Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Sentenza n. 1988

334011
Cassazione penale, sezione I 21 occorrenze
  • 1998
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
  • diritto
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Il giudice di rinvio passava, quindi, ad esaminare le posizioni dei singoli imputati rilevando:

Passando ad esaminare le imputazioni aventi ad oggetto i reati contro la P.A. posti in essere in occasione dell’approvazione del piano di lottizzazione M. C., la Corte di rinvio ricordava che l’area del Ronchetto era inserita nel piano di zona pluriennale del CIMEP (Consorzio Intercomunale Milanese per l’Edilizia Pubblica) con destinazione a verde pubblico attrezzato e che nel 1985 era stata adottata una variante al Piano Regolatore Generale con cui detta area aveva ricevuto la destinazione ad edilizia residenziale con una volumetria realizzabile di 70.000 mc., dei quali 50.000 residenziali e 20.000 per funzioni commerciali e artigianali: la Corte precisava che per la configurabilità dei reati non era necessario risolvere la questione relativa alla prevalenza o meno della variante al PRG sul piano consortile giacché, ai sensi dell’art. 22 delle N.T.A., non poteva considerarsi ammessa la realizzazione di uffici, e nella trattazione del piano di lottizzazione era riscontrabile una serie di condotte di pubblici ufficiali contrassegnate da violazioni della prassi, delle istruzioni e delle circolari al fine di favorire gli interessi dei privati.

– che le persone soggette ad indagine si incontravano ogni giorno, in una fascia oraria ben determinata, nel quadrilatero formato da via Anguissola, via Cagnoni, via Palma, via Fra Galgario, senza alcuna ragione apparentemente lecita, con modalità denotanti particolari cautele, circospezione e precauzioni;

., dato che la motivazione della sentenza impugnata è saldamente ancorata ad una coerente interpretazione degli elementi probatori che unisce al requisito della congruenza logica quello della conformità all’esatta applicazione della legge penale.

Sulla base delle precise e convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia la Corte di rinvio è riuscita a ricostruire le vicende e le modalità operative associazione rilevando che questa aveva iniziato ad agire sulla piazza di Milano prima del 1985 sotto la guida di C. G. e che, dopo la morte di questo, il figlio A. aveva assunto una posizione di preminenza all’interno del gruppo, che aveva continuato ad operare sino alla metà del 1989. Al riguardo, con riferimento all’arco temporale che segna l’inizio e la fine dell’attività associativa, va precisato che nella decisione impugnata è stata correttamente esclusa la mancanza di correlazione tra fatto ritenuto in sentenza e fatto contestato per la duplice ragione che nel capo di imputazione è stata indicata soltanto l’epoca dell’accertamento del reato e che gli imputati hanno avuto piena e concreta possibilità di difendersi anche e rispetto all’effettiva durata dell’associazione.

M. proponeva ricorso per cassazione denunciando la nullità della sentenza sotto i seguenti profili: a) violazione della legge penale in relazione all’art. 75, comma 2 l. 685-75 in ordine alla configurabilità della partecipazione a sodalizio criminoso finalizzato allo spaccio di sostanze stupefacenti, affermata senza che egli elementi fattuali denotassero l’esistenza dell’accordo su cui doveva basarsi la societas sceleris; b) inosservanza ed errata applicazione della legge penale per avere dato rilievo ad un fatto che corrisponde ad una vera e propria ipotesi di riciclaggio non punito all’epoca in cui esso è stato compiuto in quanto non erano ancora entrati in vigore gli artt. 23 e 24 della l. 19.3.1990, n.55; c) mancanza di motivazione per l’esclusione del valore probatorio della documentazione acquisita da cui emergevano elementi a lui favorevoli; d) mancanza di motivazione e inosservanza della legge in ordine alla qualificazione della pena e al diniego delle attenuanti generiche.

Tali peculiari connotazioni oggettive e soggettive – individuate nei fatti attribuiti al N. dal giudice di merito con motivazione esente da vizi logici e giuridici – valgono indubbiamente a dimostrare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto contestato nella figura dell’associazione ex art. 75 della l. 685-75 ed impediscono la configurabilità di differenti fattispecie riconducibili a differenti norme incriminatrici, quale, ad esempio, quella del riciclaggio di cui all’art. 648 bis c.p.-

La sentenza veniva impugnata da tutti gli imputati, ad eccezione del C., e la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 31.1.1994, in parziale riforma della decisione di primo grado, assolveva il C. dal reato di cui agli artt. 71, 74 l. 685-75 per non avere commesso il fatto, concedeva al n. le attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti e adottava le conseguenti statuizioni in ordine alla determinazione delle pene.

