Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il comizio di Riva

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Quanto al fatto che a Tuenno l’ordine del giorno venne accettato ad unanimità senza discussione, esso non può provare altro che gli elettori furono tutti d’accordo, altrimenti la maggior parte dei comizi per l’autonomia non avrebbero avuto nessun valore. Egli venne a malincuore a questo comizio: le predizioni della stampa locale e le idee, oramai fatte pubbliche di alcuni fra i promotori, già dicevano ch’egli si sarebbe trovato di contro a delle persone molto autorevoli di parere avverso in un ambiente predisposto ostilmente. Venne tuttavia per obbedire ad un imperativo della sua coscienza di cittadino, venne, perché dopo aver scritto e parlato durante tutta la lotta universitaria ed averla combattuta da vicino assieme alla giovane generazione, pareva che il mancare nel momento in cui pende la decisione, fosse un disertare. E come non mancò ad Innsbruck, quando l’armonia degli intenti collocò accanto l’uno all’altro gli studenti, malgrado tante differenze, nella difesa contro un urto feroce, così non volle mancare oggi, anche se gli fosse avvenuto di parlare contro tanti alleati d’un tempo. Allora come adesso è l’amore alla causa della nostra elevazione nazionale che lo spinge, è la persuasione intima della necessità di un istituto superiore per la nostra coltura. Si dichiara d’accordo coll’energica protesta contro il Governo e specialmente contro quei tedeschi che sono in Austria il concreto dell’astratto: prepotenza, e in questo riguardo non ha nulla da aggiungere alle nobili parole del barone Fiorio. Venendo al nocciolo della questione, dice che si può partire da due punti di vista: punti che si sono fatti anche pubblicamente valere negli ultimi giorni. «O noi consideriamo, egli dice, il miserabile frutto dopo tante cure ottenuto, consideriamo il tozzo di pane buttatoci come a mendichi, mentre noi avevamo sperato, sognato un banchetto, e allora il sangue ci sale al viso e gridiamo colla voce soffocata dalla rabbia in faccia al presunto benefattore che ci deride: No, no, il tuo tozzo lo butto a terra e lo calpesto; salverò la dignità, anche a costo della fame! E questo è il parere di chi grida “Trieste o nulla”. Ma c’è anche un altro punto di vista, e questo s’attaglia secondo me alle nostre condizioni. Noi siamo un popolo stretto da ogni parte da avversari nazionali, che s’annidano sui nostri valichi alpini che scorazzano le nostre valli come padroni, e mentre ai confini passo passo, piede piede, ci tocca difendere la nostra vita nazionale, anche più addentro dobbiamo parare gli assalti diretti contro il palladio della nostra nazionalità. Su questo piede di difesa in cui ci troviamo in questo accanimento continuo ogni arma nuova che ci viene tra mano serve a rintuzzare l’offesa, è provvidenziale. Da questo punto di vista io considero la facoltà che il Governo, o meglio i partiti, sia pure con intenzione non benevola, hanno fatto passare nella commissione. Faremmo insomma, per ritornare al paragone di prima, come il mendico che strappa di mano al signore il tozzo di pane, lo ingozza perché vuole vivere, vivere per continuare nella resistenza e gli grida: Vivo per combatterti, per vincerti definitivamente! Io vedo insomma nella facoltà una forza che aumenta la nostra resistenza nazionale, e per ciò l’accetto per ritorcela contro i donatori che hanno già calcolato sul mio rifiuto. Ma la facoltà, voi obiettate, è bastarda; anzi l’on. dr. Stefenelli ha accentuato appunto questo. Ebbene, se il progetto dovesse passare tale e quale, dovremmo rifiutarlo tutti. Ma già il Governo, credo per bocca del ministro Hartel stesso, ha dichiarato di voler mutare le disposizioni lesive ai nostri sentimenti nazionali; ad ogni modo, se il Governo non manterrà la sua promessa, per il nulla ci sarà sempre tempo d’agitarsi. Ora veniamo alla questione della sede. Il Governo — c’è chi vuole, in seguito a suggerimenti — nella scelta della sede, dopo aver passato sopra al desiderio comune agli italiani, ha inflitto un’altra offesa al nostro paese. Il pericolo dell’atomismo, parlando di popoli e di stati, e passato. Pochi ma uniti, malgrado la geografia ufficiale, nella nostra coscienza di popolo abbiamo creato un paese, il Trentino, e a Trento tutti — parve almeno tutti — demmo le insegne di capitale, e Trento lo fu anche spesso moralmente. Così non parve ai promotori del progetto. Signori, se il Governo vuole erigere la facoltà nel Trentino, lo possa fare solo a Trento, in nome dell’unità nazionale del paese! Ed ora vengo all’ultima obiezione fatta anche oggi che è forse per alcuni più forte di tutte le ragioni; la solidarietà nazionale coi fratelli della Venezia Giulia. Gli è appunto in nome di questo supremo ideale dell’armonico sviluppo nazionale fra tutti gli italiani dell’Austria che io vi domando la votazione per Trento. Non vi paia un paradosso, o signori! La facoltà a Trento dev’essere provvisoria; lo dev’essere per deliberato nostro, lo dev’essere per l’opera dei deputati. Non si tratta che di uno sbarco momentaneo, per salvarci dal sicuro naufragio finché, passata la burrasca, riprenderemo il cammino verso la meta finale, Trieste. Teniamola viva questa povera figlia della sciagura, fino che momenti politici più propizi, costellazioni parlamentari più favorevoli ci rendano possibile darle una stanza più sicura, più conveniente. Signori! gridando “Trieste o nulla” noi ricadiamo dopo tante lotte nel nulla, senza che si veda modo di cavarsene fuori, dicendo “Trento” noi evitiamo il “nulla”, per poi arrivare a Trieste. E i nostri fratelli triestini che in un momento di delusione, che noi condividiamo, s’oppongono ora ad una soluzione provvisoria, saranno poi grati a chi ha salvato loro il germe di cui raccoglieranno più tardi i frutti. Del resto i miei avversari sono in contraddizione. Come si fa ad appellarsi alla solidarietà coi triestini, mentre contemporaneamente si invitano, come sostiene oggi il dr. Stefenelli, i deputati a rompere l’unico vincolo che è il club italiano al Parlamento? Io non sono tenero però del club italiano, anzi se tutto si avesse a ridurre ad una dittatura dei deputati del litorale venga pure la rottura». Il dr. Degasperi conclude dichiarando specioso l’argomento che in Trento non possa risiedere provvisoriamente una commissione di esami, perché danneggerebbe la coltura generale degli studenti, e nega che a Vienna e a Graz gli studenti trentini siano veramente a contatto con le fonti della civiltà tedesca. Finisce dicendo che non vede per ora come si possa ricominciare di nuovo la lotta, e osserva che la politica del «tutto o nulla» nella questione dell’autonomia, ci ha messo al rischio di perdere nazionalmente oltre la valle di Fassa anche quella di Fiemme. Prelegge in ultimo il seguente ordine del giorno: «Il Comizio riafferma essere unanime volere degli italiani che la facoltà giuridica italiana, rispettivamente l’università completa, abbia la sua sede definitiva in Trieste, e invita i deputati a cogliere ogni momento politico opportuno per eseguire la volontà nazionale. Protesta contro le disposizioni lesive ai sentimenti nazionali contenute nel presente abbozzo di legge. Delibera che vista l’impossibilità per il momento di raggiungere la meta ideale e di iniziare una lotta efficace sul terreno accademico e sul terreno parlamentare, ammesso che il Governo come ha promesso ritiri le disposizioni lesive come sopra, venga affidata a Trento la facoltà giuridica, in via provvisoria, e fino a tanto che agli unanimi conati degli italiani riuscirà di ottenere l’erezione definitiva di un’università italiana a Trieste»?

