. n. 685-75, in relazione all’attribuzione al C. della posizione di capo dell’associazione e al numero degli associati; g) violazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione nell’interpretazione degli elementi probatori venivano denunciate anche in riferimento all’affermazione di responsabilità per i singoli episodi di spaccio e, segnatamente, alla vicenda di via Salis in data 28.4.1989; h) violazione degli artt. 62 bis e 113 c.p. nonché vizi logici della motivazione in ordine alla mancata applicazione delle attenuanti e alla determinazione del trattamento sanzionatorio.

Sentenza n. 7408

335506
Cassazione penale, sezione I 4 occorrenze
  • 1998
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Instauratosi dunque ugualmente il giudizio fra le parti necessarie del processo, il provvedimento di regressione del procedimento, adottato dal giudice del dibattimento, deve qualificarsi come “abnorme” perché estraneo ad ogni previsione dell’ordinamento.

Devesi quindi stabilire – ai fini dell’ammissibilità o meno del conflitto – se il mancato avviso d’udienza a uno dei due difensori di fiducia dell’imputato dia origine ad una situazione che, incidendo sulla regolarità della vocatio in judicium delle parti necessarie, escluda la valida costituzione del rapporto processuale e renda perciò legittima la regressione del procedimento alla fase anteriore per la rinnovazione dell’atto nullo ex art. 185.3 c.p.p.

.), per cui la categoria dell’abnormità risulta inapplicabile quando la regressione del procedimento dalla fase dibattimentale a quella precedente, pur definitivamente conclusasi con l’emissione del decreto che dispone il giudizio, non sia giustificata da invalidità incidenti sulla regolarità della stessa costituzione del rapporto processuale attinente al giudizio: qualora l’invalidità non attenga ad un “atto propulsivo” necessario alla progressione del procedimento, la rinnovazione della citazione a giudizio spetta al giudice del dibattimento giusta il disposto dell’art. 143 n. att. c.p.p. e non è consentita dall’ordinamento la restituzione degli atti al g.i.p.

., anche alla luce di quanto chiarito nella suddetta Relazione, dev’essere “ragionevolmente” interpretata nel senso che “la decisione che soccombe è quella conclusiva della fase delle indagini preliminari, che nel procedimento ordinario viene presa nell’udienza preliminare”, prevalendo comunque il provvedimento del giudice del dibattimento su quello del giudice che ha disposto il giudizio “anche nel caso in cui questo non sia stato emesso nell’udienza preliminare”, come per il giudizio immediato; così, se è annullato il provvedimento che dispone il giudizio, la norma vuole che il relativo giudice “provveda ad eliminare il vizio riscontrato dal giudice del dibattimento e non possa, attraverso il meccanismo del conflitto, investire la Corte di cassazione per farle stabilire se il vizio sia o meno effettivamente esistente”.

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