V. veniva dedotta l’inosservanza di norme processuali in riferimento alla violazione degli artt. 521 e 597 c.p.p. in quanto, essendo basata la sentenza di condanna di primo grado sul fatto di avere percepito la somma di lire 34.900.000, l’esclusione della ricezione di tale somma avrebbe dovuto determinare una pronuncia di proscioglimento nè la dichiarazione di responsabilità poteva giustificarsi genericamente attraverso il riferimento ad altre somme indeterminante.

Ne consegue che entrambi i ricorsi devono considerarsi privi di fondamento per la precisa ragione che essi si limitano, nella sostanza, a prospettare una differente interpretazione delle risultanze probatorie e ad oppure alla valutazione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, finendo, quindi per sollecitare un sindacato che non potrebbe esplicarsi senza invadere l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (cfr. Cass., sez. Un., 19 giugno 1996, Di Francesco).

Con una completa e organica disamina delle risultanze processuali la Corte di rinvio ha valutato la posizione del C. osservando che i rapporti da lui tenuti con i C. non possono in alcun modo assimilarsi a quelli che questi ultimi, da anno e prima che gli stessi iniziassero ad operare in Milano, avevano col n., tanto da giustificare il convincimento che costui era stabilmente incaricato, all’interno dell’organigramma dell’associazione, di reinvestire i flussi di risorse finanziari ricavati dall’attività illecita.

Il controllo di legittimità della motivazione della sentenza impugnata porta senz’altro ad escludere dei vizi denunciati dai ricorrenti, i quali hanno dedotto che il convincimento relativo all’operatività dell’associazione criminosa è privo di solide basi giustificative in quanto è inficiato da palesi incongruenze e aporie logiche, da contraddittorietà insanabili tra le singole proposizioni attraverso le quali si articola lo sviluppo argomentativo della decisione, nonché da deviazioni dalle regole legali in tema di valutazione della intrinseca attendibilità delle dichiarazioni di persone imputate in procedimenti connessi.

D. limitatamente al diniego delle attentanti generiche, rinviando ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio; rigetta il ricorso del Procuratore Generale nonché i ricorsi di N. M., G. G., B. L., Z. A., M. R., S. V., T. R. e La R. G., condannando questi ultimi al pagamento in solido delle spese processuali;

. – Sono sottratte alla preclusione ex art. 627, comma 4 c.p.p. le censure a mezzo delle quali i ricorrenti hanno denunciato la inutilizzabilità derivata delle prove raccolte dal giudice di rinvio muovendo dalla premessa che esse sarebbero in rapporto di necessaria derivazione con le intercettazioni ambientali, sicché, se fosse fondata la doglianza, alla decisione gravata dovrebbero addebitarsi l’elusione del dictum contenuto nella sentenza di annullamento e, di riflesso, la violazione del principio di diritto enunciato dalla Corte regolatrice al quale il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi ai sensi della disposizione di cui la terzo comma dello stesso art. 627.

Dall’applicazione di tale criterio direttivo deriva che la motivazione della sentenza impugnata non merita le critiche ad essa rivolte, da opposti versanti, dall’imputato e dal P. G. di Milano in quanto il dubbio sulla responsabilità del C. è risultato di una accurata e organica disamina delle risultanze probatorie, condotta secondo le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in termini del tutto ineccepibili che forniscono la giustificazione razionale del convincimento espresso in merito alla situazione di incertezza e di equivocità delle prove.

. – Passando ad esaminare i ricorsi relativi al capo di sentenza contenente la pronuncia di condanna per il reato di corruzione di cui agli artt. 81 cpv. e 319 c.p. nei confronti dei funzionari del Comune di Milano, T. e M., nonché dei reati di cui agli artt. 81 cpv. e 321 c.p. a carico di C., N. C., T., C., deve rilevarsi che le censure formulate dai ricorrenti sono destituite di giuridico fondamento e devono essere, pertanto, disattese, in quanto le linee argomentative della sentenza impugnata risultano, sul punto, pienamente congruenti sul piano logico e corrispondono all’esatta applicazione di norme giuridiche.