L'assemblea dell'"Unione politica"

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Il programma poi venne discusso punto per punto e con alcune modificazioni accettato. Al punto VII: «postulati agrari», riferì il m.r. don Panizza; anch’esso dopo larga discussione venne approvato. La seduta, che era stata sospesa alle 12 e ripresa alle 2, durò fino alle 6. Interessantissima fu la discussione sulla organizzazione da darsi alla società nelle vallate. Il m. r. don de Gentili raccomandò, che anche nelle adunanze della società politica ci si adoperasse per la diffusione della stampa; s’inculcasse inoltre essere sacro dovere dei cattolici di sostenere materialmente il comitato diocesano, il quale a sua volta è la società che mantiene la stampa e ne rende possibile lo sviluppo. L’oratore urge ancora che non si voglia disperdere le forze in altre imprese buone sì, ma non così importanti ai giorni nostri come la stampa. Ricorda l’esempio della Francia, la quale ha profuso somme immense in opere eccellenti, ma dove non si è sviluppato il movimento cattolico sociale e non ci si è impadroniti dell’opinione pubblica, coi danni che ora vede ognuno. Le parole del dr. de Gentili furono calorosamente applaudite. S’accettarono infine le proposte del dr. De Gasperi colle aggiunte risultate dalla discussione, per quanto riguarda l’organizzazione politica e il sistema di propaganda.

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