Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La questione dell'università italiana

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Giacché fin d’allora e deputati e studenti italiani, mentre accettavano quel riconoscimento di fatto dei nostri diritti, l’utraquizzazione dell’Università di Innsbruck, protestavano però contro di essa come una mezza misura, né degna degli italiani, né sufficiente, né come i fatti ebbero di recente a dimostrare possibile fra il radicalismo nazionale dell’Università innsbrucchese. Intanto a scongiurare una lotta sul terreno accademico, la facoltà giuridica aveva deciso che la prolusione del prof. Menestrina si facesse in forma privata, il che anche avvenne. Gli studenti tedeschi radicali, per allora corbellati, andarono alle vacanze con un arrivederci a quest’autunno che voleva dire: Quod differtur, non aufertur. Gli studenti trentini poi tornarono ad Innsbruck con la certezza che la lotta sarebbe scoppiata alla prima lezione del prof. Menestrina. Tutti sanno che la previsione si avverò; ed ora siamo proprio al momento epico della lotta. Il giorno 27 ottobre, il nuovo docente privato saliva la cattedra tra gli applausi degli italiani e i fischi dei tedeschi; la lotta intorno a quella cattedra si ripeté tre volte; gli italiani, forti dell’appoggio di tutto il paese che applaudiva da lontano e da vicino; i tedeschi forti del diritto dei più: eppure, cosa strana! tutti, e chi applaudiva e chi fischiava, combattevano contro la medesima cosa; contro l’utraquizzazione dell’Università di Innsbruck; gli italiani, perché volevano, sulle conseguenze logiche degli avversari, conquistare un’università nazionale; i tedeschi perché volevano mantenere all’università innsbrucchese il carattere tedesco. Intanto, come contraccolpo ai fatti di Innsbruck, successero le dimostrazioni di Vienna e di Graz e le grida di: «Vogliamo l’università italiana!» echeggiarono fin sotto l’atrio del Parlamento. D’allora in poi la questione dell’università italiana diventò una questione austriaca. Un’ora dopo la dimostrazione, i giornali della capitale parlavano a lungo della questione, ne rifacevano la storia e la maggior parte simpatizzavano in certa maniera, naturalmente senza smentire i loro connazionali, per le domande degli italiani. Solo l’organo dei pantedeschi, l’Ostdeutsche Rundschau, si faceva scrivere dal teatro della lotta un articolo, in cui osservava che gli studenti tedeschi nel loro fervore giovanile avevano sbagliato tattica e che essi avevano ripetuto in tale maniera quegli atti di generosità dei tedeschi, per i quali essi aiutavano i propri avversari. Parallela all’azione universitaria, si svolgeva l’azione parlamentare. I deputati italiani, appena avuto sentore dei fatti di Innsbruck, presentavano alla camera un’interpellanza, dove chiedevano al Governo l’erezione di una completa università italiana a Trieste, ora che risultava evidentemente vano il tentativo di una mezza misura a Innsbruck. Qui intanto gli avvenimenti erano precipitati. Il senato accademico, cedendo alle violenze degli studenti tedeschi radicali, ordinava l’interruzione delle lezioni al prof. Menestrina. Questo passava ogni limite ed esasperò a ragione all’estremo gli italiani. La parola d’ordine degli studenti era: ad Innsbruck! e chi poté, lasciò Vienna e Graz e compari sul teatro della lotta. Eravamo al giorno 7 novembre, e tutti aspettavano con ansia la rispo- sta del ministro Hartel. Il prof. Pacchioni telegrafava da Vienna di sperare bene. Al Parlamento, sulle gallerie, gli studenti italiani pendevano dalle labbra del ministro: ad Innsbruck si aspettava al telegrafo. E la risposta venne: tutti lo sanno: fu la risposta di un ministro che non vuole dire chiaramente né si né no. L’Hartel diceva pressapoco: finora il Governo credette bene di venire incontro ai desideri degli italiani con le cattedre parallele ad Innsbruck; se la cosa, per le lotte nazionali, non sarà possibile, come pare, il Governo dovrà pensare a provvedere altrimenti a che gli italiani possano godersi un’istruzione superiore. I deputati ed in genere gli studenti in Vienna videro in queste ultime parole una promessa abbastanza chiara per l’Università a Trieste. A Innsbruck, invece nel grande comizio del 7 novembre in cui erano rappresentati tutti gli studenti, vari municipi e la stampa, gli studenti votarono un ordine del giorno radicale su tutta la linea. Io non voglio qui decidere, se esso fosse giustificato o ingiustificato, opportuno o meno opportuno: su tale cosa deciderà il futuro e questo futuro speriamo non sia ancora giunto. Certo è che la stampa tedesca e slava interpretò la risposta in genere più favorevolmente che noi: tanto è vero che la parola d’ordine per tutte le nazioni non equiparate fu questa: se ricevono l’università gli italiani, perché non ce ne danno una anche a noi? E d’improvviso ci trovammo a lato nuovi e più forti competitori — gli sloveni, i croati, i ruteni, gli czechi, i tedeschi: la questione era precipitata al plurale. La stampa tedesca ne approfittò per trarre la cosa in ridicolo, e si parlò d’università ladina e d’una per gli zingari. In seguito a questo ed alle condizioni di moribondo in cui si trovava il Parlamento, qui non fece passi in avanti la nostra causa, benché i nostri deputati non perdessero alcuna occasione sia nel plenum della Camera, sia nelle commissioni o per via di interpellanza. Ad Innsbruck successe una sommossa verso destra. Gli studenti tedeschi radicali capirono che le loro violenze facevano il nostro comodo ed ubbidendo alla Ostdeutsche Rundschau, riprovarono per vile interesse il passato e promisero di essere per l’avvenire gli uomini dell’ordine. Altrettanto chiedeva il Rettore agli italiani, ma