.: il primo ha dedotto che è stata esclusa l’appartenenza dell’imputato all’associazione finalizzata al narcotraffico con una motivazione manifestante illogica; carente, priva dei necessari passaggi logici e con vistose incongruenze; il secondo ha sostenuto che una corretta interpretazione degli elementi probatori avrebbe portato senz’altro ad escludere la situazione di incertezza probatoria ritenuta, invece, sussistente relativamente alla condotta tipica della partecipazione all’associazione criminosa.

G. è stata ricondotta ad un contesto probatorio che, con una seria valutazione rispondente ai canoni logici e giuridici posti dall’art.192 c.p.p., è stato reputato univocamente indicativo dell’inserimento dell’imputato nell’associazione dedita al traffico di droga. In proposito, la Corte di rinvio ha fatto puntuale richiamo alle plurime e convergenti chiamate in correità, fatte dai collaboratori M. e Di D. , a riscontro obbiettivo delle quali sono state indicate concrete condotte del La R. e i suoi rapporti con altri associati (in particolare, quelli con un esponente di spicco come lo Z., rilevati direttamente dai Carabinieri.

. – Infine, con riferimento al capo di sentenza concernente gli interessi civili, premesso che l’estinzione del reato per prescrizione, intervenuta per taluni imputati, non è di ostacolo all’esame dei motivi di ricorso riguardanti la liquidazione del danno a favore del Comune di Milano costituito parte civile e alla provvisoria esecutività attribuita alla relativa statuizione, deve porsi in evidenza che le censure espresse dai ricorrenti risultano del tutto prive di specificà, in quanto, oltre ad una generica doglianza di illegittimità per violazione di legge e per illogicità della motivazione, i motivi non consentono di individuare le precise ragioni che giustificherebbero l’annullamento della pronuncia.

., in base alla rilevata presenza dell’imputato in quattro occasioni in via Albissola – in orari, con atteggiamenti denotanti la trattazione di affari illeciti e in compagnia di altri associati – e al fatto che, ad un controllo, fu trovato in possesso di una busta contenente circa 250 milioni di banconote di piccolo taglio, consegnatagli poco prima dallo S., sicché nella sentenza impugnata è stato affermato – in maniera logicamente argomentata anche in riferimento alla non plausibilità delle giustificazioni addotte dell’interessato – che il N. svolgeva il compito di corriere della droga, come, peraltro, è stato espressamente precisato da N. G. nel suo memoriale.

. – Dai principi testè esposti si evince che il fondamento della disposizione di cui al quarto comma dell’art. 627 c.p.p. poggia sulla definitività delle decisioni della Corte Suprema di Cassazione e sul meccanismo, ad essa strettamente correlato, delle preclusioni derivanti dalla res iudicata, ditalché delle sentenze di annullamento con rinvio deriva l’insuperabile ostacolo al nuovo esame di tutte le questioni relative alla nullità e all’inammissibilità dei precedenti atti processuali: difatti, nell’ottica dell’analisi ricostruttiva recepita anche dalla citata giurisprudenza della Corte Costituzionale, nullità e inamissibilità diventano oggetto di sanatoria e non possono essere più riproposte nè possono essere più fatte valere come motivo di annullamento della sentenza di rinvio.

Sentenza n. 9656

334856
Cassazione civile, sezione II 2 occorrenze
  • 1987
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
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Quanto alla legittimazione ad agire degli attuali ricorrenti, devesi rilevare che, secondo la giurisprudenza più recente, la legittimazione ad agire deve essere accertata unicamente in base all’attività assertoria della parte che agisce in giudizio, indipendentemente dell’effettiva appartenenza all’attore del diritto controverso, il problema relativo a questo secondo aspetto attenendo al merito strictu sensu, e non la vera e propria legitimatio ad causami. Nel caso in esame, gli Stecconi s’erano dichiarati proprietari del bene in questione, posseduto dal Pantaleo, e su tale asserita loro proprietà avevano fondato l’azione di rivendicazione. Era, pertanto, indubitabile che fossero legittimati a proporla, come in buone sostanze ritenuto dal tribunale.

., censurano l’impugnata sentenza sulla premessa che il tribunale, in relazione alle deduzioni difensive del Pantaleo, avrebbe dovuto stabilire: primo se esse avessero potuto dar luogo a un’ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti degli eredi Ferrini; secondo, se, in subordine, le prove fornite dagli stessi attuali ricorrenti avessero consentito l’accertamento della loro legittimazione ad agire.

