Qualcuno, che ha cominciato ad accompagnare la canzone battendo col pugno dei colpi sordi sul tavolo, si interrompe)
Non era cosi da bambino, quando mi facevo accompagnare alla Stazione grande di Modena a veder sibilare i settebelli, trattenendo un minuto il respiro annientato dall'impeto di quel vento improvviso, e la voglia di tuffarmici dentro. Per di più, ho sempre abitato dirimpetto a uno scalo minore, la Stazione piccola, destinato ai trenini per Sassuolo. E lì dentro giocavo, certi giorni di primavera dei primi Sessanta, tra vagoni abbandonati, binari morti, depositi misteriosi e inaccessibili, traversine consunte dalle quali spuntavano sterpi, fili d'erba e sassi odorosi di catrame o di ferro. Mi accompagnava la sensazione di stare in bilico sulla prateria, nel buco di questa pianura che penso da sempre inflnita. Di lì a non molto, verso i dieci anni, ho sentito parlare la prima volta di Fossoli. E ha cominciato in me a scavare, molto prima delle mode e dei bilanci secolari, il tarlo di Auschwitz: prima di tutto il resto, un'esperienza ferroviaria priva di ritorno, della quale era stato senz 'altro colpevole - in quanto testimone muto - anche qualche ramo della mia discendenza, capostazione, casellante o semplice passante che aveva osservato, un mattino qualunque, quei vagoni attraversare la linea dell orizzonte, dal cortile o dalla strada di casa verso nord.