questi non s’impegnarono. L’università venne tuttavia riaperta e le lezioni del prof. Menestrina ripigliarono il loro corso tranquillamente, però tra le dichiarazioni dei giornali tedeschi che dicevano: l’ultima concessione che vi facciamo. E la questione rimase insoluta. È chiaro che ora essa si trova in un periodo di tregua, non concessa da noi ma portata dalla necessità delle cose: quando ne uscirà? non è facile il dirlo: probabilmente la lotta scoppierà di nuovo quando si inaugurerà la seconda delle due cattedre stabilite, quella del dr. Lorenzoni. Questo è certo, che il Governo si troverà sempre più stretto nel dilemma o di mantenere e completare le cattedre parallele in Innsbruck e scontentare tanto italiani che tedeschi, o di concederci un’università propria su terra italiana, accontentarci almeno noi. Il Governo avrebbe pure escogitata una via di mezzo, quella cioè di completare le cattedre in Innsbruck, poi dichiararle indipendenti, istituendo un’accademia per sé e gli italiani in Innsbruck. Ma questo progetto, oltreché con ogni probabilità non incontrerebbe le simpatie dei tedeschi, non potrebbe essere accettato dagli italiani. Che cosa vorrebbe dire un’accademia italiana o una semi—universita‘ incompleta in terra tedesca, come vi si adatterebbe la nostra dignità e quella dei docenti? Del resto noi non avremmo conquistato che una scuola professionale mai un centro di cultura nazionale. Poiché, o signori, quale è la ragione prima della nostra domanda? Certo vi hanno parte anche motivi professionali: che il medico, il professore, l’avvocato possano studiare in quella lingua nella quale insegnano e non debba accadere, come avviene a taluno, di rifare poi per la pratica i suoi studi in italiano. Ma non è questa, o signori, la ragione principale. Noi vogliamo università italiana su suolo italiano per stabilirvi la nostra palestra di cultura e i nostri laboratori della scienza, ove agli studenti italiani austriaci sia possibile di coltivarsi anche oltre quello che tende l’esaminatore, ove la gioventù prenda amore alla scienza alle lettere, sì da crescere degna della nostra grande cultura nazionale! Le università, o signori, sono state sempre non solo i laboratori del pensiero scientifico, ma anche le fucine ove si idearono e produssero i grandi rivolgimenti intellettuali dei popoli. Ebbene, o signori, noi vogliamo un’università italiana la quale ci metta in grado di gareggiare con le altre nazioni dell’Austria, noi vogliamo un’università ove si formi una generazione che trovi il vanto non nello sprezzare i tedeschi e la loro cultura, richiamandosi ai nostri grandi Padri, ma nel far sempre meglio dei tedeschi nel superare la loro cultura, vogliamo in poche parole una università italiana la quale sviluppi il nazionalismo positivo dei doveri e non solo dei diritti, in maniera che si possa dire agli italiani in Austria non che gli italiani sono semplicemente gli avversari nazionali degli slavi o dei tedeschi, ma che sono un popolo, che è più colto e più sviluppato degli slavi e dei tedeschi. E questa nostra domanda, o signori, ci è garantita dalla costituzione nel paragrafo 19 delle leggi fondamentali. La legge c’è, ma chi vi pon mano? I tedeschi ci sogliono rinfacciare difficoltà pratiche, mancanza di professori e di studenti. Il corpo docente italiano di Innsbruck, con la sua risposta al prof. Waldner, pubblicata dai giornali, si dispensa dal confutare questo poco solido argomento. Ma se anche la nostra debolezza esistesse di fatto, non si entrerebbe nel circolo vizioso di non concederci la cultura, perché non abbiamo la cultura? Una debolezza vera fu forse che per il passato non abbiamo affermato abbastanza forte questo diritto, e a questo c’è ancora tempo di rimediare; marchiamo forte il nostro diritto di un’università italiana. E poiché per ora le circostanze pratiche e la voce comune indicano Trieste come sede dell’Università, affrontiamo tutti la ritrosia del Governo e la pervicacia dei tedeschi radicali con un grido unanime: Viva l’università italiana di Trieste! Ancora una dichiarazione che riguarda specialmente noi, studenti delle Associazioni cattoliche. Lo studente socialista Ferdinando Pasini, fungendo da relatore dell’ottavo congresso della Società degli studenti trentini, finiva la sua relazione con le precise parole che non posso fare a meno di leggere: «Tutta quanta la mia relazione è stata fatta col tacito presupposto, che la nostra campagna sia diretta ad ottenere un vero istituto superiore di studi aperto a tutti i soffi della scienza moderna, senza menoma restrizione allo spirito della libera ricerca e del libero pensiero, non quale anche la loro solita intransigenza ed intolleranza, i clericali già cominciano a pretendere. Gli studenti di quel partito, nel loro congresso del 18 settembre a.c. a Mezzocorona, vollero occuparsi, quest’anno, anche della questione universitaria, ma in seduta segreta, dove, secondo le scarse e riservate notizie della Voce Cattolica si discusse vivamente e a lungo sulla questione, e si decise di invitare i deputati e in modo speciale quelli di parte clericale a occuparsi energicamente della università italiana, provvedendo al sentito bisogno degli studenti accademici italiani. Di occuparsi in che modo ai deputati di parte clericale non è qui veramente detto, e noi ne resteremmo ancora all’oscuro, se non sapessimo fin dal giugno scorso, che nella festa universitaria della fondazione della Società Cattolica in Innsbruck, tra i discorsi e i brindisi delle persone importanti intervenute, ce n’è stato anche uno, e precisamente un deputato “in nero ammanto” che credette bene di augurare alla futura università cattolica italiana! E questo, mi diceva in confidenza uno di