Sentenza n. 13120

334977
Cassazione civile, sezione II 3 occorrenze
  • 1997
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
  • diritto
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Questa Corte Suprema, nella sanzionata riunione dei ricorsi, con ordinanza in data 27 novembre 1996, ha disposto farsi luogo ad integrazione del contraddittorio nei confronti della “CO.GE.UR.” s.p.a..

., nella applicabilità di tale regola, contemplata da norma eccezionale, non passabile di estensione analogica, solo ad ipotesi di obbligazioni risarcitorie, rapportabili ad un inadempimento colpevole, e non ad obbligazioni indennitarie, non correlabili, come quella in esame, ad una inadempienza siffatta; doversi escludere, pertanto, la riducibilità dell’indennizzo concordato nella pattuizione negoziale considerata.

., (dovendo, al riguardo, puntualizzarsi che la parte che denunci in cassazione la violazione delle norme in discorso compiuta dal giudice del merito nell’interpretare il negozio oggetto della vertenza non può limitarsi ad indicare le disposizioni che assume violate, ma deve specificare i modi ed i termini in cui detto giudice si sia dalle stesse discostato).

Sentenza n. 26926

335203
Cassazione civile, sezione lavoro 1 occorrenze
  • 2007
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
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La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa ad altro giudice, il quale si atterrà al seguente principio di diritto:

Sentenza n. 19219

335349
Cassazione civile, sezione tributaria 1 occorrenze
  • 2017
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
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Nel caso di specie la C.T.R. ha confermato la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva escluso che gli immobili consentissero una destinazione diversa da quella relativa all’attività d’impresa senza radicali trasformazioni e, trattandosi di beni non utilizzati in proprio, ma locati o dati in uso ad altre società del gruppo, ha ritenuto indeducibili i relativi costi, con accertamento in fatto e motivazione congrua (sull’effettiva destinazione funzionale degli immobili), non superabile dalla mera affermazione della ricorrente della categoria catastale di appartenenza dei beni.

Sentenza n. 7408

335506
Cassazione penale, sezione I 2 occorrenze
  • 1998
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
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Instauratosi dunque ugualmente il giudizio fra le parti necessarie del processo, il provvedimento di regressione del procedimento, adottato dal giudice del dibattimento, deve qualificarsi come “abnorme” perché estraneo ad ogni previsione dell’ordinamento.

Devesi quindi stabilire – ai fini dell’ammissibilità o meno del conflitto – se il mancato avviso d’udienza a uno dei due difensori di fiducia dell’imputato dia origine ad una situazione che, incidendo sulla regolarità della vocatio in judicium delle parti necessarie, escluda la valida costituzione del rapporto processuale e renda perciò legittima la regressione del procedimento alla fase anteriore per la rinnovazione dell’atto nullo ex art. 185.3 c.p.p.

Sentenza n. 37494

335653
Cassazione penale, sezione VI 1 occorrenze
  • 2017
  • Corte Suprema di Cassazione
  • Roma
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Nel caso di specie, l’arresto è stato eseguito, ad iniziativa della Polizia Giudiziaria, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 11.

Sentenza n. 1

335850
Corte costituzionale 1 occorrenze
  • 1956
  • Corte costituzionale
  • Roma
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In questi procedimenti penali il difensore dell’imputato o il Pubblico Ministero o entrambi sollevarono la questione sulla legittimità costituzionale dell’art. 113 della legge di p.s. in quanto l’autorizzazione ivi prescritta contrasterebbe con l’art. 21 della Costituzione, il quale dichiara che “tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione” (primo comma) e che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” (secondo comma). In conseguenza chiedevano e il giudice disponeva la sospensione del procedimento penale e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimità.

Sentenza n. 1

336112
Corte costituzionale 4 occorrenze
  • 1966
  • Corte costituzionale
  • Roma
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9. – Niente di tutto questo è dato ritrovare nella legge impugnata, la quale, senza alcuna indicazione dei mezzi di copertura, si è limitata ad autorizzare l’iscrizione di una spesa di 200 miliardi, ripartita in dieci rate di 20 miliardi ciascuna, in dieci esercizi successivi con inizio dall’esercizio 1960-61, ritenendo ciò sufficiente per sfuggire al precetto dell’art. 81.

Né vale addurre in contrario, come fa l’Avvocatura dello Stato, la sentenza n. 33 del 12 maggio 1964, la quale non si propose il problema se la copertura, prevista dagli artt. 11 e 21 della legge 26 ottobre 1957, n. 1047, fosse conforme alla Costituzione, ma si limitò ad affermare che, non avendo la legge previsto o autorizzato la spesa per l’assistenza sanitaria a talune categorie di pensionati, non era tenuta, per conseguenza, a indicare i mezzi per far fronte a una spesa, ne nuova, né maggiore, ma inesistente.

In realtà, la norma impugnata non fa, da un lato, se non stabilire che le somme previste negli articoli primo e secondo della legge devono essere iscritte nello stato di previsione della spesa del Ministero dei lavori pubblici, e, dall’altro, se non autorizzare il Ministro dei lavori pubblici ad assumere impegni fino alla concorrenza di lire 200 miliardi per i lavori previsti dall’art. 1, il solo degli altri articoli della legge che, insieme con quello ora citato, viene all’esame della Corte nel presente giudizio. E così disponendo, essa, com’é di tutta evidenza, non approva già un bilancio né una norma di bilancio, ma autorizza il Governo ad inscrivere nei bilanci futuri determinate somme destinate a determinate spese, e il Ministro dei lavori pubblici ad assumere impegni di spese entro limiti definiti e lungo un certo arco di tempo. Sicché la norma impugnata si pone come un prius di fronte alla legge di approvazione del bilancio, quale titolo giuridico della futura spesa, e non ricade perciò tra quelle per le quali il precetto costituzionale impone la procedura normale di assemblea. La legge di bilancio nella quale queste spese saranno inscritte, ed essa soltanto, deve essere approvata con la procedura dell’ultimo comma dell’art. 72. Non può asserirsi, quindi, che questa seconda questione sia parte o costituisca un aspetto della prima; o lo si può asserire soltanto nel significato, ben diverso, che la norma dell’art. 4 offre la riprova della mancanza di “copertura” della spesa e, pertanto, si pone in violazione anch’essa del quarto comma dell’art. 81 della Costituzione.

Ma la critica è senza fondamento, perché muove dall’errato presupposto che la norma contenuta nel quarto comma dell’art. 81 includa una precisa “appropriazione” di un’entrata ad una spesa, laddove, invece, l’indicazione dei mezzi che essa richiede per fronteggiare spese nuove o maggiori, si riduce a determinare e individuare un incremento dell’entrata che, in una visione globale del bilancio, nel quale tutte le spese si confrontano con tutte le entrate (effettive, straordinarie o per movimento di capitali che siano), assicuri il mantenimento dell’equilibrio complessivo del bilancio presente e di quelli futuri, senza pretendere di spezzarne l’unità.

Sentenza n. 1

336274
Corte costituzionale 4 occorrenze
  • 1986
  • Corte costituzionale
  • Roma
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Per quanto riguarda lo status dei messi di conciliazione, nulla quaestio per i dipendenti del Comune che sono già legati ad esso da un rapporto di lavoro o di impiego.

U. n. 1229/59 e segg.) che utilizza i proventi costituiti dai diritti che sono autorizzati ad esigere ed una percentuale sui crediti recuperati all’erario, sui campioni civili, penali ed amministrativi, sulle somme introitate dall’erario per la vendita dei corpi di reato.

Hanno poi diritto ad una indennità integrativa a carico dell’erario (art. 148, T. U. n. 1229/59) nel caso in cui, con la percezione dei diritti, al netto del due per cento delle spese di ufficio e del dieci per cento per la tassa erariale, non vengano a percepire uno stipendio iniziale pari a quello previsto per il personale appartenente alla sesta qualifica funzionale.

Sono sottoposti ad apposita Commissione di Vigilanza e di disciplina (art. 49 del T. U. n. 1229/59), alla vigilanza del Presidente della Corte d’appello quelli che operano nel distretto; del Presidente del Tribunale quelli che operano nel circondario e del Pretore quelli addetti all’ufficio di Pretura nonché a quella dell’ufficiale giudiziario dirigente. Sono soggetti a sanzioni disciplinari (art. 60, T. U. n. 1229/59). Contraggono particolari responsabilità per gli atti del loro ufficio.