quei giovani véliti del clericalismo, questo è il programma e il voto di noi studenti cattolici: vogliamo proprio una università di carattere confessionale, sul tipo di quella che si sta piantando ora in Salisburgo. Non ne abbiamo ancora proclamata e iniziata pubblicamente la lotta, ma, a dire la verità, se due anni fa al congresso di Pergine abbiamo espresso il voto per una Università a Trento, si era perché crediamo che una università cattolica non possa sussistere in Austria fuorché a Trento. Denuncio fin d’ora, o signori, queste perfide intenzioni che non si ha il coraggio di portare alla luce del sole, perché si sappia qual valore dobbiamo accordare alla cooperazione, che costoro vorrebbero fingere alla nostra causa, le denuncio con tutte le forze dell’anima contro un tale programma, destinato a buttare presto o tardi, e probabilmente nel momento più difficile della lotta, il flagello della guerra civile tra gli italiani dell’Austria e magari a distruggere per sempre tanti sforzi ininterrotti ch’essi hanno fatti per migliorare le condizioni intellettuali della loro nazione; le denuncio esortando i nostri deputati di parte non clericale a continuare nella campagna universitaria col metodo seguito fino ad oggi; cioè col prescindere affatto dai clericali, anzi con l’ignorarne addirittura l’esistenza poiché essi non offrono per tutte, indistintamente, le varie correnti del pensiero moderno, quelle garanzie di libertà che noi saremmo sempre disposti a garantire anche al loro pensiero; e perché noi piuttosto di mettere capo ad una università, che riuscirebbe un pericolo costante per la civiltà ribadendo i ceppi dell’ingegno umano, preferiamo mille volte e più di rinunciarvi per ora e per sempre». Signori! io non v’ho letto questo sfogo del signor Pasini per avere occasione di un attacco personale. E certo però ch’egli è un ingannato o un ingannatore. Giacché, come fu già dichiarato da un mio collega in una solenne adunanza di studenti ad Innsbruck, è falso che l’Associazione universitaria cattolica tridentina abbia avuta l’idea di un’università italiana cattolica, ovverosia confessionale; e sappia il signor Pasini, che se l’idea l’avessimo avuta, avremmo avuto anche il coraggio di pubblicarla come abbiamo avuto il coraggio di manifestare tant’altre idee di ordine religioso che hanno costato a qualcuno di noi, oltre che ingiurie e isolamento perfetto, anche pugni e schiaffi. Ma di questo, o signori, si è già parlato abbastanza ad Innsbruck. Volevo soltanto «denunciare» anch’io qualche cosa qui davanti al vero popolo trentino, innanzi ai suoi rappresentanti, volevo, ripeto, «denunciare» anch’io qualche cosa. Denuncio fin d’ora, o signori, — dirò anch’io col Pasini, — questo perfido sistema di creare pregiudizi o false opinioni in riguardo agli avversari per poi annientarli, sistema che è tanto più da deplorarsi quando si tratti di una questione che è di tutti gli italiani. Riguardo a noi, i fatti vennero a smentire queste false insinuazioni. Nessuno di noi mancò in quei giorni né al lavoro delle assemblee, né a quello dei comitati. Pareva che la pace fosse fatta e non si dovesse temere «il flagello della guerra civile». Ma poi, passate le burrasche, parvero ritornare i consigli antichi, e da Vienna si tentò ogni mezzo per cacciarci dal comitato, si tirarono in campo le nostre opinioni religiose ed ecclesiastico—politiche, e si tentò in pubblica adunanza di metterle in contraddizione, udite, o signori, con l’università italiana. Era la pratica della teoria, tanto applaudita a Rovereto, di Ferdinando Pasini, il quale non contento di escludere noi studenti e di presentare ordini a nome di tutti gli studenti accademici trentini, esortava «i deputati di parte non clericale a continuare nella campagna universitaria col metodo seguito fino ad oggi, cioè di prescindere affatto dai clericali, anzi con l'ignorarne addirittura l’esistenza». Ebbene, o signori, contro tale altezzoso sistema di sorpassarci e di ignorarci, noi protestiamo energicamente e con tutta l’anima e v’assicuro che cercheremo di far sentire in tutte le occasioni la nostra esistenza. Vivaddio! Non è questo nostro paese nella sua gran maggioranza cattolico? Non sta il popolo, il vero popolo, dietro di noi, o i suoi rappresentanti non sono in maggioranza di parte cattolica? Non c’è bisogno di esortazioni, ma se fosse il caso noi vorremmo dire ai nostri deputati: Rispondete a queste esortazioni di parte anticlericale con l’occuparvi con sempre maggiore energia della questione universitaria, e gli studenti e l’immensa maggioranza del Trentino saranno con voi. Ancora una cosa. Il signor Pasini terminava la sua applaudita filippica, motivandola con l’assicurare che i clericali non concederebbero agli avversari la libertà di pensiero e di ricerca. Lasciate che gli risponda con un augurio. No, o studenti anticlericali, andate pure nei laboratori, nei gabinetti, nelle biblioteche, cercate di ricercare, studiate e ristudiate col vostro ingegno libero da tutti i ceppi. Cercate! Novelli Ulissi, ripartite da Itaca, non cacciati dalla noia, come diceva nella sua ultima conferenza sulle funzioni sociali del pessimismo il prof. Pasini, ma attirati dalla sete del vero e del buono. Avventuratevi sul mare tempestoso, passate le colonne d’Ercole, lanciatevi arditamente per l’oceano infinito, vagate e cercate! Se la stella vi sarà propizia, se non farete prima naufragio, troverete il monte della salute. Dopo tante fatiche e tante aberrazioni ritornerete sulle antiche vie degli avi, alla religione delle vostre madri, al Vero davanti al quale chinan la fronte e Dante Alighieri e Michelangelo e Raffaello e il Vico e il Muratori e Alessandro Manzoni e tutte le maggiori glorie italiane.