Sentenza n. 1

336420
Corte costituzionale 4 occorrenze
  • 2006
  • Corte costituzionale
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La disciplina mira ad esentare il destinatario di pensioni e rendite da oneri di restituzione che difficilmente potrebbe affrontare, stante la naturale destinazione al consumo ed alla soddisfazione di esigenze elementari di vita delle somme percepite – sia pure indebitamente – a tale titolo.

Inoltre anche l’eccezionalità e la temporaneità dell’efficacia della normativa denunciata rilevano nel senso di escludere qualsiasi profilo di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate che mirano anche ad assicurare la definizione in tempi ragionevoli di un consistente contenzioso ed un rapido riordino del settore previdenziale.

2. – Ad avviso dei rimettenti entrambe le questioni sono rilevanti, emergendo dagli atti che i redditi personali dei pensionati, imponibili ai fini dell’IRPEF, erano sia nel 1995 che nel 2000 superiori a quelli rispettivamente previsti, per l’integrale irripetibilità dell’indebito, dai commi 260 e 261 dell’art. 1 della legge del 1996 e dai commi 7 e 8 dell’art. 38 della legge del 2001.

In conclusione, ad avviso del rimettente, la questione di legittimità costituzionale formulata nella precedente ordinanza del 5 marzo 2001 deve ribadirsi con riferimento alla disciplina dettata dall’art. 38, commi 7 e 8, della legge n. 662 del 1996, atteso che anche le citate disposizioni riconducono la ripetibilità dell’indebito all’unico requisito del reddito negli stessi termini dell’art. 1, commi 260 e 261, della legge n. 662 del 1996.

Sentenza n. 1

336723
Corte costituzionale 6 occorrenze
  • 2016
  • Corte costituzionale
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2.– I ricorsi hanno ad oggetto la medesima disposizione e formulano censure analoghe, sicché ne appare opportuna la riunione ai fini di una decisione congiunta, riservando a separate pronunce la decisione delle censure rivolte, nel ricorso della Provincia autonoma di Trento, ad altre disposizioni del d.l. n. 133 del 2014, come convertito dalla legge n. 164 del 2014 (ex plurimis, sentenze n. 156, n. 155, n. 141, n. 140 e n. 125 del 2015).

Degli eventuali difetti di questa motivazione e della dialettica ad essa retrostante, le Regioni e le Province autonome potranno eventualmente dolersi nei modi appropriati, anche dinanzi a questa Corte.

4.– Ad avviso delle ricorrenti, il censurato art. 31 interferisce con numerose materie oggetto di competenze legislative e amministrative delle Province autonome, regolate altresì da apposite norme di attuazione statutaria.

Ad avviso della ricorrente, il comma 3 del citato art. 31 derogherebbe espressamente alla clausola di salvaguardia di cui all’art. 43-bis del medesimo d.l. n. 133 del 2014 (aggiunto in sede di conversione dalla legge n. 164 del 2014), la quale dunque non neutralizzerebbe gli effetti asseritamente lesivi della disposizione impugnata.

Il censurato art. 31 interferirebbe con le materie suindicate, segnatamente laddove riconosce al privato il diritto alla rimozione del vincolo, secondo i criteri e con le modalità di cui al previsto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, atto sostanzialmente regolamentare al quale anche le Province autonome sarebbero tenute ad adeguarsi. Così facendo, ad avviso della ricorrente, l’art. 31 violerebbe gli artt. 117, comma quarto, Cost., e 8, numeri 5) e 20), dello Statuto della Regione autonoma Trentino – Alto Adige / Südtirol e le relative norme di attuazione, in particolare quelle di cui al d.P.R.22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino – Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), al d.P.R. 22 marzo 1974, n. 278 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino – Alto Adige in materia di turismo ed industrie alberghiere) e al d.P.R. 1° novembre 1973, n. 686 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino – Alto Adige concernente esercizi pubblici e spettacoli pubblici).

In virtù del già citato comma 3, che conclude l’art. 31, le Regioni e le Province autonome sono tenute ad adeguare i propri ordinamenti a quanto stabilito nel previsto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, entro un anno dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (primo periodo); in quanto compatibili con l’art. 31, restano ferme «le disposizioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 settembre 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 225 del 25 settembre 2002, recante il recepimento dell’accordo fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome sui principi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico» (secondo periodo).