Comizi fiemmesi

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Si pensi che già nel 1795 i fiemmesi accettavano nelle consuetudini la riserva del vescovo Pietro Thun, la quale in sostanza autorizzava il Vescovo e i suoi successori a modificare a proprio talento gli antichi statuti. Dal 1810 al 1866 la comunità non fu punto indipendente. Troviamo la diretta ingerenza delle autorità politiche in moltissimi casi, perfino i preventivi dovevano subire l’approvazione e le nomine la conferma. È vero che dopo il' ’66 la Giunta non esercitò una sorveglianza così intensa, come prima, ma ciò accadde anche per moltissimi comuni e del resto nel 1870, nel 1879, nel 1883, nel 1886, nel 1888, nel 1889, nel 1890 e nel 1897 intervenne e i tribunali le diedero ragione. Secondo il provvisorio la Giunta non interverrà che in casi di ricorsi, oppure di infrazione del regolamento. Per il resto l’amministrazione è autonoma. Ed infine si oppone che il provvisorio sarà un provvisorio austriaco e durerà in eterno. Ciò dipenderà dai fiemmesi, conclude l’oratore. Se essi, compresi dall’importanza di questo momento affideranno il nuovo consesso in mano di uomini onesti, sinceri, amanti del popolo e del benessere della valle, il provvisorio cederà presto il campo ad un definitivo migliore.

Costituzione, finalità e funzionamento del Partito Popolare Italiano

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Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1919
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 74-87.
  • Economia
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Bisognava rompere il cerchio assiderante, che metteva quasi fuori della vita pubblica coloro che non accettavano o contrastavano questa ambientazione di pensiero, con l'accusa di antipatriottismo, e che negava a coloro che apertamente professano la regione cattolica e cercano di trarre da essa ispirazioni pratiche di vita sociale, ogni diritto di essere e di rappresentare una massa organizzata nelle grandi assise della nazione.

Pagina 74

La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1907
  • Murri, La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi, Roma, Società Nazionale di Cultura, 1907, 1-297.
  • Politica
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Anime le quali, possedendo questa, filosofavano su di essa, ne studiavano i rapporti con le altre conoscenze del loro tempo, con le varie filosofie umane: uomini di chiesa o studiosi cristiani i quali si alzavano a difendere quella verità cristiana dagli attacchi degli avversarii, e per meglio difenderla ne cercavano, servendosi del linguaggio filosofico del loro tempo — poiché non ne avevano altro ⸺, la migliore espressione: padri e concilii e sommi pontefici i quali, in conclusione di questo lavoro apologetico, accettavano alcune espressioni e le fissavano come veste ufficiale e riconosciuta della verità religiosa: per questa via noi siamo giunti dalla fede semplice ed in molte cose implicita dei primi cristiani a quel complesso di verità nettamente formulate che, dopo il concilio Vaticano, l'ultimo tenutosi, fanno parte della professione di fede cattolica romana, e che si svolgeranno e aumenteranno ancora col tempo. Né tutto è qui. I dommi sono affermazioni staccate; ognuna di esse suppone certe altre affermazioni ed apre la via a certe altre; questi gruppi di affermazioni, avvicinati gli uni agli altri, creano o rivelano nuovi rapporti e nuove conseguenze: e da tali varii elementi uniti insieme alcuni professionisti in speculazioni teologiche traggono un sistema complesso, nel quale ciascuna di quelle affermazioni ha il suo posto e i suoi antecedenti e la sua ragione teologica: e dai teologi poi attingono, per il governo delle cose della Chiesa e delle anime, coloro i quali organizzano il culto, i confessori, i predicatori, gli insegnanti, i catechisti, l'autorità e le congregazioni romane; così che intorno al domma, il quale è già esso stesso, nel suo stato attuale, l'effetto d'una lunga evoluzione storica della verità primitiva, si va formando una specie di atmosfera di dottrine, di ipotesi, di conclusioni probabili, di opinioni teologiche, della quale la Chiesa si serve per quello che potremmo dire il consumo intellettuale dei suoi aggregati. Voi vedete come tutto ciò aggiunge all'ispirazione e rivelazione divina, mediante la quale le anime furono chiamate e condotte a sentire in Dio e vivere in lui, un lungo e complicato lavoro umano, i cui varii elementi non godono tutti della medesima sicurezza, e che manifesta in molti suoi particolari l'opera del tempo, il quale aggiunge, toglie, modifica, abbellisce, completa. Noi cattolici riconosciamo che, sostanzialmente, la fede è pur sempre la stessa che ai primi giorni, per quanti progressi il nostro pensiero abbia fatto in essa; ma ciò non può in nessun modo condurci a negare la storia di questi dommi o di queste dottrine, la quale oggi, per opera di cattolici e di protestanti, si è arricchita di una luce vivissima, ed a trascurare gli insegnamenti che possono venirci dall'esame della vita seguita da questo svolgimento del pensiero cattolico e dalle leggi che lo hanno regolato e diretto.

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Introduzione alla sez. "Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922)

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Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1923
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 101-131.
  • Politica
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Questa posizione mentale — assai diversa da quella di un secolo o di mezzo secolo fa quando non pochi fra i cattolici non accettavano il regime costituzionale democratico come diritto di popolo —, è anche diversa da quella di coloro che, pur ammettendola come stato di fatto e non come teoria, partecipano alla vita amministrativa e politica a puro scopo difensivo di principi religiosi ed etici e di interessi legittimi, senza per questo idealmente aderirvi, temendo che ciò fosse lo stesso che dare l'adesione alla teoria liberale, che essi escludono.

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